UN
ERGASTOLANO INVOCA ANCHE PER SÈ L’ARTICOLO 21
Articolo
21 “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con
la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione …”. Che meraviglia! Quel
senso di civiltà che esprimono queste poche parole iniziali basta per farti
sentire parte di quella civiltà espressa lì a parole, ma parole che divengono
quasi palpabili. Brillano di luce propria. I nostri Padri Costituzionalisti non
poco ingegno posero al servizio di un Paese che si era smarrito per renderlo
civile. Continuarono questi grandi uomini illuminati a sfornare articoli di
Costituzione che resero l’Italia, almeno su carta, un Paese di sani principi,
di grande moralità. Il senso di umanità dei nostri Padri fu così grande e traboccante
che nacque anche l’articolo 27: cito testualmente: “La responsabilità penale è
personale; l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna
definitiva; le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità e devono tenere alla riabilitazione del condannato; non è ammessa la
pena di morte”.
Mi
servo di quella libertà che mi dà l’art. 21 per parlare dell’art. 27. Da
condannato all’ergastolo, da uomo che ha scontato fino ad oggi 21 anni di
carcere, posso affermare la distruzione dell’articolo 27. Calpestato e
completamente ignorato è stato reso nient’altro che l’ombra di ciò che
rappresentava. Oggi, esiste la pena di morte; oggi, non esiste la rieducazione
del condannato; oggi, sei colpevole ancor prima che un processo ti dichiari
tale; oggi, tutte le pene tendono a trattamenti contrari al senso di umanità.
Ogni punto dell’articolo 27 è stato demolito. Nessuno se ne rammarichi, in
fondo, ma molto in fondo, restiamo pur sempre un paese civile.
“Non
è vero!” Qualcuno potrebbe obiettare, “la pena di morte in Italia non esiste”.
Risponderei a questo qualcuno che la mancanza di un boia non significa che non
esiste la pena capitale. Continuerei istruendo su che cosa è oggi la pena
dell’ergastolo, su come esistano due tipi di ergastolo. Il primo tipo, seppur
zoppicante, riesce ancora a trarre vantaggio da quel senso di umanità che
rappresentava l’articolo 27. L’altro tipo di ergastolo è quello ostativo ai
benefici. Ciò significa che quel “Fine Pena Mai” diviene reale, cioè fino alla
morte. Non è forse una condanna a morte questa? Sì che lo è, ancora più crudele
che se ci fosse un boia.
Scrive
Umberto Veronesi, nel Corriere della sera del 25/08/12, pag. 17: “[…] esiste,
secondo noi, anche un’altra forma di pena di morte: l’ergastolo. Si chiama
carcere «vita», ma in realtà è un modo per sopprimere la vita, perché il
carcerato non è più una persona, ma è qualcuno che sperimenta una lenta agonia,
giorno dopo giorno, fino alla fine della sua esistenza”.
Una
personale opinione del dott. Veronesi? Un suo libero pensiero forgiato magari
da una vita trascorsa a cercare come salvare vite sviluppando così una sana
ripugnanza per chi le vite le vuole sopprimere? Può darsi, ma c’è di più.
Opinioni e libertà di pensiero sono soggettivi, quindi soggetti a critiche di
chi magari la pensa diversamente. Ma non la scienza, quella non è soggettiva, è
oggettiva. Non dà spazi a opinioni, o pensieri vari. Una scoperta scientifica
rimane valida finché un’altra scoperta non l’invalida. Se ciò non accade,
quella scoperta scientifica diviene una legge scientifica; non confutabile.
Continua a scrivere il dott. Veronesi;: “[…] Le più recenti ricerche hanno dimostrato
che il nostro sistema di neuroni non è fisso e immutabile, ma è plastico e si
rigenera. Quindi il nostro cervello può rinnovarsi”.
Che
c’entra questo con il carcere a vita? Vorrei fare una deduzione logica, ma mi
limito a usare quella del dott. Veronesi che sicuramente è migliore di
qualunque deduzione possa fare io: “[…] In effetti ognuno di noi può
sperimentare come il suo modo di pensare e sentire non sia lo stesso di 10 anni
prima: ma il ragionamento ha ben più forti implicazioni a livello della giustizia,
perché il detenuto non è la stessa persona condannata 20 anni prima…”.
Come
ben si può capire, non si tratta più di semplici opinioni o pensieri espressi
ma bensì di una deduzione logica estrapolata da prove scientifiche che
dovrebbero far pensare. Non si può confutare il dott. Veronesi. Certo, si può
ignorare la verità che diffonde e continuare a far finta di nulla. Del resto,
siamo maestri in questo. Ogniqualvolta sentiamo qualcosa che non vorremmo
sentire, ignoriamo tutto. Come se ignorando il problema, il problema sparisse.
E’ proprio questo far finta di non sentire, di non capire, di ignorare il
problema che in carcere si muore e si muore di carcere. Non siamo poi così
civili come abbiamo sempre creduto e come ci hanno fatto sempre credere, se ancora
in Italia esiste una pena che uccide. Una pena di morte con vestiti
civilizzati, una pena capitale senza boia ma che uccide più della sedia
elettrica o della camera a gas.
Spero
che l’articolo 21 sia valido anche per me, per un ergastolano che dall’ombra di
una cella vuol dire la sua, nonostante una dotta ignoranza.
Alfredo
Sole
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