Quelli dei tronfi e vocianti siti dell'incolta sinistra disfattista
l'altro giorno si sono messi fare la
voce grossa credendo di colpire il sistema: “la Banca d'Italia è una normale
società per azioni in mano a quattro o cinque banche manigolde: è una normale
società provata i cui padroni azionisti sono ..” e giù elenchi specchietti griglie e grafici.
E bravi lor signori! si sono però accorti che facevano appunto il gioco dei loro
odiati avversarsi? Quello di ridurre un "istituto di diritto pubblico"
apicale, che una volta quando occorreva lo si voleva addirittura farlo
assurgere a istituzione di rilevanza costituzionale, sia pure in forza di una
inesistente ‘costituzione materiale’ ora cambiando tendenza, lo si vorrebbe
nient’altro che una privatissima società di capitali ripartiti tra le più
chiacchierate grandi banche italiane (e non so perché si escludono le
generali).
Certo una mano di aiuto gliela dà il D.LGS. 1settembre 1993,
n° 385 che fingendo di sistemate tutte
le leggi in materia bancaria e creditizia ha incostituzionalmente delegittimato
l'"ordinamento sezionale del credito" con radice o appiglio nell'art.
47 (se non 41) della costituzione .
E in quell'ordinamento svettava la Banca d'Italia ai sensi e
per gli effetti della legge bancaria del 1936 che cessava di essere
"fascista" per il recepimento costituzionale voluto anche da
Togliatti (che per me è molto importante).
E all'articolo 20 di quella legge magari così come
canonizzata dall'ABI leggo: "La
Banca d'Italia , creata con la l. 10 Agosto 1893, N. 449, è dichiarata Istituto
di diritto pubblico.
Il capitale della Banca è di trecento milioni di lire ed è
rappresentato da 300.000 quote di mille lire
ciascuna, interamente versate.
Ai fini della tutela del pubblico credito e delle continuità
di indirizzo dell'Istituto di emissione,
le quote di partecipazione al capitale
sono nominative e possono appartenere solamente a:
- a) Casse di risparmio;
- b) Istituti di credito di diritto pubblico e Banche di
interesse nazionale;
- c) Istituti di previdenza;
d) Istituti di assicurazione".
Certo tutta una impostazione giuspubblicistica possibile in
epoca fascista ( tutto nello stato niente fuori dallo stato) ma di ardua
acquisizione costituzionale e ancor peggio di recepimento nella moderna
impostazione dei bilanci societari a partita doppia e figuriamoci ora con l'abbandono del buon Luca Pacioli e
l'incolto abbandonarsi alle pragmatiche visioni contabili di stampo
anglosassone.
Comunque sino ai tempi di Ciampi noi assistevamo a un
bilancio serioso della BI ove in classica partita doppia di privatistica
concezione e come potete vedere dell'acclusa foto di una di codeste esilaranti pagine
a firma Ciampi quelle metafisiche quote delle partecipazioni per modo di dire in realtà giuspubblicistiche
talune persino desuete ecco come appaiono, quasi la Banca d'Italia fosse l'azionarietta
dello zio buon'anima che si era arricchito vendendo occhiali.
Sottesi problemi irrisolti giganteschi, come quelli del
fatiscente e ambiguo "Consiglio superiore della Banca d'Italia", una comica
scimmiottatura dei CDA delle normali società di capitali o di quelle annuali
assemblee dei partecipanti in cui il Governatore ancora ha il destro della
andreottiana predica del mese mariano.
Invero il problema se lo pose Tremonti d'ordine e per conto
di Berlusconi e cercò di requisire la Banca d'Italia facendola fagocitare dal
TESORO, cosa in astratto persino
encomiabile, ma che dimostrò la sua caducità quando quei due signori,
sospinti da Bertone, volevano nominare la Tarantola prima governatrice in
gonnella. Gioco non riuscito per una furbata di Napolitano e massoneria bancaria
dietro, che poterono braccare il Tremonti tarantoliano dicendo che la legge
c'era (mi pare un art. 19) ma il regolamento no, e quindi si dovette tornare
prima se non peggio di prima: e fu così
che nella sala del San Sebastianino poté
farvi ingresso addirittura l'ex comunista del servizio studi, Visco (oggi in
gran tempesta).
[continua]
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