Sciascia ebbe ad equivocare maldestramente tra l'atto di battesimo di Marc'Antonio Alaimo e quello di Marc'Antonio Missina. Anzi, confuse la registrazione di quest'ultimo con l’atto di battesimo del futuro medico, con una annotazione ancora oggi rinvenibile tra i registri della Matrice di Racalmuto. Giuseppe TROISI, all'epoca solerte fotografo al seguito di Sciascia intento a comporre una versione corredata da fotografie della MORTE DELL'INQUISITORE che purtroppo non fu mai pubblicata da LATERZA, ne trasse persino una interessante fotografia. E qui mi duole aggiungere che la stima che SCIASCIA riversò, in un articolo pubblicato da MALGRADOTUTTO, su MARC'ANTONIO ALAYMO era mal riposta. Quando e se avrò modo di pubblicare la traduzione del suo DIADEKTIKN, verrà fuori un medico fattucchiere, superstizioso e bigotto. Il capitolo 'DE MUMIA' dovette essere orripilante anche nel Seicento.
Se Sciascia lo avesse appena scorso, lo avrebbe senza dubbio fustigato.
A questo punto, il mio acre censore Nicolò Petrotto avrà tanta ragione per insolentirmi. Bazzecole? Pedanterie? Grette minchionerie?
Senza dubbio. Ma è appunto per questo che mi sono diverto a parlar male del nostro locale Garibaldi, proprio in casa di MALGRADOTUTTO, a dire il vero ho tentato mail nostro faziosissimo giornaletto locale mi ha impudentemente censurato.
Ma questo Nicolò Petrotto chi è? Se è uno dei due Petrotto Nicolò (figlio di Calogero uno, di Carmelo l'altro) che mi ritrovo in un liso foglio a matita alle prese con le 'giubbe' , i 'cinturoni' ed il 'moschetto' nelle contestate colonie dei 'balilla' racalmutesi, potrebbe pure informarmi su quelle vicende che pur contraddistinguono un locale costume dell'Era Fascista.
Non sono di antico lignaggio racalmutese i PETROTTO e quindi non amano forse questo suonare la 'corda pazza' della Terra del Sale. Questa famiglia appare nei registri della Matrice solo sul finire del 1600: in un censimento databile 1664 abbiamo solo un ceppo affine che si fa chiamare GULPI PITROTTO . Di un Nicolao Gulpi Pitrotto abbiamo traccia negli atti di morte del l'11/10/1648 ed il primo di maggio del 1656 viene sepolta a S. Giuliano Filippa Gulpi Pitrotto figlia di Francesco e Giovanna Gulpi Pitrotto. Un Gulpi Pitrotto lo troviamo addirittura quale teste nel matrimonio tra Chiazza Giovanni e Zimbili Diega, celebratosi il 9/5/1618.
Incomprensibilmente, a partire dal novembre del 1664 (cfr. atto di morte di Santo Pitrotto di Francesco e di Giovanna di anni 20 del 16/11/1664) quello ed altri ceppi semplificano il cognome nel solo PITROTTO e da allora quella famiglia ebbe a svilupparsi considerevolmente e - sia chiaro - onorevolmente nella Terra di Racalmuto.
Solo che chi scrive, alla stregua degli Sciascia (che i preti a suo tempo registravano XAXA), può vantare presenze racalmutesi fin dai primi registri della matrice di Racalmuto che risalgono, a seconda delle letture, al 1554 o al 1564. Per converso, se Nicolò Petrotto fosse per linea materna anche un PALERMO, ebbene allora ci surclasserebbe quanto a sangue locale parlando le cronache di tal SADIA di PALERMO «lu quali habitava in lu casali di Raxalmuto» nel 1474. E siamo dunque a cinque secoli fa.
Questa "querelle" tra me ed il PETROTTO è allora tipicamente racalmutese. Chi non è di questa terra non può apprezzare la saggia follia di questi sarcastici scontri. Ma ritorniamo agli scontro della fine dell’Ottocento.
«Si informa - scriveva da Racalmuto il 22 giugno 1873 l'Ufficiale di P.S. in missione Luigi MACALUSO - che in un giorno degli ultimi di maggio p.p. i fratelli Gerlando e Calogero Damiani e Stanislao D'Amico da Girgenti, nelle ore del mattino vennero in questa, ove si riunirono a certo Gueli Bongiorno Raimondo da Grotte, qui residente qual socio appaltatore dei Dazi Consumo e poscia nelle ore pomeridiane dell'istesso giorno, insieme al detto Gueli, si recarono a Grotte, ove si riunirono ai nominati Ferrara Giuseppe di Ludovico da Sciacca, di anni 29, domiciliato in Grotte, civile, ed INGRAO Francesco di Giuseppe di anni 30 Civile da Grotte, i quali tutti insieme andarono a desinare nell'osteria di Sciascia Pietro, ove bevereno e parlarono fra di loro , ignorando i discorsi tenuti, perché a soli. I cennati INGRAO, GUELI, FERRARA sono ritenuti dalla voce pubblica appartenenti al Partito Repubblicano e gli stessi furono imputati e sottoposti a mandati di cattura per la rivolta politica avvenuta in Grotte, nel febbraio 1868, e poscia liberati per manco di prove, ma al presente tengono una condotta tanto riservata da non farsi colpire dai rigori della legge e da qualunque possibile vigilanza.»
E a Racalmuto? «In Racalmuto questo partito [repubblicano] non ha alcuno aderente anzi dalla classe pensante è beffeggiato».
«Maestà, siamo alle Grotte» - citiamo da Rerversibilità di Sciascia - «Nelle grotte ci stanno i lupi: tiriamo avanti - disse all'ufficiale di scorta». A Grotte invece ci sono stati valenti uomini che hanno sofferto il carcere per le loro idee. E a Racalmuto? Certo, vi prosperano la letteratura e le sardoniche rime in vernacolo.
Nelle sale del circolo tutte quelle “mene” ottocentesche - si può essere certi - venivano scandite al tocco delle solatie ore pomeridiane o al rintocco di quelle melanconiche dell’occaso e della tarda sera. Una rissa mia, paesana, acidula con il mio amico prof. Petrotto l’ho voluta qui intrufolare per dare il ritmo, se non il racconto, delle analoghe beghe dell’Ottocento dei galantuomini nostrani.
* * *
Dopo l’Unità d’Italia, Racalmuto ha sconvolgimenti profondissimi che lì per lì i loquaci galantuomini sicuramente non colsero; ma basta vede come si chiude il quadro statistico di fine secolo per capire quale rivoluzione sociale si era determinata. Certo la componente borghese fu egemone. Chi aveva terre da sfruttare con scavi alla ricerca dello zolfo lo fece con perseveranza, con protervia persino, con avventure impensabili in gente atavicamente adusa a lavorare solo il mese della “riconta”. Ed i buoni borghesi di Racalmuto non si accorsero neppure che continuando in quel modo avrebbero dovuto poi rammaricarsi del fatto che “un galantomu un po’ cchiu dari nna masciddata a lu so viddanu”. Quando noi oggi - nipoti di zolfatai analfabeti che a dire dei notai dell’epoca non sapevano “scrivere ne(sic) sottoscrivere per non averlo mai appreso” - si divertiamo nelle serate al circolo a sbeffeggiare qualche malconcio erede di quei supponenti signori, un gusto sadico, un empito di ancestrale livore, lo proviamo ancora, con una qualche ingordigia.
Racalmuto si affacia al secolo XX con connotati che possiamo coglieredall’Annuario d’Italia - Calendario generale del Regno” del 1896 pag. 318 e segg. «Mandamento di Racalmuto - Comuni 2 - Popolazione 22.648, Tribunale, Conservatorie delle ipoteche e Ufficio metrico in Girgenti, Ufficio di P.S. e Uff. Reg. In Racalmuto. Magazzino Privative e Agenzia delle imposte a Canicattì - Racalmuto - Collegio elettorale di Canicattì, diocesi di Girgenti. Ab. 13.434 Sup. Ett. 4.237 - Alt. Su livello del mare m. 460 - Grosso borgo, fabbricato sulla sinistra di un affluente del Platani. Corsi d’acqua: un affluente del Platani. Prodotti: cereali, viti, olivi, frutta. Miniere: Miniere di zolfo greggio e varie miniere di salgemma. Fiere: ultima Domenica di maggio (bestiame e merci). Sindaco: Tulumello barone Luigi. Segret. Comunale: Rao Liborio. -Agenti di assicurazione: Macaluso Vincenzo (Venezia), Rao Liborio.Albergatori: Martorana Alfonso - Valenti Giuseppe. Bestiame: (negoz.) Borsellino Calogero - Borselino Giovanni - Pavia Giulio - Piazza Gio. E Giuseppe. Caffettieri: Esposto Pio; Farrauto Gioacchino; ved. Licata. Cappelli (negoz.): Conigliaro Francesco - Martorana Nicolò. Cereali: (negoz.) Bartolotta Giuseppe - Bartolotta Salvatore - Bartolotta Nicolò - Scimè Salvatore - Nalbone F.lli. Cordami: (fabbric.) Greco Salvatore - Scimè Salvatore. Farine: (negoz.) Falcone Gioacchino - Geraci Calogero - Scimè Gregorio - Scimè Alfonso - Scimè Pasquale - Schillaci Ventura - Taibbi Gioacchino. Ferro: (negoz.) Cutaia Luigi - Macaluso Salvatore. Formaggi: (negoz.) Denaro Calogero - Denaro F.lli - Giuffrida Gaetana - Iovane Antonio. Legnami: (negoz.) Macaluso Francesco - Macaluso Salvatore - Napoli Carmelo - Cutaia Luigi. Merciai: Alessi Salvatore - Di Rosa Giuseppe. Miniere di salgemma: (eserc.) Bartolotta Giuseppe - Denaro Giovanni - Lauricella Nicolò - Licata Salvatore. Miniere di zolfo: (eserc.) Argento Michelangelo - Argento Santo - Bartolotta Diego - Bonomo Giuseppe e Figli - Brucculeri Michelangelo - Buscarino Pietro - Cavallaro Giuseppe - Cavallaro Luigi - Cino Calogero - Cutaia Salvatore - Farrauto cav. Alfonso - Farrauto Francesco - Franco Gaspare - La Rocca Salvatore - Liotta Calogero - Lo Jacono Vincenzo - Macaluso Stefano di Calogero - Macaluso Stefano di Francesco - Mantia Giuseppe - Mantia Michele - Mantia Salvatore - Martorana Salvatore - Martorana Vincenzo - Matrona comm. Gaspare - Matrona cav. Paolino - Matrona cav. Michele - Matrona Napoleone - Messana Calogero - Morreale Carmelo - Munisteri Pinò Nicolò - Picone Salvatore - Puma Carmelo - Romano Calogero fu Luigi - Romano Giuseppe - Romano dott. Salvatore - Salvo Giuseppe - Schillaci Diego - Schillaci Giuseppe - Schillaci Pietro - Schillaci Ventura F.lli - Sciascia Leonardo - Scibetta Diego - Scibetta avv. Giuseppe e F.lli - Scimè Pasquale - Sferlazza Salvatore e Figli - Tinebra Luigi - Tinebra Salvatore; Serafino; Vincenzo - Tulumello Arcangelo - Tulumello b.ni Luigi - Tulumello Nicolò - Tulumello Salvatore - Vella Antonio e Volpe Calogero. Mode: (negoz.) Conigliaro F. - Molini: (eserc.) Burruano Giuseppe - Falcone Gioacchino - Farrauto Salvatore - Palermo Nicolò - Scimè Pasquale - Scimè Sferlazza Salvatore. Molini (a vapore) : (eserc.) Alfano Giuseppe - Farruggia Gerlando - Grillo e Picataggi - Scimè Arnone Giuseppe. Olio d’oliva: Cinquemani Alfonso - Cinquemani Dom. - Cinquemani Salvatore - Leone Diego - Licata Salvatore - Liotta Pietro e Patti Leonardo. Panettieri: Genova Pietro - Rizzo Nicolò - Romano Ignazio. Paste alimentari: (fabbric.) Franco Vincenzo - Giudice Nicolò - La Rocca Francesco - La Rocca ved. Carmela - Mattina Salvatore - Mattina Vincenzo - Picataggi Federico (a vapore) - Pitruzzella Angelo; Diego. Pellami: (neg.) Alessi Salvatore. Pizzicagnoli: Denaro Salvatore - Iovane Antonio. Sommacco :(negoz.) Denaro Giovanni - Flavia Giuseppe - Grillo Raffaele - Mantia Giuseppe - Martorana Luigi - Mendola Calogero - Pantalone Giosafatte. Tessuti: (negoz.) Collura Salvatore - Franco Gaspare - Petruzzella G.B. - Puma Gerlando - Romano Calogero - Scibetta Giuseppe. Vini: (negoz. Ingrosso) Mazttina Carmelo - Mendola Santo - Puma Giov. - Puma Michelangelo - Salvo Giuseppe - Taverna Carmelo - Zaffuto Angelo. Professioni: Agrimensori: Amato Calogero. Agronomi: Busuito Alfonso Falletta Luigi - Grisafi Calogero - Terrana Giuseppe. Farmacisti: Baeri Angelo - Cavallaro Giuseppe - Scibetta Luigi - Presti Cesare - Romano Giuseppe - Tulumello Salvatore. Medici-chirurghi: Bartolotta Giuseppe - Burruano Francesco - Busuito Luigi - Busuito Giuseppe - Busuito Salvatore - Cavallaro Erminio - Falletta Gaetano - Romano Salvatore - Scibetta-Troisi Alfonso - Scibetta-Troisi Diego - Macaluso Luigi. Notai: Alaimo Michelangelo - Gaglio Ferdinando - Vassallo Giuseppe Antonio.
Il quadro economico che se ne trae è molto variegato ed esplicativo. Oltre 63 esercenti di miniere di zolfo (per converso solo 4 esercenti di miniere di salgemma) attestano l’importanza del settore. L’agricoltura è piuttosto fiorente: 5 grossisti in cereali; 7 spacci di farine; 6 molini e 4 a vapore; paste alimentari e pane vengono smerciati in vari punti di vendita; opera anche un pastificio a vapore; 7 commercianti all’ingrosso in vino; 7 grossisti di sommacco; 7 grossisti di olio di oliva. Il secondario, in un centro effervescente per occupazione industriale e per sviluppo agricolo, è congruo: negozi di ferro, di pellami, di legname, di cordami non mancano; e poi merciai ed empori di mode, di tessuti, di cappelli; quindi trovano lavoro i caffettieri (ben tre). La pastorizia è discreta: negozi di formaggio e quattro macelleria lo comprovano. Nutrita la serie dei professionisti: diversi agrimensori ed agronomi, segno della rilevanza della proprietà terriera; tre notai (di cui solo uno veramente racalmutese); stranamente i tanti avvocati del tempo non ci vengono segnalati; e poi tanti (troppi) medici (ma molti sono fra loro strettisimi parenti ed è da pensare che la laurea fosse più un orpello che lo studio propedeutico ad una effettiva professione medica). Il quadro ‘borghese’, “agrario” ed il profilo degli esercenti di miniere di zolfo - che un ruolo avranno nell’avvento del fascismo a Racalmuto - sono ben delineati a decifrare fra i cognomi delle famiglie che figurano come esercenti di particolari arti e mestieri. Destinati ad uno squallido tramonto le tre famiglie in qualche modo titolate: i Tulumello, i Matrona ed i Farrauto; presenti nell’agone politico prefascista i vari Cavallaro, Bartolotta, Scimé, Baeri, Mantia, Vella, etc. E’ arduo rinvenirvi i ceppi d’origine di quelle che saranno le figure dominanti del fascismo: Giovanni Agrò, il dott. Enrico Macaluso, il prof. Giuseppe Mattina di Gaetano, il maestro Macaluso, Antonio Restivo: una rotazione dirigenziale, in senso popolare, il fascismo a Racalmuto senza dubbio finì col determinarla, una sorta di redenzione sociale delle classi meno abbienti, una retrocessione dalle funzioni pubbliche dei ‘galantuomini’ racalmutesi dell’Ottocento.
Luigi Pirandello ne I vecchi e i giovani [8] accenna alle condizioni - avvilentissime - dei ceti infimi racalmutesi. Vi include ovviamente gli zolfatai. Triste la sorte dei ‘mafiosi’ incastrati dalla giustizia: miseranda la vita delle loro donne.
«..s’affollavano storditi i paesani zotici di Grotte o di Favara, di Racalmuto o di Raffadali o di Montaperto, solfaraj e contadini, la maggior parte, dalle facce terrigne e arsicce, dagli occhi lupigni, vestiti dei grevi abiti di festa di panno turchino con berrette di strana foggia: a cono, di velluto; a calza, di cotone; o padavovane; con cerchietti o cateneccetti d’oro agli orecchi; venuti per testimoniare o per assistere i parenti carcerati. Parlavano tutti con cupi suoni gutturali o con aperte pretratte interjezioni. Il lastricato della strada schizzava faville al cupo fracasso dei loro scarponi imbullettati, di cuojo grezzo, erti, massicci e scivolosi. E avevan seco le loro donne, madri e mogli e figlie e sorelle, dagli occhi spauriti o lampeggianti d’un’ansietà torbida e schiva, vestite di baracane, avvolte nelle brevi mantelline di panno, bianche o nere, col fazzoletto dai vivaci colori in capo, annodato sotto il mento, alcune coi lobi degli orecchi strappati dal peso degli orecchini a cerchio, a pendagli, a lagrimoni; altre vestite di nero e con gli occhi e le guance bruciati dal pianto, parenti di qualche assassinato. Fra queste, quand’eran sole, s’aggirava occhiuta e obliqua qualche vecchia mezzana a tentar le più giovani e appariscenti che avvampavano per l’onta e che pur non di meno tavolta cedevano ed eran condotte, oppresse di angoscia e tremanti, a fare abbandono del proprio corpo, senz’alcun loro piacere, per non ritornare al paese a mani vuote, per comperare ai figlioli lontani, orfani, un pajo di scarpette, una vesticciuola.»
Forse un tantinello oleografica, ma pur sempre molto pertinente, la raffigarazione che Nino Savarese [9] fa delle zolfare e dei zolfatai che ben si attaglia alla Racalmuto di quella seconda metà dell’Ottocento. «I fazzoletti di seta sgargiantissimi, i pantaloni a campana, gli scarpini di pelle lucida con lo scricchiolìo, il berretto sulle ventitre e il grumoletto giallo dei semprevivi all’occhiello, sono distintivi della classe zolfilfera, non solo ignorati, ma ironizzati, dalla gente di campagna. Dopo di essere stati mezzo nudi come selvaggi, grondanti sudore anche di pieno inverno, nelle gallerie e nei pozzi afosi o sotto il peso delle corbe nei trasporti, per i quali spesso non esistono mezzi animali o meccanici, quelle vistose gale sono come una rivincita, una specie di commemorazione domenicale, di fatto, non tanto naturale e prevedibile, di essere ancora in vita e con le tasche piene di danaro ben guadagnato. E fra i proprietari e dirigenti di zolfare e proprietari di terre, c’è ancora, una netta distinzione di modi, di vita, di gusti e persino una certa differenza nel linguaggio: gli uni sempre intenti a tentare nuove avventure di pozzi e di gallerie, con l’animo sospeso sulle incognite degli abissi e degli improvvisi disastri dei crolli e del grisù, gli altri con gli occhi pacificamente rivolti al cielo a scrutare i cambiamenti del tempo. [...] L’isola è ancora ricchissima di zolfo. Specie nella parte centrale, le miniere, in certe contrade, si seguono a brevissima distanza.
«Dalla profondità delle loro viscere esse hanno mandato ricchezze enormi: intere generazioni di padroni vi si sono arricchite; intere generazioni di operai vi hanno logorato la loro esistenza, ed eccole che fumano ancora, che è il loro modo di dire che esistono, che producono ancora e vogliono nuove braccia e nuovi sacrifici, in cambio di nuove promesse di ricchezza e di felicità! La fumata di una miniera altera le linee del paesaggio di una contrada, come per l’avvertimento che, in quel punto, la terra si sta consumando in una dissoluzione e in uno struggimento innaturali: c’è qualcosa che richiama la vampata di un incendio o di un disastro irreparabile. Non vedi le poche colonnine di fumo delle ciminiere di una fabbrica, le quali hanno sempre qualche cosa di simmetrico e di preordinato, ma centinaia di colonne di fumo che salgono, ora altissime, ora basse, ora a larghe volute come veli di nebbia densa e giallastra. [...]
«I molli pascoli, gli orti grassi, le vigne sembrano girare al largo da questi luoghidove la terra si è resa maledettamente infeconda. [...]
«Qua e là, tra le distese grigie del tufo e i mucchi rossastri dei detriti della fusione, sbocciano improvvisamente come grandi fiori gialli, i mucchi dello zolfo già fuso ed accatastato, pronto per essere spedito. Queste cataste vengono fatte in prossimità dei forni e dei calcheroni, che sono i luoghi della fusione; a sistema moderno, i primi, a modo antico, i secondi. I calcheroni, mucchi di minerale più minuto, a cono, sembrano piccolissimi vulcani a catena; i forni, piatte costruzioni in muratura hanno nell’interno la forma di botti da vino, col mezzule e la spina e l’ampio cocchiume aperto, dal quale, per certi soppalchi praticabili, viene versato il minerale grezzo. Lo zolfo, acceso all’interno, filtra attraverso i residui che non fondono, e viene fuori dalla spina, in un liquido scuro, ancora denso, sfrigolante di fiammelle azzurrognole, tra vapori acri ed irrespirabili. Le operazioni che si vedono in una miniera sembrano allora quelle di una vendemmia diabolica condotta nel centro della terra, e questo il vino di Mefistofele!
«Di notte la miniera è appena segnata da grappoli di lampadine. Ma nel suo grembo infuocato il lavoro non si arresta nemmeno durante la notte. Squadre di minatori non lasciano il piccone. Si suda ancora e si impreca mentre nelle campagne intorno, i lumi delle casette campestri si spensero assai per tempo, e i contadini aspettano il nuovo soleper riprendere la loro fatica. E i campanacci dei bovi e delle pecore levano sui campi silenziosi il loro suono di pace e di tranquillità.»
Quanto al contrasto contadini-zolfatai che affiora dalla pagina di Savarese, per Racalmuto dovremmo fare un qualche distinguo se già nel lontano 1885 il pretore locale così riferiva alla Giunta per l’Inchiesta Agraria sulle condizioni della classe agricola: [10] «Il contadino di questi luoghi non è un servo della gleba, non è scarsamente pagato come in altri luoghi: se non gli è ben pagato il suo lavoro sui campi, trova sicuro lavoro e ben retribuito nelle miniere e perciò non è misero, ha di che vivere e può mantenere la sua famiglia [...], veri contadini, individui che attendono esclusivamente alla cultura dei campi, non ve ne sono: lavorano alternativamente, ora in miniera di zolfo, ora nei campi.»
L. Hamilton Caico, l’irrequita moglie di uno dei membri dell’importante famiglia Caico di Montedoro (paese finitimo con Racalmuto), commentando vicende e costumi di un paese agricolo-minerario attorno al primo decennio del secolo, in pieno riferimento, quindi, al centro che qui interessa, scriveva: «Il lavoro al quale il piconiere è sottoposto corrode e disgrega la sua personalità, fino alla perdita totale di ogni senso morale. Imbroglia e deruba il pur severo sorvegliante, durante il lavoro della miniera; e quando rientra in paese, non fa altro che bere e gioca d’azzardo, sperperando così tutto quello che ha guadagnato durante la settimana [...]. E’ rispettoso e sottomesso ai superiori durante le ore di lavoro, ma appena ritorna in paese diventa prepotente e litigioso, con un atteggiamento sprezzantee provocatorio [...]. E i carusi? Le infelici creature vengono ingaggiate per lavorare all’aperto non appena compiono dieci anni e, quando hanno compiuto i quattordici anni, per lavorare dentro la miniera [...] questo genere di vita li predispone al rachitismo e alla deformità e, moralmente, sopprime in essi ogni istinto di umana bontà, poiché crescono avendo a loro modello i piconieri, anzi con un più completo e generale disfacimento della dignità umana [...], mentre nell’animo nascono e crescono istinti violenti di ribellione e di malvagità, i sensi di un odio inconscio, le tendenze più perverse.» ([11])
Gli zolfatai di Racalmuto furono politicamente e sindacalmente vivaci. Saranno i primi a passare al fascismo, ma con un ribellismo sindacale che fu domato molto tardi dallo stesso nuovo regime. Ancora, nel 1931, osavano scioperare per contestare la riduzione della paga unilateralmente decisa dagli esercenti. [12] Prima di tale - sospetta - conversione al fascismo, erano stati socialisti sotto l’egida di una strana figura d’avvocato locale, Vincenzo Vella, figura che illustreremo dopo. Non crediamo proprio che avessero gradito lo sproloquio moralistico che ebbe a propinargli un noto socialista dell’epoca, il geom. Domenico Saieva. Costui, organizzatore di minatori a Favara fra fine secolo ed i primi del ‘900, in un comizio agli zolfatai di Racalmuto del 12 marzo 1905 redarguiva i locali zolfatai in questi termini: «Io ho sentito il dovere di dirvi ... che se volete andare avanti occorre educarvi, abbandonare il vizio, le bettole e dare una contingente inferiore alla criminalità [...] le statistiche criminali parlano chiaro e fanno spavento [..]. Ignoranti, viziosi e disorganizzati come siete oggi, vivrete sempre nella più orribile abiezione morale ed economica [..].» ([13])
Quanto alla vexata quaestio dei carusi, il moralismo era antico, ma in fondo cinico. Richeggiano le scriteriate parole che un sindaco di Racalmuto, Gaspare Matrona, tanto conclamato da Leonardo Sciascia, ebbe a pronunciare nel 1875 davanti alla Giunta per l’Inchiesta sulla Sicilia: «A domanda: E l’affare fanciulli nelle zofare? Risponde: E’ questione grave, ci è l’umanità da una parte e l’interesse economico dall’altra. A domanda: Produce danni fisici e morali?: Risponde: Non quanto si crede. Per le zolfare credo che ci vorrebbe una specie di consorzio. Qui la proprietà è divisa. Tutti siamo nella commodità generale. Per togliere l’acqua occorrerebbe potersi avvalere per costruzione di acquedotto dei terreni sottostanti; una specie di servitù di acquedotto o meglio consorzio.» [14]
Racalmuto si consegnarà al fascismo dopo una frenetica corsa allo zolfo. Un indice è quello demografico che è bene qui segnare:
Abitanti di Racalmuto
Anno
|
N.ro abit.
|
Indici 1825 =100
|
1825
|
7.170
|
100
|
1831
|
7.806
|
108,87
|
1852
|
9.030
|
125,94
|
1869
|
12.252
|
170,88
|
1894
|
13.384
|
186,67
|
1901
|
16.029
|
223,56
|
1911
|
14.398
|
200,81
|
1921
|
13.045
|
181,94
|
1931
|
14.044
|
195,87
|
1936
|
13.061
|
182,16
|
1951
|
12.623
|
176,05
|
1961
|
11.293
|
157,50
|
1980
|
10.000
|
139,47
|
In quasi un secolo, dal 1861 al 1951, i quozienti medi annui dell’incremento totale, di quello naturale ed il saldo emigratorio sono stati:
Comune di Racalmuto
Periodi
|
Incremento totale
|
incremento naturale
|
saldo migratorio
|
1861 -1 871
|
3,6
|
8,86
|
-5,26
|
1871 - 1881
|
20
|
18,43
|
1,55
|
1881 - 1901
|
09,65
|
13,26
|
-4,64
|
1901 - 1911
|
-10,8
|
11,32
|
-22,12
|
1911 - 1921
|
-14,6
|
4,19
|
-18,79
|
1921 - 1931
|
11,4
|
9,93
|
1,47
|
1931 - 1951
|
-06,72
|
9,97
|
-16,69
|
Nel periodo 1861-1871 l’incremento totale della popolazione è inferiore a quello naturale, il che comporta una emigrazione netta del 5,26 per mille; in quello successivo tra il 1871 ed il 1881 il saldo migratorio s’inverte ed abbiamo una immigrazione netta dell’1,55 per mille; dopo l’emigrazione prende il sopravvento e nel periodo 1881-1901 è del 4,64 per mille, nel decennio successivo di ben il 22,12 per mille e tra il 1911 ed il 1921 è ancora del 18,79 per mille; dopo - nel primo decennio fascista - abbiamo un’inversione di tendenza: il flusso diviene immigratorio per l’1,47 per mille; quindi il flusso emigratorio riprende il sopravvento ( 16,69 per mille nel ventennio 1931-1951). [15]
Rispetto alla provincia di Agrigento, lo sviluppo demografico di Racalmuto ha avuto il seguente andamento:
Anno
|
abit. Racalmuto (A)
|
N.ro ind.
(B).
|
abitanti prov. Ag. (C)
|
N.ro ind.
(D)
|
Rapporto %
A/C
|
Rapporto % B/D
|
1901
|
16.029
|
100
|
371.638
|
100
|
4,313
|
100
|
1911
|
14.398
|
89,825
|
393.804
|
105,96
|
3,656
|
84,77
|
1921
|
13.045
|
90,603
|
369.856
|
93,92
|
3,527
|
96,47
|
1931
|
14.044
|
107,658
|
398.886
|
107,85
|
3,521
|
99,82
|
1936
|
13.061
|
93,001
|
407.759
|
102,22
|
3,203
|
90,98
|
1951
|
12.623
|
96,647
|
461.660
|
113,22
|
2,734
|
85,36
|
1961
|
11.293
|
89,464
|
447.458
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96,92
|
2,524
|
92,30
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1980
|
10.000
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88,550
|
449.699
|
100,50
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2,224
|
88,11
|
Rispetto al territorio dell’intera provincia di Agrigento, la popolazione di Racalmuto scema sempre più d’importanza passando dal 4,313% del 1901 al 2,224% dei tempi d’oggi: un vero dimezzamento d’importanza. Eugenio Napoleone Messana [16], lo storico locale degli anni sessanta, da prendersi molto con le pinze, è alquanto malizioso quando scrive: «Osservando i dati dell’Istituto Centrale di statistica [...] balza evidente una crescente flessione demografica dal 1936 al 1961». Quasi si trattasse di un fenomeno iniziato in pieno fascismo. Era invece, come abbiamo visto, un deflusso che affondava le radici alla fine dell’Ottocento.
* * *
Si è visto come per desiderio di Garibaldi sia salito al parlamento di Torino il deputato La Porta: un personaggio battagliero, talora equivoco, protagonista comunque di non poche battaglie parlamentari. I fatti del 1862 ebbero risonanza e risonanza arroventata in parlamento. Nella torna del 7 aprile del 1962 s’incardina la discussione sull’interpellanza del La Porta. [17] Si tratta dell’ «andamento amministrativo nella Sicilia». Il focoso giovane deputato siciliano è dispersivo, logorroico e non riesce a mordere come vorrebbe. Molti prolissi periodi gli occorrono prima di introdurre l’oggetto della sua interpellanza: «noi deplorammo il favoritismo, la protezione governativa, la preferenza che il Governo accordava all’elemento della scacciata dinastia in tutti gli uffizi» finalmente inizia ad accusare per riprendere le fila del discorso sull’onda del ricordo «noi rimproverammo gli abusi, le violenze che alcuni agenti del potere esecutivo in Sicilia perpetravano a danno dell’elemento liberale, a danno di quell’elemento che godeva e gode la simpatia delle popolazioni.» Il riferimento al prefetto Falconcini è palpabile; l’eco della persecuzione del racalmutese Matrona, evidente. Ma abbiamo visto che il Matrona opportunisticamente ebbe invece ad accordarsi con il prefetto, scagionandolo da ogni accusa: la convenienza fece aggio sulla verità, segno non proprio di grande elevatezza morale dei conclamati Matrona.
Per l’on. La Porta, era stato vessato proprio quell’elemento che «rappresentò in Sicilia la iniziativa della rivoluzione del 1860, la capitanò, guidò il popolo al plebiscito del 21 ottobre e, qualunque volta la causa dell’unità nazionale o dall’opera dei retrivi o dagli errori del Governo sia compromessa nell’isola, malgrado i torti ricevuti, non mancò mai al suo dovere.»
Il Laporta infierisce. «noi abbiamo accusato la lentezza, la trascuratezza governativa in materia di opere pubbliche; le strade, i ponti, i porti, o non iniziati, o lentamente o deplorevolmente avviati; il denaro pubblico con poca utilità speso; le leggi votate dal Parlamento per quelle provincie, sterile e derisoria parola.» Un ritornello, una posta del rosario che spesse volte, fino alla noia, verrà dopo ripetuta, in tutte le epoche, sotto i vari governi, persino fino ai nostri giorni. Dopo un anno e mezzo, francamente era solo retorica esigere chissà quali miracoli governativi. Ma dopo, col tempo, quel rosario amaro verrà recitato con ben più solida fondatezza.
Certo ha ragione La Porta ad ironizzare sui «rapporti dei prefetti che descrivevano l’isola beata e tranquilla e quasi inneggiante un cantico di benedizione ai ministri costituzionali.» In effetti c’era da fare una «requisitoria dello stato d’assedio, per dimostrare alla Camera quale fu specialmente il terreno, ove quel Ministero [il dimissionario Governo Rattazzi, n.d.r.] esercitò le sue violenze, le doportazioni in massa, le fucilazioni senza giudizio, ogni atto, non dirò di Governo assoluto, ma dirò un’altra parola, dirò di despotismo ...» Qualche esagerazione, senza dubbio; ma un quadro nella sostanza terribilmente rispondente al vero. Altro che Falconcini, vittima di chissà quali ingiustizie!
Il La Porta scende a dettagli: «Il tenente dei carabinieri in Naro, provincia di Girgenti, annunziò pubblicamente che aveva bisogno di un esempio durante lo stato d’ssaedio in quella città; manifestò volere la fucilazione di un infelice Puleri Manto, e quella fucilazione fu eseguita. [...] Il maresciallo dei carabinieri in Marsala è quello stesso che arrestava il signor Andrea Danna, il primo cittadino di quel paese. [...] Il maresciallo dei carabinieri in Misilmeri [procedeva a ] 37 arresti che fece per pure ire personali. ... Gli arrestati dopo pochi giorni, riconosciuti innocenti, furono messi in libertà.»
Ma il quadro dell’ordine pubblico era in ogni caso desolante. «La sicurezza pubblica in Sicilia è ridotta ad un’amara delusione. Migliaia di renitenti alla leva, migliaia di evasi dalle prigioni battono la campagna; e già alcune bande si sono organizzate e specialmnete nelle provincie di Palermo, di Siracusa, di Girgenti, alcune bande che spargono il terrore in tutti i proprietari, che rubano, assassinano ad ogni momento.» E quanto ad Agrigento, «i proprietari stanno rinchiusi in casa; nemmeno si attentano di uscire in città. E’ raro che uno dei grossi proprietari di quel circondario non abbia già ricevuto un biglietto di scrocco, e non tema di uscire dalla casa per non incorrere nella vendetta di coloro che hanno richiesto una somma di danaro e che essi non si trovano in grado di pagare. Il barone Genoardi è stato tassato per cento mila lire. Il signor Vincenzo Mendolia è stato tassato per duecento mila lire, e così molti altri. [...] Il numero dei renitenti alla leva in quel circondario ascende a 600 per la leva del 1842, oltre poi quelli del 1840,1841 ed oltre 900 altri. In tutto tra renitenti alla leva ed evasi dalle prigioni sono 1650 nel solo circondario di Girgenti. [...] A pochi passi dalla città di Girgenti vi è un ladroneggio organizzato colla sua burocrazia: coloro che trasportano zolfo appena usciti dalla città trovano cinque o sei ladri che ne notano il nome e impongono loro una taglia; al ritorno la taglia è esatta e il nome cancellato.»
Prende quindi la parola il deputato Ricciardi per ragguagliare su talune amenità: « Ho avvicinato ed interrogato ogni ceto di persone, cominciando dal principe e terminando all’artigiano, non ho udito mai voce che lodasse l’opera del Governo. [..] Quest’isola godeva sotto i Borboni di alcuni privilegi, i quali naturalmente doveva perdere all’apparire della libertà e dell’unità nazionale. Certamente un paese dove non esisteva la leva e che ha dovuto sobbarcarsi alla medesima, deve essere assai malcontento; quindi i cinque o sei mila refrattari di cui è forza deplorar l’esistenza. In Sicilia non v’era carta da bollo, ora non vi è solo questo, sìbene il registro ed il bollo, che han rovinato tutte le classi le quali viveano del foro. [...] Debbo dirvi ora una parola intorno alle carceri di Palermo ... Signori, in quelle carceri ho scorto cose degne del medio evo, cioè 1400 detenuti, di cui pochissimi condannati, i più tenuti a disposizione della questura, e non interrogati da tre, da sei, da diciotto mesi! Alcuni tenuti in celle nelle quali passeggiano come fiere in gabbia, e senza lavoro! Altri, tenuti in vastissimi cameroni in numero di 100 o 150, senza un misero pagliariccio; dormono avvolti in mantelli, e lascio immaginare a loro, signori, che cosa debba avvenire la notte in quei cameroni.»
La risposta del ministro Peruzzi è scontata: burocratica, evasiva, legittimista. Ma quelche spunto è degno di menzione: «... debbo osservare come disgraziatamente siasi verificato che taluni proprietari adoperano pei lavori di campagna preferibilmente dei renitenti alla leva ed altri che trovansi in questo stato extralegale, perché fanno pagar loro questa irregolarità di condizioni col prestar loro una mercede minore di quella che accordano agli altri lavoranti.»
Noi non abbiamo dubbi: a Racalmuto i galantuomini, grandi proprietari di terra, fecero fortuna a sfruttare quei poveri renitenti. Chissà i commenti al circolo di compagnia.
Il Peruzzi è tagliente nello stigmatizzare la manomorta ecclesiastica agrigentina. « La provincia di Girgenti è quella dove la maggior parte dei beni sono nelle mani delle corporazioni religiose e del clero. Io stesso, visitando la provincia di Girgenti, ho dovuto maravigliarmi, come dopo aver veduto una quantità di solfare vicine l’una all’altra, dovessi poi attraversare lungo tratto di paese senza vederne una. Ebbene, quel lungo tratto di paese era proprietà della mensa arcivescovile, o vescovile non so, di Girgenti. Quella mensa non voleva dare ad altri la facoltà di ricercare depositi di zolfo, né coltivarli né tampoco li ricercava e coltivava essa stessa. L’industria stessa degli zolfi, o signori, non contribuisce per avventura alla maggior moralità di quelle popolazioni, e di questo possono convoncersi tutti quelli che hanno esaminato le condizioni nelle quali quell’industria viene esercitata.
«Inoltre la provincia di Girgenti ha avuta la disgrazia d’avere un’evasione di detenuti, dei quali una piccolissima porzione si è potuta riprendere, mentre degli altri che è egli avvenuto? Si sono forse costituite delle bande armate in quella provincia? Niente affatto. Tutte le ricerche fatte dalla forza militare sono riuscite inutili, ed ho quindi motivo di credere che anche questi siano stati, per così dire, riassorbiti dal apese, che si siano sparsi per le barie borgate, per le varie masserie, per le varie solfare, e che di là facilmente si muovano a commettere i delitti. [...] Io ho cambiato il prefetto di quella provincia perché ho creduto che questa misura fosse indispensabile. Ho invitato il prefetto a propormi il cambiamento di delegati e di altri funzionari sotto i suoi ordini, scioglimenti di Consigli comunali e di guardie nazionali, ed egli mi ha risposto che effettivamente conviene adottare siffatte disposizioni. »
* * *
Bisogna dare atto ad Eugenio Napoleone Messa di avere bene inquadrato l’avvicendarsi dei sindaci di Racalmuto dopo l’Unità d’Italia. La successione dei sindaci nel ventennio successivo alla venuta di Garibaldi l’abbiamo vista prima. Oltre ai dati di cronaca del Messana, noi disponiamo di queste risultanze d’archivio.
Maggio del 1860
Al convento dei Minori sotto titolo di S. Francesco di Assisi di Racalmuto (convento di S. Francesco), dimorano questi frati: 1° fra Michele Antonio Garafalo, guardiano; 2° fra Salvatore Mirisola; 3° padre Luigi Scibetta.
1864
Nel convento di S. Francesco ora l’organico dei monaci era composto dal solito fra Scibetta, da fra Pietro Calamera, dal p. Fracesco Mulé, da fra Giuseppe Scimè detto Cicolino, tìlaico terziario e da fra Antonio Chiodo:
1866
Il 24 agosto 1866 abbiamo l’ultima registrazione del convento di S. Francesco. Poi tutto passa in mano laica per le note leggi eversive. Fra Francesco Mulè sottoscrive ricevuta “a buon conto del mio vestiario della somma di onze 16, dico 16). Si chiude la gloriosa storia del convento di S. Francesco di Racalmuto: l’eremo dei Minori di S. Francesco chiude i battenti per volontà degli estranei piemontesi. Le terre - appetibilissime - passano in mano ai furbi e fedifraghi notabili locali.
1869
27 giugno 1869 “Mene mazziniane (lettera da Firenze): «il partito mazziniano a tentato, tenta , ed in ogni modo studia per avere degli affigliati nelle vie ferrate e negli uffici telegrafici». [18]
11 agosto 1869 «Avendo con la massima riservatezza e circospezione indagato sulla condotta di questo Ufficiale telegrafico sig. Tulumello Salvatore di Luigi non ho osservato sinora dal suo contegno alcun indizio da cui desumere che fosse un affigliato o cooperatore del partito Mazziniano», Il delegato Morra (?) al Prefetto [dall’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Racalmuto]. [19]
1870
Racalmuto 14 giugno 1870 «...Venendo agli uffici pubblici, incominciando dalla Pretura diretta da qualche mese dal vice pretore, procede regolarmente, però sarebbe desiderabile che venisse al più presto possibile il nuovo Pretore titolare sig. Ripollina, che si attende, per dare maggiormente spinta ed attività al regolare andamento dell’amministrazione della giustizia. Sui Reali Carabinieri non v’è cosa di proposito da osservare in contrario; sarebbe però utile che il comandante della stazione sig. Bertelli, bravo giovane, spiegasse maggiore energia per disciplina sui propri dipendenti, i quali profittandosi della bontà del loro capo sono un po’ rilassati nel servizio, non prestando con quella attività che si richiede; attività indispensabile per potere alla meglio sorvegliare il territorio, e l’abitato che sono vasti, mentre la forza è ristrettissima, per cui si dovrebbe aumentare la Stazione almeno di altri due Carabinieri non essendocene che quattro, con altrettanti soldati: forza la quale rimane quasi esclusivamente in continuazione per la scorta delle due corriere postali che transitano in questo stradale ogni giorno.
«Il servizio delle due guardie campestri esistenti Deleo e Vinci, è del tutto trascurato da poiché il Municipio invece di farli disimpegnare il proprio incarico li lascia praticamente addetti ai propri particolari e di scorta al sig. Sindaco, sig. Matrona, Giunta, parenti e amici. Si dice pure che i suaccennati agenti spalleggiati dall’Autorità Comunale commettono scrocchi, ma nulla si può accertare di positivo.
«Gli Uffici del registro, telegrafico e poste non danno motivo a lagnanza nel pubblico, però ci vorrebbe un poco più di attività in quest’ultimo servizio, e che il capo dell’Ufficio sig. Borsellino non fosse trascurato nel prescritto orario di tenere aperta la Posta, e non abbandonasse quasi totalmente il servizio al suo commesso sig. Grillo Calogero buon giovane, ma piuttosto inesperto e distratto. L Delegato [firma illeggibile].»
Il sindaco che nel 1870 si serviva di quella guardia campestre, che poi vedremo sinistra protagonista in casa Matrona, era il notaio Michele Angelo Alaimo che precede don Gasparino che sindaco lo diventa nel 1872: frattanto quel Matrona era consigliere provinciale (dal 1868 al 1871): tanto bastava per dirottare la non proprio pacifica guardia Vinci a seguire ed avere in custodia l’intera famiglia dei già arroganti Matrona. Borsellino aveva in mano la Posta ma l’affidava ad un giovane definito «inespero e distratto»: Calogero Grillo. Uno spaccato dellA Racalmuto del 1870 non proprio esaltante.
Ma vi era maretta in Municipio. «...l’assessore sig. Matrona Paolino ha dichiarato alla Presidenza lo stsesso non volere far più parte della Giunta Municipale, manifestando essere stato fin oggi in carica, perché il dovere lo chiamava di sentire prima cerziorata la gestione, onde potere al caso rispondere contro ogni insidia e scandaloso mendacio. Il consigliere Gaspare Matrona presa indi la parola, come nel paese vaghe e insidiose calunnie spinte da spirito di parte siano circolate ad appuntarel’integrità del Sindaco e del Corpo Municipale. Per quanto calunniosi ed insensati siano gli appunti, lo provano al Consiglio i presentati conti; la reputazione delle individualità che hanno fin oggi composto la giunta municipale e quando parlo di individualità, egli dice, io non scendo a determinare quella del sig. Matrona Paolino, mentre lo stesso all’oggi dà sicura del nome, unisce solo a scuola dei maldicenti, l’aversi trovato una sola famiglia componente la giunta municipale, essere stato il solo estranei fra tre fratelli cognati sindaco ed assessore. Signori, egli dice, non è mia arte, né bisogno l’assegnare la nostra famiglia Matrona a promotore di ogni bene del paese. L’invidia, la reazione, il regressismo, sono stati questi spettri dell’avvilito stato di questo Comune, che bene spesso ci han gettato il guanto della sfida; e noi l’abbiamo sempre accettato. Al regresso abbiamo risposto, collo spingere per quanto in noi è stata la forza, il progresso; alla reazione coll’arme alla mano del 6 settembre 1862 abbiamo risposto colle armi; alle invidie e calunnie che circolansi nel paese contro l’onestà, risponderemo nella possibilità di provare, colla traduzione innanzi ai tribunali dei colpevoli. Solo mi è dolorosotanta mia opera essere difficile, perché i vili in questo sono astuti e circospetti per scoprirsi; la loro voce [non attacca]; loro non si mostrano di fronte all’onestà ed il loro rantolo d’infamia come cupo e sepolcrale rombo priva anche i più ... attenti a poterne diffinitivamente discercare il movente e segnarne il calunniatore.
«Il consigliere Cavallaro sig. Felice presa la parola ha significato al sig. Matrona che nella difficile arena municipale non si è mai risparmiato d’insidiosamente attentare l’onestà dei rappresentati: e che chi si ha avuto la rappresentanza municipale in qualunque epoca, è stato sempre segno di calunnia.
«Conto dell’entrata e dell’uscita del comune di Racalmuto - per l’esercizio reso dal suo esattore e tesoriere il signor Leopoldo Muratori - [popolazione abitanti n.° 12.500]: dai licenzi dei dazi appaltati al sig. Agrò Alfano Baldassare L. 1.118; da Pietro Buscemi fu Vincenzo appaltatore dei dazi sopra le tegole, mattoni, gesso, calce, tavole, legname e ferro L. 1.238; da Petrotto Giuseppe fu Nicolò appaltatore del dazio sopra la paglia L. 98.»
Ironia della storia: chi avrebbe mai detto che il più circospetto e sagace figlio di Racalmuto, Leonardo Sciascia, avrebbe fatte sue quelle sgangherate parole apologetiche di don Gasparino Matrona, parole che ma celano uno stato di disagio per accuse infamanti contro il congiunto don Paolino Matrona. Nel circolo dei civili, per chi si parteggiava?
Intanto le asettiche carte degli archivi agrigentini ci sciorinano questi dati:
Prefettura di Girgenti - Racalmuto - Consuntivo del 1870
Conto 1871 = Manutenzione Cimiteri: al sig. Lupi cav. Carlo per piantagione cipressi, per cancello di ferro, tavolo mortuario e croci impiantate L. 600.
Conto 1872: al sig. cav. Lupi Carlo, appaltatore dell’illuminazione notturna; al sig. Picone Salvatore per trasporto prostitute L. 10.
1873
19 marzo: fibrillazione in Sicilia per l’onomastico di Garibaldi e di Mazzini. Il 26 marzo il delegato sig. De Benedectis può assicurare il prefetto: non risulta che qui «il partito avanzato avesse inteso promuovere qualche dimostrazione per il giorno 19 corrente.» Calogero Savatteri sarà stato un mazziniano, ma se ne sta buono a curarsi i suoi cospicui interessi. Ancora non poteva permettersi neppure una qualche strampalata concione al Mutuo Soccorso, per il momento feudo incontrastato dei Matrona, liberali sì ma antimazziniani.
2 giugno 1873: « Ieri celebravasi in questa la Festa dello Statuto Nazionale. Il Municipio con tanto lodevole zelo, impegnavasi che tal festa riuscisse con solennità; infatti appena fatto giorno il suono della musica e taluni colpi di mortaretti annunciavano la fausta ricorrenza. Tutte le botteghe lungo il corso, pavesate del tricolor vessillo. Alle 11 il sottoscritto, insieme a tutte le locali Autorità, Consiglieri, e ceto civile, dietro invito di questo signor Sindaco, sono convenuti nel Palazzo di Città, ove riunitesi al Municipio, e tutta la scolareca, seguiti dalle bandiere, e musica, sono andati al Duomo, ove il Clero ha cantato l’Inno Ambrosiano, assistendovi anche il Parroco, e finita tal sacra Cerimonia, si è nuovamente recato nel Palazzo di Città, ove fatti i soliti evviva, e felicitazioni, si è sciolto il convegno. Nelle ore pomeridiane la musica ha continuato ad allettare i Cittadini, fino alle ore 10 ch’ebbe fine la festa. Intanto il suddetto giorno non deplorossi alcun reato, essendo l’ordine pubblico tranquillo. L’Ufficiale di P.S. in missione Luigi Macaluso.» Che motivo avesse l’arciprete Tirone di cantare il Te Deum in lode degli scomunicati sabaudi, quelli della breccia di Porta Pia del 1870, è di ardua ricognizione ma di pesante sospetto. Il ceto civile - quello del circolo unione - è ovviamente del tutto ossequioso: magari la sera, qualche frecciatina verso i nuovi opportunisti (assenti) non sarà stata risparmiata - allora come ora.
Il Messana (op. cit. pag. 495) pubblica un interessante manifesto politico del Tulumello del 1873. «La consorteria - vi si dice e si parla ovviamente di quella del Matrona - vi chiamerà all’urna colle solite promesse, minacce e mostrandovi alle occorrenze anco la carabina!» La congrega del barone Luigi Tulumello era composta da Ignazio Picone Alfano, da Ignazio Alfano Vinci, da Felice Cavallaro Salvo e dal farmacista Lo Presti, nonché da un maltrattato (dal delegato di S.P.) Giuseppe Romano Alessi che definivasi presidente della società operaia. A parte quest’ultimo, si trattava di galantuomini dissidenti che amavano definirsi “cittadini onesti, intelligenti e liberali a tutta prova”. Cercava di far breccia tra i Messana (per i fatti del 60), tra i Picone (per le minacce e le offese personali patite), tra i Mantia (per gli spudorati attentati alla loro proprietà ed alla loro vita); ai Borsellino (per le infamie subite), ai Grillo (per gli orribili fatti del 60 e del 62), ai Picataggi (per gli arresti arbitrari subiti); ai Lo Presti (per un asserito furto ai loro danni); agli Alfano, ai Farrauto; ai Mantione (per imputazioni, oltraggi .. ed il carcere a San Vito). I Tulumello comunque in quella tornata elettorale non vinsero. Si consolida anzi la saga del mecenate don Gasparino Matrona. Per poco, però. Il crollo del 1875 incombe.
1874
Gioacchino Savatteri viene eletto membro del consiglio provinciale per il mandamento di Racalmuto con voti 143 per l’anno 1874
1875
«Prefettura di Girgenti - Duello fra don Gaspare Matrona e Barone Tulumello. 3 settembre 1875 - Si vuol per certo un duello fra Matrona don Gaspare e B.ne Tulumello da Racalmuto, ove forse avverrà, essendo ieri partito da Girgenti per quella volta il sig. Picone d. Nicolò, per fare forse da Padrino al Matrona. Si dice ancora, che ne avverrà un altro tra Matrona Napoleone e certo Cavallaro. Ma il Matrona trovasi attualmente in Girgenti in unione al fratello Paolino, il quale ieri ricevè un telegramma che alla lettura fu visto turbarsi; dietro di che partì il sig. Picone. »
«Telegramma decifrato del 4/9/1875 - Oggi questo Segretario Comunale ritornato. Dicesi duello sospeso da riprendere in 4 giorni. Qui sinora calma. Se avvenisse duello se ne faranno altri. F.to Macaluso Delegato.»
«Segretario Comunale Lauricella è uno dei secondi. Duello per attacchi personali con opposizione municipale. Dicesi di altri duelli. F.to Macaluso.»
«Finora conoscesi solamente barone Tulumello con due secondi fatti venire da Naro sia partito per costà (Girgenti) alle sei. Ignorasi terreno. F.to Macaluso.»
Il 4/9/1875 il prefetto convoca a Girgenti il segretario comunale Lauricella.
Nella sessione del 1875 il cav. Giuseppe matrona viene eletto membro del consiglio provinciale per il mandamento di Racalmuto per l’anno 1875.
Nel n.° 6 dell’8 maggio 1875 del “Don Bucefalo” vi è una “nostra corrispondenza” da Racalmuto. «2 maggio [...] vogliamo tenere parola dello stato anormale del comune di Racalmuto. Sotto crudele ed improba passione, giace questo deplorevole comune affidato al reggime (sic) di un sindaco ambizioso ... Sin dalla di lui promozione al potere, Racalmuto non ha altro segnalato che una amministrazione elevata al più vero assolutismo, ad una colluvie di irregolarità, meri capricci, ed infrazioni alle leggi rispetto a taluni atti della comune azienda [...]» Si parla di un “favoloso mutuo”; di una strada che appena appaltata “si dirupa”; alle enormi spese per il teatro e per le scuole femminili. «Briga per la costruzione di una strada rotabile tra i comuni Racalmuto-Favara, opera grandemente vessatoria e capricciosa che per fornire a questi magnati caporioni facile accesso alle rispettive casine, si condannano e proprietà ed interessi pubblici e privati.»
Eugenio Napoleone Messana fornisce una versione tutta sua alla vicenda del duello Matrona-Tulumello. [20] Vi innesta una faccenda d’alcova che avrebbe visto coinvolto Luigi Lauricella. Costui, segretario comunale, sarebbe stato gratificato dal Matrona con l’incarico ed un lauto stipendio in cambio dei favori della moglie, secondo quel che avrebbe sussurrato in un articolo di stampa il barone Tulumello. Soggiunge il Messana: «Sta di fatto che la moglie del Segretario si è suicidata e don Gasparino si è eclissato per molto tempo.» «Il segretario Lauricella lasciò Racalmuto meditando nel cuore vendetta. Non passò molto tempo e vide ad Agrigento il Matrona. Lo seguì a distanza pazientemente. Don Gasperino entrò nel negozio Scibetta in Via Atenea. All’uscita fu raggiunto da un colpo di pistola. Il segretario mirò al cuore ma sfiorando il gomito sinistro colpì il femore e si dileguò nella folla. L’assenza da comune indusse la giunta, indignata per le ingiuste accuse contro il suo sindaco, a protestare presso l’autorità tutoria, indi a dimettersi. Nel 1876 fu nominato sindaco l’avv. Gioacchino Savatteri, amico e dello stesso partito del Matrona.» Si sa: Eugenio Napoleone Messana è un immaginifico. Inventata o meno tutta codesta bardatura, a noi non resta che attendere incontri fortunati con carte d’archivio per una ricognizione critica della (salace) vicenda.
28 giugno 1875 [21] «Racalmuto - Miniere Pernici e Frappaolo - Quesiti - Dalle diverse indagini che segretamente e con qualche studio da me operate risulta 1) che circa duemila operai attualmente lavorano nel gruppo di miniere Pernice e Frappaolo di proprietà del Pr.pe di Aragona. 2) La produzione approssimativa dell’anno 1874 di queste miniere potrebbe ascendere a duecentomila quintali, ogni quintale composto di cento rotoli ed in quest’anno sono suscettibili di aumento. 3) Una sorta di minerale grezzo e poi messa in fusione produce in media .. 20 (venti) balate ed ogni due balate, che si chiama carico, portano il peso di quintali uno, e rotoli cinquanta circa. 4) Da poco tempo e nei vari discorsi sulle miniere della Pernice si è usato il titolo di Nuova California per le immense speculazioni di escavamento che ogni giorno si operano per trovare il minerale. Però questa voce non si è ancora generalizzata, per il fatto che la montagna Pernice è gravida di suoi rappresentanti del minerale sulfureo ed un buon agente delle tasse potrebbe arrecare dei vantaggi alla Finanza dello Stato. Tutto questo ho potuto raccogliere con la massima avvedutezza per non destare degli allarmi ai proprietari delle miniere che per lo più sono tutti civili e di alta levatura, amici e conoscenti dell’attuale agente delle tasse; e ciò in esecuzione degli ordini della S.V.I. contenuti nella riservata nota qui riguardata. Il delegato di S.P. - Macaluso.» Macaluso fu dunque sbirro accorto: non amò infastidire i “civili” - uomini di “alta levatura, amici e conoscenti dell’attuale agente delle tasse”. I civili parcheggiavano nei loro due circoli: gli interessi solfiferi venivano tenuti nascosti, non tanto per paura dell’agente delle tasse - diversamente da quel che avverrà nel dopo guerra con i contributi unificati su cui sarcasticamente si sofferma Sciascia - ma per timore di quello sbirro, che pur dovevano ospitare nelle loro sale sociali.
1877
4 giugno: «Duca di Cesarò - Suo passaggio a Racalmuto colla Consorte. L’on. Duca e consorte si intrattennero alquanto nel Palazzo municipale ... visitarono il teatro, la famiglia dei signori Matrona e quella del dr. Scibetta Troisi Giovanni.»
Conto del 1877 presentato dal Tesoriere Matrona Carlo.
1878
Conto del 1878 presentato dal tesoriere Nalbone Luigi.
* * *
Il sindaco “garibaldino” don Gaetano Savatteri viene in malo modo invitato a dimettersi: l’ondata epurativa del ’62 lo coglie e lo travolge in pieno. Ma più che altro, il Savatteri resta annientato dalla morte della moglie. Una lapide a Santa Maria recitava:
Qui Dorme
nella pace del Signore
Donna Maria Grillo in Savatteri fù Francesco Paolo nata a Racalmuto e quivi morì di anni 52 l’alba del 20 Marzo 1862, col maledetto aneurisma.
Pietosa, caritatevole, devota assai prudente.
Obbediente figlia, consorte fedele, amorosa madre.
Della famiglia l’angelo, la pace l’allegria
Chè sua scomparsa eternamente cancellò:
allo sposo ai figli.
Deh! Adorabile madre accogliete questo duraturo monumento che vostro figlio Calogero vi eregge di lagrime bagnato.
In segno di sentita devozione
Beneditelo.
Si dice che il Savatteri, preso da sconforto esistenziale, finì in uno stato di misticismo misantropo: si ritirò nel convento di Santa Maria per stare vico alla consorte ivi sepolta, e lì visse come fratello laico, alla stregua di un monaco.
Tra i diversi figli andavano emergendo don Calogero Savatteri, il notaio, e don Gioacchino il futuro sindaco.
Don Calogero Savatteri ebbe sempre manie mazziniane: quando, nel 1873 - verso maggio - il neo Mutuo Soccorso si rivoltava contro i fondatori, i Matrona, per subire l’ascendenza dei Tulumello, il Savatteri - ormai in rotta con il fratello e con la consorteria del fratello che faceva capo agli stessi Matrona - si butta a capofitto nella vita di quel circolo e periodicamente vi legge sue dissertazioni che oggi destano semplicemente un moto d’ironico compatimento. Ai malcapitati zolfatai toccava sorbirsi tutto quell’eloquio pretenzioso ed incomprensibile. Quando il discorso scendeva a terra, era davvero un’orgia d’ovvietà: «Non siate timidi e pigri - dovevano sentirsi dire gli “egregi operai” [22] - a lavarvi spesso tutto il coprpo. L’acqua è gran preservativo e tante volte impedisce che malattie di pelle o diversamente invadino il corpo, specialmente il corpo dell’operaio che deve sostenere il lavoro, bisogna tenerlo netto e pulito più di ogni altro.» Già, perché «oggi è invece bello il vedere camminare l’Uomo e la donna ritti, colla testa alta e con sobrietà.» «A tenere il corpo robusto, sano ed anche agili e gagliarde le membra, influisce molto la nettezza e pulitezza del corpo, lavandolo di tanto in tanto.» Ma a pag. 57 aveva raggiunte vette speculative affermando: «l’istinto della propria conservazione fa sentire all’uomo il bisogno, l’obbligo ed il dovere di cambiare spesso le mutande.» Ed il Savatteri era davvero originale ribadendo l’opinione di Melchiorre Gioia sull’igiene, giacché «tenendo nette e pulite le mutande, oltre ad arrecare sollevamento all’anima dell’uomo, si concorre a dare vigore, forza e salute al corpo e s’impedisce la spontanea generazione d’insetti nocivi alla salute, togliendo il puzzo ed il fetore spiacevoli che tramandano gli abiti e le mutande quando sono sporchi.»
C’è un punto del suo che ci aveva fatto pensare ad una fede socialista del giovane virgulto della grande famiglia dei Savatteri: ed è quando si sofferma sull’eguaglianza. Ma a pag. 66, alla fine, fuga ogni malinteso: «L’eguaglianza politica e civile non dovete credere, egregi Operai, che consista nella ripartizione eguale dei terreni, delle case e del denaro, per come predicano certi utopisti dottrinarii sovvertitori dell’ordine sociale, e nemici del progresso, che si vogliono dare il tuono d’innovatori; no affatto: sono sicuro che simili fandonie e falsità non allignano nelle vostre menti.» Gratta gratta, l’uguaglianza era un problema di ... vestiario. «Oggi nessuna legge vi obbliga - si legge a pag. 58 - a conservare ancora che il civile deve vestire diverso dalmastro, il mastro differente dallo zolfataio, e questo diverso dal contadino. Continuando in tal guisa, malgrado i nostri sforzi ed i vostri lavori di emancipazione, e di rialzamento, mantenete sempre vivo il germe della divisione delle classe e la disuguaglianza tra gli uomini. ... Persuadetevi, egregi operai, che la foggia del vestire influisce assai ad essere l’uomo avvicinato e rispettato. ... vi esorto di abbandonare il taglio degli abiti a costume che l’odierna civiltà a [sic] sfatato e che ancora si conserva nei nostri comuni... Incominciate per Dio! Forse v’incresce o avete paura al pensare che i signoroni rideranno alle vostre spalle? Lasciateli ridere e verrà tempo che vi seguiranno. » Mutande e scazzetta erano questi i corni del dilemma savatteriano nelle affabulazioni al Mutuo Soccorso.
Quest’anno (1998) i padroni di quel sodalizio hanno ritenuto di affiggere una lapide funerea nella sala d’aspetto. Disponiamo di questi riferimenti giornalistici:
Trafiletto del Giornale di Sicilia del gennaio 1998. Firmato Sapi cioè Salvatore Petrotto - l’attuale sindaco di Racalmuto.
Racalmuto, “Mutuo Soccorso” festeggia i suoi primi 25 (sic) anni.
RACALMUTO. (sapi) Il sei gennaio nei locali del circolo “Mutuo soccorso” di Racalmuto è stata inaugurata una lapide in ricordo dei 125 anni dalla nascita della società. Dopo il saluto del vice sindaco Pippo Di Falco e del presidente Stefano Matteliano, è intervenuto Gigi Restivo, che ha letto alcuni passi dello statuto ed ha illustrato la storia del circolo fondato da Giuseppe Romano, Vincenzo Tinebra, Natale Viola, Federico Campanella, Calogero Savatteri e Lorenzo Viviani nel 1873.
Niente di più falso. Avevamo cercato di mettere sull’avviso con questo fax:
Racalmuto 5 gennaio 1998
Alla Presidenza del Mutuo soccorso di Racalmuto
Nella nostra qualità, rispettivamente, di ex presidente del sodalizio e socio esperto in microstoria del circolo, diffidiamo codesta Presidenza dall’affiggere la fantasiosa lapide commemorativa nelle sale del Mutuo Soccorso di Racalmuto, in quanto lesiva della verità storica già sunteggiata nella conferenza del dott. Calogero Taverna del 5 luglio 1993 (pag. 1 e segg.) agli atti della società, nonché dispregiativa dei nomi, fatti ed eventi di cui alla copiosa documentazione dell’Archivio di Stato di Agrigento che l’allora presidente sig. Carmelo Gueli ebbe cura di acquisire e debitamente conservare.
Ci si riferisce in particolare all’inventario n.° 18, fascicolo n.° 42 della prefettura di Girgenti del 16 giugno 1873 ed alla nota n.° 419 Gabinetto del 13 giugno 1876, ove emergono tra l’altro le figure di
1°) Scibetta Salvatore;
2°) Rossello Giovanni;
3°) Marchese Giuseppe Primo;
4°) Lumia Gaetano;
5°) Grillo Giuseppe;
6°) Farrauto Angelo;
7°) Giardina Pietro;
8°) Bellavia Elia;
9°) Licata Nicolò;
10°) Scimé Salvatore;
11°) Ferrauto Vincenzo;
12°) Giancani Luigi;
13°) Palumbo Angelo;
14°) Palumbo Antonino.
Con invito alla debita informazione ai soci.
..................................
( Carmelo Gueli, ex presidente)
...................................
(Calogero Taverna, socio del Mutuo Soccorso)
Ovviamente abbiamo ricevuto una beffarda disattenzione. In cambio, anche di un sussidio straordinario, la presidenza del Mutuo Soccorso poteva vantare un’encomiastica celebrazione su Malgrado Tutto. Ma la storia vera della fondazione del Mutuo Soccorso resta incagliata nell’astioso rapporto di S.P. (Pubblica Sicurezza), che abbiamo prima riportato e così rubricato: [23]
DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N. 157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 13 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al reclamo della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto. - Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti. Racalmuto addì 14 giugno 1876.
La faccenda partiva da lontano, da un esposto del Mutuo Soccorso che metteva in ambasce la prefettura:
R. PREFETTURA DI GIRGENTI
n. 419 sub 1\6\75
Esposto dei soci del Mutuo Soccorso di Racalmuto, del 31 maggio 1875
Al Signor Prefetto della Provincia di
Girgenti
Signore
I sottoscritti componenti il Consiglio direttivo della Società del Mutuo Soccorso degli Operai di Racalmuto, rassegnano alla S.V. Ill.ma quanto siegue.
La detta Società tende ad affratellare la classe lavoratrice pel miglioramento morale e materiale della classe stessa; fondata sin dal Gennaro 1873 con l'ausilio dei Signori fratelli Gaspare e Napoleone Matrona, il primo attualmente Sindaco di questa Comune, ed il secondo fu quegli che il giorno dell'impianto della società pubblicò gli articolati dello statuto per approvarsi, e diresse il tutto.
La Società, dopo un poco elasso di tempo, eleggeva a socii onorari i predetti Signori Matrona, i quali ne significarono con lettera la loro accettazione. Le relazioni tra il Signor Sindaco e la Società divennero or mai più strette, tanto vero, che in tutte le feste Nazionali e religiose, ove assisteva il Municipio, la Società era sempre invitata per assistere parimenti a quelle solennità.
Lo mentre la Società era ligia ai voleri del Sindaco e volentieri obbediva a tutti gli inviti dello stesso; la Società era progressista e tendente all'ordine; onesti e liberali erano tutti coloro che la componevano; se ne encomiava la condotta; si plaudivano tutte le sue operazioni, tutto era armonia e serenità.. Quando, giorni sono, l'inaspettato scoppio di un fulmine in ciel sereno, venne a spezzare le relazioni tra il Sindaco e la Società, a disturbare l'armonia che li univa e ad abbuiare lo splendore che rischiarava il tanto bene che si operava dalla stessa. La si fu l'arrivo di un numero del Giornale intitolato Don Bucefalo, che conteneva un articolo a carico del ridetto Sindaco, che la Società dietro di aver udito la lettura in pubblica assemblea ( per come suole usarsi di tutti i giornali diretti alla Società) l'assemblea medesima non sen incaricò e passò a trattare delle faccende proprie.
Il Sindaco non si acquetò a codesto diportamento indifferente della Società, volea tirare bracia alla sua pasta con le mani attrici, e fece sentire a certi socii a lui dipendenti, che proponessero ed invogliassero la Società a rispondere in contrario a quanto diceva il giornale. I Socii che si ebbero questo incarico fecero noto all'assemblea, che era piacere del Sindaco, che la Società si incaricasse dell'articolo in di lui carico e che si accingesse a smentirlo; al che la Società peritosa sul da fare, adottò la norma che la stessa siegue tutte le volte che un socio viene accusato nella condotta; e cioè d'invitare il Socio accusato per legitimarsi in faccia della Società infra un termine, sotto pena di venire cancellato, e così fece. Deliberò che il Sig.r Gaspare Matrona come socio venisse a legitimarsi infra sessanta giorni del carico che l'articolo gli addebita.= Cotesto deliberato fece montare nelle furie il detto Signor Matrona, e concepì in cuor suo il disegno di vendicarsi a qualunque costo e di fare sciogliere la Società. Ed in effetti non indugiò tanto a far vedere i preludii; la sera del 28 spirante Maggio, quando il consiglio era riunito, il Signor Napoleone Matrona si portò nell'ufficio della Società, ed appena giunto si fece lecito bistrattare con ingiuriose parole pronunziate con indicibile acrimonia contra gli assembrati, tanto che quei buoni operai riuniti rimasero di sasso; chiese conto dell'operato alla Società in riguardo all'articolo di cui è parola, e letto una proposta fatta da un socio in proposito, che invitava l'assemblea a prendere in considerazione quell'articolo a carico del Socio Gaspare Matrona, disse altre obbrobriose parole per la società, ed invitando il consiglio a cancellarlo di socio unitamente al di lui fratello Sig.r Gaspare, si appartò.= Poco dopo di questa scena, si videro presentare il Delegato di sicurezza pubblica accompagnato da due reali carabinieri, chiedendo la consegna del pezzo di carta ove era scritta la predetta proposta. Gli assembrati gliela esibirono immantinenti, ed il delegato se la portò con se.
Le diatribe e garralità che si sparsero, l'indomani, contro la Società, sono indicibili Onorevole Sig.r Prefetto. Essa viene dipinta come una associazione d'internazionalisti, come una banda di briganti; composta da gente di galera e simili, tanto che han messo in allarme le famiglie dei socii; ognuno crede arrivata l'ora di venire arrestato; di essere mandato in esilio o a domicilio coatto; insomma si crede essere in quei tempi del medio evo, che fece esclamare dal divino Alighieri.
O fortunati! E ciascuna era certa
della sua sepoltura.
Ecco Signor Prefetto, perché i supplicanti si rivolgono alla di Lei giustizia, onde non dare credito a tutto quanto Le potranno esporre avverso detta Società; mentre il fatto genuino è quanto si espone, e potrà informarsi da onesti cittadini del Paese.
Racalmuto lì 31 maggio 1875.
Falletta Calogero - Romano Calogero
Salvatore Scimè - Lumia Gaetano
Agrò Rosario - Rossello Giovanni
Giuseppe Romano.
E’ facile vedervi la prosa tra l’aulico e l’incespicare del giovane barone Tulumello. Il prefetto aveva il suo bel da fare (o da dire) per riportare entro limiti di normalità il contesto accusatorio. Da Roma si esigevano spiegazioni ed era il ministro dell’interno a reclamare informazioni e chiarimenti. C’era di mezzo nientemeno Garibaldi.
PREFETTURA DI GIRGENTI
REGNO D'ITALIA
MINISTERO dell'INTERNO
SEGRETARIATO GENERALE
DIV. 2^ SEZ. Gabinetto
N. 3296
oggetto: Circolare della Società di mutuo soccorso di Racalmuto.
Signor Prefetto di Girgenti
/ n. 418 gab. 10/7/75 al Sig. Delegato S.P. di Racalmuto/
Roma, addi 7 Luglio 1875
Dalla Società di mutuo soccorso di Racalmuto è stata diramata la circolare di cui trasmetto copia alla S.a V.a per le necessarie disposizioni di vigilanza, e per quei provvedimenti che riterrete opportuno di adottare.
p IL MINISTRO.
(firma illeggibile)
/nella stessa lettera del Ministro, viene aggiunto di pugno del prefetto per il delegato di S.P. di Racalmuto questo codicillo:
"Vorrà poi manifestarmi il motivo per cui ha omesso di informarmi della diramazione di tale circolare, e della trasmissione di una copia della medesima"./
In allegato la copia che così recita:
Società Mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto - provincia di Girgenti.
CIRCOLARE
Soci Onorari
Maurizio Quadrio
SAFFI Aurelio
Campanella Federico
Presidente Onorario
GARIBALDI
----------------
RECALMUTO
PREFETTURA DI GIRGENTI - N. 419 LUGLIO - Girgenti 13\5\76 - riservataminuta Oggetto: Reclamo della Società degli Operai di Racalmuto.
Girgenti 13 maggio 1876
Signor Delegato di P.S.
Racalmuto.
La Presidenza della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto ha diretto a S.E. il Ministro dello Interno l'unito memoriale contenente addebiti contro codesto Municipio e specialmente contro il Sindaco il quale, si dice, osteggi ed attraversi in tutti i modi quella Società.
Io trasmetto il reclamo a V. S. affinché assuma le più accurate informazioni sulla verità dei fatti esposti e me ne riferisca categoricamente e imparzialmente il risultato insieme alla restituzione del comunicato dovendo farlo obietto di un rapporto al Ministro.
IL PREFETTO
(firma illeggibile)
R. PREFETTURA DI GIRGENTI - Div. Gabinetto - n. 419 - Urgente - Oggetto: Sollecitazioni per affari in ritardo - Al Signor Delegato P.S. di RACALMUTO
Girgenti 9 giugno 1876
Prego la S.V. trasmettere con tutta sollecitudine al mio foglio del 13 n. ° 1° maggio numero pari alla presente insieme al quale trasmettere un ricorso del Presidente di codesta Società di mutuo soccorso rivolto al Ministero Interni. IL PREFETTO.
DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N. 157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 9 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al ricorso della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.
Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti.
Racalmuto addì 11 giugno 1876.
In riscontro alla riverita nota a margine citata, colla quale mi si sollecitano le informazioni sul ricorso in oggetto indicato, mi faccio un dovere significare alla S.V. Ill.ma, che non più tardi di giovedì prossimo, 15 corrente mese, Le farò pervenire le suddette informazioni col ritorno del ricorso di cui si tratta, non potendolo far prima mancandomi ancora qualche notizia. - IL DELEGATO (A. COPPETELLI).
A S. E. il Ministro dell'interno Roma
OGGETTO: Ricorso della Societa' Operaja di Racalmuto contro quel Municipio.
Anche a questa Prefettura la Società Operaja di Racalmuto fece pervenire in addietro vari ricorsi contro quel Municipio lagnandosi di essere da esso osteggiata.
Però non si è potuto prendere dei provvedimenti perché le querimonie furono sempre generiche non imputando ai reggitori di quel comune fatti pei quali potesse l'Autorità legittimamente intervenire.
E' una verità che il Sindaco Cav. Gaspare Matrona, la sua famiglia influentissima e i suoi amici e partitanti vedano di cattivo occhio quella Società, mentre nel 1873 contribuirono invece a darle vita e sostegno; ma la ragione non istà minimamente nel proposito di osteggiare le idee liberali né precludere la via alle libere associazioni, ma sibbene trova la sua spiegazione naturale nel fatto che la Società stessa ha disertato dal partito dei Matrona per militare sotto le bandiere del loro antagonista Barone Luigi Tulumello il quale se ne vale come di strumento per creare imbarazzo all'attuale Amministrazione alla quale vorrebbe subentrare.
Messi così in chiaro i rapporti esistenti fra la Società ed il Comune si ha la spiegazione del movente del generico ricorso che si restituisce.
IL PREFETTO.
* * *
Se si è prestato anche un minimo di attenzione alle carte che abbiamo riportato, non si può restare colpiti dalla figura di questo gesuita racalmutese - zio del celebra papa nero - dal prestigioso nome (è un Nalbone), che viene a trescare politicamente contro i Matrona.
Sulla figura di codesto gesuita si è soffermato il compaesano padre Angelo Sferrazza Papa, S.J. trattandolo - ovviamente - con i guanti gialli. [24] Per converso, il Messana - che con i Nalbone ha anche motivi di astio familiare - infieririsce, impietosamente, con sarcasmo. Noi abbiamo legami di stima e di deferenza verso il padre Angelo Sferrazza Papa da un lato, e consuetudini di amicizia e di passioni storiche per la nostra Racalmuto con il discendente prof. Giuseppe Nalbone, dall’altro per poterci avventurare in una rigorosa ricostruzione di un siffatto personaggio che ad dir poco la tempra del martire non ce l’ha: notare quel sussiegoso rimettersi alla volontà del prefetto per poi sobillare i clericali locali in una improba compezione elettorale contro i Matrona.
Vi è poi un fatto ancora più clamoroso. I clericali locali, sobillati dal gesuita Nalbone e dai non meno nostalgici preti racalmutesi alla Giudice, furro molto agguerriti contro il clan Matrona. Nel pieno della lotta ricorsero a tutti i mezzi anche a quelle laide delle lettere anonime. Una di queste fu certamente concepita e redatta dal gesuita Nalbone. Riportiamola; è uno spaccato della Racalmuto di allora: [25]
«Signori Presidenti e componenti la Commissione d'inchiesta - Canicattì.
«Uno solo è il tema del giorno, il sindaco di Racalmuto. E' una anomalia quello, un anacronismo , un controsenso che per adempiere ad un'opera eminentemente patriottica, bisogna ad ogni costo scalzare. Avanti adunque, dietro vi sta l'abisso.
«Avvezzo l'integerrimo ad un arbitrio il più sconfinato ed a vederci tacere e soffrire non comprendeva che quando si è all'orlo del precipizio ed una calamità ci minaccia; quando le prepotenze, gli arbitrii, le vendette ed i balzelli han raggiunto il favoloso e l'ingiusto; quando il denaro del popolo trovasi impudicamente scialacquato e le centinaia di migliaia spariscono come lampi; quando un comune floridissimo batte alle porte della bancarotta; quando la libertà è un mito e le votazioni avvengono nel modo, simile alla fiera proposta dell'assassino, il quale appuntando il coltello alla gola ti dice o la borsa o la vita, l'uomo libero, indipendente ed onesto non deve restarsene indifferente, né temere le basse calunnie. I nemici dell'ordine gridano e s'impongono, quando gli onesti tacciono e tremano; quindi è che generosi cittadini sorsero per protestare ed opporsi a che le iniquità finiscano, ed il denaro del pubblico cessi una volta di essere il patrimonio di una .. casta.
«Alcuni lodarono l'attuale stendardo tenutosi da undici anni dall'integerrimo Sindaco Matrona triste avanzo della più efferata tirannide, ma quello è lo stendardo che si è imposto con la minaccia, colle violenze e colle vendette. E' lo stendardo che ha partorito il medio Evo in permanenza, prepotenze, vessazioni ed angherie di ogni sorta con una franchezza tale da mostrare che giustizia non esiste, e si vive senza governo. E' lo stendardo che pospone la pubblica istruzione allo spirito di parte, si rimossero abilissimi professori Farrauto, Capitano, Chiodo, Zambuto, perchè ebbero il coraggio di seguire l'impulso della propria coscienza, e negare il voto ai suoi affiliati; fu l'ill.mo che al professore provetto e direttore di quelle scuole Sig. Cappadoro in un giorno di Venerdì Santo ed innanzi ad un pubblico ebbe l'ardire d'insultarlo ed opprimerlo dicendo che non lo schiaffeggiava per non lordarsi le mani. Imbecille di professore! dovevi conoscere che il funzionario, il quale si fa superiore alla legge e la calpesta è un ingiusto aggressore. E' lo stendardo sotto il quale i delitti si sono aumentati e di giorno in giorno aumentano; pascoli abusivi, furti campestri, grassazioni dentro e fuori dell'abitato, omicidi anche nella pubblica piazza. Signori dello stendardo siate sinceri e veridici, per come ogni cittadino deve esserlo, e diteci: a chi il popolo ne addebita la colpa? quali cause ne adduce? quali rimedii propone? E' lo stendardo che di precipizio in precipizio ha rovinato la ricchezza pubblica e la privata ancora. E' lo stendardo che ha oberato di pesi civici un comune di speciale floridezza, sino a condurlo alla disperazione, dando tasse esorbitantemente aumentate che di anno in anno si aumentano e sempre insufficienti. E' lo stendardo che ha imposto un'imposizione grave, insostenibile, estrema.
«Ma vorrà porsi un argine a tanto torrente? Non lo sperammo quando 22 civili notabili tutti presentatisi in massa a reclamare, nulla ottennero sin'ora. Quando una dimostrazione seria, preconcetta, imponente, feroce di diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitore del Sindaco ed ai quali si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una guerra civile, si vela sotto l'aspetto d'ubriachezza.
«Quando, mentre i Racalmutesi lavorano pesantemente, come una mandria d'Iloti, o pagano una enorme tassa di sangue per la strada da giorni aperta Racalmuto-Montedoro, un'altra se ne intende aprire, Racalmuto-Favara, capricciosa, vessatoria ed ingiusta, e tuttoché legalmente dichiarata non necessaria, né di pubblica utilità, come dall'Ufficio prefettizio 30 aprile 1870, si ritorna su di essa e si approva, favorendo l'interesse dell'Ill.mo alla di cui casa di campagna trovasi esclusivamente destinata. Quando, tuttoché si è giustificato che il Consiglio Comunale in Racalmuto non si radunava che sempre in seconda convocazione, ed i tre fratelli Matrona dispongono di vistoso patrimonio di quel Comune, pure non si è riparato. Quando nella relazione del valente professor Ragusa, il quale palesa che in Racalmuto non osservò che scuro , non si vuol vedere una dimostrazione di popolo tutto ufficialmente invitato che non prese parte in odio al Sindaco. Quando .... basta, l'animo si commuove, e minaccia di trasmodare la lingua: infreniamola per ora a prudenza.
«Or allora che questi, quando ci parlano tutti nell'anima, si ha mille ragioni di credere che quel Sindaco sarà confermato. Ebbene Sigg.ri della Commissione in questo caso altro non resterà all' Ill.mo che sulle orme dell'amabil suo fratel cugino Giuseppe Geraci Matrona Sindaco di Castrofilippo, il quale si suicidò in prigione, chiamarci uno per uno in segreteria e trucidarci.
«Persuadetevi, Signori, finché l'ammonizione ed il domicilio coatto non saranno a lui applicati, Racalmuto avvilito e depauperato non avrà pace giammai.»
Chi fosse quel Francesco Nalbone non è dato sapere. Non si può escludere un errore di trascrizione. Di certo non era un parente stretto de gesuita, stando almeno alle accurate ricerche genealogiche del prof. Giuseppe Nalbone. Il gesuita era nato a Racalmuto nel 1818 da Angelo Benedetto Giovanni Nalbone e da Stefania Salvo: aveva quattro sorelle ed un fratello, Luigi (1812-1883), sposato con Raffaella Mattina, da cui il filone dei notabili in atto rappresentati in modo egregio dal medico Giuseppe.
Noi restiamo convinti che quella tremenda missiva sia stata concepita dal gesuita ed il fatto che si sia nascosto dietro le brume della firma ambigua non depone a favore del primo dei due gesuiti di casa Nalbone. Quella lettera ci torna comunque a fagiolo perché ci dà una testimonianza preziosissima sugli sviluppi del circolo unione. Siamo nel 1875; infuria lo scontro tra il clan del giovane barone Luigi Tulumello e quello, saldissimo, dei Matrona. I Matrona sono davvero arroganti, sperperatori del pubblico denaro delle casse comunali per faraoniche opere pubbliche, vessatori e tassaioli, mafiosi e massonicamente corazzati. Si beffano di tutti gli avversari: professori e preti, gesuiti e notabili avversari. Sia chiaro: il Nalbone anche allora era espressione di un casato racalmutese potente. Quello che certi denigratori dell’attuali circolo unione vanno dicendo è falso. Con il sacerdote Benedetto Nalbone (1709-1793) un ramo di quella famiglia risalente agli albori anagrafici della nostra Racalmuto del 1554 aveva fatto un salto sociale cospicuo, inarrestabile. Il prete (figlio di Giuseppe - 1671-1736 - e di Anna Maria Vassallo e nipote di tal Benedetto) aveva raggiunto una cospicua posizione economica, consentendo al fratello Giovanni Vito (11710-1755) di sposare una Baeri, Vincenza. Il nipote Francesco Paolo (1758-1833) diviene notaio e sposa la potentissima Gesuela Busuito. Alle fortune di famiglia si associano ora quelle del ricco prete don Francesco Busuito [26], ultimo officiale del Santo Officio di Racalmuto. Siamo al pronipote, anche lui notaio, don Angelo Benedetto Giovanni che muore giovane ed è solo per questo che il ramo dei Nalbone flette un po’ nella gerarchia dei valori nobiliari racalmutesi. Ma il figlio Luigi è già in ripresa; nient’affatto codino, se ne impipa delle scomuniche e vince l’asta per l’acquisto di “2 seminativi” in contrada Sacramento espoliati alla chiesa e cioè alla compagnia Renda di Grotte. [27] t. Vanta il fratello gesuita che abbiamo detto. Sarà comunque il figlio Giuseppe - fratello del papa nero il gesuita Francesco di Paola Nalbone - ad entrare prepotentemente nell’alta burocrazia del comune e conseguire cospicue possidenze immobiliari. Il figlio Luigi (1890-1950) può già considerarsi un facoltosissimo erede che si afferma a Palermo.
La famiglia Nalbone contrasta, dunque, i Matrona ed è affiancata con il barone Luigi Tulumello. Questi ha una partita aperta con i Matrona che s’accende di acrimonia ogni giorno di più. Un contorno di “civili” il Tulumello ce l’ha: il barone stringe attorno a sé i fedelissimi di rango; devono lasciare il circolo di conversazione che pur frequentavano dalla giovane età e tutti insieme devono fondare e frequentare un nuovo circolo, un “nuovo casino” come dice il gesuita.
I Matrona evidentemente dominavano il tradizionale circolo dei galantuomini: considerarono la secessione un grave sgarbo personale e se lo legarono a dito. Sappiamo dal gesuita Nalbone che i padroni di Racalmuto - che se mafiosi se furono, contigui alla mafia lo furono di certo - mandano «diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitori del Sindaco» e costoro «si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una guerra civile». I galantuomini dissidenti restano sgomenti, in 22 vanno dal sindaco Matrona, invocano giustizia. Raccomandano l’anima al diavolo, si direbbe. Il sindaco don Gasparino finge indignazione, fa fare accertamenti, ma alla fine conclude che si trattava di volgari ma innocui ubriaconi: una bazzecola senza importanza, tutti innocenti, una chiassata di ubriachi da non prendere neppure in considerazione. L’arroganza del potere nei Matrona in generale e in don Gasparino in particolar modo. Avranno gioito i soci del vecchio circolo unione, rimasti fedeli a don Gasparino.
* * *
Ma in fin dei conti la strusciata dei piedi dinanzi a nuovo casino dei galantuomini dissidenti è stata poca cosa: ben più gravi furono le conseguenze di quella missiva del gesuita. Proprio nel 1875 vi fu una inchiesta parlamentare sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia che è rimasta celebre negli annali del nuovo Stato italiano. Da Racalmuto giungono echi allarmanti: l’ordine pubblico è dubbio; le elezioni sono sospette; il sindaco è circondato da bagarioti in odore di mafia, etc. Il gesuita Nalbone infiamma gli animino dei codini e questi sono diventati tanti; si annidano persino in casa Matrona con un prete don Calogero - un favorito del vescovo, un beneficiario delle terre del Crocifisso ... per una simoniaca concessione - che se ne infischia del liberalismo dei fratelli minori e milita tra i borbonici. Un guazzabuglio che appare a Roma inestricabile. Una sezione della Giunta viene allora inviata sul luogo, ad indagare. Abbiamo il resoconto che dovrebbe essere stenografico, ma che sa di postuma e compiacente rielaborazione. Don Gasparino ed i suoi hanno modo di fare una gran bella figura: gli avversari ridotti a voce meschinella e patetica, in pratica floscia ed insignificante.
Di quella prolissa inchiesta sono stati pubblicati gli atti; a dire il vero una sintesi poca esauriente. Sciascia la lesse: lì c’erano elogi sperticati di don Gasparino Matrona e dei suoi fratelli; traspare una sospetta intesa massonica; restano oscurati gli intrecci negativi che coinvolgono la potente satrapia racalmutese. Sciascia non lesse la lettera che abbiamo riportato e finisce con l’essere fazioso quando, nel 1982, si prese la briga di prefazionare il libro del Tinebra. Lì [cfr. pag. 11] ebbe a dire: «A loro, ai Matrona, si devono scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro. [...] E non solo i Matrona si occuparono di sanare e abbellire urbanisticamente il paese, di dargli splendido teatro e di farlo attivamente funzionare, ma anche della sicurezza sociale. Dall’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, del 1875-76, citiamo i passi che, nella deposizione del prefetto di Girgenti Rossi, riguardano Racalmuto ... e della deposizione del colonnello comandante la zona militare di Girgenti ..» Il prefetto, invero, si guarda bene dall’esaltare i Matrona; questi invece vengono osannati da quel colonnello, che non ha davvero il senso della misura. «Ci sono esempi - dichiara - che dove hanno voluto estirpare il malandrinaggio ci sono riusciti, e ne abbiamo uno bello, lodevole, nel circondario di Girgenti. A Racalmuto ci sono cinque fratelli di cognome Matrona, possidenti di una certa istruzione. Racalmuto era un paese tristissimo dove tutti i giorni succedevano reati di sangue, furti e grassazioni. Questi cinque fratelli si sono messi d'ac’ordo e hanno detto - non vogliamo più questi delitti -; montavano a cavallo armati sino ai denti ed in pochissimo tempo hanno reso quel paese il modello non solo della Sicilia ma del continente. Sulla strada per andare a Canicattì o a Caltanissetta troveranno un bel palazzo dove ci sono scuole, locale per i carabinieri, telegrafo, teatro; insomma hanno fatto di quel paese qualcosa di buono, e sono cinque fratelli che lo hanno voluto ...» Certo Leonardo Sciascia - che delle cose di mafia se ne intendeva, avendo tra l’altro scritto Il Giorno della civetta - avrebbe dovuto diffidare delle parole di quel colonnello che non trova nulla di male nel fatto di privati, armati fino ai denti, che se ne vanno a cavallo a sterminare malviventi e malandrini, come vigilantesall’americana. Le carte ufficiali - quelli dell’archivio di Stato di Agrigento e quelle comunali - testimoniano invero su tali arditezze dei Matrona; non c’è da rimanerne ammirati. Tutt’altro!
Il 20 dicembre 1975 era partita da Racalmuto questa lettera anonima:
«Racalmuto che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante aspettando una visita dalle Signorie loro ill.me per dare una forma di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla riparazione e alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro Augusto Sovrano
«E’ però lo allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. [...] Sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose (sic) per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare. Si chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno fratelli Matrona, Cammillo sic Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele (sic) Mantia, Arciprete, Michiele (sic) Alaimo , Gioacchino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi chi più chi meno; e formano i gaudenti dell’azienda Comunale.»
Sappiamo così da chi era formato il clan dei Matrona. Sorprende che anche l’arciprete Tirone si fosse accodato ai potenti cinque fratelli; Gioacchino Savatteri lascia il fratello Calogero con le sue manie mazziniane e si accoda ai liberal-massoni Matrona. Per ripicca il fratello Calogero accetta la tessera del Mutuo Soccorso, omai in mano ai Tulumello, e finge lì di essere un socialista ed un mazziniano, come abbiamo visto sopra. Un anno dopo la morte, il Mutuo Soccorso ne commemora l’anniversario, in pompa magna. Ora è divenuto sindaco Gioacchino Savatteri, ma questi rifiuta lo stendardo comunale nelle celebrazioni del fratello: è scandalo. Il Tulumello stila una lettera di fuoco. Sarebbe stato scandalo aggiunto a scandalo: chissà chi riesce a bloccare quella rovente accusa. Oggi gli eredi di Calogero Savatteri detengono quella lettera non firmata.
All’archivio di stato di Agrigento permane il carteggio sull’eroicomico gesto dei Matrona su cui in definitiva quel colonnello citato da Sciascia poggia i grandi meriti di lotta alla mafia di quella celebrata famiglia. Siamo nel novembre del 1873. L’intera corte familiari di quegli ottimati se ne sta ancora in “campagna”, in quella villa cioè esaltata da Sciascia per almeno due volte: nella citata prefazione al libro del Tinebra e nella recente pubblicazione - a spese della comunità comunale provinciale e regionale - “gli amici della Noce”. Nella prefazione (pag. 13) abbiamo questa ammaliata descrizione «Mentre scrivo, nella mia casa di campagna di contrada Noce, ho di fronte - da una collina all’altra - la settecentesca casa di villeggiatura dei Matrona, grande ed armoniosa .. E ancora negli anni della mia infanzia era luogo di meraviglia, di delizia. C’erano palme e magnolie, siepi di rose e d’oleandro, alberi qui rari come i corbezzoli, i giuggioli; e giganteschi pini di fitta ombra e odorosi. C’era pure una grotta che nelle pareti e nella volta era stata rivestita di cristallini, splendenti schisti di zolfo e di salgemma, di stalattiti. C’erano le due fontane: una rettangolare, ad abbeverarvi i cavalli; l’altra rotonda, grande, in mezzo una colonna con sopra un vaso traboccante di capelvenere - e il fresco suono dell’acqua.» E la suggestione si accende di erotismo - insolito in Sciascia - ne “Gli amici della Noce” [pag. 7]: «E delle villeggiature di quella grande famiglia è rimosto favoloso ricordo: delle feste; delle colazioni sull’erba in cui tra i lini e gli argenti, nel profumo delle magnolie, e luminose e profumate come magnolie, donne di mai più vista bellezza splendevano; delle carrozze dorate e stemmate; dei cavalli, dei cavalieri, dei lacché, degli stallieri, dei cuochi.» E l’Autore squarcia il suo usuale velo pudico [pag. 11]: «Dal punto in cui ho l’abitudine di sedere ogni sera, - confida - alla stessa ora, vedo un paesaggio in tutto simile a quello che fa da sfondo all’Amor sacro e all’Amor profano del Tiziano: e la sera trascorre in esso come una delle tizianesche donne serene e opulente. Poi di colpo, come un ventaglio, quella visione si chiude: ed è la notte col suo pergolato di stelle e con la luna così vicina che sembra la si possa colpire e far vibrare come un gong.»
Ma una cronaca meno ammaliante, anzi prosaicamente meschina, la possediamo e riguarda proprio quella grande famiglia. Citiamola, senza orpelli: «!3 dicembre 1873. Sin dal giorno 23 novembre ultimo scorso, la contrada della Noce veniva turbata dalla presenza di più malfattori. Il fatto che quattro persone armate, eransi rivolte giorni prima per la casina dei ricchi borgesi fratelli Brucculeri, che scamparono dalla rete dandosi alla fuga, e ricoverandosi nella casina del nominato Rosina Francesco, erasi pubblicato nel nostro comune, ed ogni cittadino si asteneva di portarsi in quelle campagne.
« ... il giorno 4 Dicembre, sei persone armate si presentarono nel fondo di proprietà dei sopradetti Sig.ri Matrona, e stabilendosi alla distanza di 100 metri dalla casina inviarono il giovane Luigi Mansella, uno dei famoli della casina Matrona a domandare il pane. Il sig. Matrona Gaspare, ben comprende la sfida, conoscendo essere quella la formola dei briganti che si presentano pel bottino. Comprese il pericolo nel quale si trovava l’intiera famiglia, mentre d’unità allo stesso e sua moglie, trovavasi anco il fratello Michele con una figlia a 13 anni, ed una bimba di anni 3, e l’altro fratello scapolo Napoleone [...] Chiamati a sé i due fratelli, il nominato Vinci Calogero suo affezionato sovraintendente, il castaldo Gagliardi Nicolò, Denaro Giuseppe, e lo stesso Mansella Luigi, ed uniti partono dalla casina, lasciando a guardia delle tremanti donne i tre contadini Mansella Giovanni, Letterio Gagliardi e Casa Tommaso. [Viene descritta qui prolissamente la caccia ai briganti, n.d.r.] [E sia come sia, accorre in aiuto] il comandante dei militi a cavallo sig. Leone Giuseppe. [In tal modo riescono ad arrestare 4 banditi: due però riescono a scappare, ma non vanno lontano visto visto che il fratello Napoleone con Tommasa Casa] valse a disarmarli ed arrestarli.
«E la giunta, compresa della valorosa azione, sul riguardo:
«1° che il sig. Matrona Gaspare di anni 34, ammogliato senza prole, colla qualità di Sindaco, e in ottimo e sicuro stato di fortuna;
«2° che il sig. Michele Matrona di anni 36, ammogliato e padre di sette figli nello stato di fortuna come sopra;
«3° che il sig. Napoleone Matrona, scapolo di 31 anni ...
«tutti figli di Pietro di Racalmuto, arrischiarono evidentemente la propria vita, per arrestare n.° 6 malfattori, che infestarono la contrada Noce [...] determina di venire accordata, a ciascuno degli stessi, una medaglia d’oro del valore di L. 100; sopra un lato sarà effigiato lo stemma di Racalmuto con intorno il motto AL VALORE CIVILE, e nell’altro lato scolpito il nome del benemerito, col motto ARRESTO BANDA ARMATA 4 dicembre 1873. CONTRADA NOCE.
« ... Questa Amministrazione accorda le seguenti ricompense pecuniarie:
«1° L. 70 a Danaro Giuseppe da Bagaria, contadino:
«2° L. 70 a Casa Tommaso da Bagaria, contadino;
«3° L. 70 a Mansella Luigi da Racalmuto, contadino;
«4° L. 40 a Letterio Gagliardi da Bagaria, contadino;
«5° L. 40 a Mansella Giovanni da Racalmuto.»
Quella storiella che puzza di ipocrisia e di peculato per retribuzioni improprie dei propri scherani a spese del Comune - altro che un don Gasparino che ci rimetteva di tasca sua! - ha convinto solo il colonnello di Sciascia, che ancora un paio d’anni dopo la ammanniva ai commissari dell’inchiesta parlamentare. Già il prefetto si era proprio indispettito per tutte quelle manfrine dei Matrona che cercavano di fare apparire atti eroici mere espressioni della loro prepotenza, del loro contorno di bagarioti, di quel sovrastante a nome Vinci che abbiamo visto ben tratteggiato nella lettera anonima che racconta della strusciata di piedi avverso il nuovo casino del barone Tulumello. Va notato che il prefetto stizzosamente boccia quella impudente delibera della giunta comunale di Racalmuto con queste eloquenti parole: «le insegne e medaglie dei quali possono fregiarsi i cittadini sono quelle concesse dal governo.» (nota del 25 marzo 1875). Più che un sindaco repressore della mafia, don Gasparino emerge dai vecchi documenti come un uomo al top della cupola cui non si può impunemente far torto alcuno. Un incidente come quello del 1873 - in effetti dei poveracci affamati e latitanti pietivano un po’ di pane e non c’era nessun messaggio occulto - si ripeté qualche tempo dopo. Riferisce il procuratore del re [28] alla Commissione d’inchiesta del 1875: «Quando poi ci inoltriamo verso Palma, naro, Favara, Castrofilippo, Racalmuto questi reati pigliano proporzioni più serie. Vi è la banda Sajeva, capitanata dal Sajeva, che va commettendo grassazioni in un punto e in un altro. [....] Molte volte sono gli stessi contadini che noi vediamo lavorando che hanno commesso delle grassazioni, come accadde a pochi passi dal Comune di Grotte, dove si presentarono alla vettura pubblica dove vi erano sei o sette signori fra cui il sindaco di Racalmuto, hanno intimato al cocchiere di scendere, hanno fatto uscire tutti dalla vettura, li hanno fatto mettere bocconi per terra, e li hanno depredati di 700 o 800 lire, e poi tranquillamente hanno imposto di andare avanti. Fuvvi chi disse che erano quei lavoranti delle campagne, accorse la forza pubblica ... si sono già fatti sette arresti.» Noi siamo certi che quell’affronto do Gasparino non lo subì passivamente: poi gli amici degli amici di Grotte furono sicuramente solerti nel recuperare il maltolto e nel punire gli insolenti.
Eugenio Napoleone Messana ha pagine piene di spunti storici pregevoli su questo periodo: egli tratteggia la figura di Gaspare Matrona (pag. 265-273) con qualche faziosità plaudente - forse per compiacere Sciascia, che però gli fu ingrato - ma tutto sommato con sufficiente attendibilità e con dovizia di documenti inediti.
Un quadro disarmante viene però dal testo delle deposizioni che don Gasparino Matrona ed altri furono costretti a fare al distaccamento della giunta d’inchiesta. Le lettere anonime sortino il loro buon effetto e così il 21 dicembre del 1875 un senatore, un consigliere di stato, un deputato e tanto di segretario ufficiale si insediano nel comune per indagare sui massimi esponenti della politica locale e della pubblica amministrazione sedente in Racalmuto. Trascriviamo dal fascicolo 11, sott. 8 [29]gli «Appunti degli interrogatori tenuti dalla sottocommissione nella città di Racalmuto nel giorno 21 Dicembre 1875 - Sezione della Giunta Comm. Verga Sen. ff. da presidente, Alasia, Consigliere di Stato, Cav. Luigi Gravina Deputato - Testimoni uditi:
1) Gaspare Matrona - Sindaco
2) Enrico Micali-Freri Pretore
3) Delegato di Pubblica Sicurezza
4) Bonfanti Antonio Maresciallo Carab.
5) Dr. Diego Scibetti Troise
6) Carlo Lupi
7) Giuseppe Grillo.»
Il fascicolo n.° 66 contiene la seguente trascrizione stenografica:
«Racalmuto 21 Dicembre 1875.
Comm. Verga
Comm. Alasia
Deputato Gravina
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Gaspare Matrona - Sindaco di Racalmuto.
= S.P.?
“Ottime le condizioni di S.P. qui si è dato sempre il buon esempio a reprimere i birbanti. Le autorità hanno coadiuvato.
= Ammonizioni?
“Molti e bene ammonimenti. Si è visto tornare dal domicilio coatto Caloggero [sic] Morello di Canicattì. E’ ritornato prima che finisse la pena. La voce pubblica dice che la prefettura l’ha fatto tornare prima per servirsene.
= Sono sorvegliati gli ammoniti?
“Non abbiamo che i Carabinieri ed a questi è affidato il servizio.
= Le autorità disimpegnano il loro ufficio?
“Sì, succede qualche cosa ma non è scossa la S.P.
= Ma la S.P. anche in campagna?
“ Parlare di Racalmuto nelle campagne non ci può essere sicurezza. C’è ancora il Sajeva di Favara, un altro di Girgenti e qualche altro. Per Racalmuto non c’è che la classe dei solfatari che è a tenersi in guardia. Però la cittadinanza ha sempre dato braccio forte alle Autorità.
= Attriti ce ne sono?
“ Da qualche tempo in qua c’èstato qualcosa, per quistione municipale. La reale causa è la presenza di un Gesuita Padre Nalbone il quale ha suscitato degli attriti; si è messo a capo di un partito elettorale.
= Ci è partito clericale?
“E sì, ci è.
= Le Autorità si sono immischiate?
“ No ... Io come sindaco non mi sono immischiato, ma quando si è trattato di questione elettorale ho dovuto prendere parte ... Qui i carabinieri hanno poco da fare, qui li chiamano Canonici.
= L’amministrazione comunale?
“E’ in buone condizioni, debiti non ne abbiamo. Non abbiamo altra imposta che il dazio di consumo.
= Scuole?
Le scuole elementari, e le scuole facoltative le abbiamo avute nel passato e le scuole serali.
= Asili?
“ Niente.
= La sovrimposta?
“ La sovrimposta l’abbiamo per la costruzione delle vie.
= Opere Pie?
“ L?antico monte frumentario, oggi tradotto in Monte di pegnorazione. Vi sono poi le congreghe che sono ricche, ho fatto di tutto per farle tradurre in opere di beneficenza, ma non ci sono riuscito.
= Amm.ne Giustizia?
“ Non ho che osservare. E’ in regola mentreché è importantissima questa Pretura.
= E l’affare fanciulli nelle zolfare?
“E’ questione grave, ci è l’umanità da una parte e l’interesse economico dall’altro.
= Produce danni fisici e morali?
“ Non quanto si crede. Per le zolfare credo che ci vorrebbe una specie di consorzio. Qui la proprietà è divisa. Tutti siamo nella commodità generale. Per togliere l’acqua occorrerebbe potersi avvalere della costruzione di acquedotto dei terreni sottostanti; una specie di servitù di acquedotto o meglio consorzio.
= Ferrovie?
“ Insiste per la linea Caldaje dicendo essere utile all’industria per lo zolfo e le saline. Dice che la strada di Racalmuto è stata dichiarata comunale. Si sono fatte due strade intercomunali.
= Pel servizio delle imposte?
Ci sono sempre reclami, ci è deèerimento sempre e variazioni continuee nelle miniere.
= Ricchezza Mobile, ci è vessazione?
“ Si lamenta la lungheria nella via dei reclami, a me non consta che ci siano lagnanze per arbitrio dell’Agente. Io credo che il lamento non è di pagare la tassa, è di avere i vantaggi che ha il resto d’Italia, manchiamo di strade.
= Macinato?
“ Procede bene. Racalmuto è molto ossequiente alla legge. Raccomanda la ferrovia e l’affare della strada provinciale.
Pretore Enrico Micali-Freni
= S.P.?
“ S.P. non lascia nulla a desiderare. I cittadini si prestano grandemente in favore della S.P. per la scoverta dei reati. Giorni addietro per uno scrocco mercè il Sindaco si seppe tutto e si procedette all’arresto.
= Ammonizioni?
“ Ce ne sono molte. Quelli per i quali finisce il biennio saranno rammoniti. In quanto a sorveglianza è difficile perché il numero è esuberante.
= Quell’individuo Caloggero Morelli ritornato dal domicilio coatto prima del tempo?
“ Non lo so. In quanto ad ammonizioni io credo che bisognerebbe amminire meno.
= Partiti?
“ Ci è un partito che cerca spiantare l’attuale Amministrazione. Io credo che il partito attuale stia bene al potere.
= Chi è capo del partito contrario?
“ Il fratello dell’attuale Sindaco il quale per non comparire mette avanti il barone Tulumello.
= Altri servizi? Imposte?
“ Procedono regolarmente; le Autorità non sono ostacolate.
= Ma le campagne sono sicure?
“ Ci sono piccole grassazioni. Io feci fare degli arresti dei sospetti ed ora stiamo bene. Sono giovanotti che lavorano molto, guadagnano, giocano e bevono. I carabinieri sono ottimi.
Delegato di S.P.
[E’ in missione di delegato da due mesi. La S.P. è migliorata. Parla delle piccole grassazioni e degli arresti fatti e dell’arresto fatto per lettera di scrocco di un tale di Bagheria. La classe intelligente aiuta le autorità. E’ tornato qualcuno dal domicilio coatto.]
= Se con condotta regolare dal loro ritorno? E Calloggero Morelli?
“ L’adopero qualche volta come confidente, perché mi fu raccomandato dal mio predeccesore. Sino ad ora un bel servizio non l’ha ancora reso.
= Partiti?
“ Matrona attuale sindaco e l’altro Tulumello.
= E lei cosa crede?
“ Credo che se trionfa l’altro il bene del paese non ci guadagnerebbe certo.
= Amministrazione della giustizia?
“ Nessun reclamo.
Bonfanti Antonio - Maresciallo dei Carabinieri
= S.P.?
“ Non è cattiva. Vi è stata qualche cosa perché ora giocano molto. Io credo che tra gli arrestati vi siano i rei delle grassazioni. Io questi li ho visti sempre giocare, con delle donne, anche nelle bettole.
= Ma non ci sono ammoniti?
“ Come si può? Gli ammoniti sono 61 e noi siamo pochi. Qui l’opera della forza pubblica è facile, ci è un sindaco ottimo ed ha un partito di ottima gente.
Dott. Diego Scibetti-Troise - Consigliere Comunale
“ Raccomando le ferrovie delle Caldaje per Canicattì. Vorrebbero che più sorvegliata la classe dei forestieri che vengono a lavorare in Racalmuto. Aumentare la forza per sorvegliarli e mettere le librette.
= Crede nocivo ai fanciulli il lavoro delle miniere?
“ Non soffrono molto. Si sa che il peso che portano sempre loro nuoce. Il paese reclama che non si pensi all’Amministrazione comunale, all’Istruzione Pubblica, non vi sono che scuole elementari, il Comune ha invece voluto spendere a cose di lusso e fare il palazzo.
= Ma le poteva fare, non vi sono debiti?
“ Debiti non appariscono ma ci sono. Di 100.000 lire che furono stanziate per spese se ne sono spese 87.000 per la sola casa comunale, circa 40.000 per la casa dei carabinieri; quindi i debiti ci sono. [Dice che sarebbe inutile la via di Favara].
= Ma le elezioni si fanno regolarmente, le liste sono ben fatte? Che cosa può fare in questo la Commissione d’inchiesta? Si sa che il sindaco deve avere la maggioranza; prendete voi il di sopra!
In fatti di S.P. si aiuta l’Autorità?
“ Siamo tutti uniti nell’ajutare l’Autorità, in quel caso termina ogni idea di partito. Ma nel Consiglio ci vorrebbe altri.
= Che?
“ Io ritengo di sì. La pretura, il delegato, i carabinieri fanno il loro dovere.
= Imposte?
“ Niente ... Abbiamo ottimo esattore.
= Macinato?
“ Niente.
Carlo Lupi
= L’Amministrazione comunale?
“ Va benissimo l’amministrazione comunale perché il sindaco è ottimo.
= S.P.?
“ Nell’interno è ottima ma nelle campagne ci è qualcosa.
= Le ammonizioni procedono bene?
“ Sì.
= I carabinieri?
“ Ottimi.
= Elezioni, imposte?
“ Niente
= A’ altro da dire?
“ [Parla del Matrona fratello del sindaco che è un clericale, nemico di ogni progresso.
= Ma per la casa ci è debito?
“ No.
= E’ forte il partito Matrona?
“ Non tanto ... Il Matrona ed il gesuita che venne qui, hanno cercato minare il paese. Il Matrona accusa il Municipio di aver fatta la strada comunale per andare commodamente al suo podere.
= Ma si lagna il partito contrario per la mancanza di scuola tecnica?
“ La scuola tecnica non avrebbe che un solo allievo. L’avevamo e la togliemmo per mancanza di allievi.
= La scuola elementare quanti allivi ha?
“ Oggi sono dodici.
Giuseppe Grillo Cavallaro
S.P.?
“ Qualche cosa succede raramente.
= Imposte?
“ Niente a deplorare.
= Partiti?
“ Sì per ambizione.»
Da annotare. Colpisce il fatto che proprio il fratello del sindaco stia dalla parte avversa, con il gesuita Nalbone. Don Giuseppe Matrona - su cui abbiamo dato prima ragguagli - quella faccendo di essere finito in galera per la iattanza del prefetto Falconcini non ebbe mai a digerirla. Rimase ostile ai savoiardi ed a quali li rappresentassero, fosse anche il giovane e rampante fratello don Gasparino, che evidentemente per bramosia di potere fu disposto a tenere in poco conto i torti subiti dalla sua prestigiosa famiglia ed a dimenticare quegli abbracci umilianti in presenza del sindaco Mirabile di Agrigento. Più indaghi e più la figura di don Gasparino si deteriora, a scorno dell’esaltazione sciasciana.
Nelle poche battute riportate nel resoconto stenografico della Commissione d’inchiesta, don Gasparino appare arrogante, incolto, ma particolarmente cinico quando accenna alla sorte dei “carusi” delle miniere di zolfo. Anche in questa occasione don Gasparino emerge come uomo che domina la mafia: una lettera di scrocco? Arriva lui e tutto va a posto.
Vi è un codazzo di corifei attorno a don Gasparino: pretore, maresciallo dei carabinieri, il lacchè Carlo Lupi, l’evanescente Giuseppe Grillo Cavallaro, non hanno pudori, non hanno ritegno quando si tratta di esaltare il loro protettore, il sindaco don Gasparino. Nelle brume della memoria, dopo, quegli opportunismi divennero esaltante mito che perdura sino ai nostri giorni, con il suggello di tanto nome: Leonardo Sciascia. Una sola voce discorde: quella del dott. Diego Scibetti-Troise; ma ci pensano addirittura i commissari a redarguirlo. E via l’obiettività di quell’organo inquirente. L’Italietta sabauda scendeva a valle per difendere, massonicamente, l’irrequieto giovanotto racalmutese di buona famiglia, don Gasparino Matrona.
Frattanto a Racalmuto abbiamo ben 61 ammoniti, un solo allievo alle scuole tecniche - che il provvido don Gasparino si affretta a chiudere per risparmiare e costruire la faraonica casa comunale - e solo 12 alunni alla scuole elementari, una popolazione scolastica inconsistente in un comune che quasi fiorava i venti mila abitanti. E la tragica situazione del lavoro minorile nelle miniere, che metteva in apprensione i galantuomini racalmutesi solo per il fatto che qualche riflesso si aveva sulla pubblica sicurezza; per il resto c’era solo da storcere il muso per i troppi soldi guadagnati da quei traviati minori, e per il loro vezzo di spenderli al gioco e con le donne. La cifra morale degli ottimati racalmutesi non è elevata. E don Gasparino non fa eccezione, anzi!
Di fronte a Sciascia scrittore, noi restiamo ammaliati; la sua prosa è musica, la sua visionarietà è sublime, il suo moralismo sconcertante, la sua ironia corrosiva, il suo periodare pieno d’inventiva inusitata ed avvolgente. Non era tenuto alla verità storica ed infatti non l’amò. A noi - che molto più sommessamente - andiamo in cerca del vero storico del locale arrovellarsi umano, resta l’intralcio di un grande scrittore che ha voglia di stravolgere il banale avvenimento, il prosaico ruolo degli ottimati racalmutesi, l’affaccendarsi ingenuo, ma non perverso, di preti e frati del minuscolo proscenio nostrano. Nella prefazione al libro del Tinebra, Sciascia si lascia andare a tutta una serie di giudizi storici su figure ed avvenimenti della Racalmuto dell’Ottocento: ebbene quelle valutazioni ci paiono decisamente cervellotiche. Dice Sciascia: «La richiesta e la ricerca del libro [del Tinebra] divenne tanto intensa quanto vana. E non la spense la pubblicazione .. della storia del paese di E.N. Messana, voluminosa, fitta di notizie.» [pag. 8]; ma dopo, alla fine [pag. 15], «limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono estrarre da libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi tentacoli sono quelle che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della memoria.» Ci pare uno Sciascia o in vena di contraddizioni o di sardoniche, eppure sotterranee, stroncature degli insaccati cronachistici del Messana. In ogni caso della “galassia della memoria” sciasciana, da punto di vista storico, c’è molto da diffidare. I Matrona non possono davvero essere definiti: «una famiglia che per amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio o, più esattamente, andava travasando nel patrimonio pubblico.» Abbiamo visto invece come quei matrona tendessero a farsi assegnare medaglie d’oro ultracostose e come tendessero a dar dare soldi pubblici ai propri famigli bagarioti, e come facessero finanziare strade comode che comodamente collegassero il paese ai loro poderi, alla Noce, a pro’ di loro e dei soliti “amici della Noce”, allora come adesso. Certo, se non si trattasse di Sciascia, sarebbe da sghignazzo un’elucubrazione così ingenua come la seguente: «Naturalmente, - vedi pag. 12 - i Matrona dei nemici: ma si scoprirono più tardi, aggregandosi alla famiglia Tulumello. Intanto, nel 1875-76, si limitavano a denuncie [sic] anonime: e la commissione d’inchiesta (si chiamava propriamente giunta), ne riceve tre: contro l’amministrazione comunale, contro il sindaco Gaspare Matrona. Ma si infrangevano contro l’evidenza di quel comune amministrato con tanta dedizione, coraggio e generosità che il colonnello propone a modello non solo della Sicilia ma dell’Italia intera. E si capisce che nel giro di mezzo secolo i Matrona furono poveri, sicché fu facile ai loro avversari batterli: col conseguente effetto di un ritorno al malandrinaggio, della mafia, delle usurpazioni e prevaricazioni. [Corsivo ns.]» Spropositi del genere vanno solo negletti. A dire il vero i Tulumello non abbatterono don Gasparino Matrona. Questi cedé la sindacatura al suo correligionario don Gioacchino Savatteri, nel 1875 per le vicende che abbiamo adombrato. Don Gioacchino Savatteri dovette abbandonare la sindacatura per un sospetto peculato di L. 7.535. Le carte dell’archivio di stato di Agrigento del 1890 insolentiscono quella nefanda gestione: «Nel comune di Racalmuto - sbraitano - l’inchiesta a carico della precedente amministrazione non è ancora compiuta e già abbe a risultare un’appropriazione indebita di L. 7.535 a carico dell’ex sindaco Savatteri che fu denunziato all’autorità giudiziaria.» Sciascia aveva ataviche subalternità verso i Matrona. Confessa [pag. 13] «tutto sommato, devo ai Matrona questo mio rifugio in campagna: perché mio nonno loro fedelissimo elettore, volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un secolo).» Noi non abbiamo di siffatte gratitudini: anzi ribolle la rivolta ancestrale dei miei poveri antenati zolfatai, sfruttati da tali arroganti “civili”, galantuomini, ottimati, signorotti o come diavolo si chiamano; sfruttati anche per «non sapere scrivere né sottoscrivere per non averlo mai appreso.»[30] E gli zolfatai non sapevano leggere e scrivere perché facevano comodo da “carusi” andare nelle miniere dei Matrona (e di altri ottimati), come arrogantemente don Gasparino dichiara ai membri della Giunta. E si è visto come don Gasparino risparmiasse sull’istruzione dei figli del popolo, avendo più a cuore gli spettacoli lirici, propoziatrici di tresce con attrici, cantanti e ballerine. Eh! Sciascia, Sciascia! Lascia perdere i Matrona tutti presi a far [pag. 11] «scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro.» Ed in men di cinque anni (la sindatura di don Gasparino dura secondo il Messana , appendice 29a, dal 1872 al 1876): non ci crede neppure il prof. Salvatore restivo che pu sappiamo quanto sia devoto alla memoria di Sciascia. Giustamente annota, ad esempio, che il teatro di Racalmuto fu inaugurato il 9.11.1880, come dire quattro anni dopo la defenestrazione dei matrona per un duello mancato. L’avversato Messana comprova che nel 1874, in pieno regime di don Gasparino, 32 erano i racalmutesi “aderenti alla mafia” secondo la segnalazione del delagato di P.S. Annibale Macaluso (cfr. appendice XVII, pag. 493). Il sottotenente comandante la sezione dei carabinieri di Racalmuto, G. Bianchi, ha un concetto tutto personale, ottocentesco, della legge se scrive: «l’attuale sindaco di quel paese sig. Matrona Cav. Gaspare è l’unico cittadino capace di mantenere obbedienti alle Leggi dello Stato una massa di uomini oltremodo ignorante e proclivi a qualunque reato». [31] Oggi - molto più civilmente - quel sindaco finirebbe nelle grinfie dell’Antimafia, proprio quella che Sciascia non amò tanto.
Archivio Centrale di Stato - Roma - "Commissione Parlamentare d'inchiesta - 1875-76"
«Vi è una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto - rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figutante agli atti - contro il Sindaco di Racalmuto - cfr. Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1»
«Fascicolo 11 sott. 8 -
[V. acclusa fotocopia]
[Cfr. Fascicolo 66 per la trascrizione del resoconto stenografico]
[Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia 1875, SCATOLA 7 FASCICOLO 5 - sf. 2 LETTERA "A" n. 15]
da Racalmuto, 20 dicembre 1875 (anonimo)
«Illustrissimi Signori Onorevoli
Componenti la Commissione
d'inchiesta parlamentare
Canicattì
«Illustrissimi Signori,
«Racalmuto, che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante appettando una visita delle Signorie loro ill.mi per dare una forma di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla riparazione ed alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro Augusto Sovrano .
«E però l'allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. S'addolora dippiù sentendo che ga chiamato una Commissione scelta dal seno d'un partito che vuole a forza imporsi con violenze, con prepotenze e con illegalità e ch'è in urto alle ispirazioni pubbliche. L'ultima cronaca del paese è bastante delineata dalla stampa, che per ultimo risultato pose al silenzio i nemici pubblici.
«Dei reclami si sono presentati alle Autorità superiori della Provincia, senza risultati. Signori Onorevoli! Racalmuto per più versi non è paese che merita essere abbandonato! ...E' perciò pubblica anzia [sic] di far sentire i proprii lamenti alla Commissione d'inchiesta Dalle Signorie loro bene rappresentata; e si è sicuri che si convincerebbero che sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare.
«Si chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno fratelli Matrona, Cammillo Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele Mantia, Arciprete, Michiele Alaimo, Gioachino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi in più o in meno; e formano i gaudenti dell'azienda Comunale.
«Con ogni sicurezza allora le SS.LL.II. si potrebbero fare giusta es adequata [sic] immagine delle condizioni attuali lacrimevoli del paese, per promuoversi gli opportuni e giusti provvedimenti.
«Si spera giustizia.
«Racalmuto 20 Dicembre 1875»
Nella "Rubricella" contenuta nella Scatola 7[Renato GRISPO- L'Archivio della Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia - Inventario - Cappelli Editore 1969 porta [5] - L'archivio usa questo testo per inventario, ma la numerazione non corrisponde alle scatole] e che riguarda le "petizioni", alla lettera N risulta la seguente annotazione che ci porta se non all'autore, almeno all'ispiratore delle precedenti lettere non firmate:
« N.ro ordine
«Nalbone Francesco 1 "al prefetto di Girgenti"
e nell' «Elenco dei Reclami e petizioni» [Stessa scatola 7, stesso fascicolo 5, ma sottofascicolo 3, elenco ben diverso dalla Rubrucella p.c.] vine meglio precisato come così di seguito:
1 Nalbone Francesco di Racalmuto «Reclamo contro il Sindaco di Racalmuto»
* * * * * *
Archivio di Stato di Agrigento
Da Inventario n. 32
Conto di Racalmuto del 1878 presentato da Nalbone Luigi.
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Fascicolo n. 403 (Inventario n. 32)
- Conti Racalmuto 1869-1887
«Conto entrata ed uscita per l'esercizio 1886.
reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.»
- Anno 1885
reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.
[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C 1]
Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) 1925 - Busta 80 sf. C 1]
Espresso del 30 luglio 1925.
«il 15 andante circa 120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti recaronsi quello scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che fermatosi pochi minuti promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno 20 successivo tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno solidarietà e per analogo scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose trattative .... fu raggiunto accordo sulla base ... dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»
Testo accordo:
«L'anno 1925 addì 28 luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.
«Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav. Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto esercente miniera Quattrofinaiti Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza per la sua parte della miniera Gubellina ... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino, Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1° Agosto 1925.
«Gli esercenti tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118 ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale, concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base pagato sin oggi.
«Tale aumento unito ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul prezzo base.
«[.......]
«I rappresentanti delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da domani 29 andante.»
Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) 1932 - Busta 41 sf. C 1]
30.6.1932
«29 corrente Racalmuto - Nalbone Luigi proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera - ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto - Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»
* * * * * * *
Da una lista a stampa dell'Archivio di Stato di Agrigento
«Lista della sezione elettorale di Racalmuto.
«N.ro d'ordine - Elettori Cognomi e nomi - PATERNITA' - data nascita - titolo o qualità che gli
lista lista conferisce il diritto
com politica elettorale commer-
mer comuna le
ciia le
le
--------------
181 316 - Nalbone Giuseppe di Luigi - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo.
182 317 - Nalbone Angelo di Luigi - 2 giugno 1863
[1] ) Enrico Falconcini, Cinque mesi di prefettura in Sicilia, Firenze 1863, pag. 49.
[2] ) Massimo Gangi, La Sicilia contemporanea - pag. 117.
[3] ) Domenico De Gregorio - Ottocento Ecclesiastico Agrigentino - vol. II, La sede vacante - Agrigento 1968, pag.32 e 33.
[4] ) Giovanni Spadolini tesse uno sperticato elogio di questo napoletano, esponente della Destra, nel libro su Gli Uomini che fecero l’Italia - L’Ottocento - Longanesi 1972 . pag. 174 e ss.
[5] ) Leonardo Sciascia - Le parrocchie di Regalpetra - Bari 1982, pag. 24
[6]) Mons. Domenico De Gregorio, Ottocento ..., op. cit. pag. 52.
[7] ) Invero un don Luigi Tulumello di un otaio defunto, don Gaspare, era pu vivente a Racalmuto; ma non crediamo che avesse cultura ed interesse alle questioni di diritto canonico, a meno che non scrivesse d’ordine e per conto di chissà chi. In matrice abbiamo rivenuto quest’atto di matrimonio:
1825
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11/6/1825
|
TULUMELLO Dn LUIGI FU Nr D. IGNAZIO
|
MATTINA D. ROSALIA
|
TULUMELLO D. ROSA DEL BARONE D. LUIGI E
|
GRILLO D. MARIA
|
[8]) Luigi Pirandello - I vecchi e i giovani - Oscar Mondadori 1973 - pag. 142-143
[9]) Nino Savarese - La Sicilia nei suoi aspetti poco noti od ignoti - in Delle cose di Sicilia - vol. IV - Sellerio editore Palermo 1986, pag. 254 e segg.
[10]) Cfr. Atti della Giunta per l’Inchiesa Agraria sulle condizioni della classe agricola, vol. XIII, tomo I, fasc. III, Relazione generale, Roma 1885, pp. 661-662.
[11]) Cfr. L. Hamilton Caico, Vicende e costumi siciliani, Epos, Palermo 1983, pp. 118-121.
[12]) Archivio Centrale dello Stato - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza - 1930, busta 310 fasc. C1 - Relazione del prefetto Miglio del 16 luglio 1931.
[13]) Cit. in S. Bosco, Il proletariato a Favara. Lotte scioperi ed altre manifestazioni dal 1860 al 1960, Sicilia Punto L Edizioni, Ragusa. S.d., p. 75.
[14]) Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l’inchiesta sulla Sicilia - Fascicolo 66.
[15]) Elaborazione dai dati riportati dallo studio di Mario Cassetti - Fascismo e crollo operaio. I villaggi minerari (1937-1942) inEconomia e società nell’area dello zolfo - secoli XIX-XX - Sciascia Caltanissetta editore 1989 - pag. 456.
[16]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 443.
[17] ) Camera dei Deputati - Discussioni - 6° Periodo, pag. 6341 e segg.; ibidem, tornata del 12 giugno 1863, pag. 237 e segg.
[18] ) Archivio di Stato di Agrigento - Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[19] ) Archivio di Stato di Agrigento - Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[20] ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 279.
[21] ) Archivio Stato Agrigento - Inventario 18 - Atti prefettura - voll. 43-43bis.
[22] ) Calogero Savatteri. Pensieri .. Favara 1879, pag. 63
[23] ) ARCHIVIO DI STATO DI AGRIGENTO - Inventario n. 18 - fascicolo n. 42
[24] ) Angelo Sferrazza Papa, S.J. - Francesco di Paola Nalbone, S.J. - L’uomo - il sacerdote - il gesuita - Istituto “Ignatianum” - Messina 1995 - passim, ma in particolare pagg. 17-22.
[25] ) Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia 1875, Scatola 7 fascicolo 5 - sf. 2 [sottofascicolo 2] lettera A n. 13 - "inchiesta - Lettera Anonima [n. 13] 1875 [Fascicolo 5- sf. 2- 13]. In effetti la lettera non era anonima: a firmarla era stato tal Francesco Nalbone come emerge dal Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1 ove si annota che una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto era stata rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figurava agli atti: la lettera era contro il Sindaco di Racalmuto .
[26] ) In matrice il Busuito è così segnato: « Collegiale, Missionario, predicatore, quaresimalista, consultore del S. Officio, Parroco di Comitini, Maestro di Spirito sotto Mons. Gioeni alla casa degli oblati e sotto Mons. Lucchesi successivamente - M. di Lettere, di teologia Morale, Prefetto di Studii, Direttore - Rettore del Seminario di Girgenti - Vicario Foraneo - Beneficiale del SS. Crocifisso - Economo - Obiit 29 Januari 1802 - d’anni 74.
[27] ) Salvatore Cucinotta - Sicilia e siciliani, dalle riforme borboniche al “rivolgimento” piemontese - Soppressioni - Ed. Siciliane Messina, 1996 - pag. 483 n.° 441. Invero, quell’esimio studioso mal trascrive vari dati: bisogna infatti leggere “L. Nabbone” per “L. Nalbone”, “c. Bruscamente” per “contrada Sacramento”. Il Nalbone ebbe ad offrire L. 655 maggiorando sensibilmente il prezzo base dell’asta fissato in L. 423, maggiorandolo del 54,85%: ovviamente vi teneva proprio: ma 655 lire di allora erano davvero una bella sommetta. Si trattava di quattro ettari di terre seminativi in una contrada che crediamo essere quella di Racalmuto: non ho conoscenze di contrade con tal nome in quel di Grotte, come i dati riportati dal Cucinotta potrebbero far credere. L’aggiudicazione di quei beni ecclesiastici - con comminazione di scomunica ipso facto - avvenne nel 1879. In quell’anno due gesuiti vantava proprio don Luigi Nalbone nella sua famiglia: p. Giuseppe che doveva essere a Noto essendovi stato chiamato nel 1878 da Mons. Giovanni Blandini come Rettore, Prefetto degli studi e Amministratore del Seminario (cfr. P. Sferrazza, op. cit. pag. 33); ed il futuro papa nero, anche se a quel tempo era solo sul punto di andare novizio dai gesuiti. Non certo dal figlio che era solo un adolescente, ma dall’intrigante fratello ebbe il benestare ad imbarcarsi in un’asta sacrilega?
[28] ) Archivio centrale di Stato - Roma - resoconto stenografico degli interrogatori in Girgenti nella tornata del 16-12-1875 pag. 123 e ss.
[29] ) Archivio centrale di Stato - Roma - Commissione Inchiesta Sicilia 1875-1876.
[30] ) da un atto del notaio Grillo Borgese del 1860, rog.to un Racalmuto 18 ottobre 1860 li. 1 col. 19 f 98 n.° 1794 c.a 5, ricevuti grana venti - D. 20. - Il ricevitore : P. Alfano.
[31]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 492.
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