VOLUME SECONDO
STORIA DI
RACALMUTO
DAL
SETTECENTO AI NOSTRI GIORNI
IL SECOLO
DEI LUMI
Premessa
Siamo
giunti al ‘Settecento: il secolo dei lumi, quello tanto caro a Sciascia, quello
di Voltaire cui lo scrittore ammiccava persino quando intese stroncare il pio
p. Morreale che si era permesso di cercare la verità storica della venuta della
Madonna del Monte, quel secolo, dunque, passa per Racalmuto senza propri
eretici, con stravolgimenti tutti interni alla vicenda araldica dei successori
dei Del Carretto, con l’equivoco del terraggiolo, con vicende insomma tutte
minime, tutte paesane, tutte antieroiche, “non narrabili”, direbbe Amérigo
Castro.
Per
celebrare Sciascia alle prese col XVIII secolo, la omonima Fondazione invita
nel 1996 storici, letterati e cattedratici a Racalmuto. Veniamo a sapere da
Antonio Grado che la domanda del Caracciolo: «Come si può essere siciliani?»
può attanagliarsi allo Scrittore come «un’affermazione, un disincantato
epitaffio, che attraversa come un liet-motiv,
come una frase musicale ossessivamente reiterata nella partitura di un requiem, l’intera opera di Leonardo
Sciascia: dal Consiglio d’Egitto a Fatti diversi di storia letteraria e civile.
E proviene, quella domanda, o meglio quella sconsolata constatazione, dal
«secolo educatore», o meglio dal Settecento siciliano di Meli e Tempio, di
Gregorio e Cagliostro, di Vella e Di Blasi, di Matteo Lo Vecchio e del Marchese
di Villabianca: dunque, da un grumo di contraddizioni, di eresie e di raggiri,
di speranze accese da quei remoti «lumi» d’oltralpe, di sconfitte accumulate
nella buia stiva del disincanto.» [1]
Che tutto
ciò si attagli al tetro Leonardo, è pur plausibile, ma che riguardi la storia
del paese di Sciascia, ne dubitiamo fortemente. Più pianamente – e
significativamente – Orazio Cancila ci erudisce, dopo, [2] «Il
Settecento siciliano si apre con la notizia della morte a Madrid nel novembre
del 1700 di re Carlo II, causa di una lunga guerra di successione al trono
spagnolo che coinvolgeva la Sicilia ponendo fine alla plurisecolare dominazione
spagnola; e si chiude con la presenza a Palermo nel 1799 di re Ferdinando di
Borbone, fuggito da Napoli dove era stata proclamata la Repubblica Partenopea.
Cento anni nei quali la Sicilia cambiava ben quattro padroni.»
A
Racalmuto, la scansione degli eventi settecenteschi può essere così
schematizzata, in una sorte di quadro sinottico:
-
9 marzo 1710: muore Girolamo III del Carretto,
sopravvissuto al figlio, e suo unico erede, Giuseppe del Carretto, e così si
estingue la locale casata carrettesca;
-
3 settembre 1713: Die 3 7bris 1713 VII Ind.Vigilia Sanctae Rosaliae hora vigesima fuit affixum
interdictum generale locale in hac terra Racalmuti: l’interdetto
– riflesso racalmutese della
sciasciana controversia liparitana – ha tragici scoramenti sui locali, per non
potere più seppellire i propri morti nelle proprie chiese, che ben travalicano
lo smarrimento di quel cambio di padroni, dagli spagnoli ai Savoia, che gli
implicati nella politica dovettero provare, in quello stesso periodo;
-
1715: il regio
commissario generale d. Domenico Damiani e Scammacca della città di Randazzo,
in nome di S. Maestàdi Sua Maestà, chiama a raccolta i notai di Racalmuto e
chiede il dettagliato resoconto di tutti gli atti pubblici del clero locale e
dei beni delle chiese: immaginabili il terrore e lo sgomento dei tanti nostri preti e monaci;
-
10 luglio 1716: Brigida Scittini e Galletti, vedova di
Giuseppe del Carretto, si aggiudica, jure crediti, per diritto di credito
dotale, la contea di Racalmuto. Chissà se la notizia giunse in paese;
-
27 agosto 1719: sospiro di sollievo: «L’interditto fu imposto dall’Ill.mo e
Rev.mo Signor D. Francesco Remirens Arc. E Vesc. di Girgenti con il consenso
della S. Sede nella Chiesa Cathedrale di Girgenti e in tutta la Diocesi fu
sciolto la domenica di Agosto al dì 27 [1719] dell’ora vigesima seconda dal
rev.mo Sig. Dr. D. Giuseppe Garucci , Can. Teo. e Vic. Generale Apostolico con
l’Autorità della S. Sede.»;
-
1736: Panormi
die duodecimo mensis aprilis 14 ind. 1736 Fuit prestitum juramentum debitae
fidelitatis et vassallagij e pertanto servatis
servandis concedatur investitura ....
tituli Comitatus Racalmuti in personam ill.s D. Aloysij Gaetano ducis Vallis
Viridis. Don Luigi Gaetani - che
doveva pur rifarsi delle enormi spese sostenute in questa usurpazione feudale -
non si aspettava una situazione così deteriorata come quella rinvenuta. Cerca
innanzitutto di ripristinare il patto del 1580 sul terraggio. Si dichiara
“mosso da pietà per i suoi vassalli” ma le due salme di frumento per ogni salma
di terra coltivata le vuole tutte;
-
1738: in
quest’anno, sorge una controversia feudale su Racalmuto, con tutti i crismi (e
con tutti i costi). Il duca trova pretermessi anche i suoi diritti di
terraggiolo sui coltivatori racalmutesi dei feudi di Aquilìa e Cimicìa: gli
abili benedettini di San Martino delle Scale di Palermo erano risusciti a farsi
confezionare un decreto di esonero dal vescovo di Agrigento. Don Luigi Gaetani
è costretto ad adire le vie legali: premette che è stato già magnanimo accontendandosi
della metà di quanto dovuto per
terraggiolo (pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis exegit). Non può
pertanto tollerare che i benedettini usufruiscano di un falso esonero,
fallacemente accordato dal vescovo di Agrigento, il noto Ramirez, in data 16
settembre del 1711;
-
1741: il 22 giugno 1741 i benedettini risultano
soccombenti, con compenso di spese, però;
-
1747: la contea di Racalmuto passa principessa di
Palagonia Maria Gioacchina Gaetani e Buglio;
-
7.1.1754; SCIASCIA
LEONARDO M.°, di m.° Giovanni ed
Anna Scibetta; sposa ALFANO INNOCENZA
di m.° Bartolomeo e Caterina olim fugati.
- Matrimoni 1751-1763 - 67 –
Nota: d. Albertus Avarello -- Cl. Mario Borsellino e Cl. Giuseppe Lipari,
testi; furono benedetti da d. Giuseppe Pirrera; gli atti della Matrice ci
ragguagliano su questo antenato di Leonardo Sciascia che va ben al di là del
«nonno di suo nonno» che lo Scrittore voleva come suo capostipite racalmutese,
oriundo, per giunta, da Bompensieri;
-
1755: nasce a
Racalmuto il Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802) - Sarà
«bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato
sapere; questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle
della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano,
tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche
per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e
intraprendenza tali da osare una impari contrapposizione con il suo potente (e
dispotico) vescovo agrigentino.»
-
1756: il 19 febbraio viene nominato arciprete di
Racalmuto d. Stefano Campanella: sarà colui che passerà alla microstoria locale
come l’arciprete che debellò il terraggio ed il terraggiolo;
-
1759: all’Itria viene fondata la Confraternita della Mastranza (26 luglio 1759);
-
1767: l’arciprete Campanella completa la costruzione
del «cappellone grande» della Matrice;
-
1771: i Requesens si appropriano di Racalmuto il 28
gennaio 1771. Girolamo III del Carretto aveva contratto matrimonio con una
Lanza di Mussomeli, di cui parla il Sorge nel suo studio su quella cittadina.
La Lanza – pu avanti negli anni - riesce a partorire il figlio maschio
Giuseppe, quello che premuore al padre, ed una figlia femmina i cui discendenti
dopo un secolo consentono ai Requesens di impossessarsi dell’ormai esausta contea di Racalmuto. Annota il San Martino de
Spucches: «Giuseppe Antonio REQUISENZ
di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771, della Terra,
Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza pronunziata a suo
favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per voto segreto,
contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già c.ssa di
Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu pubblicata, in
esecuzione degli ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno 1770 (Conserv.
Reg. Invest. 1172 [o 1772?], f. 143, retro).
[...] Detto P.pe Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino
Requisenz e Morso e di Giuseppa del
CARRETTO. Questa Dama fu infine figlia del Conte di Racalmuto GIROLAMO di
cui è parola di sopra al n. 4. E' da questa discendenza che i signori REQUISENZ
reclamarono ed ottennero i beni tutti ereditari della famiglia del CARRETTO;
-
1776: lo stesso arciprete continua nei lavori di abbellimento
della Matrice; dicono le cronache: «Nel
1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si fecero i due campanili ed
arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.»;
-
1782: «E' noto - abbiamo già scritto - un reperto di
grande interesse che fu trovato da tal Gaspare Vaccaro nel 1782: esso ci
attesta della organizzazione esattoriale delle decime agrarie a Racalmuto da
parte di Roma. Trattasi di una iscrizione latina pubblicata nel 1784 da
Gabriele Lancellotto Castello, principe di Torremuzza, nel suo "Siciliae et adiacentium insularum veterum
inscriptionum - nova collectio..";
-
1783: inizia la causa – intentata dal sac. Figliola
presso il Tribunale di Napoli – contro il «terraggiolo»;
-
-
1785: « Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri,
arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo
Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere
anticlericali. Nessuna ricerca storica,
da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo
Sciascia [3]:«Ecco il rapporto di un
altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal
sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica,
il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna
del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il
Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del
Crocifisso. Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il
Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias
Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il sacerdote
Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la
cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le
cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei re Borboni di
Napoli, che è quanto dire;
-
1785-1786 : ma è Giuseppe Tulumello ad affermarsi in
paese: nel 1785-86 egli figura tra i giurati dell’Università di Racalmuto,
insieme agli ottimati Lo Brutto, Scibetta, e Gambuto. Il sindaco è Antonino
Grillo. Il collettore risulta don Giuseppe Amella.
-
1786: il sac. Figliola
« … ottenne dal Re, che questa
terra di Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia
d’anni ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto e dolore
universale, nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco nel
convento della Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in Palermo.
14 luglio 1787 d’anni 38.»;
-
1787: D.
Stefano Campanella prosegue nella controversia antifeudale intentata dal
Figliola e così « … con altri primari del paese
incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di
Palermo e dopo quattro anni di
strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787.
“Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium
declaratur non deberi.”;
-
1791-92 : forte
dell’ascesa dello zio sacerdote don Nicolò Tulumello, don Giuseppe di quella
famiglia di gabelloti, fa il grande
salto nella scala dei valori sociali del luogo: ora il tesoriere comunale è
lui. A lui la borsa. L’apice del Comune può restare agli altisonanti “magnifico
rationale Impellizzieri Santo”, al “magnifico Baldassare Grillo”, al “magnifico
Salvatore Lo Brutto”, a “Francesco Amella”, a “Paolo Baeri e Belmonte” - che
sono sindaco e giurati -, ma è lui che tiene i cordoni della borsa e così,
improvvisamente, i fogli ufficiali della Curia panormitana lo designano con il
nobilitante appellativo di “don”. Finalmente! Ancora non barone come il nipote
Giuseppe Saverio, ma il primo tassello, quello più difficile, è tutto nel
carniere di famiglia;
-
1793: la vecchia. Gloriosa chiesa di S. Rosalia viene
smantellata; era riuscita a resistere sino
al 3 giugno 1793 quando viene ceduta al
sac. Salvadore Grillo che ha intenzione di farne una stalla: fu
barattata dal can. Mantione in cambio di
un altare con statua alla Matrice;
-
1796: il feudo di Gibellini viene venduto con rogito
del «Not. Salvatore SCIBONA di Palermo li
22 luglio 1796 a D. Giovanni SCIMONELLI, pro persona nominanda annue onze 157,
tarì 14, grana 3 e piccioli 5 di censi sopra salme 57, tumoli 11 e mondelli 2
di terre, dovute sul feudo di Gibellini; e ciò per il prezzo in capitale di
onze 3500 pari a lire 44.625. Il detto Scimoncelli dichiarò agli atti di Notar
Giuseppe ABBATE di Palermo che il vero compratore fu il Sac. D. Nicolò
TOLUMELLO. Per speciale grazia accordata dal Re a 29 aprile 1809 fu confermato
lo smembramento di dette onze 157 e rotte dal feudo di GIBELLINI già effettuate
senza permesso Reale (Conservatoria, libro Mercedes 1806-1808, n. 3 foglio 77)».
Passeranno 13 anni prima che emerga la persona nominanda. Eccola: «D.
Giuseppe Saverio TOLUMELLO» che «
s'investì a 7 giugno 1809 per refuta e donazione a suo favore fatte dal Sac. D.
Nicolò sudetto agli atti di Notar Gabriele Cavallaro di Ragalmuto li 22 aprile
1809 (Conservatoria, libro Investiture 1809 in poi, foglio 40). Questo titolo
non esce nell'«Elenco ufficiale diffinitivo delle famiglie nobili e titolate di
Sicilia» del 1902. L'interessato non ha curato farsi iscrivere e riconoscere.»;
-
1799: Il secolo dei lumi si chiude tristemente per
Racalmuto: necessita il paese dei vessatori mutui della locale Comunia della
Matrice – cui con sussiego accondiscende il famigerato vescovo Ramirez – onde i
preposti all’Annona racalmutese possano riuscire ad approvvigionarsi delle più
urgenti vettovaglie. Ecco il diploma vescovile del 23 febbraio 1799: «XAVERIUS
Rever. Archipresbitero et deputatis ...terrae Racalmuti, Salutem. Ci
rappresentano codesti Giurati, Proconservatori, e Sindaco le gravi pressanti
urgenze, che si sperimentano in codesta Popolazione, a segno che si teme molto
della furia della Popolo perché pressato dalla fame, e dalla miseria. Onde sono
in penziero di occorrere quanto si può con mutui, eccedono, e chiedono che per
conto di Codesta matrice Chiesa vi sia nella Cassa una certa somma, che la
reputano sufficiente ad impiegarla nelle presenti istanze, bastevole a
soccorrere la indigenza comune. Noi dunque avendo in considerazione
l'espressati sentimenti del Magistrato, e volendo per quanto ci sarà permesso
anche aiutare codesto Publico, venghiamo colle presenti ad eccitare la vostra
carità , il vostro zelo ed il vostro patrimonio acché concorriate per quanto si
può a sollevarlo nelle urgenti angustie e miserie. Essendovi dunque nella Cassa
la indicata somma, qualora si appronta una sufficiente bastevole fideiussione
di restituirla nell'imminente Agosto e riposta in Cassa, potrete apprestarla a
beneficio comune per distribuirsi in mutuo secondo le intenzioni del
Magistrato. Nostro Signore vi assista. Datum Agrigenti die 23 februarii 1799. = Canonicus Thesaurarius Caracciolo Vicarius Generalis
= Canonicus Trapani Cancell». [4]
-
Il Settecento a Racalmuto sorge con le diatribe tra
padre e figlio degli ultimi del Carretto; cessata quella casata più o meno
dannosa per il paese agrigentino, subentrano altre diatribe feudali che
scariranno l’opaco svolgersi della vicenda umana dei nostri antenati in quel
torno di tempo, tutto sommato sino al 1787; dopo i tempi sono tutt’altro che
felici: i rampanti gabelloti sono peggiori dei loro nobili dante-causa ed in mano di questi emergenti borghesi (i Tulumello in
testa, ma anche i Grillo, gli Amella, i Matrona, i Farrauto) la sorte del
contado è sempre quella: triste e subalterna. A fine secolo, si verifica
addirittura un fenomeno che, nella ferace terra del grano, non si era mai registrato:
la fame. Vendono impegnati gli iogalia
delle chiese per il panizzo quotidiano.
DOPO I DEL
CARRETTO
Il seguito della storia dei del Carretto di Racalmuto
mostra ombre ancora non del tutto dissolte. Noi disponiamo del testo di una
procura rilasciata da don Luigi Gaetano per l’occorrente investitura della
contea di Racalmuto; vi è riepilogata la faccenda della singolare acquisizione
feudale: uno strano ed antigiuridico passaggio dai del Carretto ai Gaetano
attraverso la popolaresca intermediazione di una tale Macaluso. L’evento poté
verificarsi per il trambusto di quel periodo con quell’alternarsi dei Savoia e
degli austriaci in Sicilia fino alla venuta dei Borboni.
E in un
atto del 6 marzo del 1736 si raccontano le peripezie della vedova di don Giuseppe
del Carretto, donna Brigida Schettini, alle prese con la curia nel tentativo di
rinviare gli esborsi per l’investitura della contea di Racalmuto, cadutale
addosso dopo la morte del suocero don Girolamo del Carretto.
Brigida Schittini
Il lungo tedioso documento vale solo per renderci edotti
sul fatto che nel lontano 1709 Paola Macaluso ebbe a prestare poche onze (si
parla del reddito su 32 onze) alla vedova di don Giuseppe del Carretto, donna
Brigida Schettini. La vedova lasciò insoluti i suoi debiti. Nel 1736, subito
dopo l’avvento di Carlo IV [VII] di
Borbone (15 maggio 1734 - ag. 1759), Paola Macaluso, personaggio non meglio
identificato, riattizza un processo civile - insufflata evidentemente dal duca
Luigi Gaetani - pretendendo nientemeno la contea di Racalmuto a ristoro del
antico modico prestito, che però si era rigonfiato per interessi di mora e per
ammennicoli. Le sequenze processuali sono bene ricostruite in un documento del
Fondo di Palagonia: sono dettagli che possono interessare solo studiosi di
diritto civile nel Settecento siciliano.
Paola Macaluso
Paola Macaluso la spunta sul piano processuale, ma non sa
che farsene dell’assegnata contea di Racalmuto. Allora candidamente dichiara di
avere agito in nome e per conto del duca Gaetani.
Luigi Gaetani
In tal modo il duca Luigi Gaetani viene in possesso di
Racalmuto (titolo e feudi) in data 12 aprile 1736. Come si disse, don Luigi
Gaetani non si aspettava una situazione così deteriorata come quella che
rinviene in questa sua usurpata conea.
Cerca innanzitutto di ripristinare il patto del 1580 sul
terraggio. Si dichiara “mosso da pietà per i suoi vassalli” ma le due salme di
frumento per ogni salma di terra coltivata le vuole tutte. Siamo nel 1738 ed
una controversia sorge con tutti i crismi (e con tutti i costi).
Trova pretermessi i
suoi diritti di terraggiolo sui coltivatori racalmutesi dei feudi di Aquilìa e
Cimicìa: gli abili benedettini di San Martino delle Scale di Palermo erano
risusciti a farsi confezionare un decreto di esonero dal vescovo di Agrigento.
Don Luigi Gaetani è costretto a sollevare un costoso incidente processuale.
Estrapoliamo queste note di cronaca.
Il duca
Gaetani si vanta di essersi accontentato della metà di quanto dovuto per
terraggiolo (pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis exegit). Ma ecco che i benedettini avanzano strane
pretese: vantano un esonero del 16 settembre del 1711. Ciò però non è
accettabile per una serie di ragioni giuridiche che gli abili legulei del duca
dipanano da par loro. Ecco scattare un’altra occasione di lite giudiziaria.
Siamo nel 1739.
Il 22
giugno 1741 i benedettini sono soccombenti. Le spese vengono compensate. Le
faccende racalmutesi, comunque, non sono
davvero prospere: il bilancio è deficitario.
Araldica racalmutese dopo i del Carretto
Non è
agevole far collimare quello che emerge dalla documentazione Palagonia con
quanto asserisce il Villabianca (che in ogni caso appare minuziosamente
informato).
L’arcigno
marchese ha così infatti sunteggiato il trambusto della successione della
contea di Racalmuto dai del Carretto ai Gaetani:
«estinti essi [del Carretto] in PALERMO colla
morte dell'ultimo Principe GIUSEPPE del
CARRETTO e LANZA, passa[..] detta contea nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure
crediti, delle sue doti aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716.
Se ne vede oggi investita sin dal 1747. del dì
16.Marzo la vivente Principessa di Palagonia GRAVINA Maria Gioachina GAETANI e BUGLIO, e C. di Ragalmuto, la di cui invest. per detto Stato cadde a 7.
Agosto 1735., e del titolo di essa a 12. Aprile 1736.»
Fu sua
moglie[di Giuseppe del Carretto] BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di
Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la
quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla
R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo
Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella
OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata
a Giacomo P. Lanza, il di cui figlio
ANTONINO
LANZA e SCHITTINI se ne
investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza, B.
dello Stato di Calamigna, etc.. »
Abbiamo
visto che il duca Gaetani era riuscito sin dal 1736 a divenire conte di
Racalmuto. Evidentemente il marchese di Villabianca non ne era ancora a
conoscenza quando scrisse sui Ventimiglia; lo era invece allorché pose mano al
volume sui del Carretto.
Più preciso
ci pare il San Martino de Spucches - che pure fu un diligente chiosatore del
Villabianca - e noi ne riportiamo qui le pagine sui successori dei del
Carretto:
Brigida
SCHITTINI GALLETTI, prese
investitura della Contea, Terra e Castello di Racalmuto, a 10 luglio 1716, per
la morte di Girolamo del Carretto, suo suocero ed in forza di rivendica delle
sue doti riconosciuta con sentenza resa dal Tribunale della Gran Corte (R. Cancell. IX Indiz. f. 98). Questa
Dama morendo lasciò erede dei suoi beni Olivia, sua sorella, moglie del P.pe Giacomo LANZA.
Lo Stato comprendente la Baronia, Terra e Castello di
Racalmuto, passò a Luigi Gaetano, Duca
di Valverde, che s'investì come aggiudicatario di essi beni. (R. Canc. X
Ind., f. 75). A 12 aprile
dell'anno 1736 s'investì del titolo di conte Luigi Gaetano, duca di Val verde;
egli successe come nominatario di Paola MACALUSO; questa, a sua volta, l'aveva
acquistato all'asta pubblica da mani e potere di Brigida SCHITTINI e GALLETTI
(R. Canc., XIV Ind. f. 89).
Raffaela
GAETANO BUGLIO, duchessa di
Valverde, come tutrice di Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, s'investì del
titolo di Conte di Racalmuto, a 16 marzo 1747, per le causali come di contro
(Conserv. vol. 1177, Inve.re figlio 21)
Raffaela GAETANO e BUGLIO s'investì della terra e
castello di Racalmuto, a 16 marzo 1747, come tutrice di Maria Gioacchina
GAETANO E BUGLIO, Duchessa di Valverde e C.ssa di Racalmuto; successe come
donatrice di Aloisio GAETANO SALONIA, C.te di RACALMUTO, in forza di atto in
Not. Giuseppe Buttafuoco di Palermo li 17 marzo 1742; e ciò con riserva di
usufrutto a favore del donante, durante sua vita. Quale morte si avverò in
Palermo. il 30 ottobre 1743, come risulta da fede rilasciata dalla Parrocchia
di S. Nicolò la Kalsa (Conserv., vol. 1167 Investiture f. 19 retro).
E qui
subentra in Racalmuto la potente famiglia dei Requesens. Secondo il San Martino
de Spucches abbiamo:
Giuseppe
Antonio REQUISENZ di Napoli,
P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771, della Terra, Castello e
feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza pronunziata a suo favore dal
Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per voto segreto, contro Maria
Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già c.ssa di Racalmuto; quale
sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu pubblicata, in esecuzione degli
ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno 1770 (Conserv. Reg. Invest. 1172
[o 1772?], f. 143, retro). [...] Detto
P.pe Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino Requisenz e Morso e di Giuseppa del CARRETTO. Questa Dama fu
infine figlia del Conte di Racalmuto GIROLAMO di cui è parola di sopra al n. 4.
E' da questa discendenza che i signori REQUISENZ reclamarono ed ottennero i
beni tutti ereditari della famiglia del CARRETTO. Giuseppe sposò BRANCIFORTE e
BRANCIFORTE di Ercole, P.pe di Butera e della P.ssa Caterina Branciforte
Ventimiglia (ereditiera di Butera). (Dotali in Not. Leonardo di Miceli da
Palermo 8 febbraio 1744). [...]
Francesco
REQUISENZ e BRANCIFORTE s'investì
della contea e della terra di Racalmuto a 30 gennaio 1781; successe iure
proprio come figlio primogenito ed erede di Giuseppe Antonio suddetto, morto
intestato (Conserv. vol. 1175 f. 122). E' l'ultimo investito. Sposò Marianna
BONANNO BONOMI di Giuseppe, p.pe di Cattolica; matrimonio celebrato in Palermo
a 29 gennaro 1766.
Questo P.pe di Pantelleria e Conte di Racalmuto,
Francesco, ebbe tre maschi e cinque femmine.
a) GIUSEPPE
ANTONIO primogenito, già conte di Buscemi, successo alla morte del padre e
morto senza figli in Palermo; la salma fu sepolta ai Cappuccini;
b) MICHELE secondogenito
che sposò, di anni 42, in Palermo, Stefania GALLETTI, figlia di Nicolò GALLETTI
LA GRUA, P.pe di Fiumesalato e di Eleonora ONETO e GRAVINA (Sperlinga), già
vedova di Luigi NASELLI ALLIATA, primogenito di Baldassare, P.pe di Aragona. E
ciò in Palermo nella parrocchia di S. GIOVANNI dei TARTARI a 16 agosto 1814;
morì senza figli in Palermo a 6 febbraio 1834.
c) EMANUELE terzogenito,
che fu riconosciuto Cavaliere di Malta nel 1779 e fu Capitano nell'Esercito;
successe a tutti i titoli di famiglia. Morì in Palermo, a 25 marzo 1848, senza
figli.
La primogenita delle femmine del C.te Francesco si
chiamò CATERINA. Ella successe de
iure in tutti i titoli paterni. Era nata il 5 febbraio 1770. Sposò Antonio
Giuseppe REGGIO, P.pe della Catena, già vedovo di Maria Teresa VANNI. Questo
secondo matrimonio si celebrò in Palermo nella parrocchia di S. Giacomo la
Marina a 22 marzo 1794. Fu il p.pe Tesoriere generale del regno; Superiore
della compagnia della Carità in Palermo; Gran Croce dell'ordine costantiniano.
Antonia
REGGIO e REQUISENZ, fu C.ssa
di Racalmuto come figlia ed erede di Caterina, sua madre. Sposò questa nel 1823
Leopoldo GRIFEO, figlio ultimogenito
di Benedetto Maria GRIFEO del BOSCO, p.pe di Partanna e della
p.ssa Lucia MIGLIACCIO BORGIA, ereditiera Duchessa di Floridia. Era nato questi
a 17 agosto 1796; fu maggiordomo di Settimana e gentiluomo di Camera d'Entrata
nella corte di Napoli. Con sovrano decreto 11 ottobre 1823, il detto Leopoldo
fu insignito del titolo di conte. Morì il 1° agosto 1871. Da questo matrimonio
nacquero;
a) Benedetto
GRIFEO REGGIO, primogenito;
b) il C.te Giuseppe
GRIFEO REGGIO, morto celibe a Napoli;
c) la C.ssa Lucia
GRIFEO REGGIO di cui parleremo in seguito, morta a Napoli a 27 gennaio
1890.
Benedetto
GRIFEO REGGIO fu, de
jure, C.nte di Racalmuto alla morte di Antonia, sua madre; nacque nel 1824.
Sposò Eleonora STATELLA e BERIO dei P.pi di Cassaro. Morì a Napoli (Sezione di
CHIAIA) li9 maggio 1884. Fu P.pe di Pantelleria, Conte di Buscemi, ecc. ecc.
Leopoldo
GRIFEO STATELLA successe,
de jure, nel titolo suddetto, per la morte di Benedetto, suo padre; nacque li 3
giugno 1851; fu inoltre P.pe di Pantelleria, C.te di Buscemi. Sposò Maria
Francesca di LORENZO, da cui sono nate due figlie Eleonora primogenita e Lucia
secondogenita. Ebbe altresì questo conte una sorella chiamata Antonia GRIFEO
STATELLA che nacque li 3 luglio 1855; sposò li 4 febbraio 1886 il nobile
Alfonso TUFANELLI.
Francesco
D'AYALA VALVA GRIFEO fu
riconosciuto per rinnovazione con R. D. del 1900. Fu conte di Racalmuto e
nobile dei marchesi di Valva. Nacque primogenito a Napoli a 9 gennaio 1854,
dalla Contessa Lucia GRIFEO REGGIO (di
cui sopra è parola al numero 15 lettera c) e da Matteo AYALA VALVA, figlio del marchese Francesco Saverio. E' Cav.
del Sacro Militare Ordine Gerosolomitano. Non ha figli. Per i futuri chiamati
vedi l'annesso albero genealogico. Matteo
AYALA VALVA, nato in Taranto ai 30 Maggio 1818, dal marchese Francesco
Saverio e dalla Marchesa Caterina dei Duchi CAPECE PISCITELLI, prese la
carriera militare e pervenne al grado di colonnello di Cavalleria; sposò Lucia
GRIFEO dei Principi di Partanna, morta ai 27 gennaio 1890. [...]
N.B. - Dati
tratti da: La Storia dei Feudi e dei
titoli nobiliari di Sicilia dell'
Avv. Francesco SAN MARTINO de SPUCCHES - Vol. VII - Palermo Suola Tip.
"Boccone del Povero" 1929 - da quadro 783 "CONTE di
RACALMUTO" pagg. 181-188.
* *
*
Sciascia
rispolvera le sue giovanili letture del Tinebra Martorana; tiene presente anche
questa pagina araldica del S. Martino-De Spucches ed inventa un capitoletto del
suo Il Consiglio d’Egitto[6]:
«Don Gioacchino Requesens stava, tra
monsignore Airoldi e don Giuseppe Vella, ad ascoltare le mirabilie del
Consiglio di Sicilia.
«”E vi voglio leggere” disse ad un certo punto
monsignore “una cosa che vi farà piacere… Nella vostra famiglia, se non
sbaglio, avete il titolo della contea di Racalmuto…”.
«Ci viene dai del Carretto,” disse don Gioacchino “una
del Carretto è venuta in moglie…”
«Ve la voglio leggere,” disse monsignore “ve la voglio
leggere” [e qui Sciascia propina la pagina riportata dal Tinebra Martorana
relativa alla statistica araba della popolazione racalmutese del 24 gennaio
998: noi l’abbiamo sopra trascritta]
«”Interessante” disse freddamente don Gioacchino. Ci
fu un momento di imbarazzato silenzio, monsignore deluso dallo strano contegno
di don Gioacchino. […] Ma don Giuseppe aveva già afferrato la situazione: don
Gioacchino, giustamente, si preoccupava di quel che sulla contea di Racalmuto
poteva venire fuori dal Consiglio d’Egitto. »
Francamente,
non pensiamo che don Gioacchino Requesens avesse di che temere dalla penna
falsaria dell’abate Vella: erano i preti di Racalmuto a molestarlo ed in modo
davvero preoccupante. Finì che ci rimise i privilegi del mero e misto imperio
ed anche i lucrosi canoni del terraggio
e del terraggiolo.
Terraggio e
terraggiolo: atto finale
Presso
la Matrice si conserva un Liber in quo
adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum. Al n.° 292 (col. 16)
incontriamo questa dedica a D. Nicolò
Figliola: «di Grotte, domiciliato in
Racalmuto, eletto nella causa del Terragiuolo, che gli antenati inutilmente
tentarono nei tribunali contro il Signor Conte.
«Nell’anno 1783 si cominciò la
causa, e nel tempo dell’agitazione il predetto Figliola due volte si trasferì
in Napoli al R. Erario e riportò dal Sovrano, che il Conte mostrasse il titolo
dell’imposizione del terragiolo, che non poté provare, per cui sotto li 30
luglio 1787, dopo quattro anni di causa dal Tribunale si era designato il
giorno di decisione, ma il Figliola nello stesso mese, se ne morì.
«Il sudetto nel 1786 ottenne dal
Re, che questa terra di Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di
più di centinaia d’anni ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto
e dolore universale, nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco
nel convento della Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in
Palermo. 14 luglio 1787 d’anni 38.»
Al
n.° 297 (col. 17) tocca all’altro protagonista della vicenda: l’Arciprete D. Stefano Campanella, di cui si tesse
questo encomio:
«Collegiale-Economo nel 1754-1755 in
Campofranco. Successore dell’Arciprete Antonio Scaglione, fatto il concorso
nella Corte Vescovile di Girgenti nel 1756 a 19 Febbraio sotto Mons. Lucchese Palli, approvato e raccomandato alla Santità
di Papa Benedetto XIV, da cui fu eletto Arciprete Parroco con bolla emanata da
Roma 16 giugno 1756 ed in Palermo esecutoriata 8 Agosto 1756 confirmata dal
Vescovo di Girgenti 14 Agosto e l’indomani, 15, prese possesso.
«Da principio curò il ristoramento
delle Fabbriche della Chiesa. Nel 1760 fece la presente ampia Sacristia, nel
1767 compì il cappellone grande. Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro
fino, si fecero i due campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.
«Egli con altri primari del paese
incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di
Palermo e dopo quattro anni di
strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787.
“Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium
declaratur non deberi.”
«Finalmente nel 1787 in Favara fu
Visitatore eletto dalla Corte Vescovile di Girgenti per quel Collegio di Maria.
Morì compianto da tutti il 26 Aprile 1789 d’anni 60, mesi otto, giorni 2 - e di
Arcipretura anni 32, mesi 8 giorni 7.
«Fu ancora Vicario di questo
Monastero, Delegato dalla Regia Monarchia etc.»
La
vicenda del terraggio e del terraggiolo è stata oggetto di nostre
apposite ricerche, che, solo di recente
per il ritrovamento di importanti
documenti da parte del prof. Giuseppe Nalbone, abbiamo potuto approfondire:
crediamo di essere riusciti almeno in parte nell’opera di ripulitura di tante
incrostazioni ideologiche degli storici nostrani.
Di
rilievo, alcune carte della Real Segreteria del 1785 che palesano una
settecentesca controversia clerical-sociale nella nostra Racalmuto.
La politica
antibaronale del Caracciolo è fin troppo nota per sorprenderci dell’andamento
della controversia feudale di Racalmuto.
Non siamo
partigiani certamente del Principe di Lampedusa, né del sacerdote locale, don
Giuseppe Savatteri, che gli teneva bordone. Ma al di là dei meriti dei
sacerdoti Figliola e Campanella, prima rievocati, fu quella del 28 settembre 1787
una sentenza politica, giuridicamente azzardata, storicamente falsa.
Era di
sicuro un grande araldista il Requesens per lasciarsi abbindolare dai legulei
di Racalmuto. Avrà esibito i bei diplomi del 500 e del 600, tutti a suo
vantaggio, ma contro il Caracciolo naufragò.
Al di là
dell’aspetto sociale, che ci vede
dall’altra parte della barricata, siamo portati, per amore della storia locale, a credere che
il burbanzoso principe di Pantelleria avesse ragione e l’illuminista Caracciolo
sbagliasse.
Resta ancora
poco chiaro come venissero corrisposti i pesi feudali ai del Carretto, se in
natura (come i termini “terraggio” e “terraggiolo” fanno pensare) o in contanti
(come tanti atti dell’epoca lasciano intendere) o in forma mista.
Abbiamo
notato sopra le varie controversie dei Gaetani sul terraggio e sul terraggiolo.
I tribunali gli avevano dato, tutto sommato, ragione, ma erano altri tempi.
Ora, alla fine del Settecento la musica è ben altra. Ne fa le spese il buon
nome del sac. Savatteri, vilipeso imperituramente da Sciascia.
Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)
Bello, elegante, colto, raffinato,
ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia
nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia,
avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle
sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe
Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari
contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra
nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana - un
famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a
scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un
documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del
Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un
Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano
studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.
Quello sui cui il Tinebra trama è
il carteggio del Caracciolo su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che
riguarda il nostro sacerdote:
«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di
giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16
- Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo
esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del
terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la
Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche
esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie
e pratticando molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non
vedersi pur troppo soverchiati.»
Al Tinebra Martorana mancano
competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al
baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione
dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che
trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in
un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 -
Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso
i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto
per una delle sue solite tiritere anticlericali. Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun
approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia [7]:
«Ecco il rapporto di un altro
funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote
Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo
di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del
malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il
Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del
Crocifisso.
Prosegue Sciascia: «Il bello è che
dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice
criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti
gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i
lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di
Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la
politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.
D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì
nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe Savatteri e
Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come
beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della
neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le
messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle
sanzioni. Così risulta annotato in registri della confraternita.
Sciascia ed i Sant’Elia - Conclusione
Sciascia è benevolo verso i principi di Sant’Elia. Leggiamolo
assieme: «Con lui [Girolamo IV, ma rectius III] si estingueva la famiglia,
l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi di
Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande
riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il
feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque,
litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzere fa presto a passare dal
perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di
pane, ciascuno tenta di mangiare la terra del vicino ...» [8] A parte la
bellezza della trasfigurazione letteraria, si resta perplessi. Sotto il profilo
storico, non sappiamo dove abbia preso Sciascia quelle notizie sui Sant’Elia. A
noi risultano fatti, intenti e liti ben diversi da quelli sottesi nella pagina
sciasciana. Ad addentrarsi in tali meandri, il discorso porta lontano, ben
lontano dalla vicenda feudale racalmutese. Ed in questa sede c’interessa solo
il declino del baronaggio in Racalmuto. Riforma borbonica e rivoluzione francese
estinsero quell’istituto. I Sant’Elia ne furono, a loro modo, vittime.
Divennero semplici proprietari “allodiali” di terre già in enfiteusi perpetua,
sminuzzate tra tanti ex vassalli racalmutesi. Gliene venne il magro censo che
ancora all’epoca in cui Sciascia scriveva si pagava, svilito ormai per le tante
selvagge svalutazioni monetarie, non certo per bontà d’animo di quei signori.
Le loro memorie giacciono negli archivi dei tribunali e quando verranno
riesumate suoneranno condanna per quegli ultimi virgulti della decrepita
società feudale siciliana.
Tratti salienti del Settecento racalmutese
Il Settecento fu un secolo di
riforme sociali e politiche per Racalmuto: uscito dalle grinfie dei Del
Carretto – ormai totalmente decaduti per morti precoci e per debiti devastanti
– il paese subiva uno dei più grossi grovigli giuridici del tempo e cadeva
nell’ipocrita rapacità dei Gaetano. Abbiamo già detto dell’ineffabile Macaluso,
una scialba signora che si presta alle truffe feudali del duca di Naro.
Patetico quel patrizio – che con Racalmuto non aveva avuto mai nulla a che
spartire – quando, con impudenza tutta nobiliare, afferma che egli era niente
meno che “mosso da pietà per i suoi vassalli” nel reclamare le due salme di
frumento per ogni salma di terra coltivata Siamo nel 1738 allorché sorse quella
strana controversia feudale, esemplare per la storia del nostro paese. Ci si
mettono pure i monaci di Milocca (dopo Milena): imbrogliano codesti feudatari
in abito talare ed inventano privilegi da parte del vescovo di Agrigento che,
anche se con l’avallo sacrilego della curia agrigentina, sono il segno della
protervia degli sfruttatori dei lavoratori racalmutesi con quelle aberranti
pretese di terraggio e terraggiolo. In pieno Settecento, il retaggio barbarico
dello schiavismo perdura ancora a Racalmuto. E gli ecclesiastici non ne sono
certo immuni, come dimostra una controversia tra il Convento di S. Martino
delle Scale ed il duca Gaetani. A noi, invero, importa di più questa altra
lamentela del neo conte di Racalmuto: abbiamo ragguagli di prima mano sullo
stato economico e sociale del paese a cavallo del Settecento: Racalmuto era,
dunque, quel centro oppresso, angariato e pieno di debiti che il seguente
documento finisce per tratteggiare:
Ecc.mo Signore
il Ill.mo duca d. Luiggi Gaetano
possessore del Stato e terra di Recalmuto N.bus nelle sue scritture dice a V.E.
che il sudetto stato si ritrova in deputazione ed amministrazione da più anni,
il cui giudice deputato ed amministratore attualmente si ritrova l’illustre
Preside d. Casimiro Drago, e con tutto che la gabella corrente di detto stato
si trova nella più alta somma che giammai non fu il pagato, tuttavia li
creditori suggiogatarij non hanno potuto giammai ottenere l’intera annualità,
anziche nemmeno l’intera mezza annualità, tanto perché le suggiogazioni apo.te
trascendono di gran lunga l’introiti dello stato sudetto, quando ancora perché
consistendo la maggior parte delli introiti
da ... molini situati in parte di lavanchi ki ricercano ogni anno spese
considerevoli per riparo di esse lavanche oltre le vacature che si bonificano
alli gabelloti di detti molini; per quei tempi che non macinano, motivo che
riflettendo oggi il supplicante ed anche le grosse spese di salarij ed altri
che cagionando da detta deputazione, ed amministrazione onde ha considerato
l’esponente come possessore di detto stato di Regalmuto, intervenendo prima che
la maggior parte dei creditori suggiogatarij sopra detto stato gradualmente
fare abolire che a detta deputazione ed amministrazione in circostanza anche di
non potere questa sussistere a tenore degli ordini di S.E. in data 16 agosto
1735 per il quale si stabilì come la deputazione che non possono pagare a
creditori l’annualità ed offerire a detti creditori suggiogatarij per conto
delle di loro respettive suggiogazioni, di pagarli il 60 per 100 ogn’anno per
l’importo di anni dieci; nel qual tempo però si devono consentire che
l’amministrazione di detto stato resti e si faccia per l’esponente, con che per
il consenso prestando dalla maggior parte di detti creditori suggiogatarij non
se li possa dare nè inserire per detti dieci anni dalla minor parte di detti
creditori suggiogatarij veruna sorte di molestia talmente che li detti
creditori suggiogatarij in siffatta maniera vengono a conseguire ogni anno durante la suddetta decennale amministrazione dell’esponente non solamente
l’intiera mezza annualità in due .. di decembre e maggio di ogni anno, che non
hanno mai conseguito, ma anche vengono a conseguire un’altra sesta parte oltre di detti pagamenti, ed inoltre tengono
la futura speranza di conseguire doppo la suddetta decennale amministrazione
maggior somma; per il che possedendo l’esponente senza deputazione il sudetto
stato independentemente d’ogni altro potrà facilmente invigilare all’augumento
delli introiti del medesimo in beneficio anche di essi creditori, onde in vista
di tutto ciò, considerando l’esponente che abolirsi la sudetta deputazione ed
amministrazione e contentarsi la maggior parte di detti creditori suggiogatarij
.. samministri su detto stato di Recalmuto per detti anni dieci del .. con
l’obbligo di pagare a detti creditori suggiogatarij il 60 per 100 come sopra
ogn’anno e durante la sudetta decennale amministrazione dell’esponente viene à
resultare anche in beneficio delli sudetti creditori suggiogatarij. Pertanto
ricorre a V.E. e la supplica si segni servita provedere ed ordinare che
prestandosi prima il consenso della maggior parte delli creditori
suggiogatarij, che non solo si abolisca la detta deputazione, ma anche che la
minor parte delli creditori suggiogatarij, che forse non interverrà a prestare
il medesimo consenso, fosse tenuta ed obligata a concorrere colla maggior parte
di detti creditori suggiogatarij dalli quali si presterà il consenso nel modo e
forma di sopra espressati, ed acquiescerà e starà alla decennale
amministrazione in persona del supplicante con l’obligazione come sopra per il
medesimo senza che dalla detta minor parte di detti creditori suggiogatarij se
li possa dare, a riflesso del consenso
forse prestando dalla maggior parte di detti creditori suggiogatarij per il
spazio di detti dieci anni, nessuna sorte di molestia nè cancellare l’atti
fatti per la medesima deputazione seu amministrazione, come s’ha pratticato per
l’altre deputazioni fin oggi abolite;
vel ... si vorrà ordonare che sopra l’abolizione suddetta interverrà il
consenso della maggior parte delli creditori suggiogatarij ed obbligare a detta
minor parte delli creditori suggigatarii di concorrere ed acquiescere come
sopra, come il tribunale della R.G.C. della Sede Civile, a cui spetta doversi
provvedere vocatis creditoribus e in vista del consenso che si presterà per
publici documenti della maggior parte dei creditori suggiogatarij, per
resultare in beneficio delli medesimi. E ciò non ostante quasivoglia cosa che
in contrario l’ostasse o potesse ostare, etiam che fosse tale che .. se ne dovesse farre espressa ed
individuale menzione quale s’habbia ..
per la sussistenza della presente, qualmente al tutto disponendo V.E. de
plenitudine potestatis et ex certa scientia ... Datun Primo Junij 1736 ex parte
G.S.d. Joseph Chiavarello .. vocatis
creditoribus per sp: de Paternò: Die sexto settembris 1736.
Jesus Maria
Abbiamo
prima ragguagliato sull’interdetto del 1713, ora ci pare opportuno riportare
alcune annotazioni disseminate nei registri parrocchiali della Matrice.
1713
(Morti dal 1714 al 1724)
Dopo
il 28 agosto 1719:
L’interditto
fu imposto dall’Ill.mo e Rev.mo Signor D. Francesco Remirens Arc. E Vesc. di
Girgenti con il consenso della S. Sede nella Chiesa Cathedrale di Girgenti e in
tutta la Diocesi fu sciolto la domenica di Agosto al dì 27 [1719] dell’ora
vigesima seconda dal rev.mo Sig. Dr. D. Giuseppe Garucci (?) Can. Teo. E Vic.
Generale Apostolico con l’Autorità della S. Sede.
Morti 1707-1714 (Die 3 7bris 1713 VII
Ind.)
Vigilia
Sanctae Rosaliae hora vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac
terra Racalmuti.
Battesimi
1711-1716 - pag. 450.
Ad
perpetuam rei memoriam Die tertio septembris septimae inditionis 1713 Vigilia
Sanctae Rosaliae nostrae Patronae hora vigesima, fuit affixum interdictum in
Civitate Agrigenti et in eiusdem Dioecesi ab Ecc.mo et rev.mo D.no D. Francisco
Remirens Episcopo dictorum
Archipresbitero
D.re D. Frabritio Signorino 1713.
Il
Lo Brutto fu personaggio di spicco; arciprete, in simpatia delle varie autorità
vescovili, di famiglia presso l’ultimo conte Del Carretto, dispensatore di
benefici e di mozzette clericali, finì – come si disse – sepolto in Matrice,
osannato da una lapide a spese del nipote dottor Antonio Pistone:
Matrice
ex Cappella dell’Annunziata.
Monumentum
hoc mortalitatis, quod jure sacelli propriis sibi facultatibus ascito, ante
aram Virginis huius templi patronae, familia Brutto paraverat, doctor don
Antonius Pistone, hic situs, velut optimus heres, honorifico lapide, qui suos
suorumque cineres decentius conderet, exornatum curavit, votumque expletum est.
-
Kalendis Septembris MDCC - Post eius
obitum anno sexto.
(Stemma
- Pampini - leone alato ... elmo
chiomato del milite)
LE
PERSONALITA’ DI SPICCO DEL SETTECENTO RACALMUTESE
Diciamolo
subito: il secolo dei lumi è poco illuminato per intelligenze locali che in
qualche modo possano rasentare il genio: le parole del Guicciardini care a
Sciascia sulla “ricolta” di ingegni negli
stessi anni suonano ora del tutto vane. Né grandi medici, né veri pittori, e
neppure – ci dispiace per Sciascia – rimarchevoli eretici. Solo il bestemmiare
del popolino che è poi atto di fede intensa.
Per
contro abbiamo un prete in fama di santità: ma era tanto sessuofobo e sgrana
rosari che non pensiamo ci si possa troppo gloriarne. Il collegio di Maria era
un reclusorio per ragazze, figlie di sventurate, che vi venivano coatte perché
possibili «occasioni di peccato». Per vaccinare contro il vaiolo, non c’erano
medici adatti. Si mandò a Palermo un “cerusico”, un barbiere, per imparare una
tecnica un tantinello meno rudimentale. E m° Giuseppe Romano fu forse meglio
dei medici, ma sempre barbiere era. Siamo alla fine del secolo – 16 giugno
1795, dicono le cronache.
I preti lasciavano i loro beni – come nel Seicento
del resto – alle chiese forse terrorizzati per l’incombente acceso agli inferi,
per pratiche usurarie. Ma le volevano ampie e nude come il loro vacuo esistere.
Il sacerdote Pietro Signorino, dopo avere smunto il suo asse ereditario con
tanti legati, «instituisce, fa crea e nomina in sua Erede universale la
venerabile chiesa fi S. Maria del Monte». Correva l’anno del Signore 1737 (die
decima nona Septembris, prima indictio, millesimo septingentesimo trigesimo
septimo.) Si doveva vendere tutto – “formenti, orzi, ligumi, superlettili ed
arnesi di casa – ed il ricavato, con il denaro dell’asse, andava speso «nella
fabrica della detta ven. Chiesa di S. Maria del Monte.» Ed il pio e talare
testatore soggiunge: «li frutti annuatim si
[1] )
AA.VV., Leonardo Sciascia ed il
Settecento in Sicilia, Caltanissetta 1998, p. 5.
[2] ) ibidem, p. 9.
[3] ) Leonardo SCIASCIA Le parrocchie
di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 21.
[5] )
PARTE II. libro I - DELLA SICILIA NOBILE [VILLA BIANCA] VENTIMIGLIA -
TERRA BARONALE, pag. 74 e segg.
[6] ) Leonardo Sciascia, Il consiglio d’Egitto, Adelphi, Milano 1989, pp. 64-66
[7] )
Leonardo SCIASCIA, Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag.
21.
[8] ) Leonardo SCIASCIA Le
parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 19.
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