lunedì 21 aprile 2014

Racalmuto nel Settecento


VOLUME SECONDO

 

STORIA DI RACALMUTO

 

DAL SETTECENTO AI NOSTRI GIORNI

 

IL SECOLO DEI LUMI

 

Premessa

 

Siamo giunti al ‘Settecento: il secolo dei lumi, quello tanto caro a Sciascia, quello di Voltaire cui lo scrittore ammiccava persino quando intese stroncare il pio p. Morreale che si era permesso di cercare la verità storica della venuta della Madonna del Monte, quel secolo, dunque, passa per Racalmuto senza propri eretici, con stravolgimenti tutti interni alla vicenda araldica dei successori dei Del Carretto, con l’equivoco del terraggiolo, con vicende insomma tutte minime, tutte paesane, tutte antieroiche, “non narrabili”, direbbe Amérigo Castro.

Per celebrare Sciascia alle prese col XVIII secolo, la omonima Fondazione invita nel 1996 storici, letterati e cattedratici a Racalmuto. Veniamo a sapere da Antonio Grado che la domanda del Caracciolo: «Come si può essere siciliani?» può attanagliarsi allo Scrittore come «un’affermazione, un disincantato epitaffio, che attraversa come un liet-motiv, come una frase musicale ossessivamente reiterata nella partitura di un requiem, l’intera opera di Leonardo Sciascia: dal Consiglio d’Egitto a Fatti diversi di storia letteraria e civile. E proviene, quella domanda, o meglio quella sconsolata constatazione, dal «secolo educatore», o meglio dal Settecento siciliano di Meli e Tempio, di Gregorio e Cagliostro, di Vella e Di Blasi, di Matteo Lo Vecchio e del Marchese di Villabianca: dunque, da un grumo di contraddizioni, di eresie e di raggiri, di speranze accese da quei remoti «lumi» d’oltralpe, di sconfitte accumulate nella buia stiva del disincanto.» [1]

Che tutto ciò si attagli al tetro Leonardo, è pur plausibile, ma che riguardi la storia del paese di Sciascia, ne dubitiamo fortemente. Più pianamente – e significativamente – Orazio Cancila ci erudisce, dopo, [2] «Il Settecento siciliano si apre con la notizia della morte a Madrid nel novembre del 1700 di re Carlo II, causa di una lunga guerra di successione al trono spagnolo che coinvolgeva la Sicilia ponendo fine alla plurisecolare dominazione spagnola; e si chiude con la presenza a Palermo nel 1799 di re Ferdinando di Borbone, fuggito da Napoli dove era stata proclamata la Repubblica Partenopea. Cento anni nei quali la Sicilia cambiava ben quattro padroni.»

A Racalmuto, la scansione degli eventi settecenteschi può essere così schematizzata, in una sorte di quadro sinottico:

-        9 marzo 1710: muore Girolamo III del Carretto, sopravvissuto al figlio, e suo unico erede, Giuseppe del Carretto, e così si estingue la locale casata carrettesca;

-        3 settembre 1713: Die 3 7bris 1713 VII Ind.Vigilia Sanctae Rosaliae hora vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac terra Racalmuti: l’interdetto – riflesso racalmutese della sciasciana controversia liparitana – ha tragici scoramenti sui locali, per non potere più seppellire i propri morti nelle proprie chiese, che ben travalicano lo smarrimento di quel cambio di padroni, dagli spagnoli ai Savoia, che gli implicati nella politica dovettero provare, in quello stesso periodo;

-         1715: il regio commissario generale d. Domenico Damiani e Scammacca della città di Randazzo, in nome di S. Maestàdi Sua Maestà, chiama a raccolta i notai di Racalmuto e chiede il dettagliato resoconto di tutti gli atti pubblici del clero locale e dei beni delle chiese: immaginabili il terrore e  lo sgomento dei tanti nostri preti e monaci;

-        10 luglio 1716: Brigida Scittini e Galletti, vedova di Giuseppe del Carretto, si aggiudica, jure crediti, per diritto di credito dotale, la contea di Racalmuto. Chissà se la notizia giunse in paese;

-        27 agosto 1719: sospiro di sollievo: «L’interditto fu imposto dall’Ill.mo e Rev.mo Signor D. Francesco Remirens Arc. E Vesc. di Girgenti con il consenso della S. Sede nella Chiesa Cathedrale di Girgenti e in tutta la Diocesi fu sciolto la domenica di Agosto al dì 27 [1719] dell’ora vigesima seconda dal rev.mo Sig. Dr. D. Giuseppe Garucci , Can. Teo. e Vic. Generale Apostolico con l’Autorità della S. Sede.»;

-        1736: Panormi die duodecimo mensis aprilis 14 ind. 1736 Fuit prestitum juramentum debitae fidelitatis et vassallagij e pertanto servatis servandis concedatur investitura  .... tituli Comitatus Racalmuti in personam ill.s D. Aloysij Gaetano ducis Vallis Viridis. Don Luigi Gaetani  - che doveva pur rifarsi delle enormi spese sostenute in questa usurpazione feudale - non si aspettava una situazione così deteriorata come quella rinvenuta. Cerca innanzitutto di ripristinare il patto del 1580 sul terraggio. Si dichiara “mosso da pietà per i suoi vassalli” ma le due salme di frumento per ogni salma di terra coltivata le vuole tutte;

-        1738:  in quest’anno, sorge una controversia feudale su Racalmuto, con tutti i crismi (e con tutti i costi). Il duca trova pretermessi anche i suoi diritti di terraggiolo sui coltivatori racalmutesi dei feudi di Aquilìa e Cimicìa: gli abili benedettini di San Martino delle Scale di Palermo erano risusciti a farsi confezionare un decreto di esonero dal vescovo di Agrigento. Don Luigi Gaetani è costretto ad adire le vie legali: premette che è stato già magnanimo accontendandosi della  metà di quanto dovuto per terraggiolo (pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis exegit). Non può pertanto tollerare che i benedettini usufruiscano di un falso esonero, fallacemente accordato dal vescovo di Agrigento, il noto Ramirez, in data 16 settembre del 1711;

-        1741: il 22 giugno 1741 i benedettini risultano soccombenti, con compenso di spese, però;

-        1747: la contea di Racalmuto passa principessa di Palagonia Maria Gioacchina Gaetani e Buglio;

-         7.1.1754; SCIASCIA LEONARDO M.°, di m.° Giovanni ed Anna Scibetta; sposa ALFANO INNOCENZA di m.° Bartolomeo e Caterina olim fugati.  -  Matrimoni 1751-1763 - 67 – Nota: d. Albertus Avarello -- Cl. Mario Borsellino e Cl. Giuseppe Lipari, testi; furono benedetti da d. Giuseppe Pirrera; gli atti della Matrice ci ragguagliano su questo antenato di Leonardo Sciascia che va ben al di là del «nonno di suo nonno» che lo Scrittore voleva come suo capostipite racalmutese, oriundo, per giunta, da Bompensieri;

-         1755: nasce a Racalmuto il Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)  -  Sarà «bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere; questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare una impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino.»

-        1756: il 19 febbraio viene nominato arciprete di Racalmuto d. Stefano Campanella: sarà colui che passerà alla microstoria locale come l’arciprete che debellò il terraggio ed il terraggiolo;

-        1759: all’Itria viene fondata la Confraternita della Mastranza (26 luglio 1759);

-        1767: l’arciprete Campanella completa la costruzione del «cappellone grande» della Matrice;

-        1771: i Requesens si appropriano di Racalmuto il 28 gennaio 1771. Girolamo III del Carretto aveva contratto matrimonio con una Lanza di Mussomeli, di cui parla il Sorge nel suo studio su quella cittadina. La Lanza – pu avanti negli anni - riesce a partorire il figlio maschio Giuseppe, quello che premuore al padre, ed una figlia femmina i cui discendenti dopo un secolo consentono ai Requesens di impossessarsi dell’ormai esausta  contea di Racalmuto. Annota il San Martino de Spucches: «Giuseppe Antonio REQUISENZ di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771, della Terra, Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza pronunziata a suo favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per voto segreto, contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già c.ssa di Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu pubblicata, in esecuzione degli ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno 1770 (Conserv. Reg. Invest. 1172 [o 1772?], f. 143, retro).  [...] Detto P.pe Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino Requisenz e Morso e di Giuseppa del CARRETTO. Questa Dama fu infine figlia del Conte di Racalmuto GIROLAMO di cui è parola di sopra al n. 4. E' da questa discendenza che i signori REQUISENZ reclamarono ed ottennero i beni tutti ereditari della famiglia del CARRETTO;

-        1776: lo stesso arciprete continua nei lavori di abbellimento della Matrice; dicono le cronache: «Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si fecero i due campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.»;

-        1782: «E' noto - abbiamo già scritto - un reperto di grande interesse che fu trovato da tal Gaspare Vaccaro nel 1782: esso ci attesta della organizzazione esattoriale delle decime agrarie a Racalmuto da parte di Roma. Trattasi di una iscrizione latina pubblicata nel 1784 da Gabriele Lancellotto Castello, principe di Torremuzza, nel suo "Siciliae et adiacentium insularum veterum inscriptionum - nova collectio..";

-        1783: inizia la causa – intentata dal sac. Figliola presso il Tribunale di Napoli – contro il «terraggiolo»;

-         

-        1785: « Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali.  Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia [3]:«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso. Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire;

-        1785-1786 : ma è Giuseppe Tulumello ad affermarsi in paese: nel 1785-86 egli figura tra i giurati dell’Università di Racalmuto, insieme agli ottimati Lo Brutto, Scibetta, e Gambuto. Il sindaco è Antonino Grillo. Il collettore risulta don Giuseppe Amella.

-        1786: il sac. Figliola  « … ottenne dal Re, che questa terra di Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia d’anni ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto e dolore universale, nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco nel convento della Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in Palermo. 14 luglio 1787 d’anni 38.»;

-         1787: D. Stefano Campanella prosegue nella controversia antifeudale intentata dal Figliola e  così  « … con altri primari del paese incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di Palermo  e dopo quattro anni di strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787. “Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium declaratur non deberi.”;

-        1791-92 :  forte dell’ascesa dello zio sacerdote don Nicolò Tulumello, don Giuseppe di quella famiglia di gabelloti,  fa il grande salto nella scala dei valori sociali del luogo: ora il tesoriere comunale è lui. A lui la borsa. L’apice del Comune può restare agli altisonanti “magnifico rationale Impellizzieri Santo”, al “magnifico Baldassare Grillo”, al “magnifico Salvatore Lo Brutto”, a “Francesco Amella”, a “Paolo Baeri e Belmonte” - che sono sindaco e giurati -, ma è lui che tiene i cordoni della borsa e così, improvvisamente, i fogli ufficiali della Curia panormitana lo designano con il nobilitante appellativo di “don”. Finalmente! Ancora non barone come il nipote Giuseppe Saverio, ma il primo tassello, quello più difficile, è tutto nel carniere di famiglia;

-        1793: la vecchia. Gloriosa chiesa di S. Rosalia viene smantellata; era riuscita a resistere sino al  3 giugno 1793 quando viene ceduta al sac. Salvadore Grillo che ha intenzione di farne una stalla: fu barattata  dal can. Mantione in cambio di  un altare con statua alla Matrice;

-        1796: il feudo di Gibellini viene venduto con rogito del «Not. Salvatore SCIBONA di Palermo li 22 luglio 1796 a D. Giovanni SCIMONELLI, pro persona nominanda annue onze 157, tarì 14, grana 3 e piccioli 5 di censi sopra salme 57, tumoli 11 e mondelli 2 di terre, dovute sul feudo di Gibellini; e ciò per il prezzo in capitale di onze 3500 pari a lire 44.625. Il detto Scimoncelli dichiarò agli atti di Notar Giuseppe ABBATE di Palermo che il vero compratore fu il Sac. D. Nicolò TOLUMELLO. Per speciale grazia accordata dal Re a 29 aprile 1809 fu confermato lo smembramento di dette onze 157 e rotte dal feudo di GIBELLINI già effettuate senza permesso Reale (Conservatoria, libro Mercedes 1806-1808, n. 3 foglio 77)». Passeranno 13 anni prima che emerga la persona nominanda. Eccola: «D. Giuseppe Saverio TOLUMELLO» che « s'investì a 7 giugno 1809 per refuta e donazione a suo favore fatte dal Sac. D. Nicolò sudetto agli atti di Notar Gabriele Cavallaro di Ragalmuto li 22 aprile 1809 (Conservatoria, libro Investiture 1809 in poi, foglio 40). Questo titolo non esce nell'«Elenco ufficiale diffinitivo delle famiglie nobili e titolate di Sicilia» del 1902. L'interessato non ha curato farsi iscrivere e riconoscere.»;

-        1799: Il secolo dei lumi si chiude tristemente per Racalmuto: necessita il paese dei vessatori mutui della locale Comunia della Matrice – cui con sussiego accondiscende il famigerato vescovo Ramirez – onde i preposti all’Annona racalmutese possano riuscire ad approvvigionarsi delle più urgenti vettovaglie. Ecco il diploma vescovile del 23 febbraio 1799: «XAVERIUS  Rever. Archipresbitero et deputatis ...terrae Racalmuti, Salutem. Ci rappresentano codesti Giurati, Proconservatori, e Sindaco le gravi pressanti urgenze, che si sperimentano in codesta Popolazione, a segno che si teme molto della furia della Popolo perché pressato dalla fame, e dalla miseria. Onde sono in penziero di occorrere quanto si può con mutui, eccedono, e chiedono che per conto di Codesta matrice Chiesa vi sia nella Cassa una certa somma, che la reputano sufficiente ad impiegarla nelle presenti istanze, bastevole a soccorrere la indigenza comune. Noi dunque avendo in considerazione l'espressati sentimenti del Magistrato, e volendo per quanto ci sarà permesso anche aiutare codesto Publico, venghiamo colle presenti ad eccitare la vostra carità , il vostro zelo ed il vostro patrimonio acché concorriate per quanto si può a sollevarlo nelle urgenti angustie e miserie. Essendovi dunque nella Cassa la indicata somma, qualora si appronta una sufficiente bastevole fideiussione di restituirla nell'imminente Agosto e riposta in Cassa, potrete apprestarla a beneficio comune per distribuirsi in mutuo secondo le intenzioni del Magistrato. Nostro Signore vi assista. Datum Agrigenti die 23 februarii 1799. = Canonicus Thesaurarius Caracciolo Vicarius Generalis = Canonicus Trapani Cancell». [4]

 

 

-        Il Settecento a Racalmuto sorge con le diatribe tra padre e figlio degli ultimi del Carretto; cessata quella casata più o meno dannosa per il paese agrigentino, subentrano altre diatribe feudali che scariranno l’opaco svolgersi della vicenda umana dei nostri antenati in quel torno di tempo, tutto sommato sino al 1787; dopo i tempi sono tutt’altro che felici: i rampanti gabelloti sono peggiori dei loro nobili dante-causa ed in mano di questi emergenti borghesi (i Tulumello in testa, ma anche i Grillo, gli Amella, i Matrona, i Farrauto) la sorte del contado è sempre quella: triste e subalterna. A fine secolo, si verifica addirittura un fenomeno che, nella ferace terra del grano, non si era mai registrato: la fame. Vendono impegnati gli iogalia delle chiese per il panizzo quotidiano.

 

DOPO I DEL CARRETTO

 

Il seguito della storia dei del Carretto di Racalmuto mostra ombre ancora non del tutto dissolte. Noi disponiamo del testo di una procura rilasciata da don Luigi Gaetano per l’occorrente investitura della contea di Racalmuto; vi è riepilogata la faccenda della singolare acquisizione feudale: uno strano ed antigiuridico passaggio dai del Carretto ai Gaetano attraverso la popolaresca intermediazione di una tale Macaluso. L’evento poté verificarsi per il trambusto di quel periodo con quell’alternarsi dei Savoia e degli austriaci in Sicilia fino alla venuta dei Borboni.

E in un atto del 6 marzo del 1736 si raccontano le peripezie della vedova di don Giuseppe del Carretto, donna Brigida Schettini, alle prese con la curia nel tentativo di rinviare gli esborsi per l’investitura della contea di Racalmuto, cadutale addosso dopo la morte del suocero don Girolamo del Carretto.

 

 

Brigida Schittini


 

 

Il lungo tedioso documento vale solo per renderci edotti sul fatto che nel lontano 1709 Paola Macaluso ebbe a prestare poche onze (si parla del reddito su 32 onze) alla vedova di don Giuseppe del Carretto, donna Brigida Schettini. La vedova lasciò insoluti i suoi debiti. Nel 1736, subito dopo l’avvento di Carlo  IV [VII] di Borbone (15 maggio 1734 - ag. 1759), Paola Macaluso, personaggio non meglio identificato, riattizza un processo civile - insufflata evidentemente dal duca Luigi Gaetani - pretendendo nientemeno la contea di Racalmuto a ristoro del antico modico prestito, che però si era rigonfiato per interessi di mora e per ammennicoli. Le sequenze processuali sono bene ricostruite in un documento del Fondo di Palagonia: sono dettagli che possono interessare solo studiosi di diritto civile nel Settecento siciliano.

 

Paola Macaluso


 

Paola Macaluso la spunta sul piano processuale, ma non sa che farsene dell’assegnata contea di Racalmuto. Allora candidamente dichiara di avere agito in nome e per conto del duca Gaetani.

 

Luigi Gaetani


 

In tal modo il duca Luigi Gaetani viene in possesso di Racalmuto (titolo e feudi) in data 12 aprile 1736. Come si disse, don Luigi Gaetani non si aspettava una situazione così deteriorata come quella che rinviene in questa sua usurpata conea.

Cerca innanzitutto di ripristinare il patto del 1580 sul terraggio. Si dichiara “mosso da pietà per i suoi vassalli” ma le due salme di frumento per ogni salma di terra coltivata le vuole tutte. Siamo nel 1738 ed una controversia sorge con tutti i crismi (e con tutti i costi).

 Trova pretermessi i suoi diritti di terraggiolo sui coltivatori racalmutesi dei feudi di Aquilìa e Cimicìa: gli abili benedettini di San Martino delle Scale di Palermo erano risusciti a farsi confezionare un decreto di esonero dal vescovo di Agrigento. Don Luigi Gaetani è costretto a sollevare un costoso incidente processuale. Estrapoliamo queste note di cronaca.

Il duca Gaetani si vanta di essersi accontentato della metà di quanto dovuto per terraggiolo (pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis exegit).  Ma ecco che i benedettini avanzano strane pretese: vantano un esonero del 16 settembre del 1711. Ciò però non è accettabile per una serie di ragioni giuridiche che gli abili legulei del duca dipanano da par loro. Ecco scattare un’altra occasione di lite giudiziaria. Siamo nel 1739.

 

Il 22 giugno 1741 i benedettini sono soccombenti. Le spese vengono compensate. Le faccende racalmutesi, comunque,  non sono davvero prospere: il bilancio è deficitario.

 


Araldica racalmutese dopo i del Carretto


 

 

Non è agevole far collimare quello che emerge dalla documentazione Palagonia con quanto asserisce il Villabianca (che in ogni caso appare minuziosamente informato).

L’arcigno marchese ha così infatti sunteggiato il trambusto della successione della contea di Racalmuto dai del Carretto ai Gaetani:

 

 

«estinti essi [del Carretto] in PALERMO colla morte dell'ultimo Principe GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA, passa[..] detta contea nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure crediti, delle sue doti aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716.

Se ne vede oggi investita sin dal 1747. del dì 16.Marzo la vivente Principessa di Palagonia GRAVINA Maria Gioachina GAETANI e BUGLIO, e C. di Ragalmuto, la di cui invest. per detto Stato cadde a 7. Agosto 1735., e del titolo di essa a 12. Aprile 1736.»

 

Ma in altra parte della sua opera [5] , il Villabianca è discorde con sé stesso:

 

Fu sua  moglie[di Giuseppe del Carretto]  BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a Giacomo  P. Lanza, il di cui figlio

 

ANTONINO LANZA e SCHITTINI se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza, B. dello Stato di Calamigna, etc.. »

 

Abbiamo visto che il duca Gaetani era riuscito sin dal 1736 a divenire conte di Racalmuto. Evidentemente il marchese di Villabianca non ne era ancora a conoscenza quando scrisse sui Ventimiglia; lo era invece allorché pose mano al volume sui del Carretto.

Più preciso ci pare il San Martino de Spucches - che pure fu un diligente chiosatore del Villabianca - e noi ne riportiamo qui le pagine sui successori dei del Carretto:

 

 

 

Brigida SCHITTINI GALLETTI, prese investitura della Contea, Terra e Castello di Racalmuto, a 10 luglio 1716, per la morte di Girolamo del Carretto, suo suocero ed in forza di rivendica delle sue doti riconosciuta con sentenza resa dal Tribunale della Gran Corte (R. Cancell. IX Indiz. f. 98). Questa Dama morendo lasciò erede dei suoi beni Olivia, sua sorella, moglie del P.pe Giacomo LANZA.

 

Lo Stato comprendente la Baronia, Terra e Castello di Racalmuto, passò a Luigi Gaetano, Duca di Valverde, che s'investì come aggiudicatario di essi beni. (R. Canc. X Ind., f. 75). A 12 aprile dell'anno 1736 s'investì del titolo di conte Luigi Gaetano, duca di Val verde; egli successe come nominatario di Paola MACALUSO; questa, a sua volta, l'aveva acquistato all'asta pubblica da mani e potere di Brigida SCHITTINI e GALLETTI (R. Canc., XIV Ind. f. 89).

 

Raffaela GAETANO BUGLIO, duchessa di Valverde, come tutrice di Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, s'investì del titolo di Conte di Racalmuto, a 16 marzo 1747, per le causali come di contro (Conserv. vol. 1177, Inve.re figlio 21)

 

Raffaela GAETANO e BUGLIO s'investì della terra e castello di Racalmuto, a 16 marzo 1747, come tutrice di Maria Gioacchina GAETANO E BUGLIO, Duchessa di Valverde e C.ssa di Racalmuto; successe come donatrice di Aloisio GAETANO SALONIA, C.te di RACALMUTO, in forza di atto in Not. Giuseppe Buttafuoco di Palermo li 17 marzo 1742; e ciò con riserva di usufrutto a favore del donante, durante sua vita. Quale morte si avverò in Palermo. il 30 ottobre 1743, come risulta da fede rilasciata dalla Parrocchia di S. Nicolò la Kalsa (Conserv., vol. 1167 Investiture f. 19 retro).

 

E qui subentra in Racalmuto la potente famiglia dei Requesens. Secondo il San Martino de Spucches abbiamo:

Giuseppe Antonio REQUISENZ di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771, della Terra, Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza pronunziata a suo favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per voto segreto, contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già c.ssa di Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu pubblicata, in esecuzione degli ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno 1770 (Conserv. Reg. Invest. 1172 [o 1772?], f. 143, retro).  [...] Detto P.pe Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino Requisenz e Morso e di Giuseppa del CARRETTO. Questa Dama fu infine figlia del Conte di Racalmuto GIROLAMO di cui è parola di sopra al n. 4. E' da questa discendenza che i signori REQUISENZ reclamarono ed ottennero i beni tutti ereditari della famiglia del CARRETTO. Giuseppe sposò BRANCIFORTE e BRANCIFORTE di Ercole, P.pe di Butera e della P.ssa Caterina Branciforte Ventimiglia (ereditiera di Butera). (Dotali in Not. Leonardo di Miceli da Palermo 8 febbraio 1744). [...]

 

Francesco REQUISENZ e BRANCIFORTE s'investì della contea e della terra di Racalmuto a 30 gennaio 1781; successe iure proprio come figlio primogenito ed erede di Giuseppe Antonio suddetto, morto intestato (Conserv. vol. 1175 f. 122). E' l'ultimo investito. Sposò Marianna BONANNO BONOMI di Giuseppe, p.pe di Cattolica; matrimonio celebrato in Palermo a 29 gennaro 1766.

Questo P.pe di Pantelleria e Conte di Racalmuto, Francesco, ebbe tre maschi e cinque femmine.

a) GIUSEPPE ANTONIO primogenito, già conte di Buscemi, successo alla morte del padre e morto senza figli in Palermo; la salma fu sepolta ai Cappuccini;

b) MICHELE secondogenito che sposò, di anni 42, in Palermo, Stefania GALLETTI, figlia di Nicolò GALLETTI LA GRUA, P.pe di Fiumesalato e di Eleonora ONETO e GRAVINA (Sperlinga), già vedova di Luigi NASELLI ALLIATA, primogenito di Baldassare, P.pe di Aragona. E ciò in Palermo nella parrocchia di S. GIOVANNI dei TARTARI a 16 agosto 1814; morì senza figli in Palermo a 6 febbraio 1834.

c) EMANUELE terzogenito, che fu riconosciuto Cavaliere di Malta nel 1779 e fu Capitano nell'Esercito; successe a tutti i titoli di famiglia. Morì in Palermo, a 25 marzo 1848, senza figli.

La primogenita delle femmine del C.te Francesco si chiamò CATERINA. Ella successe de iure in tutti i titoli paterni. Era nata il 5 febbraio 1770. Sposò Antonio Giuseppe REGGIO, P.pe della Catena, già vedovo di Maria Teresa VANNI. Questo secondo matrimonio si celebrò in Palermo nella parrocchia di S. Giacomo la Marina a 22 marzo 1794. Fu il p.pe Tesoriere generale del regno; Superiore della compagnia della Carità in Palermo; Gran Croce dell'ordine costantiniano.

 

Antonia REGGIO e REQUISENZ, fu C.ssa di Racalmuto come figlia ed erede di Caterina, sua madre. Sposò questa nel 1823 Leopoldo GRIFEO, figlio ultimogenito di Benedetto Maria GRIFEO del BOSCO, p.pe di Partanna e della p.ssa Lucia MIGLIACCIO BORGIA, ereditiera Duchessa di Floridia. Era nato questi a 17 agosto 1796; fu maggiordomo di Settimana e gentiluomo di Camera d'Entrata nella corte di Napoli. Con sovrano decreto 11 ottobre 1823, il detto Leopoldo fu insignito del titolo di conte. Morì il 1° agosto 1871. Da questo matrimonio nacquero;

a) Benedetto GRIFEO REGGIO, primogenito;

b) il C.te Giuseppe GRIFEO REGGIO, morto celibe a Napoli;

c) la C.ssa Lucia GRIFEO REGGIO di cui parleremo in seguito, morta a Napoli a 27 gennaio 1890.

 

Benedetto GRIFEO REGGIO fu, de jure, C.nte di Racalmuto alla morte di Antonia, sua madre; nacque nel 1824. Sposò Eleonora STATELLA e BERIO dei P.pi di Cassaro. Morì a Napoli (Sezione di CHIAIA) li9 maggio 1884. Fu P.pe di Pantelleria, Conte di Buscemi, ecc. ecc.

 

Leopoldo GRIFEO STATELLA successe, de jure, nel titolo suddetto, per la morte di Benedetto, suo padre; nacque li 3 giugno 1851; fu inoltre P.pe di Pantelleria, C.te di Buscemi. Sposò Maria Francesca di LORENZO, da cui sono nate due figlie Eleonora primogenita e Lucia secondogenita. Ebbe altresì questo conte una sorella chiamata Antonia GRIFEO STATELLA che nacque li 3 luglio 1855; sposò li 4 febbraio 1886 il nobile Alfonso TUFANELLI.

 

Francesco D'AYALA VALVA GRIFEO fu riconosciuto per rinnovazione con R. D. del 1900. Fu conte di Racalmuto e nobile dei marchesi di Valva. Nacque primogenito a Napoli a 9 gennaio 1854, dalla Contessa Lucia GRIFEO REGGIO (di cui sopra è parola al numero 15 lettera c) e da Matteo AYALA VALVA, figlio del marchese Francesco Saverio. E' Cav. del Sacro Militare Ordine Gerosolomitano. Non ha figli. Per i futuri chiamati vedi l'annesso albero genealogico. Matteo AYALA VALVA, nato in Taranto ai 30 Maggio 1818, dal marchese Francesco Saverio e dalla Marchesa Caterina dei Duchi CAPECE PISCITELLI, prese la carriera militare e pervenne al grado di colonnello di Cavalleria; sposò Lucia GRIFEO dei Principi di Partanna, morta ai 27 gennaio 1890. [...]

 N.B. - Dati tratti da: La Storia dei Feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dell' Avv. Francesco SAN MARTINO de SPUCCHES - Vol. VII - Palermo Suola Tip. "Boccone del Povero" 1929 - da quadro 783 "CONTE di RACALMUTO" pagg. 181-188.

 

*    *    *

Sciascia rispolvera le sue giovanili letture del Tinebra Martorana; tiene presente anche questa pagina araldica del S. Martino-De Spucches ed inventa un capitoletto del suo Il Consiglio d’Egitto[6]:


 

«Don Gioacchino Requesens stava, tra monsignore Airoldi e don Giuseppe Vella, ad ascoltare le mirabilie del Consiglio di Sicilia.

«”E vi voglio leggere” disse ad un certo punto monsignore “una cosa che vi farà piacere… Nella vostra famiglia, se non sbaglio, avete il titolo della contea di Racalmuto…”.

«Ci viene dai del Carretto,” disse don Gioacchino “una del Carretto è venuta in moglie…”

«Ve la voglio leggere,” disse monsignore “ve la voglio leggere” [e qui Sciascia propina la pagina riportata dal Tinebra Martorana relativa alla statistica araba della popolazione racalmutese del 24 gennaio 998: noi l’abbiamo sopra trascritta]

«”Interessante” disse freddamente don Gioacchino. Ci fu un momento di imbarazzato silenzio, monsignore deluso dallo strano contegno di don Gioacchino. […] Ma don Giuseppe aveva già afferrato la situazione: don Gioacchino, giustamente, si preoccupava di quel che sulla contea di Racalmuto poteva venire fuori dal Consiglio d’Egitto. »

Francamente, non pensiamo che don Gioacchino Requesens avesse di che temere dalla penna falsaria dell’abate Vella: erano i preti di Racalmuto a molestarlo ed in modo davvero preoccupante. Finì che ci rimise i privilegi del mero e misto imperio ed anche i lucrosi canoni  del terraggio e del terraggiolo.

 

 

 

Terraggio e terraggiolo: atto finale


 

 

 

 

Presso la Matrice si conserva un Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum. Al n.° 292 (col. 16) incontriamo questa dedica a D. Nicolò Figliola: «di Grotte, domiciliato in Racalmuto, eletto nella causa del Terragiuolo, che gli antenati inutilmente tentarono nei tribunali contro il Signor Conte.

«Nell’anno 1783 si cominciò la causa, e nel tempo dell’agitazione il predetto Figliola due volte si trasferì in Napoli al R. Erario e riportò dal Sovrano, che il Conte mostrasse il titolo dell’imposizione del terragiolo, che non poté provare, per cui sotto li 30 luglio 1787, dopo quattro anni di causa dal Tribunale si era designato il giorno di decisione, ma il Figliola nello stesso mese, se ne morì.

 

«Il sudetto nel 1786 ottenne dal Re, che questa terra di Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia d’anni ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto e dolore universale, nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco nel convento della Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in Palermo. 14 luglio 1787 d’anni 38

 

Al n.° 297 (col. 17) tocca all’altro protagonista della vicenda: l’Arciprete D. Stefano Campanella, di cui si tesse questo encomio:

«Collegiale-Economo nel 1754-1755 in Campofranco. Successore dell’Arciprete Antonio Scaglione, fatto il concorso nella Corte Vescovile di Girgenti nel 1756 a 19 Febbraio sotto Mons. Lucchese Palli, approvato e raccomandato alla Santità di Papa Benedetto XIV, da cui fu eletto Arciprete Parroco con bolla emanata da Roma 16 giugno 1756 ed in Palermo esecutoriata 8 Agosto 1756 confirmata dal Vescovo di Girgenti 14 Agosto e l’indomani, 15, prese possesso.

«Da principio curò il ristoramento delle Fabbriche della Chiesa. Nel 1760 fece la presente ampia Sacristia, nel 1767 compì il cappellone grande. Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si fecero i due campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.

«Egli con altri primari del paese incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di Palermo  e dopo quattro anni di strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787. “Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium declaratur non deberi.”

 

«Finalmente nel 1787 in Favara fu Visitatore eletto dalla Corte Vescovile di Girgenti per quel Collegio di Maria. Morì compianto da tutti il 26 Aprile 1789 d’anni 60, mesi otto, giorni 2 - e di Arcipretura anni 32, mesi 8 giorni 7.

 

«Fu ancora Vicario di questo Monastero, Delegato dalla Regia Monarchia etc.»

 

 

La vicenda del terraggio e del terraggiolo è stata oggetto di nostre apposite ricerche,  che, solo di recente per  il ritrovamento di importanti documenti da parte del prof. Giuseppe Nalbone, abbiamo potuto approfondire: crediamo di essere riusciti almeno in parte nell’opera di ripulitura di tante incrostazioni ideologiche degli storici nostrani.

 

Di rilievo, alcune carte della Real Segreteria del 1785 che palesano una settecentesca controversia clerical-sociale nella nostra Racalmuto.

La politica antibaronale del Caracciolo è fin troppo nota per sorprenderci dell’andamento della controversia feudale di Racalmuto.

Non siamo partigiani certamente del Principe di Lampedusa, né del sacerdote locale, don Giuseppe Savatteri, che gli teneva bordone. Ma al di là dei meriti dei sacerdoti Figliola e Campanella, prima rievocati, fu quella del 28 settembre 1787 una sentenza politica, giuridicamente azzardata, storicamente falsa.

Era di sicuro un grande araldista il Requesens per lasciarsi abbindolare dai legulei di Racalmuto. Avrà esibito i bei diplomi del 500 e del 600, tutti a suo vantaggio, ma contro il Caracciolo naufragò.

Al di là dell’aspetto sociale,  che ci vede dall’altra parte della barricata, siamo portati,  per amore della storia locale, a credere che il burbanzoso principe di Pantelleria avesse ragione e l’illuminista Caracciolo sbagliasse.

Resta ancora poco chiaro come venissero corrisposti i pesi feudali ai del Carretto, se in natura (come i termini “terraggio” e “terraggiolo” fanno pensare) o in contanti (come tanti atti dell’epoca lasciano intendere) o in forma mista.

Abbiamo notato sopra le varie controversie dei Gaetani sul terraggio e sul terraggiolo. I tribunali gli avevano dato, tutto sommato, ragione, ma erano altri tempi. Ora, alla fine del Settecento la musica è ben altra. Ne fa le spese il buon nome del sac. Savatteri, vilipeso imperituramente da Sciascia.

Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)


 

Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.

Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.

Quello sui cui il Tinebra trama è il carteggio del Caracciolo su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che riguarda il nostro sacerdote:

«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.

«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati.»

 

Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali.  Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia [7]:

«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso.

Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.

 

D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Così risulta annotato in registri della confraternita.

 

Sciascia ed i Sant’Elia - Conclusione


 

 

 

Sciascia è benevolo verso i principi di Sant’Elia. Leggiamolo assieme: «Con lui [Girolamo IV, ma rectius III] si estingueva la famiglia, l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque, litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzere fa presto a passare dal perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di pane, ciascuno tenta di mangiare la terra del vicino ...» [8] A parte la bellezza della trasfigurazione letteraria, si resta perplessi. Sotto il profilo storico, non sappiamo dove abbia preso Sciascia quelle notizie sui Sant’Elia. A noi risultano fatti, intenti e liti ben diversi da quelli sottesi nella pagina sciasciana. Ad addentrarsi in tali meandri, il discorso porta lontano, ben lontano dalla vicenda feudale racalmutese. Ed in questa sede c’interessa solo il declino del baronaggio in Racalmuto. Riforma borbonica e rivoluzione francese estinsero quell’istituto. I Sant’Elia ne furono, a loro modo, vittime. Divennero semplici proprietari “allodiali” di terre già in enfiteusi perpetua, sminuzzate tra tanti ex vassalli racalmutesi. Gliene venne il magro censo che ancora all’epoca in cui Sciascia scriveva si pagava, svilito ormai per le tante selvagge svalutazioni monetarie, non certo per bontà d’animo di quei signori. Le loro memorie giacciono negli archivi dei tribunali e quando verranno riesumate suoneranno condanna per quegli ultimi virgulti della decrepita società feudale siciliana.

 

Tratti salienti del Settecento racalmutese


 

Il Settecento fu un secolo di riforme sociali e politiche per Racalmuto: uscito dalle grinfie dei Del Carretto – ormai totalmente decaduti per morti precoci e per debiti devastanti – il paese subiva uno dei più grossi grovigli giuridici del tempo e cadeva nell’ipocrita rapacità dei Gaetano. Abbiamo già detto dell’ineffabile Macaluso, una scialba signora che si presta alle truffe feudali del duca di Naro. Patetico quel patrizio – che con Racalmuto non aveva avuto mai nulla a che spartire – quando, con impudenza tutta nobiliare, afferma che egli era niente meno che “mosso da pietà per i suoi vassalli” nel reclamare le due salme di frumento per ogni salma di terra coltivata Siamo nel 1738 allorché sorse quella strana controversia feudale, esemplare per la storia del nostro paese. Ci si mettono pure i monaci di Milocca (dopo Milena): imbrogliano codesti feudatari in abito talare ed inventano privilegi da parte del vescovo di Agrigento che, anche se con l’avallo sacrilego della curia agrigentina, sono il segno della protervia degli sfruttatori dei lavoratori racalmutesi con quelle aberranti pretese di terraggio e terraggiolo. In pieno Settecento, il retaggio barbarico dello schiavismo perdura ancora a Racalmuto. E gli ecclesiastici non ne sono certo immuni, come dimostra una controversia tra il Convento di S. Martino delle Scale ed il duca Gaetani. A noi, invero, importa di più questa altra lamentela del neo conte di Racalmuto: abbiamo ragguagli di prima mano sullo stato economico e sociale del paese a cavallo del Settecento: Racalmuto era, dunque, quel centro oppresso, angariato e pieno di debiti che il seguente documento finisce per tratteggiare:

Ecc.mo Signore

il Ill.mo duca d. Luiggi Gaetano possessore del Stato e terra di Recalmuto N.bus nelle sue scritture dice a V.E. che il sudetto stato si ritrova in deputazione ed amministrazione da più anni, il cui giudice deputato ed amministratore attualmente si ritrova l’illustre Preside d. Casimiro Drago, e con tutto che la gabella corrente di detto stato si trova nella più alta somma che giammai non fu il pagato, tuttavia li creditori suggiogatarij non hanno potuto giammai ottenere l’intera annualità, anziche nemmeno l’intera mezza annualità, tanto perché le suggiogazioni apo.te trascendono di gran lunga l’introiti dello stato sudetto, quando ancora perché consistendo la maggior parte delli introiti  da ... molini situati in parte di lavanchi ki ricercano ogni anno spese considerevoli per riparo di esse lavanche oltre le vacature che si bonificano alli gabelloti di detti molini; per quei tempi che non macinano, motivo che riflettendo oggi il supplicante ed anche le grosse spese di salarij ed altri che cagionando da detta deputazione, ed amministrazione onde ha considerato l’esponente come possessore di detto stato di Regalmuto, intervenendo prima che la maggior parte dei creditori suggiogatarij sopra detto stato gradualmente fare abolire che a detta deputazione ed amministrazione in circostanza anche di non potere questa sussistere a tenore degli ordini di S.E. in data 16 agosto 1735 per il quale si stabilì come la deputazione che non possono pagare a creditori l’annualità ed offerire a detti creditori suggiogatarij per conto delle di loro respettive suggiogazioni, di pagarli il 60 per 100 ogn’anno per l’importo di anni dieci; nel qual tempo però si devono consentire che l’amministrazione di detto stato resti e si faccia per l’esponente, con che per il consenso prestando dalla maggior parte di detti creditori suggiogatarij non se li possa dare nè inserire per detti dieci anni dalla minor parte di detti creditori suggiogatarij veruna sorte di molestia talmente che li detti creditori suggiogatarij in siffatta maniera vengono a conseguire  ogni anno durante la suddetta decennale   amministrazione dell’esponente non solamente l’intiera mezza annualità in due .. di decembre e maggio di ogni anno, che non hanno mai conseguito, ma anche vengono a conseguire un’altra sesta parte  oltre di detti pagamenti, ed inoltre tengono la futura speranza di conseguire doppo la suddetta decennale amministrazione maggior somma; per il che possedendo l’esponente senza deputazione il sudetto stato independentemente d’ogni altro potrà facilmente invigilare all’augumento delli introiti del medesimo in beneficio anche di essi creditori, onde in vista di tutto ciò, considerando l’esponente che abolirsi la sudetta deputazione ed amministrazione e contentarsi la maggior parte di detti creditori suggiogatarij .. samministri su detto stato di Recalmuto per detti anni dieci del .. con l’obbligo di pagare a detti creditori suggiogatarij il 60 per 100 come sopra ogn’anno e durante la sudetta decennale amministrazione dell’esponente viene à resultare anche in beneficio delli sudetti creditori suggiogatarij. Pertanto ricorre a V.E. e la supplica si segni servita provedere ed ordinare che prestandosi prima il consenso della maggior parte delli creditori suggiogatarij, che non solo si abolisca la detta deputazione, ma anche che la minor parte delli creditori suggiogatarij, che forse non interverrà a prestare il medesimo consenso, fosse tenuta ed obligata a concorrere colla maggior parte di detti creditori suggiogatarij dalli quali si presterà il consenso nel modo e forma di sopra espressati, ed acquiescerà e starà alla decennale amministrazione in persona del supplicante con l’obligazione come sopra per il medesimo senza che dalla detta minor parte di detti creditori suggiogatarij se li possa dare, a riflesso del  consenso forse prestando dalla maggior parte di detti creditori suggiogatarij per il spazio di detti dieci anni, nessuna sorte di molestia nè cancellare l’atti fatti per la medesima deputazione seu amministrazione, come s’ha pratticato per l’altre deputazioni fin oggi abolite;  vel ... si vorrà ordonare che sopra l’abolizione suddetta interverrà il consenso della maggior parte delli creditori suggiogatarij ed obbligare a detta minor parte delli creditori suggigatarii di concorrere ed acquiescere come sopra, come il tribunale della R.G.C. della Sede Civile, a cui spetta doversi provvedere vocatis creditoribus e in vista del consenso che si presterà per publici documenti della maggior parte dei creditori suggiogatarij, per resultare in beneficio delli medesimi. E ciò non ostante quasivoglia cosa che in contrario l’ostasse o potesse ostare, etiam che fosse tale che  .. se ne dovesse farre espressa ed individuale menzione quale s’habbia  .. per la sussistenza della presente, qualmente al tutto disponendo V.E. de plenitudine potestatis et ex certa scientia ... Datun Primo Junij 1736 ex parte G.S.d. Joseph Chiavarello  .. vocatis creditoribus per sp: de Paternò: Die sexto settembris 1736.

Jesus Maria

 

 

Abbiamo prima ragguagliato sull’interdetto del 1713, ora ci pare opportuno riportare alcune annotazioni disseminate nei registri parrocchiali della Matrice.

 

 

1713 (Morti dal 1714 al 1724)

Dopo il 28 agosto 1719:

L’interditto fu imposto dall’Ill.mo e Rev.mo Signor D. Francesco Remirens Arc. E Vesc. di Girgenti con il consenso della S. Sede nella Chiesa Cathedrale di Girgenti e in tutta la Diocesi fu sciolto la domenica di Agosto al dì 27 [1719] dell’ora vigesima seconda dal rev.mo Sig. Dr. D. Giuseppe Garucci (?) Can. Teo. E Vic. Generale Apostolico con l’Autorità della S. Sede.

 

Morti 1707-1714 (Die 3 7bris 1713 VII Ind.)

Vigilia Sanctae Rosaliae hora vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac terra Racalmuti.

 

 

Battesimi 1711-1716 - pag. 450.

 

Ad perpetuam rei memoriam Die tertio septembris septimae inditionis 1713 Vigilia Sanctae Rosaliae nostrae Patronae hora vigesima, fuit affixum interdictum in Civitate Agrigenti et in eiusdem Dioecesi ab Ecc.mo et rev.mo D.no D. Francisco Remirens Episcopo dictorum

Archipresbitero D.re D. Frabritio Signorino 1713.

 

 

Il Lo Brutto fu personaggio di spicco; arciprete, in simpatia delle varie autorità vescovili, di famiglia presso l’ultimo conte Del Carretto, dispensatore di benefici e di mozzette clericali, finì – come si disse – sepolto in Matrice, osannato da una lapide a spese del nipote dottor Antonio Pistone:

 

Matrice ex Cappella dell’Annunziata.

 

Monumentum hoc mortalitatis, quod jure sacelli propriis sibi facultatibus ascito, ante aram Virginis huius templi patronae, familia Brutto paraverat, doctor don Antonius Pistone, hic situs, velut optimus heres, honorifico lapide, qui suos suorumque cineres decentius conderet, exornatum curavit, votumque expletum est. -

Kalendis Septembris MDCC - Post eius obitum anno sexto.

(Stemma - Pampini - leone alato  ... elmo chiomato del milite)

 

LE PERSONALITA’ DI SPICCO DEL SETTECENTO RACALMUTESE

Diciamolo subito: il secolo dei lumi è poco illuminato per intelligenze locali che in qualche modo possano rasentare il genio: le parole del Guicciardini care a Sciascia sulla  “ricolta” di ingegni negli stessi anni suonano ora del tutto vane. Né grandi medici, né veri pittori, e neppure – ci dispiace per Sciascia – rimarchevoli eretici. Solo il bestemmiare del popolino che è poi atto di fede intensa.

Per contro abbiamo un prete in fama di santità: ma era tanto sessuofobo e sgrana rosari che non pensiamo ci si possa troppo gloriarne. Il collegio di Maria era un reclusorio per ragazze, figlie di sventurate, che vi venivano coatte perché possibili «occasioni di peccato». Per vaccinare contro il vaiolo, non c’erano medici adatti. Si mandò a Palermo un “cerusico”, un barbiere, per imparare una tecnica un tantinello meno rudimentale. E m° Giuseppe Romano fu forse meglio dei medici, ma sempre barbiere era. Siamo alla fine del secolo – 16 giugno 1795, dicono le cronache.
I preti lasciavano i loro beni – come nel Seicento del resto – alle chiese forse terrorizzati per l’incombente acceso agli inferi, per pratiche usurarie. Ma le volevano ampie e nude come il loro vacuo esistere. Il sacerdote Pietro Signorino, dopo avere smunto il suo asse ereditario con tanti legati, «instituisce, fa crea e nomina in sua Erede universale la venerabile chiesa fi S. Maria del Monte». Correva l’anno del Signore 1737 (die decima nona Septembris, prima indictio, millesimo septingentesimo trigesimo septimo.) Si doveva vendere tutto – “formenti, orzi, ligumi, superlettili ed arnesi di casa – ed il ricavato, con il denaro dell’asse, andava speso «nella fabrica della detta ven. Chiesa di S. Maria del Monte.» Ed il pio e talare testatore soggiunge: «li frutti annuatim si


[1] ) AA.VV., Leonardo Sciascia ed il Settecento in Sicilia, Caltanissetta 1998, p. 5.
[2] ) ibidem, p. 9.
[3] ) Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 21.
[4] ) ARCHIVIO VESCOVILE DI AGRIGENTO - REGISTRO 1798.99 (PAG. 304-305)
 
 
[5] ) PARTE II. libro I - DELLA SICILIA NOBILE [VILLA BIANCA] VENTIMIGLIA - TERRA BARONALE, pag. 74 e segg.
[6] ) Leonardo Sciascia, Il consiglio d’Egitto, Adelphi, Milano 1989, pp. 64-66
[7] ) Leonardo SCIASCIA, Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 21.
[8] ) Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 19.

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