Ancora triste giorno per i miei affetti, per i miei ricordi:
addio cara Rosina la iridescente fanciulla di una terna diversa e simile, di
tre fioriture di inconciliabile colore da un grande ceppo familiare. Cara
Rosina La Rocca, diretto fiore di un ceppo vetusto, e benemerito saldo e
radicato da secoli nella intelligente terra di Racalmuto in contrapposto al fiero Giacomo, forte e coriaceo,
emergente, o a chi scrive ondivago nella fede e nelle lotte: tutti e tre
nell’arco di un mese quello dei fori o quello che prima lo annuncia. La mia
infanzia che muore: e qui a Roma non porto manco una rosa, una di quelle rose
maggioline che con i gigli e le margherite nel mio ricordo fioriscono nella tua
prima casa quella nei pressi di San Gregorio, prima del ponticello meta di
grandi passeggiate.
Cara Rosina altera per due splendidi figli, belli come te,
cerulei, fulvi. Mi ripete ancora mia moglie colpita del luccichio dei tuoi
occhi nell’antico San Sebastiano, ammirata del tuo grande Gigi. Quanto è bello Gigi
me, dicevi e mia moglie annuiva, mentre Gigi tuo aveva il fiorito parlare e il
dolce accento, come te, come tua madre, la grande fascinosa zia Ciccina.
Che mondo, oggi listato a nero. Come brilla questa derisa
Racalmuto. Cara Rosina ovunque tu stia ispiraci orgoglio, fierezza, gioia. E
che i tuoi figli continuino a dare lustro a questa nostra terra, a questa
grande Racalmuto. E questo sia il non funereo pensiero dolente mio
nell’abbraccio ideale ai due tuoi figlioli e al tuo dignitosissimo consorte.
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