Ettore Messana
Il grande questore Messana ha avuto la disavventura di incappare nelle maglie dell'abilissima arte retorica di quel colosso della politica e del giornalismo a nome Girolamo Li Causi.
In un memorabile discorso, alla Camera , turgida di deliri, preoccupazioni, disorientamenti a seguito del feroce eccidio di Portella della Ginestra, Li Causi ciceroniamente si prodiga in un enfiato attacco quale in quei tempi i comunisti italiani rutilavano.
Ferve l'anticomunismo viscerale. Il Papa cessa di essere il rappresentante di dio in terra per divenire il baluardo dell'anticomunismo viscerale. Scomunica. Scomunica ai comunisti, scomunica ai socialisti, odioso fronte del popolo con l'effige del mangiapreti Garibaldi.
La Madonna di Fatima ovviamente in effige girovaga in Sicilia ad ammonire che il comunismo è il male e ovviamente la DC è il bene.
Li Causi è il capo dei comunisti siciliani, E i comunisti siciliani sono davvero sotto tiro di un altro tremendo siciliano l'on. Scelba di Caltagirone che i maligni forse vorrebbero figlio dello stesso padre Sturzo.
Non è sereno l'on. Li Causi. E come potrebbe esserlo! Non è obiettivo. Non fa storia caro Casarrubea.
Dovevi fare qualsiasi altro mestiere ma non lo storico perché storico non sei, anche se scrivi bene. Li Causi è feroce, inarrestabile, persino perfido. E' comunista sino al midollo dell'osso. E sotto questa veste noi lo adoriamo. Della verità storica non gliene frega un fico secco. C'è la giustizia sociale di mezzo, c'è il vituperoso assedio americano che con Fiorello La Guardia vorrebbe una Sicilia con non so quale ennesima stella d'America.
Ed al soldo hanno gli agrari, il banditismo, lo stesso Giuliano. Contro la persona di Li Causi c'è il fratello del vescovo il conduttore della miniera di Gibilini Calogero Vizzini di Villalba. Li Causi è astiosamente veemente contro il ministro degli Interni Scelba, il clericalissimo Scelba, l'anticomunista viscerale Scelba.
E Li Causi lo attacca in parlamento, inveisce contro e con lui tutti quelli che considera accoliti del ministro, ovviamente n primis il questore Ettore Messana da Racalmuto (ove vi nacque nel 1884 e non nel 1888).
Contro Messana Li Causi è subdolo, ma si mantiene su un livello tutto sommato di intimo apprezzamento. L'avversario che si rispetta insomma. Capisce che in fin dei conti, lui il Li Causi non ha elementi certi contro Messana, si deve basare su insinuazioni, su "si dice", su forse che sì forse che no.
E il suo attacco in parlamento contro Messana riflette questo intimo suo smarrimento. Noi qui riportiamo per intero la parte del discorso che riguarda il questore Messana. Dopo lo sviscereremo insieme. Io vi darò la mia lettura. La condividerete o meno, una cosa apparirà chiara: il Casarrubea non è uno storico. Manco io s'intende lo sono. Ma io ve lo dichiaro. Sono anche politicamente impegnato e per la parte opposta a quelle che furono le opzioni del Messana, che ora si scopre non avere "l'animo del fascista", secondo il suo capo Senise, sicuramente anticomunista ed anche reazionario, uomo di destra insomma.
Ma Messana nella vita fece il poliziotto, non l'uomo dei partiti. E come poliziotto fu abile, meritevole, apprezzato, e fu integerrimo servitore dello Stato. Non fu facitore di ordini, fu esecutore inflessibile di ordini legali ricevuti, come si addice ad un funzionario di pubblica sicurezza.
martedì 17 giugno 2014
Scontro Li Causi Messana
Data invio: sabato 15 febbraio 2014 13:40:23
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Il 15 luglio del 1947, con gli americani padroni e domini della Sicilia (e non solo), il Li Causi tuona
"Questa la serie di orrenti misfatti di cui si era reso colpevole il Ferreri. Ebbene, non appena la banda è sterminata e dei cinque componenti rimase vivo solo il Ferreri, la prima cosa che egli dice è: "Salvatemi la vita, perché sono il confidente dell'Ispettore di pubblica sicurezza dottor Messana".
" Avviene che nel momento in cui l'ufficiale dei carabinieri vuole accertare questo, il bandito gli afferra l'arma e tenta di strappargliela: l'altro si difende e lo fredda. Nella perquisizione presso il padre del Ferreri viene trovato un permesso di armi rilasciato da poco tempo dalla questura di Trapani. Le autorità si informano: com'è possibile che un affiliato alla banda Giuliano abbia un permesso d'armi regolare? Risulterebbe che c'è stato l'intervento dell'Ispettore di pubblica sicurezza per farglielo rilasciare. Che cosa ci conferma nella convinzione della esistenza di questo intervento? Ce lo indica un fatto molto grave. Malgrado ci sia stato il referto di tutto ciò che era stato trovato addosso ai cadaveri, l'Ispettore di pubblica sicurezza manda un suo dipendente a sottrarre il permesso d'armi, e se lo porta a Palermo. Una indagine più profonda potrebbe accertare che anche addosso al principale "Fra Diavolo", cioè a Ferreri (l'Ispettorato di pubblica sicurezza lo definiva addirittura un Giuliano e mezzo) sarebbe stato trovato un documento di identità a nome, niente di meno, di un milite dell'Arma dei carabinieri. C'è di più. Ad Alcamo ci sono testimoni i quali hanno visto, un'ora o due ore prima che il conflitto avvenisse, l'automobile dell'Ispettore di pubblica sicurezza Messana, che accompagnava un altro ufficiale dello stesso ispettorato di pubblica sicurezza, e appreso che il Messana avrebbe avuto un incontro con la banda Ferreri.
Tutto ciò, si sa, circola, è stato riportato dai giornali, e non solo dai giornali comunisti. I giornali comunisti hanno riportato queste voci soltanto dopo che altri giornali dell'Isola avevano pubblicato questi "si dice". Ora, voi certamente vi rendete conto che di fronte a questi fatti l'impressione dell'opinione pubblica siciliana è enorme, e la confusione anche, perché non si capisce più niente. Come è possibile che l'Ispettore di pubblica sicurezza abbia per suo confidente un bandito di questa specie? Noi tutti sappiamo che la polizia ha bisogno di confidenti. Ci sono confidenti e confidenti; ma come si spiega il caso in questione?
La mattina del 22 giugno (la sera, poi, si hanno le aggressioni alle sedi del Partito comunista di Monreale, ecc.) avvenne un colpo di scena sui giornali: si faceva conoscere che gli autori della strage di Pian della Ginestra non erano quelli che erano stati indiziati dal pastore X o dal pastore Y, ma il bandito Giuliano in persona; che l'Ispettore di pubblica sicurezza era in intimi contatti con il luogotenente di Giuliano. Quindi l'autore della strage di Pian della Ginestra sarebbe il bandito Giuliano. Poi, al Giuliano si fa fare un programma (tenete presente che Giuliano ha fatto appena la quinta elementare) che è stato pubblicato ed in cui egli appare come il difensore della moralità, della proprietà, e di tutto quello che c'è di santo nella vita della Sicilia, contro il bolscevismo. È la prima volta che Giuliano, nella sua carriera di bandito, prende apertamente posizione per difendere la Sicilia dal bolscevismo.
Ma c'è di più. Nella zona dove egli è nato e nella zona dove ha trovato maggiori consensi, nel senso che ha arruolato dei banditi durante il periodo più acuto della lotta sociale, cioè il periodo della lotta per l'assegnazione delle terre incolte, Giuliano non ha mai operato contro i proprietari a favore dei contadini o contro i contadini a favore dei proprietari, ma si è mantenuto neutrale. Improvvisamente Giuliano diventa l'esecutore materiale della strage di Pian delle Ginestre, tesi questa carissima all'Ispettore Messana, se è vero che, in mia presenza, il primo maggio alle ore 16, in Prefettura (quando per la prima volta trovammo riuniti il Prefetto, l'Ispettore Messana, il Comandante dei carabinieri, il Segretario generale dell'Alto Commissariato, l'Ispettore generale presso l'Alto Commissariato ed altri ufficiali) è il solo Messana ad avanzare l'ipotesi che a Pian delle Ginestre ci fosse la mano di Giuliano. Ed è lo stesso Messana, attraverso i suoi carabinieri che, quando i pastori di San Giuseppe Jato riconoscono alcuni, che hanno preso parte alla strage di Pian delle Ginestre - e che ancora sono dentro - manda un brigadiere a chiamare la madre di uno di costoro perché confessi che a suo figlio o a lei stessa sono stati dati dei soldi dai comunisti, e in tal modo venga incolpato il tale dei tali, che non c'entra affatto nella strage di Pian delle Ginestre.
C'è di più: in quei giorni, sia l'Ispettore di pubblica sicurezza, sia il Comando dei carabinieri, sia la Questura di Palermo rendono noto (anche attraverso circolare) che Giuliano sta preparando delle aggressioni contro le sedi e gli uomini dei partiti di sinistra. Si soggiunge poi a voce: "Badate che la nostra vita è in pericolo". Ci accorgiamo di trovarci di fronte a tutta un'azione, la quale vorrebbe localizzare l'esplosione e la responsabilità dei misfatti avvenuti in Sicilia, attorno a questo mito evanescente, a questo personaggio che si chiama Giuliano, per dire: "Tutto il resto non c'entra. Che c'entra la mafia? Tutti galantuomini! Che cosa c'entrano i partiti politici? È impensabile che ci possano essere degli uomini nei vari partiti politici che possano essere individuati come responsabili di sì orrendi misfatti". Si cerca di creare intorno a noi una psicosi di paura, aggiungendo che la polizia ci proteggerà, e che sarà fatta tutta un'azione in comune perché Giuliano sia preso. Ma, scusate, perché Giuliano finora non è stato preso?
In un rapporto del Comando dei carabinieri si dice, fra l'altro: "Giuliano ha preso contatto con l'aristocrazia e gli uomini politici, si è dato a dettar legge e a scrivere lettere minacciose, ecc.". Il rapporto continua: "È stato in questi ultimi tempi accertato - siamo alla fine del 1946 - che il bandito Giuliano, certamente a seguito dell'azione intensa svolta sulle montagne dalle squadriglie, si è trasferito con i suoi uomini a Palermo e nei comuni limitrofi, protetto da qualche elemento della mafia, appoggiato di certo da qualche famiglia molto in vista. Non si creda, pertanto, di poter catturare Giuliano con le armi in mano, anche per la vicinanza di quasi tutti gli altri banditi i quali, specie se giovani e arditi, ben provvisti di denaro -- Giuliano dai soli sequestri ha ricavato più di cento milioni -- sono stati notati alla spicciolata qui in Palermo".
Ebbene, queste cose sono state dette a quest'ultima operazione, con i duemila uomini, fra soldati e carabinieri, che sono stati mandati a Montelepre, conferma la giustezza del giudizio espresso dal generale dei carabinieri. Si vuol creare cioè tutta una coreografia allo scopo deliberato di stornare, come dicevo, l'attenzione del pubblico da quella che è la vera situazione e da quello che veramente ci vorrebbe per stroncare questa situazione, per recidere appunto i legami fra questo banditismo, fra una parte della mafia, e quelle famiglie in vista, quelle famiglie aristocratiche che fanno parte di quei partiti ben individuati nelle relazioni ufficiali."
Tutto ciò, si sa, circola, è stato riportato dai giornali, e non solo dai giornali comunisti. I giornali comunisti hanno riportato queste voci soltanto dopo che altri giornali dell'Isola avevano pubblicato questi "si dice". Ora, voi certamente vi rendete conto che di fronte a questi fatti l'impressione dell'opinione pubblica siciliana è enorme, e la confusione anche, perché non si capisce più niente. Come è possibile che l'Ispettore di pubblica sicurezza abbia per suo confidente un bandito di questa specie? Noi tutti sappiamo che la polizia ha bisogno di confidenti. Ci sono confidenti e confidenti; ma come si spiega il caso in questione?
La mattina del 22 giugno (la sera, poi, si hanno le aggressioni alle sedi del Partito comunista di Monreale, ecc.) avvenne un colpo di scena sui giornali: si faceva conoscere che gli autori della strage di Pian della Ginestra non erano quelli che erano stati indiziati dal pastore X o dal pastore Y, ma il bandito Giuliano in persona; che l'Ispettore di pubblica sicurezza era in intimi contatti con il luogotenente di Giuliano. Quindi l'autore della strage di Pian della Ginestra sarebbe il bandito Giuliano. Poi, al Giuliano si fa fare un programma (tenete presente che Giuliano ha fatto appena la quinta elementare) che è stato pubblicato ed in cui egli appare come il difensore della moralità, della proprietà, e di tutto quello che c'è di santo nella vita della Sicilia, contro il bolscevismo. È la prima volta che Giuliano, nella sua carriera di bandito, prende apertamente posizione per difendere la Sicilia dal bolscevismo.
Ma c'è di più. Nella zona dove egli è nato e nella zona dove ha trovato maggiori consensi, nel senso che ha arruolato dei banditi durante il periodo più acuto della lotta sociale, cioè il periodo della lotta per l'assegnazione delle terre incolte, Giuliano non ha mai operato contro i proprietari a favore dei contadini o contro i contadini a favore dei proprietari, ma si è mantenuto neutrale. Improvvisamente Giuliano diventa l'esecutore materiale della strage di Pian delle Ginestre, tesi questa carissima all'Ispettore Messana, se è vero che, in mia presenza, il primo maggio alle ore 16, in Prefettura (quando per la prima volta trovammo riuniti il Prefetto, l'Ispettore Messana, il Comandante dei carabinieri, il Segretario generale dell'Alto Commissariato, l'Ispettore generale presso l'Alto Commissariato ed altri ufficiali) è il solo Messana ad avanzare l'ipotesi che a Pian delle Ginestre ci fosse la mano di Giuliano. Ed è lo stesso Messana, attraverso i suoi carabinieri che, quando i pastori di San Giuseppe Jato riconoscono alcuni, che hanno preso parte alla strage di Pian delle Ginestre - e che ancora sono dentro - manda un brigadiere a chiamare la madre di uno di costoro perché confessi che a suo figlio o a lei stessa sono stati dati dei soldi dai comunisti, e in tal modo venga incolpato il tale dei tali, che non c'entra affatto nella strage di Pian delle Ginestre.
C'è di più: in quei giorni, sia l'Ispettore di pubblica sicurezza, sia il Comando dei carabinieri, sia la Questura di Palermo rendono noto (anche attraverso circolare) che Giuliano sta preparando delle aggressioni contro le sedi e gli uomini dei partiti di sinistra. Si soggiunge poi a voce: "Badate che la nostra vita è in pericolo". Ci accorgiamo di trovarci di fronte a tutta un'azione, la quale vorrebbe localizzare l'esplosione e la responsabilità dei misfatti avvenuti in Sicilia, attorno a questo mito evanescente, a questo personaggio che si chiama Giuliano, per dire: "Tutto il resto non c'entra. Che c'entra la mafia? Tutti galantuomini! Che cosa c'entrano i partiti politici? È impensabile che ci possano essere degli uomini nei vari partiti politici che possano essere individuati come responsabili di sì orrendi misfatti". Si cerca di creare intorno a noi una psicosi di paura, aggiungendo che la polizia ci proteggerà, e che sarà fatta tutta un'azione in comune perché Giuliano sia preso. Ma, scusate, perché Giuliano finora non è stato preso?
In un rapporto del Comando dei carabinieri si dice, fra l'altro: "Giuliano ha preso contatto con l'aristocrazia e gli uomini politici, si è dato a dettar legge e a scrivere lettere minacciose, ecc.". Il rapporto continua: "È stato in questi ultimi tempi accertato - siamo alla fine del 1946 - che il bandito Giuliano, certamente a seguito dell'azione intensa svolta sulle montagne dalle squadriglie, si è trasferito con i suoi uomini a Palermo e nei comuni limitrofi, protetto da qualche elemento della mafia, appoggiato di certo da qualche famiglia molto in vista. Non si creda, pertanto, di poter catturare Giuliano con le armi in mano, anche per la vicinanza di quasi tutti gli altri banditi i quali, specie se giovani e arditi, ben provvisti di denaro -- Giuliano dai soli sequestri ha ricavato più di cento milioni -- sono stati notati alla spicciolata qui in Palermo".
Ebbene, queste cose sono state dette a quest'ultima operazione, con i duemila uomini, fra soldati e carabinieri, che sono stati mandati a Montelepre, conferma la giustezza del giudizio espresso dal generale dei carabinieri. Si vuol creare cioè tutta una coreografia allo scopo deliberato di stornare, come dicevo, l'attenzione del pubblico da quella che è la vera situazione e da quello che veramente ci vorrebbe per stroncare questa situazione, per recidere appunto i legami fra questo banditismo, fra una parte della mafia, e quelle famiglie in vista, quelle famiglie aristocratiche che fanno parte di quei partiti ben individuati nelle relazioni ufficiali."
Tutta questa reboante rappresentazione risulterà tutt'altro che il Vangelo. Un processo all'on. Montalbano finisce miseramente per gli accusatori rossi. Se non scattano processi per calunnie è per la benevolenza di magistrati palermitani che , via!, anticomunisti non erano.
La figura del Ferreri ha ben altri inquietanti connotati ma non certo quelli del "Giuliano e mezzo".
Il Casarrubea suo malgrado finisce per smentire Li Causi. Le carte del NARA - parzialmente masterizzate a Partinico - dicono ben altro. Già il Processo di Viterbo restituisce illibata la figura di sua eccellenza l'ispettore Generale di PS gr. uff. Ettore Messana da Racalmuto, oggi tumulato nel prestigioso avello del Verano.
Ma colmo dei colmi: il Casarrubea che credeva di potere dare ampia dimostrazione delle calunniose congetture di Li Causi, finì sotto processo per querela del generale dei Carabinieri Gianlombardo.
Casarrubea credette di essergli addirittura presentata l'occasione per ristabilire la truce sua verità su Ferreri. Nel processo intervenne tutta la casta degli storici accademici suoi amici. La sentenza fu però disastrosa; Casarrubea dimostrò che la versione sulla esecuzione del Ferreri a suo tempo vergata dal giovane ufficiale dei carabinieri, che gli era valsa una medaglia al merito e subitanee promozioni, era falsa e destituita di fondamento; ma gli attacchi del giornalista di Partinico volte a criminalizzare il generale Ganlombardo erano state diffamazioni aggravate a mezzo stampe, non più peresiguili solo per prescrizione temporale. In Ogni caso Messana non ci entrava per niente.
Ma Ecco come Li Casusi ordisce una triplice insinuazione calunniosa:
Dirà poi il Li Causi:
Tre anni di ricerche storiche sbriciolano tutte e tre le ipotesi calunniatrici di Li Causi.
In una contrapposizione con il defunto giornalista Casarrubea, pertinace nel dire attendibili le accuse di Lai Causi, siamo riusciti a fargli perdere la sua inclollabile fede quanto alle calunnie sub A) e sub C). Quanto alle faccende di Lubiana si rimise alla autorevolezza della sbadata giornalista Cernigoi che abbiamo contrappuntato sino a farla inanemente esasperare. I suoi due o tre ritrovamenti cartacei sono ampiamente polverizzati da tanta documentazione rinvenibile all'ARCHIVIO CENTRALE DI STATO in ROMA e in tanta autorevole letteratura storica e memorialistica.
Calogero Taverna
A) "Si ha, in altre parole, questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di sconfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.
Ma c'è di più: il Messana non avrebbe dovuto intervenire nella ricerca di esponenti politici indiziati e invece egli è andato sempre in cerca di questi elementi. Quando, nel settembre dello scorso anno, furono uccisi, a bombe a mano, alcuni contadini riuniti nella sede della cooperativa ad Alia per discutere sul problema della divisione delle terre, non si sa perché è intervenuto l'ispettorato di pubblica sicurezza, dopo che la Questura di Palermo aveva operato dei fermi di indiziati, e i fermati vengono rilasciati. Alla vigilia del 2 giugno avviene a Trabia un tipico delitto di mafia; la camionetta dove si suppone che siano i responsabili viene fermata a Misilmeri, alle porte di Palermo: ebbene, nonostante che su quella camionetta si trovassero armi, secondo una prima versione della polizia, i fermati vengono dopo un giorno rilasciati.
Questa impressione non è dunque cervellotica, ma ha un fondamento molto serio e l'onorevole ministro dell'interno lo sa perché sono stato io personalmente ad accompagnare da lui un altro collega che gli ha detto: "Ma come fai a fidarti di Messana, tu che dici di essere un repubblicano sincero? Messana, infatti, non solo ha svolto opera per il trionfo della monarchia prima del 2 giugno, ma ha continuato a complottare contro la Repubblica dopo il 2 giugno, designato come era Ministro degli interni di un restaurando Regno di Sicilia, se Umberto fosse sbarcato a Taormina o in non so quale altro punto della costa siciliana; e bada che io sono un testimone auricolare, uno che ha partecipato a queste trattative, respingendole".
B) "Ma è possibile che il Ministro Scelba si possa fidare di un uomo di cui si presume che conosca anche il passato? Lasciamo stare che Messana è nell'elenco dei criminali di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di stranieri!",
C) "ma Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del 1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e che il giorno dopo fu assassinato."
Dirà poi il Li Causi:
"Questi i precedenti del commendator Messana, noti al ministro dell'Interno. Ci troviamo, come vedete, di fronte ad un uomo che per istinto è contro il popolo, e trova, nei legami con i nemici del popolo, il modo di esercitare la professione di massacratore di contadini. Oggi, sfacciatamente, questo non può farlo, per quanto nel clima creatosi in Sicilia è possibile -- in Sicilia, terra dei "Vespri" -- che i poliziotti di Scelba, ministro siciliano, aggrediscano un pacifico corteo di donne che dimostrano contro il carovita.
Oggi è possibile in Sicilia questo, perché agli interni c'è un ministro siciliano, così come nel 1894 a soffocare nel sangue il movimento dei fasci dei lavoratori fu un altro ministro siciliano, Francesco Crispi. Si è tentato, come nei primi decenni del secolo, di stroncare il movimento contadino, assassinando capilega e segretari di Camere del lavoro; a quest'azione di intimidazione il popolo siciliano risponde con la superba affermazione democratica del 20 aprile; allora l'agraria, la mafia ricorre al terrore di massa e si hanno Pian della Ginestra e le stragi del 22 giugno. Ma l'Ispettore Messana, che ha il compito di proteggere agrari e mafiosi, che è uomo che obbedisce a pressioni di parte, ordisce intrighi politici, suggerisce a Scelba la parola d'ordine che il Ministro fa subito sua: le stragi siciliane sono opera di banditi comuni, e Messana diviene il perno di una situazione infernale: Messana si allea ai banditi di strada. Il popolo siciliano, il popolo italiano tutto, hanno diritto di chiedersi come sia possibile il perdurare di un tale stato di cose.
All'annunzio dell'orrendo crimine di Pian della Ginestra, subito, d'impulso le più alte autorità preposte all'ordine pubblico in Sicilia hanno detto: "Questo è un tipico delitto di mafia; bisogna iniziare un'azione a fondo contro questi assassini"; ma è intervenuto il Ministro Scelba prima alla Costituente, poi in Sicilia; ma credete che sia andato laggiù per disporre l'azione di ricerca e pronta punizione dei veri responsabili? No; è andato solamente per salvare la mafia, per dire: "Niente; questo è banditismo comune; basta con gli arresti di mafiosi e mandanti indiziati". E degli ufficiali dei carabinieri sono venuti da me, piangendo, a dirmi: "Vedete, questi sono i telegrammi di contr'ordine che sospendono le operazioni di polizia che avevamo iniziato".
Ora, il diritto di sospettare che una collusione esista fra banditismo, certi partiti politici e, fino a prova contraria, governo è legittimo e allarma la popolazione siciliana, allarma e commuove giustamente tutto il Paese; è quindi assolutamente necessario uscire da questa situazione e oggi esistono condizioni favorevoli per farlo; c'è il movimento delle masse lavoratrici in Sicilia capace di aiutare questo processo di risanamento nel campo sociale; ci sono i partiti democratici che debbono costringere tutte le forze politiche della Sicilia ad assumere la propria responsabilità, a liberarsi dai legami con la mafia, con questa cancrena, con questo banditismo politico-sociale che continua a vivere di ricatti, di prepotenze, di estorsioni, di omicidi. Oggi esistono queste condizioni: sfruttiamole, poggiamo sul movimento delle masse, poggiamo sui partiti veramente democratici, e su questa azione inseriamo l'azione di polizia che sarebbe confortata da tutta quanta l'opinione pubblica".
Tre anni di ricerche storiche sbriciolano tutte e tre le ipotesi calunniatrici di Li Causi.
In una contrapposizione con il defunto giornalista Casarrubea, pertinace nel dire attendibili le accuse di Lai Causi, siamo riusciti a fargli perdere la sua inclollabile fede quanto alle calunnie sub A) e sub C). Quanto alle faccende di Lubiana si rimise alla autorevolezza della sbadata giornalista Cernigoi che abbiamo contrappuntato sino a farla inanemente esasperare. I suoi due o tre ritrovamenti cartacei sono ampiamente polverizzati da tanta documentazione rinvenibile all'ARCHIVIO CENTRALE DI STATO in ROMA e in tanta autorevole letteratura storica e memorialistica.
Calogero Taverna
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