Carissimo Alfredo
giunto a pag. 43 del romanzo di Tanu GLI UOMINI CHE NON SI VOLTANO mi trovo nel bel mezzo di una piccolo-borghese scuola liceale e debbo sorbirmi la spiegazione che il prof. Ristoro dà dell'Antigone di Sofocle.
"La tragedia nasce quando c'è conflitto tra libertà e necessità", esordisce il prof. Ristoro. Il tutto si conclude a pag. 44 piuttosto banalmente con il professore irritato che pontifica: "La vostra compagna ha fatto diventare la storia di Antigone una telenovela: Eumene si ammazza per amore. Insomma un dramma passionale. No, picciotti miei, non è una storia di amore: è una storia di potere!"
Mi sarebbe piaciuto che Tanu mi avesse spiegato con quali sfumature angoscianti si è sempre vissuta codesta "tragedia" del conflitto tra la libertà del singolo (valore insito in quello che in gergo si chiama diritto naturale) e la superfetazione talora persino irrazionale della legalità che il potere distilla nel c.d. diritto positivo, nella legge insomma.
A tal proposito ho pensato a te, al tuo caso, al tuo essere nato in un ordinamento a detta di sommi costituzionalisti (ricordiamoci che Vittorio Emanuele Orlando si proclamava "mafioso") ed essere poi transitato in un altro ordinamento (tanto colto, sofisticatamente colto) quello che fonda le sue radici nella filosofia greca, in Aristotele, in Platone, etc,). Francamente l'Antigone di Sofocle poco scandaglia in codesto ormai modernissimo conflitto tra legge e morale, tra legge e natura, tra legge e umanizzazione della pena, tra legge e ordinamenti carcerari, tra legge e convinzioni religiose, tra legge e regole di una società tribale, tra legge sacrosante vendette come da obblighi biblici del dente per dente. Non mi dilungo. Qui capirai perché Eschilo e Sofocle, oltre al diletto estetico, nulla mi dicono; quanto ad Euripide già lo sento più vicino se nelle Baccanti fa strillare al re - il potente di questo mondo - un'invettiva contro il semidio Bacco che scende dai cieli per avere livori e malvagità più livorosi e più malvagie dei livori e delle malvagità degli umani. Per superarli in umane miserie. Che se ne stia allora nei cieli e non ci rompa i c...! Ecco perché amo Lukacs ed il suo rifiuto delle certezze greche possibili solo in un mondo piccolo e chiuso, in una ecclesìa fatta tutta di credenti senza dubbi. Io sono moderno, relativista, dialettico senza verità, dubbioso. E se dubito non ho neppure la certezza del dubitare per affermare la certezza del mio esistere. Dadaista, anche. Vi sommergeremo in un mare di ridicolo. Ed il ridicolo vedendolo innanzitutto in me non posso non vederlo in Tanu che senza nulla conoscere della mafia racalmutese finisce col pontificarne, che senza nulla conoscere dell'antimafia, finisce col divenirne un coreuta, che senza nulla conoscere della metempsicosi di un ergastolano ne fa un pamphlet un quasi romanzo un testo teatrale un soggetto cinematografico, che senza nulla conoscere di un paese in cui mai è vissuto ne fa l'apologo di una inesistente banalità. Esercita la sua libertà, sia chiaro e finora non ha offeso nessuno; nessun tartufo meneghino gli potrà mai dire: BASTA. Beato lui. E povero me che gira e rigira son sempre fermo al "così è se vi pare"
Con paterno affetto Calogero Taverna
giunto a pag. 43 del romanzo di Tanu GLI UOMINI CHE NON SI VOLTANO mi trovo nel bel mezzo di una piccolo-borghese scuola liceale e debbo sorbirmi la spiegazione che il prof. Ristoro dà dell'Antigone di Sofocle.
"La tragedia nasce quando c'è conflitto tra libertà e necessità", esordisce il prof. Ristoro. Il tutto si conclude a pag. 44 piuttosto banalmente con il professore irritato che pontifica: "La vostra compagna ha fatto diventare la storia di Antigone una telenovela: Eumene si ammazza per amore. Insomma un dramma passionale. No, picciotti miei, non è una storia di amore: è una storia di potere!"
Mi sarebbe piaciuto che Tanu mi avesse spiegato con quali sfumature angoscianti si è sempre vissuta codesta "tragedia" del conflitto tra la libertà del singolo (valore insito in quello che in gergo si chiama diritto naturale) e la superfetazione talora persino irrazionale della legalità che il potere distilla nel c.d. diritto positivo, nella legge insomma.
A tal proposito ho pensato a te, al tuo caso, al tuo essere nato in un ordinamento a detta di sommi costituzionalisti (ricordiamoci che Vittorio Emanuele Orlando si proclamava "mafioso") ed essere poi transitato in un altro ordinamento (tanto colto, sofisticatamente colto) quello che fonda le sue radici nella filosofia greca, in Aristotele, in Platone, etc,). Francamente l'Antigone di Sofocle poco scandaglia in codesto ormai modernissimo conflitto tra legge e morale, tra legge e natura, tra legge e umanizzazione della pena, tra legge e ordinamenti carcerari, tra legge e convinzioni religiose, tra legge e regole di una società tribale, tra legge sacrosante vendette come da obblighi biblici del dente per dente. Non mi dilungo. Qui capirai perché Eschilo e Sofocle, oltre al diletto estetico, nulla mi dicono; quanto ad Euripide già lo sento più vicino se nelle Baccanti fa strillare al re - il potente di questo mondo - un'invettiva contro il semidio Bacco che scende dai cieli per avere livori e malvagità più livorosi e più malvagie dei livori e delle malvagità degli umani. Per superarli in umane miserie. Che se ne stia allora nei cieli e non ci rompa i c...! Ecco perché amo Lukacs ed il suo rifiuto delle certezze greche possibili solo in un mondo piccolo e chiuso, in una ecclesìa fatta tutta di credenti senza dubbi. Io sono moderno, relativista, dialettico senza verità, dubbioso. E se dubito non ho neppure la certezza del dubitare per affermare la certezza del mio esistere. Dadaista, anche. Vi sommergeremo in un mare di ridicolo. Ed il ridicolo vedendolo innanzitutto in me non posso non vederlo in Tanu che senza nulla conoscere della mafia racalmutese finisce col pontificarne, che senza nulla conoscere dell'antimafia, finisce col divenirne un coreuta, che senza nulla conoscere della metempsicosi di un ergastolano ne fa un pamphlet un quasi romanzo un testo teatrale un soggetto cinematografico, che senza nulla conoscere di un paese in cui mai è vissuto ne fa l'apologo di una inesistente banalità. Esercita la sua libertà, sia chiaro e finora non ha offeso nessuno; nessun tartufo meneghino gli potrà mai dire: BASTA. Beato lui. E povero me che gira e rigira son sempre fermo al "così è se vi pare"
Con paterno affetto Calogero Taverna
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