Quel
caldo venerdì di fine giugno 1974. Corsi e ricorsi storici: allora
SINDONA oggi ANTONIO FAZIO
Calda
estate allora come adesso, un venerdì pomeriggio arriva un ordine da
Via Nazionale 91: allertare tre ben specifici giovani ispettori della
Vigilanza bancaria per un colloquio col signor Governatore nella
mitica grande sala del San Sebastianino. Vengono chiamati il futuro
direttore generale dottor Enzo De Sario, il siciliano dottor Calogero
Taverna, l’impeccabile dottor Piero Izzo. E’ la fine di giugno
del 1974. Cose vecchie di 38 anni fa si direbbe, ormai archiviati.
Sì, se in questo afoso come allora giugno non avessimo un epilogo
(in parte assolutorio, in parte scandalosamente accusatorio) di un
viluppo conflittuale tra poteri costituzionali: magistratura e
governo dell’economia.
Quel
giugno del ’74 si chiuse con un compiacente decreto Sindona,
assolutorio di uomini e cose; il corrente giugno ha tappe capovolte:
un’assoluzione ormai non più riparatrice ed una salomonica
riduzione di pena da parte di togati inidonei a comprendere le
superiori leggi che governano i mercati, le borse, l’ordito
bancario, la bilancia dei pagamenti, le sorti dell’economia
nazionale. De jure condito
e de jure condendo
precipitiamo tra vacui e
perniciosi lacci e laccioli, che miseramente di taglio privatistico
soffocano la superiore salvaguardia dell’economia nazionale
dell’intera comunità statuale (se lo Stato è ancora un valore).
Nel
pomeriggio del venerdì di quell’altro giugno aspettammo a lungo
prima di essere ricevuti dal Governatore: lo trovammo costernato
oltre misura. La mattina la borsa inglese aveva rubricato le tre
banche milanesi che facevano capo a Sindona come “inaffidabili”.
A nulla era valso un elogiativo fondo sul Corrierone, a firma Enzo
Biagi. Banca Unione e Banca Privata Finanziaria si erano ingolfate in
un forsennato intreccio speculativo in cambi ed avevano accumulato
perdite stratosferiche. Come?
Banca
Unione veniva affidata all’ispettore dott. Enzo De Sario (che poi
diverrà direttore generale B.I.). La “Privata” al sottoscritto,
esodato anzitempo per incompatibilità politica. Al sottoscritto ebbe
a presentarsi dopo pochi giorni dall’inizio della visita ispettiva
un nobile banchiere dell’epoca: Clerici di Cavenago. Esibì una
carpetta di carte, in parte fogli di un elaborato elettronico, in
parte un rendiconto manuale a scalare di c.d. operazioni in cambi.
Mi
fu detto che trattavasi di outright
a catena andati in male alle varie scadenze, chiusi con swap
i cui spot
chiudevano l’operazione a termine mentre i forwod
rinviavano a data futura gli
outright
risultati perdenti per irrazionalità dei cambi a termine. I nuovi
cambi a termine gonfiavano quelli di mercato per l’inglobamento
degli interessi maturati. Naturalmente il discorso mi risultò del
tutto ostico. Per riprendermi andai a comprare il don
Chischotte e così consolarmi
col fatto che il povero Sancio ebbe a rifiutare l’argomento del
suo principale il quale lo voleva convincere che non v’era sagrista
di Spagna che osasse privare il suo pievano del gusto di infliggergli
un buon numero di nerbate.
Resta
il fatto che le banche poi finirono, come noto, in malora ma
difficilmente riuscireste a trovare in una qualsiasi delle sentenze
di condanna un qualche accenno a tali operazioni veramente esiziali
per il patrimonio aziendale, causa precipua del dissesto
fallimentare.
Eppure
di trattava di una speculazione valutaria dell’ordine di $
3.659.511.933, nonché di DM 2.905.097.000, di Lgs. 10.000.000 e di
Frb. 175.000.000 di acquisti a termine contro $ 4.036.975.594, nonché
di DM. 1.153.650.000 e di Lgs. 25.000.000 per vendite a termine. E
ciò solo per la Banca Privata Finanziaria: vi erano poi le analoghe
immani perdite della Banca Unione. Ne parlavo alle pagg. 46-47 del
mio rapporto; ne discettava a lungo uno strano libro, SOLDI TRUCCATI,
che la Feltrinelli pubblicà il primo gennaio 1980 e, pur andato a
ruba, spari incomprensibilmente da tutte le librerie dopo solo pochi
giorni. I magistrati di Milano lo ebbero in mano ma non ne fecero
niente. Perché non riuscivano a comprendere l’ordito antidoveroso
di forte rilevanza penale? Certo allora risultò patriottico non
capire, tanto vi era la travolgente vulgata di uno strabiliante
concerto mafioso. Sciascia, che un qualche pizzicotto lo ebbe a
soffrire in questo dannato caso Sindona, scrisse, sempre sul
Corrierone, di professionisti dell’Antimafia.
Senza
mezzi termini ci va ora di affermare che quella caterva di operazioni
speculative in cambi finiva col determinare alle scadenze un tale
sconquasso valutario e borsistico che non poteva non venire
registrato dalla Banca d’Italia e dell’UIC. Infatti, le Autorità
sapevano. Tacevano? No. Non potevano che essere gli artefici occulti
di ciò che ritengo una contro speculazione del concerto delle Banche
Centrali (Unione Sovietica in testa). Ma ciò sarebbe acqua passata
se la storia non si ripetesse. Ribadiamo che allora le Autorità
riuscirono a fare apparire il tutto come una insana diavoleria
mafiosa del Sindona. Non era un santo. Se fu suicidato, pace
all’anima sua.
Quel
che mi interessa è l’attualità. Allora di questa dissennata
speculazione valutaria la magistratura non capì o non le fu fatto
capre alcunché. Non vi è un accenno nelle sentenze delle varie
condanne. Eppure avevano (tra l’altro) il mio rapporto ispettivo.
Eppure potevano leggere il libro Soldi truccati, ove l’aspetto
valutario del crack Sindona è tutto spiattellato.
Oggi
una domanda si impone: perché allora tanta sonnolenza mentale della
magistratura milanese e perché invece oggi si inventano colpe
immaginarie di intelligenti, saggi, avveduti grand
commis dello Stato. Il
Governatore della Banca d’Italia ha mansioni costituzionali di
difesa della moneta, e di avvedutezza nrl sovrintendere alla politica
bancaria. Il Governatore è anche il banchiere dei banchieri: deve
agire in armonia con le peculiarità dei mercati e delle borse,
necessariamente aperti alle aggressioni speculative mondiali. Se è
impari, perché astretto dai lacci e laccioli di cui parlava Carli,
beh! povera economia finanziaria nazionale.
Ed
un Governatore non può non servirsi di banchieri ultra abili e
competenti, anche arditi nel contrastare i callidi giochi degli
speculatori esteri e soprattutto “estero-vestiti”. La calata
degli Unni non si rintuzza con l’ottusità del perbenismo togato.
Non vi sarà più la Costituzione Materiale con cui inventare la
“rilevanza” della Banca d’Italia a livello della legge suprema,
ma ogni suo connesso fatto va visto alla luce del riflesso
costituzionale visto che in definitiva si tratta di apicali Autorità
monetarie. Un gretta osservanza di regolette di diritto privato
possono significare inadempienza istituzionale ben più colpevole.
Calogero
Taverna
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