I
preti lasciavano i loro beni – come nel Seicento del resto – alle chiese forse
terrorizzati per l’incombente acceso agli inferi, per pratiche usurarie. Ma le
volevano ampie e nude come il loro vacuo esistere. Il sacerdote Pietro
Signorino, dopo avere smunto il suo asse ereditario con tanti legati,
«instituisce, fa crea e nomina in sua Erede universale la venerabile chiesa fi
S. Maria del Monte». Correva l’anno del Signore 1737 (die decima nona
Septembris, prima indictio, millesimo septingentesimo trigesimo septimo.) Si
doveva vendere tutto – “formenti, orzi, ligumi, superlettili ed arnesi di casa
– ed il ricavato, con il denaro dell’asse, andava speso «nella fabrica della
detta ven. Chiesa di S. Maria del Monte.» Ed il pio e talare testatore soggiunge:
«li frutti annuatim si percepiranno dalli suoi terreni stabili ed effetti
ereditarii, come delle terre, vigne, case, rendite ed altri proventi si
ritroveranno doppo la di lui morte si dovessero pure erogare dall’infrascritti
suoi fidecommissarii nella fabrica di detta Chiesa di S. Maria del Monte, e
questo fintanto che sarrà la medesima chiesa perfezionata tutta solamente di
rustico». Il prete non aveva molta fiducia nelle gerarchie ecclesiastiche, e –
non nuovo a tali tipi di astiosa riserva – vuole che non vi siano intrusioni
della «S. Sede, ovvero della Generale Curia Vescovile di Girginti né d’altra
persona.» Da escludere anche «l’Officiali della Compagnia della detta Ven.
Chiesa di S. Maria del Monte». Il Signorino ha fiducia solo nel «rev.do sac. D.
Baldassare Biondi del quondam don Francesco, del rev.do sac. D. Melchiore
Grillo e del rev. D. Elia Lauricella», sempreché agiscano «coniunctim».
Ancor oggi non si sa se il
Santuario sia rifacimento o ampliamento o – molto più probabilmente – una nuova
costruzione che venne addossata alla vecchia chiesa, divenuta sacrestia. Il
padre Morreale è molto meticoloso ed ovviamente agiografico. [1]
Propende, alla luce del testo delle disposizioni testamentarie, per una
«nuova chiesa» la cui prima pietra sarebbe stata posta il 14 agosto 1736 e
solo attorno al 1746 l’antica chiesa si sarebbe venuta «a trovarsi dentro la
nuova.» Molto disinvoltamente Internet ci propina questa imprecisa versione,
peraltro ingenerosa verso il pio testatore Signorino. Per quell’informatico,
la chiesa del Monte: «Sorge sul
poggio più alto dell'antico borgo medievale. La chiesa fu costruita nel 1738.
Già nel 500 esisteva la chiesetta di S. Lucia. All'interno è ubicata la
leggendaria statua in marmo bianco di Maria Vergine di fattura gaginesca.
Maria SS. del Monte è la compatrona e regina di Racalmuto ed ogni anno, nella
seconda settimana di Luglio, si celebra la festa in suo onore. Durante i tre
giorni della festa viene rievocata la vinuta di la madonna con
recite, cortei con cavalieri in abiti del 500 e prumisioni che
consistono nell'offerta del grano alla Madonna da portare a piedi o su
cavalli che, spronati dalla folla, devono salire lungo la scalinata che porta
al santuario. Altro momento esaltante della festa è la pigliata di lu ciliu (una sorta di cero alto
alcuni metri) che consiste nella conquista della bannera da parte di giovani borgesi scapoli. La lotta per
conquistare la bandiera è talvolta violenta, con pugni e calci da parte degli
avversari. Tutto si quieta quando uno dei borgesi afferra il drappo.»
|
Sciascia, che ebbe ad infilzare proprio il mansueto padre
Morreale, forse perché gesuita, a proposito della ricerca storica sulla venuta
della statua della Madonna del Monte, ora finge di non dargli peso per codeste
ricerche testamentarie del sacerdote Pietro Signorino. Al giovane Tinebra
Martorana aveva accordato il peso della sua autorevolezza e in un caso analogo,
quello del testamento del sacerdote Santo d’Agrò, non si era lasciato sfuggire
il destro per sardoniche bardote sul
prete in “alumbiamento”. Altrettanto poteva fare anche in questa circostanza
della Chiesa del Monte, ma se ne è astenuto. E dire che piccante poteva
risultare la ricerca del gesuita p. Morreale sulle propensioni a beneficiare
una pinzochera da parte del pio testatore. Pudicamente il gesuita annota: «nel
testamento – il padre Signorino – determinò alcuni legati a favore della
Perpetua». Invero, la preoccupazione a beneficiare Caterina d’Alberto è
pressante. «Item il sudetto testatore hà legato – si legge nel corpo delle
disposizioni testamentarie – e per ragione di legato lega à Caterina d’Alberto
sua serva una casa, prezzo e capitale di onze 10 circa, quale vuole che se li
dovesse comprare dalli ssopradetti suoi fidecommissarii» e nel codicillo, in
termini ancora più chiari anche se in latino, «item dictus codicillator ligavit
et ligat sorori Mariae de Alberto bizocchae Ordinis Sancti Dominici in saeculo
vocata Caratina eius famulae ultra illas uncias decem in dicto eius testamento
legatas tre infrascripta domus de membris et pertinentiis eius tenimenti
domorum » e passando al volgare «nempe la prima entrata, la camera ed il catoio
sotto detta camera della parte di occidente, seu della parte di San Gregorio» e
tornando al latino «de quibus quidem tribus
corporibus domorum ipsa soro Maria, habet et habere debet solum usum
exercitium». Non solo, ma «dumtaxat – cioè vita natural durante – [le si
devono] tumuli otto di frumento, un letto fornito, due tacche di tela sottile,
il mondello, due sedie di corina, la criva, la sbriga e maiella, ed alcuni
arnesi di cocina.»
Almeno,
quello svolazzo del codicillo, una funzione la esplica: dà materia per un
eventuale museo etnografico.
LA SCUOLA PITTORICA DI PIETRO D’ASARO :
IL PITTORE ANTONIO ANGELO CAPIZZI
Nel rivelo che Pietro d’Asaro fu costretto a fare, per fini
fiscali, nel 1637, viene dichiarato un tale Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo. Nostre
personali ricerche ci portato a credere che si tratti di quel Gioseppi Di
Benedetto che il 29 ottobre 1648 sposò Costanza Troisi, figlia del defunto m°
Luigi e della defunta sig.a Paola. Nei libri della matrice viene annotato: «contrassero matrimonio in casa
publice senza essere fatte le solite denunciatione a lettere del
reverendissimo Sig. V.G. date nella
citta di NARO a 22 del presente et presentate in questa terra a 28 dello
predetto mese. Questo fu celebrato con la presentia di don Francesco Sferrazza
ECONOMO presenti per testimoni don Francesco Macaluso, Giovan Battista Lo
Brutto, Petro Pistone et cl. Leonardo di Carlo et fatte le denunciatione doppo
a 28 di novembre foro in questa ma matrice benedetti per don Federico La Matina
cappellano.»
Il Di Benedetto fu certo
pittore, ma ancora non si sa molto della sua produzione artistica. Il p.
Morreale – che pure è molto circospetto – si sbilancia, a nostro avviso, un po’
troppo quando scrive [2] «Tra
i lavori fatti dal padre Farrauto c’è la sostituzione dell’altare dei santi
Crispino e Crispiniano; la tela dei due santi, opera di Giuseppe Di Benedetto,
discepolo di Pietro Asaro, fu sostituita da un bassorilievo. …» Non citandoci
la fonte, restiamo ancora nel buio. Comunque, l’attribuzione non è poi tanto
cervellotica.
Resta però singolare che durante i grandi
lavori della Matrice, il Di Benedetto non sia stato mai chiamato a collaborare,
a meno che non ostasse quel matrimonio che sembra un po’ fuori dal rigore
canonico
Il 17 novembre 1660 – e le nostre ricerche d’archivio
danno ancora vivo Giuseppe Di Benedetto – viene chiamato da Agrigento Antonio
Capizzi per “stucchiare e pingere” la
navata centrale della Matrice: il contratto prevede 29 onze di ricompensa. A
riprova ecco quello che si legge nel primo Rollo della “fabrica”:
17.11.1660 A
Antonio CAPIZZI della Città di Girgenti onze otto quali ci si pagano in conto
di onze vintinovi; si li donano per havere à stucchiare e PINGERE la nave della
matrice chiesa di questa terra come il tutto si vede alli atti di notaro
Michelangelo Morreale per atto fatto al detto di Capizzi di G. come per mandato
et apoca in notar Morreale adi 30 gennaro xjjjj a ind. 1661 appare d. -/ 8;
.
6.6.1661 Ad Antonio Capizzi d. s.a città di
Girgenti onze otto quali ci si pagano a complimento di -/ 16. in conto di onze
29. et sonno d. -/ 29. per causa che d. di Capizzi ha da stocchiare seu pingere
la nave della matrice chiesa di questa terra come il tutto si vede all'atti di notar Michelangelo
Morreale come per mandato et apoca in d. notaro adi 7. di d. appare d. --- -/
8;
5.9.1661 A Antonio CAPIZZI onze sei, quali ci si
pagano in conto di onze vintinovi; si li devono per havere à stucchiare e
PINGERE la nave di d.a matrice e sonno di -/ 6. a complimento di -/ 22. stante
dell'altri -/ 16. appare in mandati dui: uno di -/ 8. fatto sotto il di 17.
9bre xjjjj a 1660 et l'altro di altre -/ 8. sotto il di 6. di Giugno xjjjj a
sud.a 1661 come per mandato et apoca in notar Pietro Bell'homo a 15. d.;
19.1.1662 Ad Antonio Capizzi onze tre
quali si ci pagano a complimento di onze vinticinque et in conto d'onze
vintinovi si li devono per conto della fabrica della matrice come per mandato
et apoca in notar Panfilo Sferrazza a 20. d. appare;
10.2.1662
Ad Antonio Capizzi onze quattro quali si ci pagano a complimento di onze
vintinovi stante l'altri esserci stati pagati in diversi mandati come a libro
vede e sonno -/ quattro per havere à stucchiare è pingere la navi della matrice
chiesa come il tutto si vede per atti in notar Michelangelo Morreale come per
mandato et apoca in d. notaro di Sferrazza a di 10. d. appare.
Ventinove onze sono molte di più di quelle 12 che,
secondo il Tinebra (p. 144) avrebbe lasciato il rev, Santo Agrò nel 1622 per
dipingere il quadro di Maria Maddalena. Sciascia ci delizia con queste
annotazioni di costume: «A vedere un’onza nella vetrina di un numismatico ed ad
immaginarne dodici una sull’altra, anche se non sappiamo precisamente a quante
lire corrispondano nella galoppante inflazione dei nostri giorni [a circa Lit.
7.200.000 all’inizio del 2000, vorremmo pedantemente soggiungere noi, n.d.r.] una pala d’altare di un pittore
che non era Guido (Reni per i posteri, ma per i contemporanei soltanto Guido)
non possiamo dirla mal pagata.» [3] etc.
Chissà cosa avrebbe aggiunto se avesse degnato di uno sguardo questo vecchio
libro di contabilità secentesca della Matrice.
Codesto Antonio Capizzi si trova, comunque, bene a
Racalmuto; mette su famiglia e lo troviamo con una nidiata di figli ma con una
serva nella numerazione delle anime del 1664 (custodita anche questa in
Matrice):
708
|
CAPIZZI
|
ANTONINO
|
C.
|
4
|
6
|
10
|
MASTRO
|
|
GERLANDA
|
M.
|
C.
|
||||||
GASPARU
|
||||||||
PASQUA
|
||||||||
BARTOLA
|
||||||||
BARTOLOMEO
|
||||||||
GIUSEPPE
|
||||||||
ROSALIA
|
||||||||
NARDA
|
||||||||
CATARINA
|
||||||||
VENA
|
C.
|
1
|
1
|
FAMULA DI
D.O DI CAPIZZI
|
Ma non ha altro titolo di distinzione che quello di
semplice “mastro”: niente “don” dunque; se “pittore” fu, lo fu nel senso
moderno di imbianchino. Dal figlio Giuseppe nascerà il 5 maggio 1683 il pittore
Antonio Angelo Capizzi, che pittore lo fu davvero, ed anche se non può avere
praticato una qualche bottega di pittura degli eredi di Pietro D’Asaro
(Giuseppe di Benedetto era morto da tempo quando il Capizzi era ancora in
fasce) affinità stilistiche attestano una scuola racalmutese alla Pietro
d’Asaro ancora seguita un secolo dopo.
ANTONIO ANGELO CAPIZZI, PITTORE RACALMUTESE
DEL SETTECENTO
Dobbiamo al libro di padre Adamo [4] la
nostra piacevole scoperta che racalmutesse fosse Antonio Capizzi che operava a
Delia di sicuro dal 1726 al 1731. Francamente non ne sapevamo nulla e reputiamo
che pochissimi lo sappiano. Di certo, nessun accenno nella pubblicistica locale
che ormai appare decisamente sovrabbondante.
Scrive il p. Adamo, parlando della chiesa
dei Carmelitani di Delia: «Aggiungasi che già dal 1712 la parrocchia si era
trasferita proprio in questa chiesa, per la ricostruzione della Matrice, e vi
rimase fino al 1737. Le date rinvenute vengono a confermare quanto detto. La
più antica è il 1731. Si trova fra gli stucchi dell’arco maggiore, accanto al
grande affresco della natività di Maria: «Antonius
Capizzi Racalmutensis …Anno Salutis 1731»
Nei lavori di costruzioni del tetto e restauro del 1970, gli operai per
inavvertenza distrussero l’intonaco con la scritta. Le parole citate
costituivano parte della scritta perduta. Di grande importanza è poi la tela di
s. Pasquale Bajlon che porta data e firma dell’autore: «A.S. 1731 – Antonius Capizzi Racalmutensis pingebat – Decimoquarto
Kalendas Augusti».
A pagg. 164-165 vengono riprodotti
particolari degli stucchi attribuiti al Capizzi, molto simili, ci pare, a
quelli della Matrice che, pertanto, potrebbero essere dell’omonimo nonno,
sempreché la nostra ricostruzione genealogica sia fondata.
L’indubbia origine racalmutese del pittore
di Delia è provata da un atto di battesimo che si trova in Matrice: nacque un Antonio Angelo Capizzi
in Racalmuto il 5 maggio 1683 e fu battezzato lo stesso giorno. Il padre si
chiamava Giuseppe e la madre Santa. Dopo, non risultano altri dati anagrafici:
almeno noi non siamo ancora riusciti a trovarli. Tutto però fa pensare che si
sia trasferito da Racalmuto. Forse a Delia, ove pare sentisse profonda
nostalgia della terra nativa, tanto da firmarsi come Racalmutensis: a meno che
ciò non rifletta l’orgoglio di essere compaesano di quel Pietro d’Asaro che nel
Settecento godeva di più o meno merita fama, come comprova l’esteso elogio di
p. Fedele da S. Biagio.[5]
Non si può, poi escludere, che taluno dei
tanti quadri settecenteschi delle varie chiese di Racalmuto sia dovuto al
pennello del Capizzi. Ricerche presso l’Archivio di Stato di Agrigento e consultazioni
dei vari rolli notarili ivi conservati potranno fare uscire dall’anonimato le
varie pale di S. Giuliano o di S. Pasquale o del Carmine stesso oppure
rettificare attribuzioni disinvolte a pittori operanti in quel secolo.
Non
ci intendiamo d’arte per sbilanciarci in valutazioni estetiche: ad ogni buon
conto epigoni della scuola racalmutese di Pietro d’Asaro persistono nel pittore
di Delia con gli inceppi dell’appiattimento prospettico, la frustra tavolozza
di mero decoro, il paesaggio intruso ed alieno – come dire, per vacuo pretesto
– e la composizione prolissa che si
sfilaccia in riquadri disarmonici. E se nel caposcuola eravamo, per dirla con
Sciascia, «nell’epigonia manieristica, negli echi baroccisti e caravaggeschi»,
vi è solo lo stracco imitare, il pedestre eseguire, senza empiti, senza
passioni come l’inespressivo sguardo che sembra doversi assegnare alla
agiografica rappresentazione dei santi da venerare nei santuari. E per il
Capizzi non disponiamo – diversamente
che per l’Asaro – di allegorie profane ove, con Sciascia, potremmo rinvenire
«un che di misterioso … da disvelare.» Forse l’eco del recente interdetto,
forse la spossatezza di una religiosità soltanto canonicistica, può rinvenirsi
in Capizzi; e ciò è pur sempre preziosa testimonianza, attestato del periferico
rurale adeguarsi o attaccarsi alla vita, «come erba alla roccia».
LA PARENTESI SABAUDA E QUELLA AUSTRIACA
Se volessimo dare le coordinate degli sviluppi politici dalla fine del dominio spagnolo sulla Sicilia (1713) ed l’avvento dei Borboni (1735), dovremmo fare riferimento al trattato di Utrecht che inventa il regno sabaudo in Sicilia; alla rivolta antisovoiarda con l’assalto di Caltanissetta alle truppe sabaude in ritirata del 1718 ed al quindicennio di dominio austriaco, dal maggio del 1720 al 30 giugno 1735 quando Carlo III di Borbone giurava nel duomo di Palermo l’osservanza dei Capitoli del regno.
Il vescovo Ramirez che prima di recarsi in esilio lancia
l’interdetto che investe Racalmuto apre questo tumultuoso periodo: l’investitura
da parte dei Gaetani della contea di Racalmuto, che cadde il 7 agosto 1735 ed
il decesso dell’arciprete Filippo Algozini (20 ottobre 1735) lo chiudono sotto un duplice profilo: quello feudale, ma
in senso involutivo, visto che si ritorna ad una feudalità vessatoria che la
morte dell’ultimo conte del Carretto nel 1710 aveva di molto rilassata, e sotto
quello ecclesiastico con il ritorno agli arcipreti d’estrazione locale, molto
più legati ai loro parrocchiani. Francesco Torretta inizia una serie di
racalmutesi al vertice del locale clero (sia pure come “economo-vicario” ) che
si protrae – fatta eccezione per la scialba arcipretura di Antonio Scaglione
- sino ai nostri giorni.
Sull’interdetto del 1713 parliamo altrove. Sotto i Sabaudi si intensifica la presenza militare. Ad Agrigento c’è una Sargenzia composta, tra l’altro, da due compagnie di cavalleggeri: una a Naro e l’altra a Racalmuto, nonché da die compagnie di Fanteria a Naro ed a Sutera con 550 soldati. Il contingente di Racalmuto è di 9 cavalli e 65 fanti. L’onere finanziario ricade sulle “università” tra le quale viene ripartito il c.d. “donativo”. [6]
Col
passaggio sotto l’Austria, nel 1720 v’è un allentamento della morsa militare e
l’ordine pubblico ne risente: resta celebre il caso[7]
del bandito Raimondo Sferrazza di Grotte, tra i cui affiliati un qualche
racalmutese vi dovette essere. Lo Sferrazza fu giustiziato a Canicatti il 30
aprile 1727. Iniziò la sua attività criminale vera e propria nel 1723. Vittima
dello Sferrazza risulta tale Mariano Calci di Racalmuto.
Da Prizzi
arriva a Racalmuto il successore di d. Fabrizio Signorino: don Filippo
Algozini, che non dura più di un quinquennio. Muore nel 1735 e pare non abbia
lasciato un buon ricordo nei suoi confratelli se costoro si limitano ad
annotarne la morte sul LIBER, al n° 220 seccamente, senza alcuna
sottolineatura. Invero era stato un arciprete alquanto vivace, piuttosto
energico e sicuramente preciso ed ordinato. Ci lascia un tariffario che
illustra ad abbondanza quanto fiscale fosse la Chiesa di allora: veramente
tassava dalla culla alla tomba come abbiamo avuto modo di rappresentare una
volta in una nostra mal tollerata conferenza alla Fondazione Sciascia. I
balzelli venivano pudicamente denominati diritti
di stola; il maggior peso si aveva per i matrimoni per i quali vi è una
casistica tanto puntigliosa quanto invereconda; ecco, infatti, l’ampia gamma di
aliquote per tasse matrimoniali dovute alla locale Matrice.
1731
Tariffario dei diritti di stola per il matrimonio
celebrato in chiesa, a Racalmuto, sotto l’arciprete Algozzini, originario di Prizzi:
Sponsali 1731 al 1738
LIBER PROCLAMARUM
PRO NUPTURIENTIBUS ET ORDINIS SACRIS INSIGNIRI CUPIENTIBUS
E ANNO 1731 QUO FUI IMMISSUS
IN HAC MATRICI RACALMUTI
EGO PHILIPPUS ALGOZINI PRITIENSIS
S.T.D. ARCHIPRESBITER USQUE AD ANNUM 1770
TASSA PER L'INCARTAMENTI
se la sposa esiste in questa terra
LE SPESE SONO CIOE'
PER LETTA REGOLARE AL PARROCO DELLA TERRA DOVE
ABITA IL
SPOSO-------- T. 1
SEDE DI
DENUNCIE---------- T. 2 10 GRANI
ORDINE PER IL
COPIARI TESTES T. 1
LETTERE ALLA G.C. : T. 1
P. SOVRATASSA
DI DETTA LETTERA
NELLA QUALE
DONA LICENZA
DI
SPOSARSI T. 1
TASSA T. 3 10
GRANI
-----------
---------------------
-----------
T. 10 0
..
LETTERA
REG.RE AL PARROCO T. 0 10 GRANI
TESTI
T . 2
??
T. 1
LIC.
REGOLARE
T. 2 10 GRANI
TASSA DELLA
LETTERA DI GI.GNTI T. 10 GRANI
//
15 GRANI
----------- --------------------- -----------
T. 7 5 GRANI
SE PERO' LA
SPOSA E' FUORI PARROCCHIA
ORD. DEL
COPIARE LI TESTES T. 1
SEDE DI DENUNCIA T. 2 10
Dobbiamo però alla penna dell’Algozini un preciso inventario delle ricche suppellettili che ormai dotavano la Matrice; in più abbiamo una descrizione preziosa dell’assetto organizzativo della locale arcipretura, in uno con la raffigurazione dell’interno della chiesa dell’Annunziata, nonché con altri dati di rilievo anche socio-economico.
L’Algozini
lascia, comunque, in sospeso la questione del quadro della Maddalena che si
continua ad attribuire a Pietro d’Asaro; l’arciprete si limita ad annotare:
“Altare di S. Maria Maddalena: item il quadro con la figura di detta Santa” e
non ne indica l’autore; per lui – come per noi – l’autore è anonimo. Se una
congettura personale è permessa, tendo a credere che il quadro sia stato
commissionato dall’Agrò in prossimità del 1637 (molto dopo dunque dalla
datazione 1622 di cui a pag. 66 del Catalogo del 1985), in nome e per conto di
qualche confraternita della Matrice o della Fabbrica; consegnato agli eredi,
costoro con l’accordo del 1641, s’impegnano a sistemarlo nella già operante
Cappella della Maddalena, il cui spazio antistante viene acquisito per la
“carnalia” del sacerdote defunto e dei suoi eredi, previa destinazione alla
“Fabbrica” di un censo annuo di
un’oncia, prescelto tra i legati del sac. Santo Agrò. Singolare è il fatto che
nel 1731 si è perso il ricordo della tomba del sacerdote benefattore e
l’Algozini si limita ad annotare che «non sono sepolture sotto le predelle
dell’altari” e che in tutta la chiesa le gentilizie di specifici “patronati”
sono solo quattro ed appartengono ai « fratelli del SS. Sacramento; ai Petrozzelli, ai Lo
Brutto ed agli Acquista”». Ma già a partire dal 1654
non si rintraccia nei libri contabili della Fabbrica il cennato censo di
un’oncia dell’eredità Agrò[8].
L’elaborato algoziniano che si conserva presso l’archivio
vescovile di Agrigento ci fornisce un insostituibile spaccato della comunità
racalmutese in pieno regime austriaco. Il 28 giugno 1731, l’arciprete consegna
al visitatore pastorale un folto fascicolo di «notizie che dona il Molto Rev. Dr. Filippo Algozini archipresbitere di
detta terra, alle dimande nelle istruzioni dell’Ill.mo e Rev.mo D. Lorenzo
Gioeni, vescovo di Girgenti per la visita pastorale.» Quel celebre vescovo
era di recente nomina (con bolla pontificia dell’11 dicembre 1730, esecutoriata
in Palermo il 5 gennaio 1731) e all’inizio dell’estate è già a Racalmuto per un
controllo ficcante e pignolo. Fornisce un questionario dettagliatissimo cui
l’arciprete deve dare esaustive risposte. Una fatica improba per lui, ma buon
per noi che siamo così in grado di disporre di una stratigrafica ricognizione
della comunità di Racalmuto a quasi un terzo del Settecento.
Unica la parrocchia, ma quindici le chiese “secolari”, nove
nell’abitato e sei nelle campagne; inoltre sei sono quelle dei “regolari”. In
totale ben 21 luoghi di culto e cioè:
le n° quindici “secolari” sparse per il paese:
1. la Matrice chiesa sotto titolo della SS.ma
Annunciata ; il Rettore ed Amministratore il M.to Rdo
Archipresbitere Dr D. Filippo Algozini;
2. Oratorio del SS.mo Sacramento sotto titolo di S.
Tomaso d’Aquino, il Rettore il sud.o Dr D. Filippo
Algozini Archiprete, ed i congionti Mo Scibetta e Mo
Giuseppe di Rosa, che l’amministrano;
3. Chiesa sotto titolo di S. Maria del Monte, il Rettore
clerico coniugato Agostino Carlino, Rdo Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio
Busuito congionti, che l’amministrano;
4. Chiesa sotto titolo di S. Rosalia, amministrata dalli
Giurati di questa terra come Padroni;
5. Chiesa sotto titolo di S. Anna, il Rettore clerico
coniugato D. Calogero Sferrazza congionto a Sigismondo Borsellino e Diego
Emmanuele che l’amministrano;
6. Chiesa sotto titolo di S. Micheli Arcangelo, il
Rettore e Amministratore il Rev. Sac. D. Francesco Pistone;
7. Oratorio sotto titolo di S. Giuseppe, il Rettore Dr.
D. Giuseppe Grillo , notaio Nicolò Pumo ed Ignazio Mantione congionti;
8. Chiesa sotto titolo di S. Maria dell’Itria
amministrata dal Rev.do Sac. D. Pietro Signorino Beneficiale;
Chiesa sotto titolo di S. Nicolò di Bari amministrata
dal R.do Sac. D. Gaspare d’Agrò mansionario della Catredale di Girgenti, e per
esso dal R.do Sac. Dn Isidoro Amella procuratore.
Queste le annotazioni che riguardano le chiese di campagna,
denominate “chiese fora le Mura”:
1. Chiesa sotto titolo di S. Maria della Rocca, il
Retttore o amministratore Sac. D. Vincenzo Avarello;
2. Chiesa sotto titolo di S. Maria di Monteserrato, in
cui si celebra la povera festa dalli pij devoti;
3. Chiesa sotto titolo di S. Maria della Providenza
amministrata da D. Paolo Baeri Patrono;
4. Chiesa sotto titolo di S. Marta amministrata da Pietro
Mulè Paruzzo procuratore;
5. Chiesa sotto titolo di S. Gaetano amministrata
dall’Ill. Marchese di S. Ninfa come Padrone;
6. Chiesa sotto titolo del SS.mo Crocifisso, amministrata
dal Rev. Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano fondatore.
Dichiarato che non vi erano “cappelle ed oratori domestico”
(queste saranno di moda alla fine del Settecento e si protrarranno sino alla
seconda metà del XX secolo), ecco la descrizione dei monasteri che sono “cinque
conventi de’ regolari ed un monastero di Donne”:
1. Convento di S. Maria del Carmine;
2. Convento di S. Francesco de Padri Minori Conventuali;
3. Convento di S. Maria de Padri Minori osservanti;
4. Convento di S. Giovanni di Dio de’ PP. Fateben
fratelli;
5. Ospizio di S. Giuliano de’ PP. di S. Agostino della
Congregazione di Sicilia;
6. Monastero de Monache dell’ordine di S. Francesco.
E si precisa che all’epoca non vi erano conventi soppressi.
A Racalmuto operava un ospedale “sotto la giurisprudenza dei
Padri fatebenfratelli giusta li loro privilegi”. Non vi erano ancora monti di
pegno.
In
compenso operavano due confraternite e cinque “compagnie”.
1. Confraternità di S. Maria di Giesù, li Rettori sono
Pietro Casucci, Pietro d’Agrò, Vincenzo Missana e Giovanne Farrauto; si fanno
ogn’anno nella Prima domenica di gennaro;
2. Confraternità di S. Giuliano, li Rettori sono Giovanne
d’Alaymo, Ippolito Fucà, Giuseppe Savarino e Vito Mantione, il loro governo
dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
3. Compagnia del SS. Sacramento, Governatore il Mo
R.do D. Filippo Algozini, congionti Mo Giacinto Scibetta e Mo
Giuseppe Di Rosa, il loro governo dura tre mesi, incominciando dalla domenica
infra “octavam Corporis”;
4. Compagnia del Thaù fondata nella Chiesa di S. Anna,
Governatore D. Calogero Sferrazza, congionti Sigismondo Borsellino e Diego
Emmanuele; dura il loro officio tre mesi, incominciando dalla Domenica più
prossima all’otto che ch’incide del mese, li presenti furono fatti all’8 Giugno
1731;
5. Compagnia dell’Anime del Purgatorio fondata nella
Chiesa di S. Micheli Arcangelo, Governatore Raimondo Borcellino minore,
congionti Rev.do Sac. D. Santo Farrauto e Santo La Matina Calello; il loro
officio dura quattro mesi incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
6. Compagnia di S. Maria del Monte, Governatore Clerico
Coniugato Agostino Carlino, congionti R.do Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio
Busuito; il loro officio dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di
Settembre;
7.
Compagnia
di S. Giuseppe, Governatore Dr D. Giuseppe Grillo, congionti Notaro Pumo ed
Ignazio Mantione; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla seconda
domenica di Gennaro.
8.
Ci viene fornito un dato
anagrafico di notevolissima importanza: sapendo quanto precisi erano gli uomini
della Chiesa, possiamo essere certi che davvero a Racalmuto, nel giugno del
1731, c’erano 1200 famiglie con 5.134 anime o abitanti che dir si voglia (in
media 4,28 componenti per ogni nucleo familiare). Nutritissima la compagine
ecclesiastica: 28 sacerdoti, di cui però ammalati cronici 24. In ogni modo un
sacerdote ogni 42 famiglie oppure ogni 183 abitanti. Ecco l’elenco:
1.
Il Mo Rev. Archipresbiter Dr D.
Filippo Algozini;
2.
Il Mo Rev. D. Salvatore Lo Brutto Vicario
Foraneo;
3.
Sac. D. Filippo Cino;
4.
Sac. D. Francesco Pistone;
5.
Sac. D. MichalAngelo La Mendola;
6.
Sac. D. MichalAngelo Rao;
7.
Sac. D. Ignazio
Laudito;
8.
Sac. D. Paulo Spagnolo;
9.
Sac. D. Gerlando Carlino;
10. Sac. D. Antonino Macaluso;
11. Sac. D. Francesco Torretta;
12. Sac. D. Gaspare Casucci;
13. Sac. D. Vincenzo Casucci;
14. Sac. D. Leonardo La Matina;
15. Sac. D. Calogero Pumo;
16. Sac. D. Giovan Battista Pumo;
17. Sac. D. Antonino Mantione;
18. Sac. D. MichalAngelo Savatteri;
19. Sac. D. Isidoro Amella;
20. Sac. D. Vincenzo Avararello;
21. Sac. D. Francesco De Maria;
22. Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano;
23. Sac. D. Baldassare Biondi;
24. Sac. D. Pietro Signorino;
25. Sac. D.
Orazio Bartolotta;
26. Sac. D. Antonino d’Amico minore;
27. Sac. D. Ignazio Pumo;
28. Sac. D. Santo Farrauto.
Ma
le vocanzioni non mancavano; erano già diaconi: Melchiore Grillo ed il nostro
Servo di Dio padre Elia Lauricella. Baldassare d’Agrò aveva ricevuto l’ordine
minore del suddiaconato; c’erano 7 accoliti: Francesco Grillo; Vito Gagliano;
Vincenzo Amendola; Antonino Busuito; Giuseppe Alferi; Ludovico Amico; Diego
Martorana; semplici esorcisti: Gaetano Raspini e Grispino Tirone; giovani
lettori: Emmanuele Cavallaro; Vincenzo Alfano; Santo di Naro; Calogero Vinci;
Leonardo Castrogiovanne; un solo ostiario: chierico Ignazio Picone; i chierici
tonsurati erano Orazio Sferrazza, Francesco Savatteri e Nicolò Milano. Tutti
gli ottimati racalmutesi, o almeno quelli che cominciavano ad esserli nel
secolo dei lumi ma anche dell'irrompere di una nuova classe, quella borghese,
vi sono rappresentati. Le famiglie escluse, non sono ancora di riguardo. Tra
queste i Tulumello che poi domineranno. I Matrona mancano perché ancora non
scesi a Racalmuto.
Alcuni
signori amano essere chierici “coniugati”, forse per i benefici del Santo
Offizio: D. Domenico Grillo; D. Calogero Sferrazza; D. Paulo Baeri. Ad un
livello inferiore troviamo i chierici “coniugati” Agostino Carlino, Francesco
Farrauto e Giuseppe Chiovo.
La pletora dei sacerdoti era però
eccessiva e non tutti i ministri di Dio erano modelli di santità o almeno
disponevano di un pur ristretto bagaglio di nozioni teologiche e morali da
potere essere autorizzati al sacramento della confessione: solo cinque, oltre
all’arciprete, erano facoltizzati: il vicario Lo Brutto, uno solo dei Casucci:
Gaspare, don Francesco Torretta, don Baldassare Biondi e don Leonardo La
Matina.
E passiamo
ora ai conventi. Iniziamo dai Carmelitani.
Il priore
era un racalmutese DOC: il sacerdote padre Carlo Maria Casucci, assistito dal
sac. D. Pietro Paolo Roccella. Il padre lettore, il sac. Antonio Monticcioli
era in trasferta a Trapani. Stavano al Carmine, a beneficiare delle laute
rendite i fratelli – i “fratacchiuna” – fra Elia Salemi, Fra Angelo La Rosa e
fra Gerlando Montagna.
I
francescani conventuali erano quelli del convento di S. Francesco; dovevano
essere in quel momento in crisi: un solo sacerdote, padre Giuseppe Cimino – che
giureremmo essere di Grotte, e fra Paulo Surci (semplice “fratello”).
Non così
invece a S. Maria di Gesù: quattro sacerdoti, venuti tutti da lontana via a
godersi le tante rendite (P. Michelangelo da Lentini, P. Ludovico da Licata, P.
Giovan Battista da Mussomeli e P. Bonaventura da Canicattì) e quattro
“fratacchiuna” (fra Pasquale da Racalmuto, fra Gaetano da Cammarata, fra
Giiovanni Battista da Racalmuto e fra Geronimo da Racalmuto). Stavano al
convento attiguo alla chiesa; appartenevano all’ordine francescano dei Minori
Osservanti; coltivavano le feraci terre ove ora c’è il cimitero e sino al 1866
riuscivano a cavarne del buon vino, sia pure con alterna fortuna.
A S.
Giovanni di Dio, adibito soprattutto ad ospedale, non c’erano sacerdoti ma solo
due “fratelli”: fra Bernardo Sassi e fra Vincenzo Mercante, decisamente
forestieri. Le lamentele fatte al Papa da parte del vescovo Ramirez non erano
poi infondate.
Il convento
di S. Giuliano doveva essere chiuso da almeno mezzo secolo ed invece eccocelo
vivo e vitale – sia pure ora inquadrato nell’ordine di S. Agostino della Congregazione di Sicilia. Quanto sia ricco lo
vedremo quando commenteremo una dichiarazione dei redditi, con annesso stato
patrimoniale, del 1754. Qui dimorano tre sacerdoti (P. Agostino da Racalmuto,
P. Ignazio da Geraci e P. Anselmo da Adriano) e tre “fratelli” (fra Giuseppe da
Racalmuto, fra Agostino da Racalmuto e fra Giuseppe da Caltanissetta). I
fratelli laici dovevano sguinzagliarsi per le campagne per la “ricerca”, le
elemosine in natura, ad onta delle cospicue rendite.
Ed ora è il
turno del convento delle monache di S. Chiara. Vi pullulano ben 22 recluso, in
uno spazio che per quanto ampio costituiva una specie di carcere per donne di
diversa estrazione, di diversa età e persino di diversa cultura. Venivano
sepolte nella graziosa chiesa della Batia. Ora, il pavimento della vecchia
chiesa è ridotto a sala di conferenza. I loro resti umani vengono calpestati
senza rispetto alcuno, senza un ricorso, senza un fiore. Almeno quelle
derelitte del 1731 ricordiamole qui, con come e cognome.
L’abbadessa
era suor Domenica Rizzo ed è dubbio che fosse di Racalmuto. Le fungeva da vicaria suor Rosa Renda. Provenivano da
famiglie di spicco: suor Gesua Maria Lo Brutto, suor Maria Stella Sferrazza,
suor Maria Lanciata Di Benedetto, suor Maria Grazia Casucci, suor Maria
Crocifissa Signorino, suor Claradia Amella, suor Maria Gioacchina Brutto, suor
Angelica Maria Signorino, suor Francesca Maria Biondi, suor Maria Scolastica
Signorino; da forestieri o da famiglie non altolocate che riuscivano a
sistemare le figlie superflue tra le cosiddette clarisse, ove il pane
quotidiano era almeno assicurato: Suor Giuseppa Maria Caramella, suor Pietra
Margherita Zambito, suor Maria Serafica Zambito, suor Carla Maria Provenzano,
suor Antonia Maria Raspini.
E con loro,
le novizie Vita Vinci e Orsola Guadagnino. Tre “converse” – all’ultimo gradino
di quella opprimente gerarchica monastica – erano tutte del luogo: soro
Geronima Martorana, soro Elisabetta La Licata e soro Angela Rizzo. Un tratto di
penna dell’Algozini e poi più nulla per queste vite umane, per queste vittime
di una condizione femminile settecentesca, echeggiata appena dalla Maraini
quando ebbe a raccontare la lunga vita di Marianna Ucria. Ma qui non c’è
neppure il benessere del dominio aristocratico.
I benefizi
ecclesiastici sono appena quattro: uno è in possesso dell’arciprete e gli altri
sono semplici: quello di S. Antonio viene goduto da d. Gaspare Casucci; l’altro
di S. Maria dell’Itria da don Pietro Signorino, quello che lascerà tanto alla
chiesa del Monte; ed infine quello di S. Nicolò di Bari assegnato a don Gaspare
d’Agrò.
I mansionari, i preti salmodianti a pagamento in Matrice,
sono ancora dodici, come aveva voluto il fondatore, l’arciprete Lo Brutto e, a
scorrere la lista, ci si sorprende che autorizzati a ricevere le confessioni
sono solo d. Salvatore Lo Brutto, d. Gaspare Casucci e d. Francesco Torretta;
gli altri (don Filippo Cino, don Francesco Pistone, don Vincenzo Casucci, don
Giambattista Pumo, don Isidoro Amella, don Gerlando Carlino, don santo
Farrauto, don Antonino d’Amico e Matina e don Antonino d’Amico e Morreale) sono
bravi a cantare le ore canoniche ma non sono ritenuti all’altezza delle
confessioni, specie delle donne. Per converso don Baldassare Biondi e don
Leonardo La Matina vengono ritenuti idonei ad impartire l’assoluzione dai
peccati, ma sono per il momento tenuti lontano dai benefici economici che il
cantare Vespro e Compieta fa conseguire. Don Nardu Matina non sarà mai
beneficiale venendo a decedere nel 1733 (LIBER, n° 216); Baldassare Biondi (+
29 ottobre 1771) farà carriera, diverrà vicario foraneo e raggiungerà la
ragguardevole età di 82 anni (LIBER, n° 284).
Racalmuto non ospita eretici o scomunicati; è tutto
sommato morigerato e rispettoso della religione e dei precetti della chiesa.
L’Algozini può così rispondere all’apposito paragrafo del questionario:
1. Non vi sono scomunicati, , né sospesi, interdetti o
che non abbiano adempito la communione paschale, o non osservato le feste, né
publici usurarij, concubinarij, adulteri, solamente Lorenzo Scibetta è diviso
da sua moglie che ostinatamente abita in Aragona, Diego di Giglia da Maria sua
moglie che pure ostinatamente non lo vuole, siccome Giuseppe Lo Brutto di
Gaetana d’Anna sua moglie; né pure vi sono giocatori scandalosi né inimici;
2. Vi sono due maestri di scuola, rev.do sac. D. Calogero
Pumo ed il Diacono D. Melchiorre Grillo;
3. Quattro medici fisici dr. D. Giuseppe Grillo, dr. D.
Giuseppe Amelli, rev. Sac. D. Ignazio Pumo, ed il clerico coniugato D. Calogero
Sferrazza;
4. Chirurghi dui il clerico coniugato D. Giuseppe
Sferrazza e D. Antonino Amelle;
5. Due levatrici, Angela Rini e Maria Schillaci, ambi di
buoni costumi e sanno la forma del Battesimo.
Seguiamo ora, passo passo, come l’arciprete Algozini
descrive la Matrice:
1. Il titolo della chiesa è Maria SS.ma
dell’Annunciazione ;
2. Si celebra la festa nel giorno proprio;
3. Non vi sono abusi;
4. La chiesa non è consecrata;
5. Il Padrone è il vescovo;
6. Fu eretta alli 20 giugno 4a Ind. 1621;
7. Nella Cappella di S. Maria del Suffraggiov’è la
Liberazione dell’Anime ogni lunedì e nell’ottava de morti ad septemnium per
breve concesso dalla Stà di Benedetto XIII di fel. mem. a 17 settembre 1728 e
nessuno altare ha Padrone.
Della struttura della Chiesa
1. Questa Chiesa Matrice è construita con due ordini di
colonne, con che si forma la nave e due ali;
2. Ha semplice tetto;
3. Non dona umidità;
4. Vi sono sei finestre, cioè tre con vitriate e tre
senza;
5. delle quali entra vento;
6. le pareti della chiesa in alcune parti sono di piedre
quadrati, in alcune con incrostatura in alcune incolte;
7. senz’erbe;
8. La fabrica da pertutto ben soda;
9. senza veruna servitù;
10. v’è choro situato nell’altare maggiore dell’istesso
sito della Cappella;
11. senza sedili o stalli distinti, ma fra breve vi si
faranno ad eccitazione del detto rev. Archiprete;
12. non v’è separazione di luoco per le donne;
13. il pavimento è di gisso intiero.
Disponibili anche notizie sullo stato dell’edificio e sul
suo assetto interno:
1. Tocca alla Maramma la reparazione che ha onze 3.15.6
di rendite annue e cioè: dal sac. Isidoro Amella onze 2; dal rev.do sacerdote
don Vincenzo Casucci e consorti tarì 13.19; da Antonino di Salvo Ruggeri tarì
4.10; dagli eredi di Giovan Battista Petruzzella e consorti tarì 10.10; da
Giovanne d’Alaymo Trombetta tarì 8.5; dall’erede di Salvatore Corbo tari 8.2.
2. S’amministrano dalli quattro deputati della chiesa che
sono il rev. Archip. Dr. D. Filippo Algozini, il rev. Vicario Foraneo D.
Salvatore Lo brutto, don Francesco Pistone e don Gaspare Casucci.
L’Algozini
ci informa che «v’è dentro la Cappella del SS.mo Sacramento di questa Chiesa
Madre la compagnia del Santissomo Sacramento; l’officiali sono l’antedetto
rev.do arciprete dr. D. Filippo Algozini, M° Giacinto Scibetta e M° Giuseppe di
Rosa.» Aggiunge: «Dentro questa Matrice
chiesa non vi sono cappellanie se non le sacramentali che adesso sono il rev.do
sacerdote D. Francesco Torretta ed il rev.do sacerdote D. Leonardo La Matina.»
Abbiamo
peraltro «un beneficio di S. Antonio Abbate posesso come sopra dal rev.do sac.
Don Gaspare Casucci.» Al servizio della Matrice sono i chierici Pietro Santo
Maura e Santo di Naro: il loro stipendio e di 8 onze, quattro pagari dal rev.
Arciprete, due dalla Cappella del SS.mo Sacramento, onze 1.10 dalla Cappella di
Maria del Suffraggio e tarì 20 «d’altre tre Cappelle in ragione di tarì 6 per
una, oltre tarì 10: incirca di venti.»
Ed ecco, di estremo interesse storico, la descrizione e la
disposizione degli altari:
1. Vi sono quattordeci Altari, il Maggiore;
2. quel del venerabile;
3. della SS.ma Annunciata;
4. di S. Maria del Suffraggio;
5. del SS.mo Crocifisso;
6. di S. Vito;
7. di S. Giovan Battista;
8. di S. Leonardo;
9. di S. Antonio Abbate;
10. di S. Ignazio;
11. della Ss.ma Assunzione;
12. delli S.ti tré Reggi;
13. di S. Giuseppe;
14. di S. Maria Maddalena.
«Per quante
diligenze s’abbiano fatto – soggiunge l’arciprete – non si sa dell’erezione di
ciascheduna.» Nel dettaglio: «Sono l’altaretti conservati nello stipite e non
ve ni sono portatili; sono intieri nelli sigilli delle Reliquie; ve n’è uno
[altare] privilegiato di S. Maria del Suffraggio; nessun altare ha padrone; non
hanno rendite per suppellettili e manutenimento, se non quelli che si devono
contribuire dalli celebranti secondo la tassa e reduzione ultimamente fatta. L’altare
però di S. Ignazio ha tarì 19 annui dovuti cioè: tarì 12 da Pietro Mulè paruzzo
in virtù di contratto per l’atti di not. Michelangelo Vaccaro a 10 settembre 7a
1713, e tarì 7 dal notaio Michelangelo Vaccaro in virtù del contratto per
l’atti del quondam notaio Francesco Pumo a 11 gennaio X a ind.
1717.»
Gravano
sugli altari vari pesi per messe:
1. La cappella del SS.mo Sacramento messe n° 163;
2. Cappella della SS.ma Annunciata messe n° 58;
3. Cappella di S. Giuseppe messe n° 144;
4. Cappella delli S. Tré Reggi messe 3;
5.
Cappella di
S. Maria del Suffraggio messe n° 914.
«Oltre d’altri sei Cappellanie cotidiane trattenute dalla
detta Cappella del Suffraggio, secondo denota la Tabella in Sacrestia.»
L’inventario del Casucci.
Questo
l’arredo della chiesa e degli altari
secondo l’inventario del tempo:
«Questo è l’inventario di tutti i beni mobili
e stabili semoventi, frutti, rendite, raggioni azzioni e spese di qualsiviglia
sorte della chiesa Matrice di Racalmuto, sotto il di Primo Aprile 1731, fatto
per me D. Gaspare Casucci Economo di detta Chiesa con la presenza e
l’assistenza delli Rev.di Sac. D. Filippo Cino e D. Gerlando Carlino
previamente informati dei beni, frutti e rendite, e sono l’infrascritte:
La sudetta chiesa
Matrice è posta nella strada del Castello a frontespizio della Piazza;
ha d’un lato le case di M° Giuseppe Di Rosa e dall’altro le case della ven.le
Compagnia si S. Giuseppe.»
Qui il Casucci si addentra in una ricostruzione storica
che non sembra avvalorata dai documenti
da noi investigati. Ad ogni buon fine, quella ricostruzione casucciana la
riportiamo egualmente:
«Fu finita di fabriche l’anno 1620: benedetta
con licenza di Monsignor Vescovo di Girgenti sotto li 20 Giugno di detto anno.»
A nostro avviso, c’è qui l’abbaglio della strana ripartizione della parrocchia
tra don Vincenzo del Carretto e don Paolino d’Asaro del 1608 ed il successivo
ricongiungimento delle due parti in capo alla chiesa dell’Annunciata sotto un
unico arciprete che a noi risulta essere don Filippo Sconduto. Il Casucci non ci
pare molto ferrato nella storia della sua chiesa.
Attendibile
invece quando parla delle Cappelle, di cui curava in definitiva
l’amministrazione:
La Cappella della SS.ma Annunciata fu fondata e dotata
da D. Gaspare Lo Brutto e Leonora d’Asaro con obbligo di 58 messe. [..] Li
superlettili di detto Altare, come di tutti gli altri altari e chiese sono li
seguenti:
In primis una Cappella bianca di lama, con sue
tunicelle, casubula, cappa, stole manipoli e palio;
Item una Cappella violacea di lama, con suoi Tunicelle,
casubula, cappa, stole, manipoli e palio d’altare;
Item una cappella virde, con sue tunicelle, casubula,
cappa, stole manipoli e palio d’altare;
Item una Cappella rossa, con sue Tunicelle, casubula,
cappa, stole manipole e palio d’altare;
Item una Cappella nigra di felba [9]
con scuti ricamati, con sue tunicelle, casubula, cappa, stole manipole e palio
d’altare;
Item una casubula di stolfo russa , con sue stola e
manipole;
Item una casubula bianca d’asprino con manipola e
stola;
Item dui casubuli nigri, con suoi stole e manipoli;
Item dui casuboli violaci usati con stole e manipoli;
Item trè casubuli russi usati con stoli e manipoli;
Item una casubula bianca raccamata di seta usata con
stola e manipole;
Item una casubula verde usata con stola e manipole;
Item sei cammisi boni, cioè tre di tela d’Olanda e tre
di tela sottile, con suoi cingoli ed ammitti;
Item altri tre cammisi usuali per la giornata, con
suoi cingoli ed ammitti.
Altare maggiore
In primis un quadro di S. Pietro e Paulo di Pittura,
con cornice scartocciata indorata d’oro;
Item n° sei candilieri con suoi vasi e rami usati;
Item n° sei tabole per ornamento dell’altare, indorate
di mostura;
Item una cornice dell’altare indorata di mostura;
Item la carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;
Item due tovagli d’altare;
Item un tappito vecchio per detto altare.
L’ulteriore
precisazione che abbiamo dall’Algozini, datata 1° giugno 1731, parla anche di un dischio foderato di damasco verde usato.
Altare della SS.ma Annunciata
Item la statua della SS.ma Annunciata con l’Angelo, di
ligname indorati di mistura;
Item un Reliquario di Ligname indorato di mistura con
sue reliquie dentro;
Item due candilieri con sua croce usati;
Item una carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;
Item due tovaglie usate per l’altare;
Item una cornice indorata di mistura per detto Altare;
Item tré pialli d’altare usati;
Item un lampero di ramo.
In più,
stando all’integrazione dell’inventario da parte dell’Algozini: sei candileri con suoi vasi novi indorati di
mistura con sei rami di talco novi.
Altare di S. Maria del Suffraggio
Item un quadro di pittura con sua cornice indorata;
Item sei candileri con la croce e sei vasi;
Item sei rami usati;
Item quattro candileri piccoli;
Item una carta di gloria col’imprincipio e lavabo con
le cornici indorate di mistura;
Item Item due tovaglie d’altare;
Item un palio di seta violaceo e bianco con cornice
indorata di mistura per detto Altare;
Item un lamperi di ramo novo.
Altare del SS.mo Crocifisso
Item l’Immagine del SS.mo Crocifisso con la croce
indorata;
Item un quedretto di Maria delli Setti Dolori con sua
cornice;
Item quattro candileri con sua croce usati;
Item una carta di gloria con l’Imprincipio e lavabo; con
“concice indorata” (v. Algozini);
Item un palio d’altare di pittura con cornice
indorata, che è “di stolfo violetto e rosso con gallone d’oro, novo”
(vedi inventario del 1° giugno 1731).
Integra
l’Algozini: sei candileri con sei vasi
indorati di mistura novi; sei rami di talco stagnolati novi;
Altare di S. Vito
Item L’imagine di S. Vito di ligname;
Item una tovaglia ed un palio d’altare usati.
Altare di S. Giovanni Battista
Item un quadro
con la figura di detto santo con la cornice;
item l’imprincio e lavabo usati, item un palio di
pittura;
itemdue candilera vecchi, ed una croce senza pede.
Altare di S. Leonardo
Item un quadro con la figura di detto santo;
Item una tovaglia ed un palio di pittura;
Altare di S. Antonio Abb.
Item la statua del santo di ligname;
Item quattro candileri con sua croce e rami vecchi;
Item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
Item una tovaglia per detto altare;
Item un palio d’altare di pittura;
Item un lamperi di ramo.
Altare di S. Ignazio.
Item il quadro con sua cornice indorata di mistura;
item quattro anegli per candeleri;
item una croce usata;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
item un palio d’altare di pittura con cornice indorata
di mistura.
Altare della SS.ma Assunzione
Item il quadro con sua cornice;
item quattro candileri vecchi;
item carta di gloria con l’imprincipio e lavabo
vecchi;
item un palio d’altare di pittura con sua cornice.
Altare delli santi tre Reggi
Item il quadro di pittura;
item due candileri con sua croce
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo.
Altare di S. Giuseppe
Item la statua di detto santo con il suo Bambino di
legname indorati
Item sei candileri con suoi vasi e rami usati, e
croce;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo
item un palio d’altare di seta vecchio con sua
cornice;
item due tovaglie per detto altare.
Altare di S. Maria Maddalena.
Item il quadro con la figura di detta santa;
item sei candilera con la croce, quattro vasi e
quattrorami;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
item palio d’altare di seta con cornice indorata di
mistura.
Altare del SS.mo Sacramento
Item una custodia di marmo con suo tabernacolo
indorato. Item un Padiglione di seta violaceo con sua guarnizione d’argento;
item quattro candileri con sua croce;
item quattro vasi per li rami;
item dui tovaglie per l’altare;
item un palio d’altare di seta con sua cornice
indorata.
L’Algozini
aggiunge: due padiglioni di tela
stampata; un portaletto di damasco rosso con suo gallone d’argento usato; sei
candileri con suoi vasi e rami di talco stagnolati, una campanella nova per
servizio delle messe e due padiglionetti per l’ogli santi.
Ovvio che è la sacrestia ove sono custoditi paramenti
sacri, ornamenti vari, addobbi ed altro.
Significativo l’inventario, anche perché potrà un domani servire per un
museo parrocchiale veramente rievocativo della vita religiosa dei nostri
antenati, contadini e pii.
Item dui crocifissi per la preparazione;
item dui chiomazzelli per detta preparazione verdi
usati;
item altri dui di tela per detta preparazione;
item due coverte di tela per detta preparazione;
item uno stipo grande con altri due piccoli a lato
novi;
item due coverte per il fonte battesimale di seta
violetta con frinza ed altra di coiro con frinza, usati;
item due dischi;
item un’ombrella per il fonte battesimale;
item quattro lanterni novi;
item una coverta di tela rossa sopra la boffetta della
cridenza;
item un portale di tela per l’organo;
item una stola di stolfo rossa;
item altra stola di damasco di diversi colori;
item una fodera per l’ombrella;
item un palio d’altare dinnanzi il battisterio;
item una sponza di ramo;
ietm un lamperi di stagno;
item una pisside con il piede di ramo;
item un altro vaso a forma di pegno con il piede
d’argento per il stabile;
item un baldacchino d’asprino con li quattro asti
indorati;
item un stendardo d’aspino, con altri due palietti del
medesimo drappo;
item un ombrello del medesimo drappo d’asprino con n°
venticinque campanelli d’argento di bolla;
item altri sei palietti, cioè due di stolfo e l’altri
di diversi colori, con suoi lanterni ed asti;
item altro baldacchino bianco ed un stennardo usuali;
item altro tosollino [10]
più grande per la sfera;
item una sfera grande con il piede d’argento con la
lonetta indorata;
Item l’incensero e navetta con sua cocchiarella
d’argento;
item una sponza d’argento ;
item tre calici con piedi di ramo indorati, con tre
patene;
item altro calice con il piede d’argento con sua
patena;
item una cocchiara d’argento per il fonte battesimale;
item dui vasetti d’argento per l’oglio santo del
battesimo;
item altro vaso per l’oglio santo dell’estrema unzione;
item tre paviglionetti per il vaso del SS.mo Viatico;
item tre portaletti per la custodia;
item una tovaglia bianca di taffità con guarnazione
d’argento;
item altra tovaglia di taffità bianca vecchia;
item cinque corporali;
item n° undeci veli di calici di tutti colori usuali;
item n° dieci borze con suoi palli di diversi colori;
item cinque messali usuali;
item quattro missaletti;
item una cassetta con tre vasi di stagno con l’oglio
santo;
item un rituale e graduale vecchi;
item dui calamara di stagno con una bussola nel
battisterio;
item un particolario; item un sicchetto di ramo;
item due boffette nella sacrestia, tre cascie vecchie,
un scabello, un genuflessorio, tre tovagli di facci, dui chiomazzella di felba
russa usati, un crocifisso per il Pulpito, una cappa e tonicella neri lavorati,
item tre incerati, un tisello (o tusello v.s.) di legname, un triangolo di
ferro con cilio di cera, altro triangolo per le tenebre;
item quattro campanelli;
item una tela azola per la porta;
item tre confessionarij;
item una seggia per il SS.mo Viatico;
item un organo di cinque registri ed un polpito;
item tre trispiti;
item tre campane nel campanile, cioè una grande di sei
cantara, altra mezzana di due, ed il segno.
Si chiude qui l’inventario che reca la sottoscrizione del
sacerdote D. Gaspare Casucci, economo e quella del sacerdote D. Gerlando
Carlino.
[1] ) Girolamo M. Morreale, S.J. – Maria SS. del Monte di Racalmuto –
Racalmuto 1986, sparsim ma in particolare p. 49 e ss.
[2] ) Girolamo M. Morreale, S.J.
Maria SS. del Monte …, op. cit., p. 67.
[3] ) Leonardo Sciascia, Prolusione a Pietro d’Asaro .., cit. p.
20.
[4] ) Giuseppe Adamo, Storia di Delia dal 1596 ad oggi, Palermo 1988, pp. 163; 171 e
riproduzione policroma dopo p. 192.
[5] ) P. Fedele da S. Biagio, Dialoghi familiari sovra la pittura
col Sig. avvocato D. Pio Onorato palermitano, Palermo 1788.
[6] ) )
Il Regno di Vittorio Amedeo II di Savoia, nell’Isola di Sicilia dall’anno
MDCCXIII al MDCCXIX – Documenti raccolti e stampati per ordone della Maestà del
re d’Italia Vittorio Emanuele II – Torino, Eredi Botta 1863, pp. 304-305.
[7] ) Calogero Valenti,
Grotte – origini e vocende storiche, Grotte 1996, pp. 199-210.
[8]) Tra
le carte della Matrice è però custodito un documento che si riporta
in appendice che comprova la rendita della Cappella della Maddalena, risalente
appunto a don Santo d’Agro, che si continua apercepire ancora nel Settecento e
nell’ Ottocento.
[9] ) Drappo di seta col pelo
più lungo del velluto: felpa.
[10] ) piccolo sopraccielo,
baldaccino = dossello.
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