martedì 6 giugno 2017

Cassazione: Riina malato, ha diritto a morte dignitosa

Esiste un «diritto a morire dignitosamente» che va assicurato al detenuto, afferma la Cassazione. E anche se il detenuto in questione si chiama Totò Riina, capo dei capi di Cosa Nostra, condannato per le bombe negli anni del terrore degli attentati mafiosi e per la strage di Capaci, ormai ottantaseienne allettato, incapace anche solo di stare seduto, il giudice che deve valutare sulla sua permanenza in carcere deve tenere conto di questo principio e nel caso motivare espressamente il suo parere contrario.
 
 

La pronuncia con la quale la suprema Corte per la prima volta apre al ricorso della difesa di Riina, che da anni chiede il differimento della pena o i domiciliari per motivi di salute ha suscitato polemiche, in primis dalle vittime di mafia. I giudici gli hanno negato sempre questo diritto, chiesto tra l'altro in passato anche da Bernardo Provenzano, trattenuto fino alla morte al 41 bis. Ora la richiesta di Riina dovrà tornare al tribunale di sorveglianza per rivedere la questione alla luce di quanto sottolineato oggi dalla Cassazione, che ha annullato il primo provvedimento del tribunale, poiché il giudice nel motivare il diniego aveva omesso «di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico». Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l'infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Ma la Cassazione sottolinea, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare «se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità» da andare oltre la «legittima esecuzione di una pena».

Il collegio ritiene che non emerga dalla decisione del giudice in che modo si è giunti a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena «il mantenimento il carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa», che non riesce a stare seduto ed è esposto «in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili».

La Cassazione ritiene di dover dissentire con l'ordinanza del tribunale, «dovendosi al contrario affermare l'esistenza di un diritto di morire dignitosamente» che deve essere assicurato al detenuto. Tanto più se la cella del carcere di Parma non può contenere un letto da degenza, come sottolineato dalla difesa, e anche di questo il giudice dovrà tenere conto. Infine, ferma restano «l'altissima pericolosità» e l'indiscusso spessore criminale« il tribunale non ha chiarito »come tale pericolosità «possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico». Contro la sentenza insorge la destra, con il leader della Lega Matteo Salvini che esclama: «Fine pena mai, per Riina e per quelli come lui!».

E il senatore di FI Maurizio Gasparri che ricorda che «le carceri sono attrezzate». Mentre le associazioni liberali, come Antigone, e i Radicali sottolineano l'importanza della sentenza, perché lo Stato non può trattenere una persona a vita al 41 bis. Secondo don Luigi Ciotti, «c'è un diritto del singolo, che va salvaguardato. Ma c'è anche una più ampia logica di giustizia di cui non si possono dimenticare le profonde e indiscutibili ragioni». Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, si dice «basita» e annuncia proteste. Infine la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi dichiara:« in carcere è curato. Non è necessario trasferirlo altrove, men che meno agli arresti domiciliari, dove andrebbero comunque assicurate eccezionali misure di sicurezza e scongiurato il rischio di trasformare la casa di Riina in un santuario di mafia».
Lunedì 5 Giugno 2017 - Ultimo aggiornamento: 21:25

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