Dopo
settimane telefonò addirittura il presidente democristiano della
camera; consolò il direttore generale; gli accreditò la sua
fiducia. Suggerì imperiosamente che non era il caso di querelare il
giornalista di ABC. Il direttore ubbidì. A tempo debito ricevette
una parcella plurimilionaria. Il presidente della camera esigeva la
liquidazione della sua assistenza legale (mai richiesta). Erano i
tempi antecedenti la prima repubblica.
Supra tuttu, s’iu vi futtu
Iu mi sentu furtunatu,
nun invidiu li ricchizzi
o la sorti d’autri pizzi,
ca li cunni chiù prigiati
si gudisciuni a michiati.
Non
chiedetemi perché mi va di scomodare Domenico Tempio, il diverso
Muzzicapassuli della “grammatica pilusa”, nel sentirsi fortunato
se consegue l’osceno coito, mi richiama gli echi di quella era
democristiana quando le propensioni anali erano figurate ma anche
vere.
Capitolo
secondo
L’osceno
Aurelio
E
per stare in armonia con la scurrilità di così spregevole richiamo
letterario (ma in incomprensibile vernacolo), corre qui l’obbligo
(come burocratese non è poi da buttar via) di rimembrare il secondo
ceffone della vita del dottore Aurelio La Matina Calello.
Nel
tedio delle sere del sabato, Aurelio, rimasto solo, amava raggiungere
l’uggiosa Torino. Vi si annoiava ancor più ma non desisteva.
Soddisfaceva invero un suo vizietto occulto: comprare riviste porno,
complici ed invoglianti nelle sue solitarie masturbazioni nel vacuo
lindore della stanza d’albergo, che pur era matrimoniale ed ampia.
Comprarle ad Asti, si vergognava, temeva di essere riconosciuto.
Ed
una volta l’attrasse un’inserzione osée: coppia disinibita
accoglieva nel proprio talamo purché .‘dotato’. «Lui
contemplativo», nel gergo di allora (come dire: nessun pericolo
omosessuale … ed Aurelio odiava l’omosessualità virulentemente.
“Garrusazzu”, restava per lui vituperevolissimo figuro).
Si
lasciò adescare: “fermo posta”; foto riservata (andò da un
valentissimo fotografo astigiano), etc. etc., tutto l’armamentario
per siffatti incontri, insomma.
Quando un sabato sera, freddissimo ma terso e stellato, suonò alla
porta di una signorile villetta di via Morgari Aureliò dilagò in
vertigini, eccitamenti, sensi di colpa, smarrimenti. Venne accolto da
un signore cinquantenne, brizzolato, composto, quasi ieratico.
- si accomodi dottore, ma nell’androne-soggiorno, luci diffuse sì ma rivelatrici, il disappunto dell’ospite fu palese. Con piemontese autocontrollo, il moto ostile slabbrò subito in un sorriso affabile ed accogliente.
- il drink glielò servo io, capisce la servitù l’ho lasciata libera, ed ovvio, fu inappuntabile.
Aurelio
strabiliava: era un bell’uomo,
charmant, ricco ed allora perché?
Volle credere a qualche carenza fallica.
- la signora sta facendo toilette. La scusi.
E
qui l’anfitrione iniziò una loquela inarrestabile.
- io sono ebreo, sa. Ma diverso. La mia è una schiatta nobile … molto nobile … ineguagliabile. Non so se sa di bibbia. Leggiamo Genesi, 19, 30 e successivi: «poi Lot partì da Zoar ed andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di stare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie. [L’immondo citava a memoria, con presumibili svarioni e licenze. Io, Meluccio Cavalieri di Giorgenti vado consultando gli “appunti autobiografici” di Aurelio e lì vi è solo il riferimento al passo biblico. Integro traslando da una “Marietti 1820”].
«Ora la maggiore disse alla più piccola:
“il nostro padre è vecchio e non c’è nessuno in questo
territorio per unirsi a noi … pater noster senex est, et nullus
virorum remansit in terra qui possit ingredi ad nos iuxta morem
universae terrae. Vieni facciamo bere del vino a nostro padre, e poi
corichiamoci con lui … Veni inebriemus eum vino, dormiamus cum eo
.. (oh quel dormiamus per
coitiamo, quanto pudore nella ‘vulgata’), così faremo
sussistere una discendenza da nostro padre.
«Quella notte fecero bere del vino al loro
padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre … dormivitque
cum patre (si chiavò il padre,
siamo espliciti) .. ma egli non se ne accorse (o finse) né
quando essa si coricò, né quando essa si alzò. All’indomani la
maggiore disse alla più piccola: ‘ecco, ieri mi sono coricata con
nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va’ tu
a coricarti con lui.» E qui la
reiterazione dell’incesto fecondo della figlia minore. Erano ..
erano …. Erano vergini le due sorelle? Certamente no. Vero è che
Lot, pur di salvare integro il deretano dei due angelici stranieri
tentò di offrire l’imene delle due figliole ai vogliosi sodomiti.
“Habeo duas filias, quae necdum cognoverunt virum”. Forse il
vecchio non mentiva; i sodomiti non abboccarono, dunque sapevano …
di furtive concessioni … forse di orge … non escluso il
meretricio. Diversamente, dinanzi ad un virgineo banchetto (anzi
duplice) come non assentire? Lot, in ogni caso, è vecchio sozzo: due
avvenenti angeli valgono di più di due intatte (o credute tali)
figlie. Esplodeva anche in lui l’attrazione contro natura? (Tanto
non è mio padre, posso infierire.) Credo che Lot sapesse e vi
speculasse .. il pretium sceleris gli faceva un comodo della madonna.
‘Pappone? A Roma, in sicilia come si dice? Non v’è lemmo
equivalente … ruffianu .. beccu … mizzanu …
non rende … non rende. Curnutazzu
… sì curnutazzu …
può andare … po’ jiri
.. Pronuncio bene il suo dialetto? …. Ah! Ah! Ah! … po’
jiri ? … simpatico …
spiritoso. Dunque dicevamo: da quegli incesti proliferarono i moabiti
e gli ammoniti … due popoli infami, reietti, ma veri e prischi
ebrei. Diffusi per il mondo, giungono sino a noi sono diffusi ovunque
… anche in Italia .. anche in Sicilia. Già, quel popolo
incuneatosi nelle più profonde latebre del tessuto sociale della
Sicilia del XV secolo da dove vuole che discenda .. ma dai frutti
incestuosi delle due figlie di Lot? E non è vero che Isabella di
Castiglia sia riuscita a far sloggiare i figli dell’incesto dalle
sue terre siciliane … sì nel 1492 appunto. Sappiamo di quel
domenicano Torrecremata capace di terrorizzare la regina (il re,
pare, era più laico e più propenso a preferire le trentamila auree
onze di Sicilia alla postuma vendetta di un deificio mai provato: la
regina condivise col domenicano le somiglianze esecrande tra i trenta
denari del tradimento di Giuda e le trentamila onze dello scellerato
patto con i deicidi di Sicilia.) Ascolti il suo paesano Giuseppe
Picone (Aurelio ne ignorava allora l’esistenza, davvero,
seppe poi, il Picone era quasi un suo compaesano, di Racalmuto
appunto, nota mia): «.. stanchi
gli ebrei del modo onde i regi ufficiali incrudelivano sovr’essi,
partirono a trnt’uno dicembre del 1492, lasciando ai nostri avi i
proclami di Carlo II e Carlo V, onde gli ebrei venivano richiamati in
Sicilia. La nostra terra inospitale fu esacrata non solo dagli ebrei,
che si sparsero in altre regioni, ma bensì da qualunque nazione
commerciante. Essi partivano, e il nostro popolo ne fece baldoria, e
vittima dei falsati principi , propagati da un governo ignorante ed
ingordo, e da preti non meno ingordi e fanatici, ne tripudiò … ma
ne pianse in seguito del pianto della miseria che gli sopravvenne.»
E qui però il Picone erra, almeno in parte. Non tutti gli ebrei
trasmigrarono (a Napoli, pare): solo quelli ricchi, abbienti … gli
altri si mimetizzarono, presero nomi locali, banali … la licata …
la matina (Aurelio arrossì, si guardò pero bene dal denunciare il
suo cognome … ebreo secondo il Corrotto) … parisi … lintini
…Guardi … guardi negli archivi parrocchiali e dovrà convenire
con me.
Fu
a questo punto che apparve finalmente la signora. Un
miraggio, un incanto. Cerulea negli occhi, sciolti i capelli lunghi,
in profluvio biondo sino al sorgere delle arcate in delicato
modularsi nel retro del corpo minuscolo diafano angelico eppure
ammiccante vivido sinuoso. In tulle di color purpureo,
trasparentissimo per mostrare le carni del desiderio e la mise della
lussuria. In pizzo i generosi involucri dei seni composti e compatti,
senza osceni debordi. Invitante la guêpière.
Niente giarrettiere, le calze fiorate cessavano sopra il ginocchio
fissate da guigge a festoni di color citrino. Laggiù, invero, v’era
contrasto le coperture dell’alto: quasi le ambiguità delle
Pornokrates di
Ferdinand Rops. Malizia e sberleffo: l’angelo scendeva nel
bordello. Il tocco del dottor Ba’alzebub
evidente, perfido.
- Ofelia …, il dito esigeva risposta,
- Lio.
- Già Lio, che strano nome per un siciliano. Diminutivo di che?
- Aurelio.
- Notevole … notevole. Ma il suo nome non lo svelò.
Ofelia
andò compassata a sedersi a fianco di Aurelio. Lasciò divaricare i
lembi della veste. Bianchissimo il modularsi delle cosce. Per il
momento impenetrabile alla vista il configurarsi del sesso.
- Dicevamo .. dicevamo. Sì, voi siciliani non siete arabi, non siete normanni, non siete spagnoli, né greci né tampoco romani. Solo in minuscola parte. Sostanzialmente siete i figli delle incestuose figlie di Lot. Lei no, Lio. Lei .. vediamo … lei, ma è evidente lei è berbero. Ricciuto, rinsecchito, elettrico, sopra la media, lungo collo ma testa oblunga. E lì, lì in basso … lo vedremo dopo. Non ci avrà ingannato proclamandosi “superdotato”. E’ circonciso .. no, è vero? Diversamente con un glande scappucciatissimo chissà a quali lunghezze perverremmo? Sbaglio? Ofelia è gracile di costituzione e certe lunghezze non le recepisce. Le danno dolore. Si rifiuta. Capisce? Ma i cosi troppo piccoli non sono … fallici. Leda ed il cigno … va bene, ma con il pene adatto al coito sadico-anale.
Sarà
stato per quel linguaggio, sarà stato per l’effluvio erotico che
veniva dall’abbordabile Ofelia, Aurelio cominciò qui ad eccitarsi.
Mirò la partner.
Le toccò il ginocchio. Salì sopra la guiggia. La pelle fresca,
liscia e linda dava sensi di ebbrezza. Salì ancora. Ofelia,
impassibile. Ma il dottor Ba’alzebub dette segni di
nervosismo. ‘Strano’, si disse Aurelio e proseguì sino a sostare
sulla copertura del sesso. Ofelia, impassibile. ‘Fantasmatica’,
pensò Aurelio venendogli alla mente un termine letto nei testi della
psicanalisi che in quel tempo lo appassionavano.
- Ofelia ebrea non è. Come del resto potrebbe esserlo, così eterea, così cerulea, tanto … immacolata? E disse quel termine con tono indecifrabile.
- Io, sì … ma non sono figlio di quelle putride figlie? Non mi vede … non c’è compatibilità … Io sono figlio … Ma che fa?
Proprio
in quel momento, Aurelio eccitatissimo aveva portato la mano di lei
sul suo sesso gonfio sotto la patta. Il dottor
Ba’alzebub si alzò di scatto e andò a mollare un
gran ceffone sulla guancia di Aurelio. Il quale, confuso, smarrito ed
anche indolenzito, farfugliò:
- mi scusi dottore .. io non volevo ..
- non volevo un corno. Non permetto a chicchesia che si manchi di rispetto a mia moglie.
Aurelio,
allora, fece segno di alzarsi per andarsene.
- ma dove cazzo va? Stia lì. Ogni cosa a suo tempo, ogni cosa a suo tempo.
Aurelio
ubbidì, mansueto e basito.
- Eppure sono figlio della mogile di Lot. – riprese il dottor Ba’alzebub col tono di prima, stralunato ma serafico. – Sì. Ha capito bene ….Quella della Genesi … Duo angeli advenientes in domum Lot … Surge , tolle uxorem tuam. Ed era bellissima la moglie di Lot … matura ma splendida nei suoi trentacinque anni …. Anche Ofelia ha trentacinque anni … Bruttissimo, lui … vecchio, cadente e cornutazzo … Seconda, terza, quarta moglie … non so. Brutalizzata appena quindicenne partorì la prima delle figlie … poi la seconda … poi il sesso bandito … lui impotente, non capace più di erezione alcuna. I due angeli l’abbagliarono. Erano angeli ma non serafini, anzi rigonfi di maschi attributi … Si insinuò tra loro nella notte successiva all’accecamento repressivo … et eos qui foris erant, percuserunt caecitate a minimo usque ad maximum, ita ut in ostium invenire non possent ... Ebbe eccitazione forte la moglie di Lot mirando le depravate voglie dei sodomiti … ebbe appagamento memorabile tra i due angelici maschi … davanti e dietro … e po dietro e davanti, scambiandosi gli angeli le fenditure del piacere della moglie di Lot. Da chi fui generato, se dal seme del primo o da quello del secondo, non so. Non mi è stato rivelato quella notte sul Tabor … Non ero ancora sposato. Sopra la collina di Yizre’el, la notte d’agosto, quando stelle a frotte solcavano il cielo sopra le rovine avvolte di vegetazione, nella parte della cima ellittica, spentosi lo scenario dello splendido panorama dei monti di Nazareth, resistente ancora ad ovest dopo ore dal calar del sole, nudo, crocifisso sulla nuda terra, il mio sesso ebbe ad innalzarsi sino a vette mai raggiunte prima. Mi apparve l’angelo, sì l’angelo mio padre … e tutto mi disse, tutto mi svelò … Non credete, scettici … Non credete! …Ma io so la verità. Ego sum veritas… Dopo, per non procreare più altri mirabili angeli, avendo in me ormai l’irrefutabile verità, il mio sesso scomparve … si prosciugò … neppure i testicoli resistettero … solo una enfiatura per la minzione … e sotto un prurito, simile forse al desiderio, inappagabile.
S’immalinconì
il dottor Ba’alzebub. Sospeso nei suoi pensieri o
ricordi, entrò come in trance. Ofelia, impassibile. Quindi il
sussulto, il ritorno all’empio recitare … Una sigaretta accesa …
d’odore strano … un’altra passata ad Ofelia.
- a lei no, vero? Lei non fuma marijuana.
Lio,
in effetti, all’epoca ne sconosceva persino l’esistenza. Il tempo
dello “spinello” era ancora di là da venire.
Anche
Ofelia sembrò rianimarsi. Brividi quasi impercettibili, specie là
vicino. Lui si alzò.
- ed ora all’opera. Vada in bagno, si mondi, si unguenti … e poi nudo in camera da letto. Ecco che gliela mostro.
Il
dottor Ba’alzebub acquisì come d’incanto toni
imperiosi cui non si poteva sottrarsi. Lio ubbidì remissivo e fu
remissivo anche dopo per tutta la serata, per quasi un paio d’ore.
Veniva addirittura plagiato da un eunuco.
*
* *
Nel
dondolarsi sopra lo sferragliamento del treno da Torino ad Asti, solo
in uno scomparto di seconda, per risparmiare, nel succedersi di lampi
di luce e di profondità buie, in penombra, quella fioca delle luci
della notte, Lio rimembrava, il sonnecchiare era lancinante per il
patire rimorsi: crudi, spietati, come vampe infernali dell’anima.
Si era prostituito. Era divenuto il transfert
di Belzebù senza ritegni, privo di ogni umana dignità, cui aveva
abdicato miserevolmente, persino sconciamente. Belzebù seduto …
assiso sul trespolo .. su una inconsueta poltrona adagiata su un alto
podio in ferro battuto .. per vedere meglio .. godere meglio …
dirigere imperioso … regolare luci, musica … amore .... sesso …
- questo è il sublime Johannes Brahms, il concerto n. 2 per piano …. Ricominci …. Parti dall’avvio, un invito con un titillamento … sì sul suo clitoride … una toccata del piano … una risposta orchestrale della mano … sì, bravo … martelli … ma piano … come i passaggi del piano forte. Lei è il pianoforte …. maschio …. virile … ma dia fiato alle trombe … ella è casta … ella è pura … va svegliata … coi trilli delle trombe … ed ora in concerto … mani bocca ansimi sesso stringimenti ma cautamente. Ofelia non l’ama- Ama me, desidera me, ma io sto qua lontano, impotente eppure presente, prendo a prestito il suo coso, enorme, bestiale, disumano, voglioso, sovrabbondante …. Si è spento? Già come una pausa sinfonica, cioè un lieve sussurro, in cicalare tra piano ed orchestra. Il desiderio si appanna. Si lasci andare, si lasci andare. Il piano si anima … Vibri colpi col pene sulle sue grandi labbra … Il glande non entra … aspetti, aspetti perdio, non vede che è ancora asciutta, inaccogliente. Ma lei è quasi all’eiaculazione … si fermi e parti … entri .. entri.
Ofelia
gridò di dolore, la sua apertura era ancora stretta per l’enorme
priapo. Il piano dialogava, l’orchestra rispondeva. Sembrò
corrispondere, ma si smarrì … il piano riprese voluttuoso …
sinuoso …. Parve ritrarsi … labile … nel rutilare di note
flebili … ma si andava dai bassi agli acuti, avanti e indietro,
senza foga … bussava … picchiava … non veniva aperto … eppure
paziente … non desisteva. Le anche si alzavano, si abbassavano, si
alzavano. Ancora niente. Interrogativi del piano, pausa, silente
l’orchestra … un singulto … una risposta piu estesa …. dolce
ora il piano … Finalmente il grido liberatore. I due o tre gemiti
dell’orgasmo … non sincronico … ma di entrambi.
Belzebù
aveva cercato affannosamente il piacere … strofinando frenetico il
bozzo fra gli inguini … ma nulla … ma nulla.
- l’angelo mio padre non permette … non consente.
A quello sconcio squarcio della memoria, Lio sprofondò nella
vergogna, nelle frustrazioni della sadica curiosità dei terapeuti
analisti. Castrazioni, invidia del pene, pulsioni sadico-anali, e via
discorrendo, ma in forma d’umano annichilamento, come il
disprezzarsi fino alla voglia di morte. Antiche vergogne e freschi
ricordi di un sesso senza amore, volgare, depravato, depravante.
Povero
Lio! L’abbandono al suo intimo distruggersi. “Cupio
dissolvi”, ma era acre soffrire.
Leggo fra gli appunti rievocativi siti in files varie volte abrasi (e
da me pervicacemente ripresi). Mi muove pietà. Quel giorno, di
mattina, alla biblioteca centrale Lio aveva ripescato il vecchio
testo del DIADECTICON. Ne riporto il titolo per come lo rintraccio
nel suo computer:
MARCO
ANTONIO ALAYMO - DIADECTICON - PALERMO 1636
(Dalla
Biblioteca Nazionale - microfilm delle pagg.1-38 e 295 335)
W
DIADECTICON
SEU
DE
SUCCENAREIS MEDICAMENTIS
OPOSCULUM
Nèdum
Pharmacopulis necessarium, verum et Medicis,
Chimicisvè
maximè utile, in quo nova, & admiranda Naturae Arcana
reconduntur.
A
U C T O R E
M
A R C O A N T O N I O
A
L A Y M O
Philosopho,
&t Medico, Siculo, Racalmutensi, civeque Panormitano Ill. &t
Prothomedici eiusdem Fel. Urbis Consultore, &t Deputationis
Sanitatis Deput.
Indice
locupletissimo tum capitum, tum rerum notabilium, tumquè Auctorum in
opere Citatorum illustratum.
[Pertinet
ad Bibliotecam S, Francisci tran Tiberim]
------
PANORMI,
Apud Alphonsum de Isola Impress. Curiae Archiep. M.DC.XXXVI.
Superiorum
Permissu.
--------------
L’immagine
di Ofelia, femminea angelica attraente, era scomparsa. Se era stata
la villica della radura francese dietro il Monte bianco, se era
apparsa normanna, bionda ed esile, residuo grazioso di nozze nordiche
non promiscue, ora appariva deforme, demoniaca, asessuata mezzana,
peccatrice, infernale. E Lio si ripetè i versi del Veneziano che
quello strambo di suo paesano, il medico Marco Antonio Alaimo,
dimentico delle sue frequentazioni con il padre La Naza, il santo
gesuita nato da fedifraga copula, include maliziosamente nel suo
medico trattato:
Per la quartana, ch'è sua
malatia
Si cuverna di signi lu
Liuni,
E per lu mal suttili, ed
Ethicia
Cimici vivi s'agghiuttinu
alcuni;
Lu mentri lu bisognu mi
primia
Per longu spatiu di
tridici Luni
Contra l'humuri miu gustai
di tia
Cimicia in modi, e Signa
alli fazzuni.
Lio,
nel suo animo, ebbe talmente a vomitare di donne e di sesso con
donne, che da quel d^ non si congiunse più con femmina alcuna, sino
alla sua morte violenta. Non violentò più donne, … fu violentato
da donna?
E qui
rientro nei panni di improvvisato e letterario detective.
*
* *
Non
andava forte la dottoressa Evelina Adelaide Mangoni Mistretta,
commissario capo della questura di Agrigento. Sulla Peugeot 306
rallentò ancora alla curva del bivio per Castrofilippo, mirò forse
– non era superstiziosa – la villa in cima dei Bonadonna, paurosa
per la diceria di “signureddi” ognor presenti. Rallentò ancor di
più nell’inforcare la bretella per Racalmuto. Una motrice di un
articolato stazionava ai bordi appena prima dell’inizio della
rampa. Mi mise in moto, accelerò: sul cavalcavia speronò la peugeot
che piroettò in area, si sfracellò di sotto, nell’area laterale
del traliccio, ed infiammandosi s’incenerì. Questo, a dire di
testi, quanto attendibili c’è proprio da dubitarne.
- da lu Chiuppu vinni, a lu Chiuppu turnà,
ripeteva beota Liddu Marino, pazzo più che stupido, personaggio
emblema di Racalmuto. Fascistissimo in memoria del padre, odiava
comunisti ed i simboli della “falce e martello”. Alle elezioni,
staccava gli odiati manifesti. Quando, inaccessibili, gli furono
sfacciatamente ostensi nel balcone dinanzi il sagrato di S. Giuseppe,
trillò, chiese, inascoltato, rimozioni, si impermalosì sino a
rabbie che al limite potevano esplodere minacciose.
- picchì? Picchì?, bofonchiava Franciscu, che da giovane, quando era sano di mente, comunista lo era stato.
- Mi l’hannu a livari, mi l’hannu a livari….. entrambi non smisero però di sorseggiare le buatte di birra gelata.
Liddu
Marinu non pisciava però sull’iperealistica statua bronzea di
Sciascia, posta sul marciapiedi ‘di li galantuomini’. E ‘ddo’
Sciascia lo era stato, persino la carica di cassiere del ‘casino di
li civili’ ebbe a rivestire, ma alla fine degli anni quaranta.
Franciscu invece, con scandalo degli ‘adoratori perpetui’ dello
scrittore, ci scialava proprio ad irrorare di biondo liquame,
abbondantissimo per birra e vino trangugiato senza limiti, il piede
sinistro dell’immagine bronzea.
Liddu
Marinu non era attendibile .. non poteva esserlo. Alle prese con
fascine di legna, che poi fiero portava a “lu chianu castieddu”
per la ‘vampa’ di S. Giuseppe, in cerca di asparagi selvatici ed
anche di “bbabaluci” “muntuna” e “judischi” - quando era
il suo tempo – raramente varcava il recinto merlato dei pizzi del
serrone .. e “lu chiuppu” era di là. E poi come credere ad un
alienato di mente? A Racalmuto, il suonare la corda pazza è
abitudine diffusa …. Ma Liddu Marinu, che poi loquace non lo era
neppure, tutte le sue corde aveva pazze.
“A
lu chiuppu” c’era un tempo villa sontuosa e misteriosa, quasi
all’ americana, di un boss narese… ma quello era fallito e gazebi
aiuole aranceti androni panchine foresterie marcirono ed intristirono
sino alla sterilità sino dirupare sino a spallare. Se no, davvero si
poteva pensare “al padrino” vindice di una poliziotta un po’
troppo ficcanaso nelle faccende postsindoniane, magari a rimorchio
della vecchia ispezione che si attribuiva ad Aurelio La Matina
Calello. E sulla morte di Aurelio La Matina Calello la dottoressa
Evelina Adelaide Mangoni Mistretta alacremente inflessibilmente
indagava. Sindona mafia ispezione bankitalia ed avvelenamento di Lio
Calello erano per la poliziotta un cerchio unico in successioni
causali. La chiamavano “la poliziotta” perché come tale
accedette alla polizia. Il concorso a commissario, dopo, appena
conseguita la laurea … in pedagogia. Era una virago, da poliziotta.
Irruppe nel covo di Brusca ed alla Zingarella lo braccò con forza
erculea. Faceva anche culturismo.
La
presero carbonizzarla. Ce ne volle prima di identificarla. E così le
sue carte sono passate a me.
*
* *
Dopo
Asti, il dottore Aurelio La Matina Calello imboccò una prestigiosa
stagione ispettiva; pur con grado gramo fu capo-missione in quasi
tutte le quattro o cinque ispezioni punitive permessesi dalla Banca
Centrale. A volere il Calello era lo scorbutico vice direttore
generale dell’epoca, gran massone ma puritano, inflessibile,
napoletano e calvinista. L’apprezzamento per il giovane ispettore
derivava dal fatto che non si era lasciato infinocchiare in una
verifica ad una banca di Terzigno, decotta ed ammanigliatissima.
Non
aveva conclusa l’ispezione ad asti il dottore La Matina: sul finire
era stato incluso in un viaggio-premio nell’allora misteriosa
Unione Sovietica. Di là degli steccati ideologici, le banche
centrali dialogavano fraternamente fra di loro, anche quella
sovietica. Dall’Italia partì uno stuolo di giovani e rampanti
dirigenti. Da Via Nazionale a Mosca. Da poco introdotta la centrale
dei rischi, sembrava un miracolo di efficienza bancaria. Cicciu
Ciciru, volle interrogare il funzionario bancario russo dai ponti
metallici sgangheratamente in risalto tra intartarati denti propri.
«Avete anche voi la centrale dei rischi?» Il funzionario non capì
ma con orientale furbizia aggirò brillantemente l’ostacolo. I
colleghi di Ciccio ne trassero altri spunti per la usuale derisione
del Ciciro.
Al
ritorno dalla Russia, trovò il capo missione malconcio a Roma, in
via dell’Acqua Bullicante, a casa sua, oltremodo gessato, il suo
giovane collega. Andati a gozzovigliare a Cocconato, dopo abbondanti
libagioni (carne cruda e barolo, insomma, ed altro), rimessisi in
viaggio per il mero rito dei lavori ispettivi del pomeriggio, si
addormentarono sulla pur robusta vettura “Lancia”, sbatterono
contro un piliere sul ciglio della strada. Medicatosi appena, il capo
raccolse le carte e tornò a Roma. L’ispezione fu chiusa. Ma non
v’era “FAI” decente, i fogli di analisi ispettivi avevano sì e
no i dati del Mod. 81 Vig. Un disastro. La questura tentò di
indagare sull’incidente. Il direttore generale ricambiò la
cortesia ed il caso fu archiviato, senza denunce alle superiori
autorità (la magistratura penale).
Irridevano
quelle tre o quattro paginette di “penna d’oro”. Eppure “Penna
d’oro” non volle o seppe vendicarsi: prese il FAI e vi scrisse
sopra, a lungo, doviziosamente, pungentemente. Ne trasse un ponderoso
“rapporto”. Il capo firmò felice e sollevato. Non pensava che
“Penna d’oro” potesse avere tanta proficua fantasia. Quel
rapporto passò in Vigilanza come un modello da imitare. La vicenda
dell’intreccio di assegni a vuoto e la sottesa grande speculazione
edilizia dell’ex federale e del sussiegoso piemontese finì
eclissata.
Dopo
Asti, un paio di pause di riflessione: in subordine a Fabriano e
Morciano in ispezioni di poco conto. Poi gli scottanti incarichi che
un qualche strascico nella storia dei crack bancari del dopoguerra
l’hanno avuto. Si pensi: echi persino in parlamento ed a S.
Marcuto. Sono vecede su cui forse dovrò tornare, al momento vediamo
di svelare il mistero della morte del mio ormai diletto Aurelio. Già,
quasi dimenticavo di dirvi che il povero Aurelio defunse per cianuro,
ma un cianuro strano, non in commercio: pare posseduto solo dai
maldestri servizi segreti iracheni. Impressionante: anche Diodona, il
banchiere del crack su cui indagò il mio ispettore della Banca
d’Italia, cessò di vivere alla Pitrusa con l’identico strano
‘cianuro’. Non pensate a Pisciotta: non c’entra.
Per
Diodona si parlò di suicidio: ma nessuno ormai ci crede, come per
Sindona, come per Calvi, come per altri banchieri, finanzieri …. di
moda ora parlare di “faccendieri”, come se poi vi fosse davvero
differenza.
Sia
fatta la volontà di Dio: affrontiamo codesto nodo gordiano. Il rag.
Giorgio Diodona era nativo di Barcellona Pozzo di Gotto, tra Palermo
e Messina ma sia nell’entroterra della provincia della città del
faro. E non finiscono qui le somiglianze con l’altro celeberrimo
banchiere, l’avvocato Sindona. Anche Giorgio Diodona si trasferì
piuttosto giovane a Milano e riuscì a far fortuna nel mondo delle
banche. V’era pur sempre quel Virgillitto che tra un diadema per la
Madonna e qualche brillante per le madonne dei suoi amici politici
determinò il salto di qualità degli affari di Cosa Nostra
d’oltreoceano o dimorante di qua dello stretto. Navigò con gli
inglesi. Amò gli svizzeri. Seppe delle isole Cayman. Non capì gli
americani ma facendo grossi affari con loro credette di coglionarli.
Ne fu coglianato. Con i russi, affari d’oro con la pesca le armi ed
il grano americano. Col Vaticano, preghiere indulgenze opere pie
denaro … e sesso per i vogliosi arcivescovi e si disse anche
cardinali. Con il papa … Dio ne scansi e liberi … si sghignazzò
di un giovanetto molto bello ed aggraziato … tanto femmineo, fu
celebre latin lover del cinema italiano. Non mi va di proseguire:
svilirei i fatti del mio giallo.
Col
caso Sindona vi fu un’impressionante sinergia. Furono due crack
alla carta carbone, una sorta di clonazione anzitempo ed extra
moenia. Nel mondo dell’alta finanza può succedere, ogni umana
fantasia è impari. Lo disse anche De Martino a S. Marcuto e lui fu
sommo maestro, anche di storia del diritto romano. Presiedette
indagini parlamentari bancarie, pur ignaro di partite doppie,
accrediti, spot, swap, foward, outright, borsa, mercato parallelo,
redditività, patrimonializzazione dei conti d’ordine, conti
bilanciati, gergo dei ragionieri, quello degli agenti di cambio,
quello borsistico.
Va
ribadito qui con robusto tono che il dottor Aurelio La Matina Calello
nulla ebbe a che fare con il caso Sindona: le sue incombenze, i suoi
accertamenti, le sue allucinazioni, i suoi successi, il suo valore e
la sua morte riguardano l’analogo e quasi coevo caso Diodona. Se
qualcuno continuerà a confondere, io non ne rispondo. Non mi si
potrà querelare. Distinzione .. distinzione, sia chiaro!
Il
pasticcio della confusione s’origina forse dal fatto che, beffardo
ed ironico, il dottore Aurelio La Matina Calello, sicuramente per
invidia, si intromise negli sviluppi del crack Sindona prima aizzando
Lotta Continua nel semestre finale del 1979 e poi cooperando – una
cooperazione quasi integrale, tota ed
ampla – nella stesura del pamphlet
anonimo “Goodwill” a firma di un improbabile Colbert.
Detto
fra noi, è scritta quasi tutta di suo pugno, di Aurelio cioè, la
parte da pag. 37 a pag. 187. Le pagine di ‘premessa’, e quelle
dell’«antefatto», e poi quelle sugli artefi
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