La Matrice ed altre chiese – Conventi ed altro
Dobbiamo però alla penna dell’Algozini un preciso inventario delle ricche suppellettili che ormai dotavano la Matrice; in più abbiamo una descrizione preziosa dell’assetto organizzativo della locale arcipretura, in uno con la raffigurazione dell’interno della chiesa dell’Annunziata, nonché con altri dati di rilievo anche socio-economico.
L’Algozini
lascia, comunque, in sospeso la questione del quadro della Maddalena che si
continua ad attribuire a Pietro d’Asaro; l’arciprete si limita ad annotare:
“Altare di S. Maria Maddalena: item il quadro con la figura di detta Santa” e
non ne indica l’autore; per lui – come per noi – l’autore è anonimo. Se una
congettura personale è permessa, tendo a credere che il quadro sia stato
commissionato dall’Agrò in prossimità del 1637 (molto dopo dunque dalla
datazione 1622 di cui a pag. 66 del Catalogo del 1985), in nome e per conto di
qualche confraternita della Matrice o della Fabbrica; consegnato agli eredi,
costoro con l’accordo del 1641, s’impegnano a sistemarlo nella già operante Cappella
della Maddalena, il cui spazio antistante viene acquisito per la “carnalia” del
sacerdote defunto e dei suoi eredi, previa destinazione alla “Fabbrica” di un censo annuo di un’oncia, prescelto tra
i legati del sac. Santo Agrò. Singolare è il fatto che nel 1731 si è perso il
ricordo della tomba del sacerdote benefattore e l’Algozini si limita ad
annotare che «non sono sepolture sotto le predelle dell’altari” e che in tutta
la chiesa le gentilizie di specifici “patronati” sono solo quattro ed appartengono
ai « fratelli del SS. Sacramento; ai Petrozzelli, ai Lo
Brutto ed agli Acquista”». Ma già a partire dal 1654
non si rintraccia nei libri contabili della Fabbrica il cennato censo di
un’oncia dell’eredità Agrò[1].
L’elaborato algoziniano che si conserva presso l’archivio
vescovile di Agrigento ci fornisce un insostituibile spaccato della comunità
racalmutese in pieno regime austriaco. Il 28 giugno 1731, l’arciprete consegna
al visitatore pastorale un folto fascicolo di «notizie che dona il Molto Rev. Dr. Filippo Algozini archipresbitere di
detta terra, alle dimande nelle istruzioni dell’Ill.mo e Rev.mo D. Lorenzo
Gioeni, vescovo di Girgenti per la visita pastorale.» Quel celebre vescovo
era di recente nomina (con bolla pontificia dell’11 dicembre 1730, esecutoriata
in Palermo il 5 gennaio 1731) e all’inizio dell’estate è già a Racalmuto per un
controllo ficcante e pignolo. Fornisce un questionario dettagliatissimo cui
l’arciprete deve dare esaustive risposte. Una fatica improba per lui, ma buon
per noi che siamo così in grado di disporre di una stratigrafica ricognizione
della comunità di Racalmuto a quasi un terzo del Settecento.
Unica la parrocchia, ma quindici le chiese “secolari”, nove
nell’abitato e sei nelle campagne; inoltre sei sono quelle dei “regolari”. In
totale ben 21 luoghi di culto e cioè:
le n° quindici “secolari” sparse per il paese:
1. la Matrice chiesa sotto titolo della SS.ma
Annunciata ; il Rettore ed Amministratore il M.to Rdo
Archipresbitere Dr D. Filippo Algozini;
2. Oratorio del SS.mo Sacramento sotto titolo di S.
Tomaso d’Aquino, il Rettore il sud.o Dr D. Filippo
Algozini Archiprete, ed i congionti Mo Scibetta e Mo
Giuseppe di Rosa, che l’amministrano;
3. Chiesa sotto titolo di S. Maria del Monte, il Rettore
clerico coniugato Agostino Carlino, Rdo Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio
Busuito congionti, che l’amministrano;
4. Chiesa sotto titolo di S. Rosalia, amministrata dalli
Giurati di questa terra come Padroni;
5. Chiesa sotto titolo di S. Anna, il Rettore clerico
coniugato D. Calogero Sferrazza congionto a Sigismondo Borsellino e Diego
Emmanuele che l’amministrano;
6. Chiesa sotto titolo di S. Micheli Arcangelo, il
Rettore e Amministratore il Rev. Sac. D. Francesco Pistone;
7. Oratorio sotto titolo di S. Giuseppe, il Rettore Dr.
D. Giuseppe Grillo , notaio Nicolò Pumo ed Ignazio Mantione congionti;
8. Chiesa sotto titolo di S. Maria dell’Itria
amministrata dal Rev.do Sac. D. Pietro Signorino Beneficiale;
Chiesa sotto titolo di S. Nicolò di Bari amministrata
dal R.do Sac. D. Gaspare d’Agrò mansionario della Catredale di Girgenti, e per
esso dal R.do Sac. Dn Isidoro Amella procuratore.
Queste le annotazioni che riguardano le chiese di campagna,
denominate “chiese fora le Mura”:
1. Chiesa sotto titolo di S. Maria della Rocca, il
Retttore o amministratore Sac. D. Vincenzo Avarello;
2. Chiesa sotto titolo di S. Maria di Monteserrato, in
cui si celebra la povera festa dalli pij devoti;
3. Chiesa sotto titolo di S. Maria della Providenza
amministrata da D. Paolo Baeri Patrono;
4. Chiesa sotto titolo di S. Marta amministrata da Pietro
Mulè Paruzzo procuratore;
5. Chiesa sotto titolo di S. Gaetano amministrata
dall’Ill. Marchese di S. Ninfa come Padrone;
6. Chiesa sotto titolo del SS.mo Crocifisso, amministrata
dal Rev. Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano fondatore.
Dichiarato che non vi erano “cappelle ed oratori domestico”
(queste saranno di moda alla fine del Settecento e si protrarranno sino alla
seconda metà del XX secolo), ecco la descrizione dei monasteri che sono “cinque
conventi de’ regolari ed un monastero di Donne”:
1. Convento di S. Maria del Carmine;
2. Convento di S. Francesco de Padri Minori Conventuali;
3. Convento di S. Maria de Padri Minori osservanti;
4. Convento di S. Giovanni di Dio de’ PP. Fateben
fratelli;
5. Ospizio di S. Giuliano de’ PP. di S. Agostino della
Congregazione di Sicilia;
6. Monastero de Monache dell’ordine di S. Francesco.
E si precisa che all’epoca non vi erano conventi soppressi.
A Racalmuto operava un ospedale “sotto la giurisprudenza dei
Padri fatebenfratelli giusta li loro privilegi”. Non vi erano ancora monti di
pegno.
In
compenso operavano due confraternite e cinque “compagnie”.
1. Confraternità di S. Maria di Giesù, li Rettori sono
Pietro Casucci, Pietro d’Agrò, Vincenzo Missana e Giovanne Farrauto; si fanno
ogn’anno nella Prima domenica di gennaro;
2. Confraternità di S. Giuliano, li Rettori sono Giovanne
d’Alaymo, Ippolito Fucà, Giuseppe Savarino e Vito Mantione, il loro governo
dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
3. Compagnia del SS. Sacramento, Governatore il Mo
R.do D. Filippo Algozini, congionti Mo Giacinto Scibetta e Mo
Giuseppe Di Rosa, il loro governo dura tre mesi, incominciando dalla domenica
infra “octavam Corporis”;
4. Compagnia del Thaù fondata nella Chiesa di S. Anna,
Governatore D. Calogero Sferrazza, congionti Sigismondo Borsellino e Diego
Emmanuele; dura il loro officio tre mesi, incominciando dalla Domenica più
prossima all’otto che ch’incide del mese, li presenti furono fatti all’8 Giugno
1731;
5. Compagnia dell’Anime del Purgatorio fondata nella
Chiesa di S. Micheli Arcangelo, Governatore Raimondo Borcellino minore,
congionti Rev.do Sac. D. Santo Farrauto e Santo La Matina Calello; il loro
officio dura quattro mesi incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
6. Compagnia di S. Maria del Monte, Governatore Clerico
Coniugato Agostino Carlino, congionti R.do Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio
Busuito; il loro officio dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di
Settembre;
7.
Compagnia
di S. Giuseppe, Governatore Dr D. Giuseppe Grillo, congionti Notaro Pumo ed
Ignazio Mantione; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla seconda
domenica di Gennaro.
8.
Ci viene fornito un dato
anagrafico di notevolissima importanza: sapendo quanto precisi erano gli uomini
della Chiesa, possiamo essere certi che davvero a Racalmuto, nel giugno del
1731, c’erano 1200 famiglie con 5.134 anime o abitanti che dir si voglia (in
media 4,28 componenti per ogni nucleo familiare). Nutritissima la compagine
ecclesiastica: 28 sacerdoti, di cui però ammalati cronici 24. In ogni modo un
sacerdote ogni 42 famiglie oppure ogni 183 abitanti. Ecco l’elenco:
1.
Il Mo Rev. Archipresbiter Dr D.
Filippo Algozini;
2.
Il Mo Rev. D. Salvatore Lo Brutto Vicario
Foraneo;
3.
Sac. D. Filippo Cino;
4.
Sac. D. Francesco Pistone;
5.
Sac. D. MichalAngelo La Mendola;
6.
Sac. D. MichalAngelo Rao;
7.
Sac. D. Ignazio
Laudito;
8.
Sac. D. Paulo Spagnolo;
9.
Sac. D. Gerlando Carlino;
10. Sac. D. Antonino Macaluso;
11. Sac. D. Francesco Torretta;
12. Sac. D. Gaspare Casucci;
13. Sac. D. Vincenzo Casucci;
14. Sac. D. Leonardo La Matina;
15. Sac. D. Calogero Pumo;
16. Sac. D. Giovan Battista Pumo;
17. Sac. D. Antonino Mantione;
18. Sac. D. MichalAngelo Savatteri;
19. Sac. D. Isidoro Amella;
20. Sac. D. Vincenzo Avararello;
21. Sac. D. Francesco De Maria;
22. Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano;
23. Sac. D. Baldassare Biondi;
24. Sac. D. Pietro Signorino;
25. Sac. D.
Orazio Bartolotta;
26. Sac. D. Antonino d’Amico minore;
27. Sac. D. Ignazio Pumo;
28. Sac. D. Santo Farrauto.
Ma
le vocanzioni non mancavano; erano già diaconi: Melchiore Grillo ed il nostro
Servo di Dio padre Elia Lauricella. Baldassare d’Agrò aveva ricevuto l’ordine
minore del suddiaconato; c’erano 7 accoliti: Francesco Grillo; Vito Gagliano;
Vincenzo Amendola; Antonino Busuito; Giuseppe Alferi; Ludovico Amico; Diego
Martorana; semplici esorcisti: Gaetano Raspini e Grispino Tirone; giovani
lettori: Emmanuele Cavallaro; Vincenzo Alfano; Santo di Naro; Calogero Vinci;
Leonardo Castrogiovanne; un solo ostiario: chierico Ignazio Picone; i chierici
tonsurati erano Orazio Sferrazza, Francesco Savatteri e Nicolò Milano. Tutti
gli ottimati racalmutesi, o almeno quelli che cominciavano ad esserli nel
secolo dei lumi ma anche dell'irrompere di una nuova classe, quella borghese,
vi sono rappresentati. Le famiglie escluse, non sono ancora di riguardo. Tra
queste i Tulumello che poi domineranno. I Matrona mancano perché ancora non
scesi a Racalmuto.
Alcuni
signori amano essere chierici “coniugati”, forse per i benefici del Santo
Offizio: D. Domenico Grillo; D. Calogero Sferrazza; D. Paulo Baeri. Ad un
livello inferiore troviamo i chierici “coniugati” Agostino Carlino, Francesco
Farrauto e Giuseppe Chiovo.
La pletora dei sacerdoti era però
eccessiva e non tutti i ministri di Dio erano modelli di santità o almeno
disponevano di un pur ristretto bagaglio di nozioni teologiche e morali da
potere essere autorizzati al sacramento della confessione: solo cinque, oltre
all’arciprete, erano facoltizzati: il vicario Lo Brutto, uno solo dei Casucci:
Gaspare, don Francesco Torretta, don Baldassare Biondi e don Leonardo La
Matina.
E passiamo
ora ai conventi. Iniziamo dai Carmelitani.
Il priore
era un racalmutese DOC: il sacerdote padre Carlo Maria Casucci, assistito dal
sac. D. Pietro Paolo Roccella. Il padre lettore, il sac. Antonio Monticcioli
era in trasferta a Trapani. Stavano al Carmine, a beneficiare delle laute
rendite i fratelli – i “fratacchiuna” – fra Elia Salemi, Fra Angelo La Rosa e
fra Gerlando Montagna.
I
francescani conventuali erano quelli del convento di S. Francesco; dovevano
essere in quel momento in crisi: un solo sacerdote, padre Giuseppe Cimino – che
giureremmo essere di Grotte, e fra Paulo Surci (semplice “fratello”).
Non così
invece a S. Maria di Gesù: quattro sacerdoti, venuti tutti da lontana via a
godersi le tante rendite (P. Michelangelo da Lentini, P. Ludovico da Licata, P.
Giovan Battista da Mussomeli e P. Bonaventura da Canicattì) e quattro
“fratacchiuna” (fra Pasquale da Racalmuto, fra Gaetano da Cammarata, fra
Giiovanni Battista da Racalmuto e fra Geronimo da Racalmuto). Stavano al
convento attiguo alla chiesa; appartenevano all’ordine francescano dei Minori
Osservanti; coltivavano le feraci terre ove ora c’è il cimitero e sino al 1866
riuscivano a cavarne del buon vino, sia pure con alterna fortuna.
A S.
Giovanni di Dio, adibito soprattutto ad ospedale, non c’erano sacerdoti ma solo
due “fratelli”: fra Bernardo Sassi e fra Vincenzo Mercante, decisamente
forestieri. Le lamentele fatte al Papa da parte del vescovo Ramirez non erano
poi infondate.
Il convento
di S. Giuliano doveva essere chiuso da almeno mezzo secolo ed invece eccocelo
vivo e vitale – sia pure ora inquadrato nell’ordine di S. Agostino della Congregazione di Sicilia. Quanto sia ricco lo
vedremo quando commenteremo una dichiarazione dei redditi, con annesso stato
patrimoniale, del 1754. Qui dimorano tre sacerdoti (P. Agostino da Racalmuto,
P. Ignazio da Geraci e P. Anselmo da Adriano) e tre “fratelli” (fra Giuseppe da
Racalmuto, fra Agostino da Racalmuto e fra Giuseppe da Caltanissetta). I
fratelli laici dovevano sguinzagliarsi per le campagne per la “ricerca”, le
elemosine in natura, ad onta delle cospicue rendite.
Ed ora è il
turno del convento delle monache di S. Chiara. Vi pullulano ben 22 recluso, in
uno spazio che per quanto ampio costituiva una specie di carcere per donne di
diversa estrazione, di diversa età e persino di diversa cultura. Venivano
sepolte nella graziosa chiesa della Batia. Ora, il pavimento della vecchia
chiesa è ridotto a sala di conferenza. I loro resti umani vengono calpestati
senza rispetto alcuno, senza un ricorso, senza un fiore. Almeno quelle
derelitte del 1731 ricordiamole qui, con come e cognome.
L’abbadessa
era suor Domenica Rizzo ed è dubbio che fosse di Racalmuto. Le fungeva da vicaria suor Rosa Renda. Provenivano da
famiglie di spicco: suor Gesua Maria Lo Brutto, suor Maria Stella Sferrazza,
suor Maria Lanciata Di Benedetto, suor Maria Grazia Casucci, suor Maria
Crocifissa Signorino, suor Claradia Amella, suor Maria Gioacchina Brutto, suor
Angelica Maria Signorino, suor Francesca Maria Biondi, suor Maria Scolastica Signorino;
da forestieri o da famiglie non altolocate che riuscivano a sistemare le figlie
superflue tra le cosiddette clarisse, ove il pane quotidiano era almeno
assicurato: Suor Giuseppa Maria Caramella, suor Pietra Margherita Zambito, suor
Maria Serafica Zambito, suor Carla Maria Provenzano, suor Antonia Maria
Raspini.
E con loro,
le novizie Vita Vinci e Orsola Guadagnino. Tre “converse” – all’ultimo gradino
di quella opprimente gerarchica monastica – erano tutte del luogo: soro
Geronima Martorana, soro Elisabetta La Licata e soro Angela Rizzo. Un tratto di
penna dell’Algozini e poi più nulla per queste vite umane, per queste vittime
di una condizione femminile settecentesca, echeggiata appena dalla Maraini
quando ebbe a raccontare la lunga vita di Marianna Ucria. Ma qui non c’è
neppure il benessere del dominio aristocratico.
I benefizi
ecclesiastici sono appena quattro: uno è in possesso dell’arciprete e gli altri
sono semplici: quello di S. Antonio viene goduto da d. Gaspare Casucci; l’altro
di S. Maria dell’Itria da don Pietro Signorino, quello che lascerà tanto alla
chiesa del Monte; ed infine quello di S. Nicolò di Bari assegnato a don Gaspare
d’Agrò.
I mansionari, i preti salmodianti a pagamento in Matrice,
sono ancora dodici, come aveva voluto il fondatore, l’arciprete Lo Brutto e, a
scorrere la lista, ci si sorprende che autorizzati a ricevere le confessioni
sono solo d. Salvatore Lo Brutto, d. Gaspare Casucci e d. Francesco Torretta;
gli altri (don Filippo Cino, don Francesco Pistone, don Vincenzo Casucci, don
Giambattista Pumo, don Isidoro Amella, don Gerlando Carlino, don santo
Farrauto, don Antonino d’Amico e Matina e don Antonino d’Amico e Morreale) sono
bravi a cantare le ore canoniche ma non sono ritenuti all’altezza delle
confessioni, specie delle donne. Per converso don Baldassare Biondi e don
Leonardo La Matina vengono ritenuti idonei ad impartire l’assoluzione dai
peccati, ma sono per il momento tenuti lontano dai benefici economici che il
cantare Vespro e Compieta fa conseguire. Don Nardu Matina non sarà mai
beneficiale venendo a decedere nel 1733 (LIBER, n° 216); Baldassare Biondi (+
29 ottobre 1771) farà carriera, diverrà vicario foraneo e raggiungerà la
ragguardevole età di 82 anni (LIBER, n° 284).
Racalmuto non ospita eretici o scomunicati; è tutto
sommato morigerato e rispettoso della religione e dei precetti della chiesa.
L’Algozini può così rispondere all’apposito paragrafo del questionario:
1. Non vi sono scomunicati, , né sospesi, interdetti o
che non abbiano adempito la communione paschale, o non osservato le feste, né
publici usurarij, concubinarij, adulteri, solamente Lorenzo Scibetta è diviso
da sua moglie che ostinatamente abita in Aragona, Diego di Giglia da Maria sua
moglie che pure ostinatamente non lo vuole, siccome Giuseppe Lo Brutto di
Gaetana d’Anna sua moglie; né pure vi sono giocatori scandalosi né inimici;
2. Vi sono due maestri di scuola, rev.do sac. D. Calogero
Pumo ed il Diacono D. Melchiorre Grillo;
3. Quattro medici fisici dr. D. Giuseppe Grillo, dr. D.
Giuseppe Amelli, rev. Sac. D. Ignazio Pumo, ed il clerico coniugato D. Calogero
Sferrazza;
4. Chirurghi dui il clerico coniugato D. Giuseppe
Sferrazza e D. Antonino Amelle;
5. Due levatrici, Angela Rini e Maria Schillaci, ambi di
buoni costumi e sanno la forma del Battesimo.
Seguiamo ora, passo passo, come l’arciprete Algozini
descrive la Matrice:
1. Il titolo della chiesa è Maria SS.ma
dell’Annunciazione ;
2. Si celebra la festa nel giorno proprio;
3. Non vi sono abusi;
4. La chiesa non è consecrata;
5. Il Padrone è il vescovo;
6. Fu eretta alli 20 giugno 4a Ind. 1621;
7. Nella Cappella di S. Maria del Suffraggiov’è la
Liberazione dell’Anime ogni lunedì e nell’ottava de morti ad septemnium per
breve concesso dalla Stà di Benedetto XIII di fel. mem. a 17 settembre 1728 e
nessuno altare ha Padrone.
Della struttura della Chiesa
1. Questa Chiesa Matrice è construita con due ordini di
colonne, con che si forma la nave e due ali;
2. Ha semplice tetto;
3. Non dona umidità;
4. Vi sono sei finestre, cioè tre con vitriate e tre
senza;
5. delle quali entra vento;
6. le pareti della chiesa in alcune parti sono di piedre
quadrati, in alcune con incrostatura in alcune incolte;
7. senz’erbe;
8. La fabrica da pertutto ben soda;
9. senza veruna servitù;
10. v’è choro situato nell’altare maggiore dell’istesso
sito della Cappella;
11. senza sedili o stalli distinti, ma fra breve vi si
faranno ad eccitazione del detto rev. Archiprete;
12. non v’è separazione di luoco per le donne;
13. il pavimento è di gisso intiero.
Disponibili anche notizie sullo stato dell’edificio e sul
suo assetto interno:
1. Tocca alla Maramma la reparazione che ha onze 3.15.6
di rendite annue e cioè: dal sac. Isidoro Amella onze 2; dal rev.do sacerdote
don Vincenzo Casucci e consorti tarì 13.19; da Antonino di Salvo Ruggeri tarì
4.10; dagli eredi di Giovan Battista Petruzzella e consorti tarì 10.10; da
Giovanne d’Alaymo Trombetta tarì 8.5; dall’erede di Salvatore Corbo tari 8.2.
2. S’amministrano dalli quattro deputati della chiesa che
sono il rev. Archip. Dr. D. Filippo Algozini, il rev. Vicario Foraneo D.
Salvatore Lo brutto, don Francesco Pistone e don Gaspare Casucci.
L’Algozini
ci informa che «v’è dentro la Cappella del SS.mo Sacramento di questa Chiesa
Madre la compagnia del Santissomo Sacramento; l’officiali sono l’antedetto
rev.do arciprete dr. D. Filippo Algozini, M° Giacinto Scibetta e M° Giuseppe di
Rosa.» Aggiunge: «Dentro questa Matrice
chiesa non vi sono cappellanie se non le sacramentali che adesso sono il rev.do
sacerdote D. Francesco Torretta ed il rev.do sacerdote D. Leonardo La Matina.»
Abbiamo
peraltro «un beneficio di S. Antonio Abbate posesso come sopra dal rev.do sac.
Don Gaspare Casucci.» Al servizio della Matrice sono i chierici Pietro Santo
Maura e Santo di Naro: il loro stipendio e di 8 onze, quattro pagari dal rev.
Arciprete, due dalla Cappella del SS.mo Sacramento, onze 1.10 dalla Cappella di
Maria del Suffraggio e tarì 20 «d’altre tre Cappelle in ragione di tarì 6 per
una, oltre tarì 10: incirca di venti.»
Ed ecco, di estremo interesse storico, la descrizione e la
disposizione degli altari:
1. Vi sono quattordeci Altari, il Maggiore;
2. quel del venerabile;
3. della SS.ma Annunciata;
4. di S. Maria del Suffraggio;
5. del SS.mo Crocifisso;
6. di S. Vito;
7. di S. Giovan Battista;
8. di S. Leonardo;
9. di S. Antonio Abbate;
10. di S. Ignazio;
11. della Ss.ma Assunzione;
12. delli S.ti tré Reggi;
13. di S. Giuseppe;
14. di S. Maria Maddalena.
«Per quante
diligenze s’abbiano fatto – soggiunge l’arciprete – non si sa dell’erezione di
ciascheduna.» Nel dettaglio: «Sono l’altaretti conservati nello stipite e non
ve ni sono portatili; sono intieri nelli sigilli delle Reliquie; ve n’è uno
[altare] privilegiato di S. Maria del Suffraggio; nessun altare ha padrone; non
hanno rendite per suppellettili e manutenimento, se non quelli che si devono
contribuire dalli celebranti secondo la tassa e reduzione ultimamente fatta.
L’altare però di S. Ignazio ha tarì 19 annui dovuti cioè: tarì 12 da Pietro
Mulè paruzzo in virtù di contratto per l’atti di not. Michelangelo Vaccaro a 10
settembre 7a 1713, e tarì 7 dal notaio Michelangelo Vaccaro in virtù
del contratto per l’atti del quondam notaio Francesco Pumo a 11 gennaio X
a ind. 1717.»
Gravano
sugli altari vari pesi per messe:
1. La cappella del SS.mo Sacramento messe n° 163;
2. Cappella della SS.ma Annunciata messe n° 58;
3. Cappella di S. Giuseppe messe n° 144;
4. Cappella delli S. Tré Reggi messe 3;
5.
Cappella di
S. Maria del Suffraggio messe n° 914.
«Oltre d’altri sei Cappellanie cotidiane trattenute dalla
detta Cappella del Suffraggio, secondo denota la Tabella in Sacrestia.»
L’inventario del Casucci.
Questo
l’arredo della chiesa e degli altari secondo
l’inventario del tempo:
«Questo è l’inventario di tutti i beni mobili
e stabili semoventi, frutti, rendite, raggioni azzioni e spese di qualsiviglia
sorte della chiesa Matrice di Racalmuto, sotto il di Primo Aprile 1731, fatto
per me D. Gaspare Casucci Economo di detta Chiesa con la presenza e
l’assistenza delli Rev.di Sac. D. Filippo Cino e D. Gerlando Carlino
previamente informati dei beni, frutti e rendite, e sono l’infrascritte:
La sudetta chiesa
Matrice è posta nella strada del Castello a frontespizio della Piazza;
ha d’un lato le case di M° Giuseppe Di Rosa e dall’altro le case della ven.le
Compagnia si S. Giuseppe.»
Qui il Casucci si addentra in una ricostruzione storica
che non sembra avvalorata dai documenti
da noi investigati. Ad ogni buon fine, quella ricostruzione casucciana la
riportiamo egualmente:
«Fu finita di fabriche l’anno 1620: benedetta
con licenza di Monsignor Vescovo di Girgenti sotto li 20 Giugno di detto anno.»
A nostro avviso, c’è qui l’abbaglio della strana ripartizione della parrocchia
tra don Vincenzo del Carretto e don Paolino d’Asaro del 1608 ed il successivo
ricongiungimento delle due parti in capo alla chiesa dell’Annunciata sotto un
unico arciprete che a noi risulta essere don Filippo Sconduto. Il Casucci non
ci pare molto ferrato nella storia della sua chiesa.
Attendibile
invece quando parla delle Cappelle, di cui curava in definitiva
l’amministrazione:
La Cappella della SS.ma Annunciata fu fondata e dotata
da D. Gaspare Lo Brutto e Leonora d’Asaro con obbligo di 58 messe. [..] Li
superlettili di detto Altare, come di tutti gli altri altari e chiese sono li
seguenti:
In primis una Cappella bianca di lama, con sue
tunicelle, casubula, cappa, stole manipoli e palio;
Item una Cappella violacea di lama, con suoi
Tunicelle, casubula, cappa, stole, manipoli e palio d’altare;
Item una cappella virde, con sue tunicelle, casubula,
cappa, stole manipoli e palio d’altare;
Item una Cappella rossa, con sue Tunicelle, casubula,
cappa, stole manipole e palio d’altare;
Item una Cappella nigra di felba [2] con scuti ricamati, con sue tunicelle, casubula,
cappa, stole manipole e palio d’altare;
Item una casubula di stolfo russa , con sue stola e
manipole;
Item una casubula bianca d’asprino con manipola e
stola;
Item dui casubuli nigri, con suoi stole e manipoli;
Item dui casuboli violaci usati con stole e manipoli;
Item trè casubuli russi usati con stoli e manipoli;
Item una casubula bianca raccamata di seta usata con
stola e manipole;
Item una casubula verde usata con stola e manipole;
Item sei cammisi boni, cioè tre di tela d’Olanda e tre
di tela sottile, con suoi cingoli ed ammitti;
Item altri tre cammisi usuali per la giornata, con
suoi cingoli ed ammitti.
Altare maggiore
In primis un quadro di S. Pietro e Paulo di Pittura,
con cornice scartocciata indorata d’oro;
Item n° sei candilieri con suoi vasi e rami usati;
Item n° sei tabole per ornamento dell’altare, indorate
di mostura;
Item una cornice dell’altare indorata di mostura;
Item la carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;
Item due tovagli d’altare;
Item un tappito vecchio per detto altare.
L’ulteriore
precisazione che abbiamo dall’Algozini, datata 1° giugno 1731, parla anche di un dischio foderato di damasco verde usato.
Altare della SS.ma Annunciata
Item la statua della SS.ma Annunciata con l’Angelo, di
ligname indorati di mistura;
Item un Reliquario di Ligname indorato di mistura con
sue reliquie dentro;
Item due candilieri con sua croce usati;
Item una carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;
Item due tovaglie usate per l’altare;
Item una cornice indorata di mistura per detto Altare;
Item tré pialli d’altare usati;
Item un lampero di ramo.
In più,
stando all’integrazione dell’inventario da parte dell’Algozini: sei candileri con suoi vasi novi indorati di
mistura con sei rami di talco novi.
Altare di S. Maria del Suffraggio
Item un quadro di pittura con sua cornice indorata;
Item sei candileri con la croce e sei vasi;
Item sei rami usati;
Item quattro candileri piccoli;
Item una carta di gloria col’imprincipio e lavabo con
le cornici indorate di mistura;
Item Item due tovaglie d’altare;
Item un palio di seta violaceo e bianco con cornice
indorata di mistura per detto Altare;
Item un lamperi di ramo novo.
Altare del SS.mo Crocifisso
Item l’Immagine del SS.mo Crocifisso con la croce
indorata;
Item un quedretto di Maria delli Setti Dolori con sua
cornice;
Item quattro candileri con sua croce usati;
Item una carta di gloria con l’Imprincipio e lavabo; con
“concice indorata” (v. Algozini);
Item un palio d’altare di pittura con cornice
indorata, che è “di stolfo violetto e rosso con gallone d’oro, novo”
(vedi inventario del 1° giugno 1731).
Integra
l’Algozini: sei candileri con sei vasi
indorati di mistura novi; sei rami di talco stagnolati novi;
Altare di S. Vito
Item L’imagine di S. Vito di ligname;
Item una tovaglia ed un palio d’altare usati.
Altare di S. Giovanni Battista
Item un quadro
con la figura di detto santo con la cornice;
item l’imprincio e lavabo usati, item un palio di
pittura;
itemdue candilera vecchi, ed una croce senza pede.
Altare di S. Leonardo
Item un quadro con la figura di detto santo;
Item una tovaglia ed un palio di pittura;
Altare di S. Antonio Abb.
Item la statua del santo di ligname;
Item quattro candileri con sua croce e rami vecchi;
Item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
Item una tovaglia per detto altare;
Item un palio d’altare di pittura;
Item un lamperi di ramo.
Altare di S. Ignazio.
Item il quadro con sua cornice indorata di mistura;
item quattro anegli per candeleri;
item una croce usata;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
item un palio d’altare di pittura con cornice indorata
di mistura.
Altare della SS.ma Assunzione
Item il quadro con sua cornice;
item quattro candileri vecchi;
item carta di gloria con l’imprincipio e lavabo
vecchi;
item un palio d’altare di pittura con sua cornice.
Altare delli santi tre Reggi
Item il quadro di pittura;
item due candileri con sua croce
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo.
Altare di S. Giuseppe
Item la statua di detto santo con il suo Bambino di
legname indorati
Item sei candileri con suoi vasi e rami usati, e
croce;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo
item un palio d’altare di seta vecchio con sua
cornice;
item due tovaglie per detto altare.
Altare di S. Maria Maddalena.
Item il quadro con la figura di detta santa;
item sei candilera con la croce, quattro vasi e
quattrorami;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
item palio d’altare di seta con cornice indorata di
mistura.
Altare del SS.mo Sacramento
Item una custodia di marmo con suo tabernacolo
indorato. Item un Padiglione di seta violaceo con sua guarnizione d’argento;
item quattro candileri con sua croce;
item quattro vasi per li rami;
item dui tovaglie per l’altare;
item un palio d’altare di seta con sua cornice
indorata.
L’Algozini
aggiunge: due padiglioni di tela
stampata; un portaletto di damasco rosso con suo gallone d’argento usato; sei
candileri con suoi vasi e rami di talco stagnolati, una campanella nova per
servizio delle messe e due padiglionetti per l’ogli santi.
Ovvio che è la sacrestia ove sono custoditi paramenti
sacri, ornamenti vari, addobbi ed altro.
Significativo l’inventario, anche perché potrà un domani servire per un
museo parrocchiale veramente rievocativo della vita religiosa dei nostri
antenati, contadini e pii.
Item dui crocifissi per la preparazione;
item dui chiomazzelli per detta preparazione verdi
usati;
item altri dui di tela per detta preparazione;
item due coverte di tela per detta preparazione;
item uno stipo grande con altri due piccoli a lato
novi;
item due coverte per il fonte battesimale di seta
violetta con frinza ed altra di coiro con frinza, usati;
item due dischi;
item un’ombrella per il fonte battesimale;
item quattro lanterni novi;
item una coverta di tela rossa sopra la boffetta della
cridenza;
item un portale di tela per l’organo;
item una stola di stolfo rossa;
item altra stola di damasco di diversi colori;
item una fodera per l’ombrella;
item un palio d’altare dinnanzi il battisterio;
item una sponza di ramo;
ietm un lamperi di stagno;
item una pisside con il piede di ramo;
item un altro vaso a forma di pegno con il piede
d’argento per il stabile;
item un baldacchino d’asprino con li quattro asti
indorati;
item un stendardo d’aspino, con altri due palietti del
medesimo drappo;
item un ombrello del medesimo drappo d’asprino con n°
venticinque campanelli d’argento di bolla;
item altri sei palietti, cioè due di stolfo e l’altri
di diversi colori, con suoi lanterni ed asti;
item altro baldacchino bianco ed un stennardo usuali;
item una sfera grande con il piede d’argento con la
lonetta indorata;
Item l’incensero e navetta con sua cocchiarella
d’argento;
item una sponza d’argento ;
item tre calici con piedi di ramo indorati, con tre
patene;
item altro calice con il piede d’argento con sua
patena;
item una cocchiara d’argento per il fonte battesimale;
item dui vasetti d’argento per l’oglio santo del
battesimo;
item altro vaso per l’oglio santo dell’estrema unzione;
item tre paviglionetti per il vaso del SS.mo Viatico;
item tre portaletti per la custodia;
item una tovaglia bianca di taffità con guarnazione
d’argento;
item altra tovaglia di taffità bianca vecchia;
item cinque corporali;
item n° undeci veli di calici di tutti colori usuali;
item n° dieci borze con suoi palli di diversi colori;
item cinque messali usuali;
item quattro missaletti;
item una cassetta con tre vasi di stagno con l’oglio
santo;
item un rituale e graduale vecchi;
item dui calamara di stagno con una bussola nel
battisterio;
item un particolario; item un sicchetto di ramo;
item due boffette nella sacrestia, tre cascie vecchie,
un scabello, un genuflessorio, tre tovagli di facci, dui chiomazzella di felba
russa usati, un crocifisso per il Pulpito, una cappa e tonicella neri lavorati,
item tre incerati, un tisello (o tusello v.s.) di legname, un triangolo di
ferro con cilio di cera, altro triangolo per le tenebre;
item quattro campanelli;
item una tela azola per la porta;
item tre confessionarij;
item una seggia per il SS.mo Viatico;
item un organo di cinque registri ed un polpito;
item tre trispiti;
item tre campane nel campanile, cioè una grande di sei
cantara, altra mezzana di due, ed il segno.
Si chiude qui l’inventario che reca la sottoscrizione del
sacerdote D. Gaspare Casucci, economo e quella del sacerdote D. Gerlando
Carlino.
Nelle
visite pastorali, il clero doveva sobbarcarsi alle spese per il vescovo,
vettovaglie , cibarie ed ospitalità per il giorno e per la notte. L’arciprete,
il vicario foraneo ed il procuratore del clero partecipavano all’eventuale
Sinodo. Per il cosiddetto “cattedratico” l’arciuprete doveva sborsare 6 tar’
annui. Ministero della cura si chiamava l’ufficio sacerdotale generale.
Sappiamo che in quel tempo era parroco Filippo Algozini di Prizzi, consacrato
sacerdote nel 1712. Quando giunge il Gioieni era parraco di Racalmuto da «tre
mesi e giorni dieci»; era di nomina pontificia (con breve di papa Clemente XII)
e nel 1731 aveva 43 anni.
L’arciprete
«risiede ed amministra la cura dell’Anime per se stesso e li suoi coadiutori
sono il rev.do sac. D. Francesco Torretta ed il rev.do sac. D. Leonardo La
Matina cui le si somministrano onze 12». Due chieri sono inoltre al servizio
della Matrice, a pagamento.
Ancor oggi
sono godibili i libri parrocchiali, in definitiva per l’amorevole cura
dell’arciprete Algozini, guarda caso: non era neppure racalmutese. Trattasi dei
seguenti libri: «parrocchiali, cioè de Battezati, de Matrimonij, dello stato
dell’Anime (invero, al momento v’è un salto delle numerazioni delle anime
passandosi da quella del 1654 a quella del 1755), de morti, osservando il
metodo prescitto dal rituale romano con alfabettarsi; libri de confermati non
si ha ritrovato per quante diligenze abbia fatto.»
“Sermoni
pastorali” ogni domenica e tutte le feste comandate; la dottrina cristiana
viene insegnata il dopo pranzo di tutte le feste dall’arciprete che si serve “della dottrina di Bellarmino in
volgare per li figlioli" ” del "catechismo romano" per gli
adulti. Una menda: “non v’è scola per la dottrina”.
Ancor oggi
ammiriamo il primo libro delle “denuncie da farsi al popolo” che è proprio
dell’Algozini: ivi «ogni domenica si denunciano tutte le feste e vigilie e si
pubblicano gli editti del vescovo e del S.to Officio”. Quest’ultima
denominazione – che avrebbe fatto drizzare le orecchie di Sciascia – resta solo
un flatus vocis, visto che nulla di orripilante è dato di rintracciare nel
citato volume parrocchiale. Leggiamo, ad esempio, questo tediosissimo bando
(come si vedrà non vi è nulla degno della Santa Inquisizione, almeno nella
versione ormai corrente): «Avendo pervenuto alla notizia del Procuratore
Generale de’ Santi Luoghi di Gerusalemme che molte persone abbiano detenuto,
impedito, occupato, sottratto, et in altro uso
convertito l’elemosine, legati, denari, ed altri, in qualsivoglia modo
spettanti a detti Santi Luoghi, essendovi anche di tal occupazione, detenzione,
sottrazione et impedimento scienti alcune persone i quali per rispetto umano
non vogliono rivelarlo, per ordine di Monsignore Ill.mo vescovo di Girgenti si
fa canonica monizione a tutte le suddette persone che dovessero rivelare, e ciò
fra il termine di giorni 15, cinque de’quali se l’assegnano per il 1° termine,
5 per il 2° e 5 per il 3°, quale spirato e non fatti li suddetti riveli si
procederà da esso Mons. Vescovo e Sua E.C.V. alla fulminazione della sentenza
della scomunica contro li scienti e non revelanti li detinenti, occupanti,
impedienti e sottraenti l’elemosine dìsuddette. – 1731 Xa ind.
Ottobre.» L’avrà spegato l’arciprete
Algozini a quei basiti contadini racalmutesi, tutti alla messa della domenica?
Se no, davvero avevano poco da capire. Così come anche noi stentiamo a scoprire
le ragioni che spingono il “devoto e santo vescovo” Gioieni a quelle veementi
minacce di scomunica … contro ignoti. A meno che, dopo l’interdetto, erano
proprio i preti locali ad accaparrarsi i proventi della vendita delle bolle
della crociata; in questo caso erano davvero faccende interne e prudenza voleva
che si si facesse scandalo. Avrà l’Algozini farfugliato qualcosa per non
disobbedire al vescovo ed al contempo non disorientare i suoi parrocchiani, i
nostri antenati?
In quel
periodo approda a Racalmuto M° Filippo Agostino Bianco ed intende sposare
“Marca Peri, schetta, figlia legittima e naturale di M° Rosario e Vita Peri di
questa suddetta terra di Racalmuto.» Il cognome Bianco fu celebre anche ai miei
tempi per la spiccata personalità di don Pasqualino. Il Pepi è patronimico
scomparso da Racalmuto a memoria d’uomo.
Mastro Filippo Bianco era stato davvero un girovago e fu fatica improba per
l’amanuense della Matrice trascrivere tutti quei toponimi esteri in cui il
nubendo aveva dimorato più o meno a lungo: dalla Plagia del Marchesato di
Brandeburgo alla terra di Aisein, ove si recò quando aveva 29 anni; «indi andò
a travagliare da lavorante» in un paio di città estere e dopo finì a Proohoki
per approdare a Vienna, passare in Lungaria, a Preseburg, in Raap, in Ophm.
Ritorna a Vienna, ma non definitivamente: passa a Craaz e quindi a Piumma.
Finalmente ritorna in Sicilia “con un vascello inglese” «e stette trè mesi in
Palermo, di là un mese al Mazzarino, poi quindeci giorni a Butera, indi nove
mesi in questa terra di racalmuto», ove intende accasarsi. Per stabilire lo stato
libero, povera curia arcipretale!. Ma ci riuscirono: nessuno ebbe da eccepire
dopo le pubblicazioni del 29 giugno, del 5 e 22 luglio del 1733. Pubblicazioni
peraltro fatte gratis. E così: «desponsati fuerunt per me don Franciscum
Torretta cappellanum , de licentia Parochi, sub die 24 julii 1733. Testes
fuerunt Gaspar Giglia et Nicolaus S. Angelus, et postea benedicti fuerunt per
sacerdotem Salvatorem Lo Brutto. Registrati
gratis.» Frattanto una famiglia riemergeva dopo un appannamento, la
famiglia Savatteri. Il 2 febbraio 1732 il chierico Giovanni Savatteri, dovendo
accedere all’ordine subdiaconale, può dichiarare pubblicamente che gli è stato
costituito questo cospicuo “patrimonio”: una Cappella di onze dieci annuali con
l’onere di Messe dieci fora data nell’Altare di S. Leonardo, in Serradifalco,
come appare per contratto di fundazione ed elettione stipulato per l’atti di
notaro Simone Boni sotto li 14 gennaro 1732; ed in supplemento una vigna
consistente in migliara cinque con tumuli dui e mondelli dui di terre vacue
confinata con la vingna di notarr Michael Angelo Vaccaro, e altri confini,
nella contrada di Bovo, e numero cinque case conlaterali confinati con le casi
di D. Vincenzo La Matina nel quartieri del Monte come appare in virtù di
donazione stipulata per l’atti di Notari Nicolò Pumo.» La formula di rito si
concludeva con questo “monitorio”: «pertanto se alcuno sapesse che detto
patrimonio sia simulato, fiduciario, o che non sia bastante o di realtà lo
venghi a denunciare.»
A S.
Giovanni di Dio c’era l’ospedale. Affidato ai padri Fatebenefratelli, questi –
e non solo allora – parevano più intenti a farsi i fatti loro che a badare
all’assistenza degli ammalati di Racalmuto. Ma, quando subivano degli “sgarbi”,
si avvalevano delle censure religiose dei loro confratelli della Matrice per
tentare di ritornorare in possesso dei loro beni, violentemente asportati. «Si
notifica ad ogn’uno – ci tramanda l’Algozini – qualmente nel mese di dicembre
del 1732, avendo andato il P. Priore del venerabile Convento di S. Giovanne di
Dio per alcuni affari di detto venerabile convento nella città di Palermo, in
detto tempo, per causa della sua assenza fu fatto notabile danno al detto
convento con averci derubato molto mobile,come formento, sommacco, oglio, e
robba di tela, e molta robba di comestibile ed altro in grave danno e
detrimento del detto venerabile convento, e perché vi sono alcune persone
scienti dell’antedetto, e per rispetto umani non vogliono rivilarlo, intanto
fra il termine di giorni quindeci … avessero da rivelare tutto quello e quanto
sanno di verità altrimenti detto termine elasso e non fatto rivelo alcuno dalli
scienti dell’antedetto, si procederà contro di essi dalla G.C.V. a fulminazione
di scomunica. 1733 XI Ind. Primo 8 e 15 Marzo.» La Gran Curia Vescovile non
credo che abbia sortito effetto alcuno da questa minaccia di scomunica contro
ignoti: voler spezzare con la paura dell’inferno il senso d’omertà che già
allora doveva essere forte a Racalmuto, era pia illusione. E poi a vantaggio di
chi? Di un religioso del Continente che sopra S.Anna ci stava solo per
arraffare le rendite che erano state distolte da Girolamo del Carretto e sua
moglie Melciorra Lanza da un antico, umanitario scopo: la cura degli ammalati
dereletti.
In quel
tempo le feste particolari di Racalmuto, almeno quelle che si celebravano in
Matrice, erano quelle che celebrative di: «S. Giuseppe, SS.mo Crocifisso, S.
Antonio Abbate» nonché quella della SS.ma Annunciata. Non erano, però,
occasioni di peccato o motivi per dar scandalo: «non vi sono male consuetudini
– affermava l’Algozini, e noi dobbiamo credergli – e le vedove per la mestitia
giungono più tosto il tempo della Messa e così ancora le zitelle spose.» Il
pudico vescovo Gioieni poteva star dunque tranquillo.
Sontuose
processioni, si avevano, poi, per il SS.mo Sacramento, nel giorno del Corpus
Domini e per tutta l’Ottava. Inoltre, il giorno delle Rogazioni,
dell’Ascensione, nel giorno di S. Marco, in quello di S. Maria di Giesù, di
Maria del Carmine e di Rosalia:
Ci viene
descritta una processione solenne: la processione del Santissimo «si fa come
quella della Cattedrale; le mazze dell’ombrella e Baldacchino si portano dalli
Giurati senza disparere, con tanti lumi quanto intervengono alla Processione,
tanto di confrati quanto di regolari e clero; la spesa del lume è somministrata
d’ogn’uno di per sé o dal Corpo della Communità.» L’arciprete lamentava
«l’abuso che alcuni regolari portano la Croce senza pallio, ne’ Defonti.»
Ci colpisce
la meticolosità con cui andavano celebrati gli atti fondamentali della vita
religiosa. Il battesimo: «si trasferisce poch’ore dalla nascita del figliolo;
senza necessità non si battezzano infanti in casa; nel sabato santo e nel
precedente della Pentecoste con si battezza con rito solenne.» Noi moderni difficilmente
riusciamo a comprendere come mai quello che per noi è atto d’amore, per
l’arciprete Algozini un abuso che intende assolutamente sradicare: «non s’ha
potuto riparare – accusa – al disordine di alcune madri tengono l’infante in
letto ante annum». E se anche i genitori facevano l’amore, il bimbetto di un
anno poteva davvero scandalizzarsi? Prurito clericale.
L’Eucarestia «si porta all’Infermi giusta la forma
prescritta di Paulo V, con diciotto lumi» a spese della Compagnia del SS.mo
Sacramento: il clerico accompagnava il sacerdote con il Rituale e l’Acqua
Santa. Quanto al sacramento della Confessione – tema scottante – era assicurato
che «le sedie confessionali stanno il Logo aperto della Chiesa con le
finestrelle e latte minutamente perforate, e con le grate spesse di legno. …
Non si ammettono le donne di confessarsi
di faccia a faccia.» Il problema è quello degli infermi che vengono
confessati in tempo per colpa dei medici che «il più delle volte … non osservano
la Chiama» E l’Algozini incalza: «il disordine che corre circa l’infermi s’è
che senza tal necessità alle volte dimandano il SS.mo Viatico ad ora
intempestiva.»
Ovviamente
«li matrimonij si celebrano in chiesa, con la messa pro sponsis, non in casa,
se non con licenza del Vescovo [come abbiamo visto per il pittore Di Benedetto,
n.d.r.]». Sta iniziando l’indagine
ecclesiastica di appurare preventivamente se la volontà è davvero libera: «si
sta introducendo – ci segnala l’Algozini – d’esplorarsi la volontà delli sposi
separatamente.» Il guaio era che già i nubendi qualche carezza se la
scambiassero prima delle nozze. Apriti cielo! «Li sposi alle volte – esagera
l’Algozini – coabitano prima di contrarre il Matrimonio per verba de’ presenti
ma occultamente.»
Il rituale della morte è da brivido: «lo fa il Parroco
quest’Officio per se stesso quando non ha altra occupazione». In ogni caso si
segue un testo dovuto al Principe di Ramacca (sarebbe da cercare) e ci si
attiene al Rituale di Paolo V.
Poi le
esequie: «si osserva il Rituale ad
amussim (a puntino); si paga di mercede per ogni defonto sepellendosi nella
Parochia a ragione di tarì 8.10, cioè tarì 3 per sepoltura e tarì 4 per obitoe
tarì 1.10 per Croce.» Abbiamo notato una lievitazione del prezzo della buona
morte nel corso del Seicento che ora
diviene decisamente alto. Intanto, scemava il tenore di vita dei meno abbienti
e tanti che per orgoglio giammai avrebbero chiesto l’elemosina per il punto di
morte sono ora costretti a farlo ed a
seppellire i loro morti nella carnaia della chiesa “gratis pro Deo”. Aspetto
questo che francamente ci turba. Abbiamo pertanto una volta stigmatizzato il
costume alquanto lugubre di speculare anche sulla morte da parte delle autorità
ecclesiastiche, asserendo:
«I preti - allora - collaboravano, anche
nello stanare evasori e falsi “miserabili”. La faccenda fiscale era allora,
come oggi, faccenda seria, ficcante, perturbativa. Era una faccenda fiscale
quadripartita: tasse per il barone prima e conte poi per i suoi diritti
“dominicali”; “tande” per l’estranea e sfruttatrice Spagna; imposte comunali e,
poi, tasse - e tante- di natura religiosa.
Queste ultime, secondo una nostra stima, erano la metà
di tutta l’incidenza tributaria: andavano dalle decime arcipretali (chiamate
primizie) ai “diritti di quarta” della
Curia vescovile; dai gravami basati su un falso diploma del 1108 (quello di
Santa Margherita) in favore di un canonicato agrigentino che nulla aveva a che
fare con Racalmuto (sappiamo di canonici beneficiari saccensi) ai tanti
balzelli per battezzarsi, sposarsi in chiesa, avere il funerale religioso. Beh!
la chiesa tassava il fedele racalmutese dalla culla alla tomba.»
Il passo
della relazione Algozini che abbiamo
prima riportato, se non giustifica l’asprezza del tono, una qualche
ragione ce la dà.
E se si voleva
una sepoltura in altra chiesa, aumentava il costo: «in altra chiesa tarì 5 ne
si paga altro funerale se non che la quarta della cera». Anche per i bambini
c’era la «quarta di Monsignor Vescovo, però si pagano soli tarì 1.10 e
competisce a Monsignor Vescovo la quarta parte tanto dell’obito de grandi
quanto dell’obito dei figlioli.» Una nota di costume: «non vi sono abusi delle
donne dolenti e congionti del defonto». Dobbiamo arguire che l’usanza delle
prefiche o si era estinta o si era attenuata fino a non apparire un abuso agli
occhi dell’arciprete Algozini.
Nel tempo della Quaresima, un apposito predicatore veniva
chiamato dal di fuori per le sue roventi omelie volte al pentimento ed alla
redenzione. E questo nell’ampia Matrice. Ciò invece non si reputava
indispensabile nel tempo dell’avvento. Occorreva risparmiare, anche perché le
spese per il predicatore incombevano sull’Università: pare che ascendessero ad
un’onza e 2.5 tarì.
Erano
compiti della parrocchia: a) benedire e distribuire le candele; b) fornire le
palme nei giorni debiti ; c) e ciò a carico dell’arciprete; d) benedire e
distribuire le ceneri; e) benedire solennemente il fonte battesimale, ogni anno
nel sabato antecedente alla Pentecoste; sguinzagliare i sacerdoti per la
benedizione delle case. Allora come oggi.
I problemi
dell’aggiornamento del clero locale in materia di morale e nelle questioni
teologiche? L’Algozini ragguaglia di avere «istituito un’adunanza di casi
coscienza e di sacra scrittura due volte la settimana [anche se] non v’è
costituzione che la precetti; il metodo che si propone e risponde d’uno
dell’adunati il caso della coscienza, ed al punto della sacra scrittura. Tiene
appresso di sé la Bibbia sacra, il cristiano instruito del P. Segnari ed altre
sue opere, il Nesembergh, Crasset, ed altri ascetici; di Morale, il Bonacina
Viva, Sayro, Azorio, Toleto ed altri
simili.
Trascriviamo
ora pedissequamente il capo sesto, che contiene notizie di dettaglio molto
importanti per comprendere la congiuntura storica di quel momento.
«Circa le
notizie deve dare il Paroco della menza Parochiale, del beneficio e della
persona. Della persona [del Parroco]: il suo nome è D. Filippo Algozini di
Prizzi, d’anni 44; è sacerdote, Dottore in filosofia e teologia, revisore de’
libri nella Corte Archiepiscopale di Palermo.
«Il
beneficio ha Ciesa propria [come abbiamo sopra descritto];
«Si chiama
l’archiprestato di Racalmuto, sotto titolo della SS.ma Annunziata; l’è stato
conferito della S. Sede; [di benefici, l’arciprete] ne possiede uno solo, [ed
è] beneficio libero. Le rendite sono un tumolo di formento e un tumolo d’orgio
per ogni casa, le vedove però un solo tumolo di formento, esclusi li fuggiti,
miserabili e mali pagatori. Non vi sono beni alienati né usurpati; e questi
sono Primizie, perché le decime tutte spettano a Mons. Vescovo e Catedrale.»
Ci viene
qui spiegato il termine Primizie che pare fosse, dunque, una pretassazione a
favore del Parroco; mentre le decime vere e proprie – quelle che si facevano
risalire al celebre privilegio del 1099 – erano di pertinenza del Vescovo e dei
Canonici della Cattedrale e venivano sottratte ad ogni ingerenza del locale
arciprete.
Sulle
Primizie arcipretali gravavano pesi ed oneri non indifferenti: 12 onze per i
cappellani; 4 onze per i sacrestani; tarì 6 per il «catredatico»; onze 5 per il
Seminario di Girgenti; tarì 20 per diritti erariali; onze 12 per aggi
esattoriali; tarì 6 per la cera di S. Gerlando; tarì 6 per “l’oglio santo”;
onze 4 «per sollennizzare la festa di Natale»; onza 1 «per la festa di Pascha»;
onze 4 «per l’altre feste mobili dell’Anno, cioè Pentecoste, Ascensione,
quadragesima, tenebri e simili; onze 2 per la Candelora; tarì 24 per le palme;
onze 3 «per spese a minuto di Santuzzi, incenzo, libri parrocchiali, censi di
confessionarij, purghe di sepolture, conze di vasi d’argento ed altri; onza una
e tarì 18 per lavare la biancheria della chiesa; onze 7 per la quarta funerale
incirca; onze 4 per sartatetti di superlletili; onze 2 per candele a chi paga
la primizia; onze 4 “per provedere gli Altari”; [circa] onze 3 per “peregrini,
spesa d’Erarij della G. C. Vescovile, visita, di cui non se ne sa il proprio
stabilimento” ». Insomma, sull’arciprete Algozini gravavano, a suo dire, oneri
per 70 onze e 20 tarì.
E allora
vediamo quali erano gli altri benefici.
«Delle
notizie deve dare il paroco circa i Legati e celebrazione de’ Messe»,
s’intitola il capo XI. Il parroco, in effetti, è tenuto a celebrare messe:
«In tutte
le feste solenni e domeniche dell’anno; per li fratelli e sorelle di S. Maria
del Soffraggio due messe solenni nell’anniversario, una nel primo lunedì di
quadragesima ed altra nell’ottava dei defonti, ed una messa cantata cotidiana
conventuale; per li fratelli del SS.mo Sacramento, una messa cantata
nell’anniversario de defonti. Per il rev.do archipreste dr. D. Salvatore
Petrozzella una messa cantata nel Lunedì del Corpus Domini; per D. Geronimo
Provenzano una messa cantata nel giorno del suo anniversario; per Giovanna
Grillo una messa cantata nell’ultimo vennerdì d’agosto.»
«La
Cappella della SS.ma Annunciata tiene obligo di far sodisfare l’infrascritte
messe, cioè: per l’anima di Don Gaspare Brutto messe n° dieci per reduzione
fatta dal fu Ill.mo Monsignor Vescovo de la Pegna a 9 settembre 1727, in virtù
di testamento del detto rev.do di Lo Brutto per gli atti di notar Natale
Castrogiovanne a 3 ottobre prima
Indizione 1617: al presente si pagano per Domenico d’Alaimo sopra li beni da
lui possessi messe 10; Per Leonora e Bartolomeo d’Asaro messe n° 43 cioè per la
detta Leonora n° 28 e per d. Bartolo n° 15 come per detta reduzione fatta dal
dettoIll.mo de la Pegna nel di sopra citato, in virtù di testamento di detta
Leonora per gli atti di notar Pietro Bell’omo ad 8 febraro prima indizione
1663: al presente si pagano cioè onze 2 per Onofrio Busuito ed onze 1 per
l’eredi di Giuseppe Macaluso Alessi sopra il loro beni: messe n° 43; per tutti
quelli avessero fatti legati alla detta Cappella Messe n° 5 ordinati dal detto
Monsignor della pegna per detta reduzione: messe n.° 5».
La Cappella
del SS.mo Sacramento era gravata dall’obbligo di n° 162 messe e cioè n.° 29 per
l’anima di donna Melchiora Paruta Ramirez, giusta atto del notaio
Castrogiovanne del 18 maggio 1592 ed a spese del Principe di Campofiorito; n°
24 per Costanza Lo Brutto, in virtù di atto del notaio Michelangelo Morreale
del 5 dicembre 1636, con un onere di un’onza dovuta da Simone Sorce e tarì 21
dovuti dagli eredi di Salvatore La Matina; n° 9 per Francesca Casuccio per atto
del 1638 ; n.° 29 per Orsola d’Afflitto per atto del 1654; nà 1 per l’arciprete
dr. D. Salvatore Petrozzella; n° 43 per mastro Libertino Falletta; n° 4 per
soro Anna di Palermo; n.° 12 per il sacerdote don Santo La Matina; n.° 10 per
il sacerdote D. Antonino Macaluso; n° 1 per soro Grazia d’Agrò.
Nella
Cappella di S. Giuseppe dovevano recitarsi queste messe: n° 141 per l’anima del
rev.do sac. D. Giovan Battista d’Acquista; n° 1 per don Geronimo Provenzano; n°
2 messe cantate per l’anima dell’arciprete dr. D. Pompilio Sammaritano, per
obbligo della Compagnia di S. Giuseppe.
Nella
Cappella di S. Maria del Suffragio si celebravano: n° 8 messe per l’anima di
Baldassare Promontoro; n° 9 per don Gaspare Lo Brutto; n° 2 per D. Giovanni
Macaluso; n° 5 per Antonino Sferrazza; n° 12 per Giovanna Grillo; n° 10 per il
rev. Sac. D. Giuseppe Sanfilippo; n° 17 per il sac. D. Girolamo Scirè; n° 43
per Francesco La Licata; n° 56 per
Antonino Sferrazza; n° 14 per il sacerdote don Giovan Battista Baeri; n° 4 per
Vincenzo Castronovo; n° 240 “per diverse persone descritte nella giuliana”; n° 72 per il sac. Don Giuseppe Vella; n° 4
per Giuseppe La Matina; n° 2 “per l’anima di tutti li contribuenti; n° 10 per
il sac. D. Giuseppe Lo Brutto; n° 10 per d. Giuseppe Lo Brutto e Petrozzella;
n° 10 per il notaio Isidoro Lo Brutto; n° 6 per don Francesco Lo Brutto; n° 58
per il sac. Don Calogero Cavallaro.
In quella
“delli Tré Regi” abbiamo n° 3 messe per
don Santo La Matina.
Importante ancora il ruolo delle associazioni cattoliche
laiche; in sommo grado le cosiddette Compagnie. A capo stava il Governatore con
due assistenti che venivano chiamato “congionti”. Spettava loro
l’amministrazione dei beni e venivano eletti con voto segreto. Duravano dai
pochi mesi ad un massimo di un anno, ma potevano venire rinnovati. La carica
era a titolo gratuito. La Compagnia aveva rendite che spesso risalivano alla
notte dei tempi.
In particolare, abbiamo informazioni sulla compagnia del
SS.mo Sacramento cui si deve la chiesa di S. Tommaso d’Aquino. «Fu fondata per
quanto s’ha potuto con diligenza indagare nell’anno 1632: in tempo di Urbano
VIII»; da quel tempo comunque intervennero le approvazioni episcopali ad ogni
successione sino al predecessore del Gioieni. La confraternita aveva sede nella
chiesa di S. Tommaso d’Aquino, santo che la Compagnia festeggiava nel giorno
della sua ricorrenza. Ancora, a quel tempo, la chiesa non era consacrata ed era
sotto il padronato della medesima Compagnia. Della chiesa si ignorava il tempo
dell’erezione, ma, appunto per ciò, diveva essere piuttosto vetusta. Diciamo
che risaliva per lo meno alla prima metà del Seicento. «La struttura della
chiesa è a forma di oratorio; il tetto di tavoli è buono e non piove. Vi sono
due finestre impannate; le pareti sono buoni; vi sono sessanta stalli di legno
per fratelli; la fabrica si fa a spese delli fratelli. Ha d’entrata onze 12
dovute da don Francesco Maria per gabella di duodeci pecori di detta Compagnia;
di più tarì otto dovuti annualmente da mastro Desiderio Troisi sopra una casa
sita in quartiere di S. Margheritella confinante con mastro Giovanne Di Vita e
Filippa La Caro, lasciateci da Costanzo di Benedetto in virtù di testamento; di
più tiene Tumulo 0-1-2 di terra incirca nella contrata al Mulino Vecchio [..];
di più tarì 4 di rendita .. sopra vigna e terreno nella contrata della Noce; di
più tarì 7 sopra vigna e sommacco nella contrata di Casali Vecchio.» La
Compagnia teneva fiscelle di api, n° 50 pecore e da ultimo i Fratelli dovevano
versare nelle casse sociali 5 grana al mese. Il loro vestiario era
caratteristico: sacchi bianchi con mantello bianco orlato di nero e con la
figura del SS.mo Sacramento, figura che era reiterata negli stendardi e nelle
“verghe”. Nel 1731 erano iscritti 80 fratelli;
dopo un noviziato ed una “prova”, con voto segreto di “tutti gli officiali e
fratelli” si veniva ammessi alla Fratellanza.
La
tumulazione avveniva di solito nelle chiese. Il cimitero principale era alla
Matrice. «Nel pavimento della chiesa – scrive sempre l’Algozini - vi sono n° 10 sepolcrare; non sono sotto le
pradelle dell’Altari; ve ne sono quattro Padronati: una delli fratelli del
SS.mo Sacramaneto, altra delli Petrozzelli, altra delli Brutti ed altra
dell’Acquisti.» Sorprende che non si citi quella dello sciasciano personaggio
di don Santo d’Agrò.
Una notizia
piuttosto inestricabile è la seguente: «vi è cemiterio dentro l’istessa chiesa
murato da per tutto, e però non ci è chiave, né Croce, né speciale benedizione
del Vescovo.» Un’antica “carnaria”, pensiamo noi, che nel 1731 non solo era
andata in disuso ma era stata, forse per motivi igienici, totalmente sotterrata
ed ermeticamente chiusa. Riteniamo che si tratti di quella che frettolasamente
dovette essere aperta al tempo della gavissima peste del 1671.
Notizie di
contorno: il campanile era alto 65 palmi circa e non era coperto ma poteva venire
raggiunto agevolmente con una scala interna definita comoda; era munita di tre
campane come abbiamo già detto che erano state benedette dao precedenti
arcipreti su licenza del vescovo. Il campanile non aveva entrata autonoma: «non
v’è porta perché si salisce dalla medesima chiesa.»
Notevole la
sacrestia: «è a tetto, vi sono tre finestre impannate, in una parte umida. Il
pavimento [è] di gisso; non vi sono armarij; è mediocremente provista di
superlettili sacri secondo l’inventario; la spesa di providerla appartiene al
rev.do Arciprete e legatarij di messe.»
La Matrice
non era subordinata ad alcuno: non v’era jus
patronatus come ad esempio a Grotte che determinerà il cosiddetto scisma
alla fine dell’Ottocento. Al tempo dell’Algozini «non c’era casa Parochiale, né
cose mobili destinate alli Rettori, ma ogni soccessore o se la loca o se la
fabrica per sé». Singolare caso quello della Cappella del Santissimo
Sacramento, in possesso di «cinquanta fiscelli d’api con l’eredi del rev.do
sacerdote D. Calogero Cavallaro» (+ 12 gennaio 1730).
[1]) Tra
le carte della Matrice è però custodito un documento che si riporta
in appendice che comprova la rendita della Cappella della Maddalena, risalente
appunto a don Santo d’Agro, che si continua apercepire ancora nel Settecento e
nell’ Ottocento.
[2] ) Drappo di seta col pelo
più lungo del velluto: felpa.
[3] ) piccolo sopraccielo,
baldaccino = dossello.
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