Ripeto il mio necrologio di Padre Salvo di dieci anni fa.
Allora padre Pirrera era ancora vivo. Per questo altro prete agrigentino di impareggiabile intelligenza dovrò pur scrivere qualcosa ma mi sento impari.
Calogero Salvo, padre Calogero Salvo, noi l’abbiamo conosciuto il 10 ottobre del 1945. Era allora rettore del seminario mons. Jacolino, un prete asciutto ed arcigno, più tedesco dei tedeschi: un uomo ascetico, probo, serio e giusto; morì giovane ma in tempo per diventare vescovo.
Sfogliamo l’almanacco ecclesiastico della chiesa agrigentina del 1993, un libro pretenzioso con papa Woytjla ancora giovane, sorridente e dietro la cattedrale, non sai se araba o spagnola, medievale o borbonica, moderna o avveniristica … pensavamo di rinvenire in quell’almanacco – quando padre Salvo era maturo ma sano, esplosivo e fervente – un inno ed un osanna alla sua intelligenza, alla sua facondia, al suo acume, al suo essere originalmente prete e poeta, storico e filosofo, poeta e mistico .. ed invece deludentemente a pag. 196 solo Salvo Calogero nato a Racalmuto il 6.1.1926, ordinato il 29.6.1949, cappellano al collegio di Maria delle suore della sacra famiglia a Racalmuto, residenza eccetera, eccetera. .. Semplice successore di padre Elia Lauricella dunque e noi che le visite pastorali dell’epoca le abbiamo lette tutte (anche se in latino) sappiamo bene che padre Elia fu molto sessuofobo bigotto tutt’altro che colto, roba da monachelle insomma.
L’almanacco di mons. Vincenzo Gallo ha poco da almanaccare a gloria di padre Salvo: essere invisi alla gerarchia ecclesiastica si risolve in cocenti umiliazioni, irridenti misconoscimenti, sardonici orpelli. Mi dico e in parte ricordo che padre Salvo talora veniva dichiarato primo talora secondo nelle graduatorie del seminario vescovile di Agrigento per profitto scolastico nelle passerelle del 7 marzo giorno di S. Tommaso. Lo tallonava. Qualche volta lo superava, poi si appaiava padre Stefano Pirrera l’altro intelligente ribelle della chiesa Agrigentina degli anni 50-80. Gli altri compagni di ordinazione, mediocri o di minori livello anche se oggi appaiono prediletti dei vescovi loro sovraordinati.
Ora diamo uno sguardo all’ultimo (anzi al postumo) libro di padre Salvo “ Più luce …” E’ stato il suo grande amico ed emulo padre Pirrera a volerlo, pochi mesi dopo la morte di padre Salvo. Vi si coagula l’epifania occidua di un titanico sacerdote, di un tormentato pensatore, di un poeta iracondo, e soprattutto di un grande eretico, perché padre Salvo, sì, fu un eretico del solfifero altipiano come fra Diego La Matina, secondo ovviamente la letteraria invenzione sciasciana, e non certo come Sciascia che muore a 68 anni, con un fratello suicida – agghiacciante analogia con Ovidio e Pasolini ed anche purtroppo con padre Salvo – così come pressoché alla stessa età muore Padre Salvo (solo un anno in più). Fu eretico perseguitato (come ora la chiesa sa fare, senza sangue, senza rogo, ma con vituperosa aggressività morale). E neppure i suoi parenti capirono o seppero. Fu eretico bandito dalle blandizie delle cariche e degli incarichi. Gli fu tolto anche l’appiglio per un intimo compiacimento di immeritato martirio. La crudeltà talare ha tocchi e rintocchi di devastante perfidia. E si estingue con il male del secolo da cui credette per certo tempo di essere guarito per speciale grazia della sua fida Madonna del M onte: tragico autoinganno.
Corse allora composto alla morte, fidente ed orante come esangue anacoreta di vetusto tempo.
Il vescovo ebbe apprezzamenti solo per tale erioca disperata morte. Scriveva Sciascia: chi dice che la speranza è l’ultima a morire? E’ la morte l’ultima speranza. Ma il presule non ebbe destro d’accorgersene.
Di contro padre Salvo fu guglia gotica svettante oltre le nubi, non guatabile dai poveri di spirito o dagli imbecilli, li vuoi in veste talare (nera o rossa o in albis, che importa?)
Padre Salvo non poté vantarsi di un nutrito novero d’amici. Ma di nemici potenti (or di questo o di quell’altro colore, ora in veste talare ora in clergjmen ora in tiara ed anche in semplice mozzetta), ed a dire il vero un po’ se li andava a cercare. Eppure a qualche grande amico poté aggrapparsi come padre Stefano Pirrera, l’emulo della giovinezza scolastica, il sostegno nel tempo del dolore, il difensore grintoso e greve nell’ora tarda.
Rinviamo alla prefazione di più luce, in memoria.
Epitaffi sinceri, epitaffi d’occasione da parte di amici, da parte di gente modesta e grata. L’epitaffio del vescovo sorprende: gira al largo, timoroso e tiepido.
Troppo poco per noi, esimio arcivescovo: forse Ella venendo da lontano anche se sempre dalla Sicilia, dalla diversa S. Crore Camerina, non capì, certo non apprezzò, quanto geniale era l’irrisione di padre Salvo, quanta inflessibilità etica c’era nella sua irriverenza, come fosse sapiente padre Salvo, come fosse disumanamente schietto, perché alla fin fine era un contadino di Racalmuto – intemerato – un genio incoercibile della terra del sale e dello zolfo (ed era intelligente come Sciascia, più di Sciascia). E lo dilaniava non un tenace concetto – che equivale ad ottusa caparbietà – ma cultura e studio, intemperanza e cimento, voglia di vero giammai barattabile per un successo magari librario, letterario, per un accaparramento di pingui borse monetarie, ( e qui taciamo di mitre e baculi). Non poté vendere diritti cinematografici, padre Salvo; non ebbe onori, non ebbe affermazioni, non ebbe gloria: era tetragono nella sua inaccessibile torre eburnea, e per l’amore della libertà, della sua libertà, abdicò al grumo delle gioie dei mediocri.
Dissero bene di lui gli amici sinceri: p. Pirrera, padre de Gregorio, con trepida commozione padre Puma.
Ci colpisce tra costoro ancora padre Pirrera, il prete che noi riveriamo dal profondo del nostro umano e desolato sentire, un prete alieno dai compromessi – anche da quelli che anche i preti vorrebbero storici – un prete tetragono come il tetragono padre Salvo. E furono i di oscuri del Novecento ecclesiale agrigentino; i due preti senza orpelli, i due giganti che seppero essere colti anche se invisi, i due meritevoli sacerdoti non degnati neppure (che ci importa se qualcuno vi rinunciò? Non era peraltro troppo tardi?) di un canonicato minore. Non poterono andare neppure in viola.
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