In questa vigilia dei morti sono lontano dai miei cari defunti, qui in questa splendida Roma, rinnegato invero dal mio dolce borgo natio. A mille chilometri lontano non so mandare un fiore ai miei cari. Reitero, a ristoro, questo stralcio di lettera, lettera scritta per il mio genetliaco ormai sovrabbondante di anni:
Un paio di volte, un maschio alle prese con un cuore cavo violaceo ed una femmina mi hanno dato del “gran maleducato”. Poveri miei genitori così ingiustamente maltrattati loro che hanno fatto di tutto per far di me un bimbo modello ed un giovinetto pio e devoto, e fino a vent’anni quasi quasi ci riuscivano, ma dopo deviai e in malo modo per voler disattendere dalla buona educazione impartitami da loro, da codesti integerrimi, correttissimi e persino delicati miei genitori.
Ora giacciono entrambi là a Racalmuto a Santa Maria: tra breve li raggiungerò e stavolta non facendo più il figlio “ca iè un shiuri, ca nesci la matina e ssa ‘rricogli a tri uri”. No cara mia genitrice che senza leggere hai scritto alle elementari un tema tanto bello che era l’orgoglio della maestra – quella buona, quella Vinci cattiva, no – e ti faceva girare per tutte le sgangherate aule delle elementari pre-fasciste. No cara mamma, ti giuro che tra breve la mia bara sarà accanto alla tua e non ti lascerò mai più sola, per tutta la restante eternità. E così anche con te caro papà. Quanto eri orgoglioso di me, facevo furore a scuola, entrai senza raccomandazione tra i “segretari in esperimento” della banca d’Italia, e mi ostentavi come un cimelio di guerra al Mutuo Soccorso destando invidia, malevolenza verso di te e dispetto verso d me. Nemo propheta in patria ed io a Racalmuto non son profeta anche per quella ripulsa del Mutuo Soccorso, quello là sempre a lu chianu castieddru. Ma non ti arrabbiare come solevi fare. Tra breve faccio mettere la mia bara tra te e mamma e ripiglieremo quei discorsi senza senso e senza fine, anche questi per tutta l’eternità.
Un paio di volte, un maschio alle prese con un cuore cavo violaceo ed una femmina mi hanno dato del “gran maleducato”. Poveri miei genitori così ingiustamente maltrattati loro che hanno fatto di tutto per far di me un bimbo modello ed un giovinetto pio e devoto, e fino a vent’anni quasi quasi ci riuscivano, ma dopo deviai e in malo modo per voler disattendere dalla buona educazione impartitami da loro, da codesti integerrimi, correttissimi e persino delicati miei genitori.
Ora giacciono entrambi là a Racalmuto a Santa Maria: tra breve li raggiungerò e stavolta non facendo più il figlio “ca iè un shiuri, ca nesci la matina e ssa ‘rricogli a tri uri”. No cara mia genitrice che senza leggere hai scritto alle elementari un tema tanto bello che era l’orgoglio della maestra – quella buona, quella Vinci cattiva, no – e ti faceva girare per tutte le sgangherate aule delle elementari pre-fasciste. No cara mamma, ti giuro che tra breve la mia bara sarà accanto alla tua e non ti lascerò mai più sola, per tutta la restante eternità. E così anche con te caro papà. Quanto eri orgoglioso di me, facevo furore a scuola, entrai senza raccomandazione tra i “segretari in esperimento” della banca d’Italia, e mi ostentavi come un cimelio di guerra al Mutuo Soccorso destando invidia, malevolenza verso di te e dispetto verso d me. Nemo propheta in patria ed io a Racalmuto non son profeta anche per quella ripulsa del Mutuo Soccorso, quello là sempre a lu chianu castieddru. Ma non ti arrabbiare come solevi fare. Tra breve faccio mettere la mia bara tra te e mamma e ripiglieremo quei discorsi senza senso e senza fine, anche questi per tutta l’eternità.
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