Non
crediamo che fra quelle “masse rurali” era da includere il ceto contadino
racalmutese. Nulla ce lo lascia intravedere. E’, però, certo che agrari locali,
esercenti delle miniere di zolfo racalmutese, gabellotti, contadini e
braccianti ed il piccolo ceto dell’infima borghesia di Racalmuto ebbero modo di
disaffezionarsi ai loro referenti politici sia della Democrazia Sociale di
Guarino Amella e Colonna di Cesarò, sia allo stesso partito
democratico-riformista di Enrico La Laggia, cui ultimamente aveva aderito una
frangia degli ottimati racalmutesi. Mussolini parlava dell’ «Aventino» quale epicedio dello stato demo-liberale. Non cìera cultura greca a
Racalmuto bastevole per apprezzare l’immagine classica. Vi era molto buon senso
(ed pressanti interessi del quotidiano) per dissentire dai loro deputati eletti nel listone “nazionale” del 1924 che ora
facevano l’«Aventino». In definitiva, nepppure Gramsci mostra di apprezzare
questi rappresentanti degli agrari siciliani con i quali, inopinatamente, si
trovava in sodalizio.
«Ho
visto in faccia la “piccola borghesia “ con tutti i suoi tipici caratteri di
classe - scriveva Gramsci alla moglie il 22 giugno 1924 commentando i primi
lavori dell’Aventino ([1]). - La
parte più ributtante di essa era costituita dai popolari e dai riformisti (per
non parlare dei massimalisti, povera gente di cascia andata a male; i più
simpatici erano Amendolae il generale Bencivenga dell’opposizione
costituzionale che si dichiaravano favorevoli in principio alla lotta armata e
disposti anche (almeno a parole) a porsi agli ordini dei comunisti, se questi
fossero in grado di organizzare un esercito contro il fascismo. Un deputato
democratico-sociale (è questo un partito siciliano che unisce latifondisti e
contadini) che è duca Colonna di
Cesarò, ministro di Mussolini fino al mese di marzo, dichiarò di essere più
rivoluzionario di me perché fa la propaganda del terrore individuale contro il
fascismo. Tutti, naturalmente, contrari allo sciopero generale da me proposto e
all’appello alle masse proletarie ... ».
Colonna
di Cesarò - è certo - non riuscì a propagandare “il terrore individuale contro
il fascismo”, a Racalmuto. I locali suoi aderenti dovettero disorientarsi non
poco: già amavano molto poco i blandi socialisti racalmutesi agli ordini
dell’avv. Vella; figuriamoci se potevano dare credito a chi osava associarsi
con i bolscevichi del 1921.
A
livello locale il problema centrale restava sempre quello dei finanziamenti per
lo zolfo invenduto. La faccenda del 1922 veniva ricordata ancora. I più avvertiti avevano l’odiato senatore
Einaudi per quello che scriveva allora sulle colonne del Corriere della Sera.
Il governo di Mussolini diede quel decreto invocato sotto Facta (D.L.n. 202
dell’11/1/1923). Nel nuovo corso fascista si potevano dunque riporre attese
meridionalistiche e di intervento statale. Tra le varie provvidenze del
decreto, lo stato garantiva lo smaltimento a prezzi remunerativi dello stock e
si impegnava nel finanziamento del Consorzio, ma su obbligazioni dell’ente
garantite sugli esercizi futuri. «Insomma
- scrive Salvatore Lupo [2]- a pagare
sarebbe stata la futura produzione». Vi era - è vero - chi come Carlo Sarauw,
forse per opposto interesse, aveva di che ridire su quanto si riusciva a
conbiare in provincia di Agrigento e di Caltanissetta. «Io posso spiegarmi che
un’accolta di maffiosi ignoranti delle province di Girgenti e di Caltanissetta
abbia potuto premere a Palermo sull’amministrazione del Consorzio [...] ma non
posso ammettere che essa potesse allungare i suoi tentacoli fino a Roma o
piegasse il Governo alle direttive di quegli organi del Consorzio che subivano
la sua azione». ([3]) In quel
di Racalmuto, ove gli interessi zolfiferi passavano trasversalmente per tutti i
ceti sociali, vi fu soddisfazione per il provvedimento mussoliniano del gennaio
1923 ed iniziava quel consenso che dopo il 1926 si consoliderà penetrantemente,
in profondità, in maniera totalizzante. Le bizze
dell’Aventino dei propri deputati dovettero apparire atteggiamenti
incomprensibili, sospetti, fedifraghi, da non approvare, da rimuovere.
Il
delitto Matteotti, invero, non lasciò indifferente l’intera comunità civica
racalmutese. Se dobbiamo credere a E.N. Messana, il socialista Vella si diede
da fare: «Fu lui - scrive il Messana ([4]) - che in
seguito all’uccisione di Giacomo Matteotti si presentò con la guantiera a
raccogliere il contributo per la corona. Entrò nel salone di Salvatore Rizzo, Paparanni, e là Luigi Scimè, giovane figlio del Dr.
Nicolò, gli diede L. 0,50, altri uguale cifra o meno. Contribuirono molti
racalmutesi, oltre i summenzionati si ricordano il comm. Giuseppe Bartolotta
consigliere provinciale in carica, il sindaco Scimè, Pio Messana, Salvatore
Falcone, Calogero Mattina fu Gaetano, Carmelo Schillaci Ventura, Giuseppe
Cutaia, i fratelli Luigi e Giuseppe Lo Bue. Questi furono segnati a dito e
perseguitati dal fascismo. Luigi Scimè, ufficiale effettivo dell’esercito, non
avanzò più di grado.»
L’emozione
per l’efferato delitto dovette essere una momentanea reazione, non coinvolgente
la stima verso Mussolini. Questo, almeno a Racalmuto. A più ampio raggio, ancor
oggi non crediamo che sia stata stabilita la verità storica. Troppi
risentimenti, molti condizionamenti ideologici. A distanza di settant’anni, in
riviste storiche pur autorevoli, la vicenda Matteotti viene così rievocata,
passionalmente, con evidenti pregiudizi di valore:
«Giacomo Matteotti - leggesi nell’editoriale del n. 1-2 del 1994
di Storia e Civiltà ( [5]) - segretario del partito
socialista unitario, capo - con Giovanni Amendola - dell’opposizione al
fascismo, [..] mentre dalla sua abitazione, per il lungotevere Arnaldo da
Brescia, si dirigeva, attorno alle 16, verso il Parlamento, era sequestrato,
costretto a entrare in un’automobile ed, essendosi difeso, ucciso. [Fu] uno dei
più esecrandi delitti che la storia ricordi. [AM1][Ad eseguirlo, c’erano] una
brutale figura di squadrista toscano, Amerigo Dumini e suoi quattro complici.
«Come sarebbe emerso, dal
memoriale Rossi, e da altre ammissioni, se anche Mussolini non era stato il diretto mandante, vi aveva
dato il suo tacito consenso. La commozione popolare fu così profonda, che
avrebbe dovuto avere per sbocco, con quale vantaggio per l’Italia è inutile
dire, l’immediato tracollo del fascismo. Mancò una forza organizzata a dirigere
la rivolta. Non vi fu, da parte della Monarchia, come nel ‘22, la coscienza del
dovere. Al governo venne lasciato il modo, con pochi ritocchi alla sua
compagine, di sopravvivere, e al fascismo di consolidarsi, più per l’altrui
debolezza che per virtù propria, profittando anzi dell’irrimediabile errore
delle opposizioni, di astenersi dalla presenza in Parlamento (l’«Aventino»),
che avrebbe consentito, nel gennaio ‘26, di farne deliberare la decadenza. Non
mancò la “trahison des clercs”, in
un’ora straordinariamente feconda per la cultura: e Giovanni Gentile, pur
surrogato come ministro dell’istruzione, ad assicurarsi maggior potere, si
assunse la responsabilità d’un manifesto degli intellettuali a favore del
fascismo, cui, con un numero minore di firme, se ne sarebbe contrapposto un
altro, redatto dal Croce.
«[Il processo venne
trasferito] alla lontana e più tranquilla Chieti, [e si ebbe] l’arrogante
difesa di Farinacci (cui si consentì di dichiarare di assumerla “prima come
segretario del partito, e poi come avvocato” e che il processo non si sarebbe
fatto “né al regime né al partito”). Esclusa dalla stessa pubblica accusa, la
premeditazione ed ammessa la preterintenzionalità, la sentenza, del 24 marzo 1925, condannava solo tre degli
imputati a cinque anni, undici mesi e venti giorni, che, col condono di ben
quattro anni per una opportuna amnistia, e tenuto conto della carcerazione
preventiva, li rendeva, di fatto, liberi.»
L’avvento del fascismo nell’area provinciale di Agrigento.
Nella
Sicilia - scrive Salvatore Leone ([6]) - in cui
il fascismo ebbe “natura ricettiva e non radiante”, schematizzando possiamo
dire che l’aristocrazia agraria aderì al regime nei tardi anni ‘20, quando si renderà
contodella sostanziale convenienza ad appoggiare il nuovo gruppo di potere. La
piccola borghesia cittadina darà il suo consenso agli inizi degli anni ‘20 con
uno spirito fortemente protestatario nei confronti di quello Stato liberale che
l’aveva schiacciata al basso al livello contadino. L’adesione al nuovo regime
della media borghesia e degli intellettuali, parecchi dei quali avevano alle
spalle una consistente tradizione autonomista, avvenne mediante comportamenti
incerti e talora contraddittori che si protrassero fino ai primi anni ‘30».
La
provincia di Agrigento (allora Girgenti) rispecchia grosso modo siffatta
diversa datazione del consenso al fascismo, anche se è difficile rinvenire
intellettuali di spicco che tardino nel concedere il loro accondiscendimento al
nuovo regime. Luigi Pirandello aderisce tempestivamente al fascismo; Enrico La
Loggia se ne mantenne sempre fuori; ed anche Giovanni Guarino Amella. Francesco
Renda vuole come nemico del fascismo padre Michele Sclafani «che diede filo da torcere
ai fascisti dell’Agrigentino [..] seppure anche lui non fu alieno dal cercare
l’intesa e la collaborazione con essi e
addirittura dal proporre soluzioni impossibili, come la costituzione di un
grande partito siciliano clerico-fascista». ([7]) Per non
parlare dei socialisti rimasti coerenti, è difficile inquadrare figure come i
fratelli Ambrosini di Favara, o l’avv. Cesare Sessa, o l’avv. Bonfiglio.
Fortemente caratterizzata in termini di pronta adesione al fascismo è la figura
dell’on. Abisso, che alla fine, però, si guarda bene dall’aderire alla
Repubblica sociale di Salò. Analogo discorso potrebbe farsi per il narese on.
Riolo.
Francesco
Renda ha ben ragione quando dichiara che le origini dei fasci di comattimento
di Girgenti (e di quei radi della provincia nel periodo 1919-20) sono «avvolte
nella nebbia». ([8])
Nell’agrigentino, il fascismo ebbe davvero, dai suoi esordi sino al
consolidamento del Regime, “natura ricettiva, e non radiante.”
Quando
nel 1942, in piena guerra, vari autori - spesso maldestri, o ingenui o
disinformati - redassero i «Panorami di
realizzazioni del Fascimo» che dovevan essere una ricerca delle primissime
origini del fascismo delle varie province, non avevano molta carne al fuoco,
per quanto riguarda il Meridione e la Sicilia. L’autore agrigentino - tal
Vincenzo Agozzino - deve proprio arrmpicarsi sugli specchi per reperire
esaltanti «cronache della vigilia
rivoluzionaria fascista nella provincia di Agrigento» ([9])
«Agrigento sempre più bella e suggestiva»,
aveva detto Mussolini al popolo di Agrigento il 15 agosto 1937. E’ frase lapidaria che l’Agozzino invoca in
premessa. Ci racconta poi del fascio di Agrigento nel 1919. «..La Camera del
lavoro di Agrigento, - narra - aderente al Partito Socialista Ufficiale, con
rapida azione agganciò le masse delle zone industriali prima e poi delle zone
minerarie ed agricole, creando una forte organizzazione che presto si mosse
alla conquista delle amministrazioni comunali. Così in Canicattì, Ravanusa e
Palma Montechiaro si ebbero maggioranze socialiste e quasi ovunque le minoranze
furono rosse. [..] In questi ambienti [..] solo un manipolo di giovanissimi
intese il richiamo dei valori spirituali della stirpe fondando nel maggio del
1919 il primo Fascio dell’agrigentino. La riunione avvene in una stanza
dell’Albergo Centrale dove si costituisce un nucleo di azione contro il
sovversivismo locale di vario colore, dal rosso, al nero e al verde, che assume
il nome di Fascio Futurista di Azione [..]
«1920-
21 - 22
«Si
forma poi il Fascio di Combattimento che in un secondo tempo viene intitolato
al Caduto Pierino Del Piano. Solo il 20 novembre 1920 avviene il riconoscimento
ufficiale del Fascio di Combattimento di Agrigento. Viene anche ad Agrigento la
propagandista rossa Maria Giudice. Migliaia e migliaia di persone sono adunate
all’Arena Bonsignore [..] La propagandista non doveva parlare e non parlò.
Aveva appena pronunciato la parola ‘Compagni’ che ebbe inizio una fitta
sassaiola [da parte di piccoli bene appostati sulla terrazza di villa Garibaldi].
[Ne seguì] un fuffi fuggi generale,
mentre la stessa oratrice veniva colpita al viso. Legnate da orbi furono
distribuiti agli uscenti dalla arena, mentre la lotta si spezzettava in singoli
episodi dai quali però risultava la coraggiosa fuga dei rossi e il primo
assalto alla Camera del lavoro [..] [Si trattava] di pochi squadristi, circa
quaranta, che [cominciarono a] sgominare le forse rosse, nere e verdi.
«[Altra
aggressione.] La Camera del lavoro viene assalita e devastata, mentre mobilio e
carte son dati alle fiamme fra il canto di Giovinezza.
Successivamente dopo un comizio tenuto
dai combattenti, vien dato un nuovo assalto alla Camera del lavoro con la
completa distruzione del mobilio, delle carte e di una bandiera rossa che è poi
bruciata in piazza Gallo. La stessa sera avviene un conflitto con un gruppo di
guardie regie, risoltosi con una brillante fuga degli agenti di Cagoia [Nitti, n.d.r.]. [..] Altre azioni repressive,
di ritorsione e di propaganda vennero eseguite in tutta la provincia: vengono
impediti alcuni comizi; venne incendiato il circolo ferroviario; [talora]
vengono a dar loro man forte i camerati dei fasci di Porto Empedocle,
Canicattì, Palma Montechiaro e Sciacca. Il 24 aprile del 1921 una squadra
agrigentina partecipò alle azioni di rappresaglia in Caltanissetta in occasione
dell’uccisione di Gigino Gattuso. Alla Marcia di Roma [..] partecipò una
squadra, mentre le altre rimasero mobilitate in sede.
«In
provincia agirono in periodo ante marcia i fasci di Canicattì, Licata, Palma
Montechiaro, Porto Empedocle, Ravanusa, Raffadali, Naro, Sambuca, Grotte,
Bivona. Il fascio di Canicattì venne riconosciuto il 4 dicembre 1920; il Fascio
di Licata, il 1° febbraio 1921; quello di Montechiaro fu fondato il 1° marzo
1921; quello di Porto Empedocle fu riconosciuto nel marzo 1921; quello di
Ravanusa, il 15 ottobre 1920. Altri fasci venero fondati nella seconda metà del
1922 e fra questi Raffadali, Sambuca di Sicilia, Naro, Grotte e Bivona. Naro
soprattutto, fondatosi il fascio nel luglio del 1922 e riconosciuto il 18
ottobre successivo, si segnalò in vivaci interventi locali contro i sovversivi,
che culminarono con la devastazione della sezione socialista.»
Il
volume dei “Panorami” riporta a questo punto un’altro squarcio del discorso che
Mussolini pronunciò “dalla terrazza del Palazzo Reale di Palermo - 5 maggio
1924”: “C’è forse una pietra del Carso,
pietra di quelle doline dove non abbiano sofferto e dove il popolo è diventato
grande, c’è forse zolla di tutto l’arco di trincee che andava dallo Stelvio al
mare che non sia stata bagnata da stille di purissimo sangue siciliano?»
Prima
della marcia su Roma, il quadro del fascismo agrigentino è rado e sfilacciato.
Iprefetti del luogo non vedevano di buon occchio il nuovo movimento politico;
lo tolleravano appena e se potevano lo disperdevano. Rivelatrice è questa
missiva al Ministero degli Interni del sostituto del prefetto Vergara del 20
giugno 1922 ([10]):
«Significo che al 31 maggio 1922 esistevano in questa provincia le seguenti
sezioni del Fascio di combattimento: Girgenti con 50 aderenti; Canicattì 20;
Ravanusa 80; Sciacca 80. A Palma Montechiaro la sezione è stata sciolta, ma
esistono tuttavia una diecina di simpatizzanti del partito fascista. La sezione
di Naro, segnalata con mia nota dell’11 maggio 1921 n. 225, è composta da
ex-combattenti e non fascisti. Anche la sezione di Porto Empedocle è stata
sciolta».
Con la marcia su Roma, l’atteggiamento dei prefetti ovviamente cambia,
anche perché giungono prefetti di evidente ispirazione fascista. Più che con il
Ministro dell’Interno Benito Mussolini, i rapporti (improntantati alla più
deferente fiducia) sono con il sottosegretario Finzi (almeno sino alla caduta
di costui per il delitto Matteotti). In questa congiuntura fu prefetto di
Agrigento il dott. Ernesto Reale. Già vice prefetto, fu nominato nella carica
il 16 marzo 1923 ed il 22 ottobre 1924 lasciò Agrigento per la prefettura di
Potenza. Era nato a Sassari il 30 giugno 1875 (morirà a Roma il 30/12/1947).
Era dunque un uomo di 58 anni, ma
evidentemente aveva fiutato il nuovo corso e vi si era prontamente adattato.
Non è da credergli quanfo afferma: «Escludo nel modo più formale che io abbia
imposto la costituzione di Fasci nei comuni dove non esistono sotto minaccia
diretta o indiretta di scioglimento dei Consigli Comunali o pressioni di
qualsiasi altro genere.» ([11]) Era una
risposta ad un perentorio telegramma dell’11 luglio 1923, a firma Mussolini,
che reclamava seccamente una giustificazione. « S.E. Cesarò - diceva il testo -
comunicami che V.S. avrebbe invitato costituire fasci dove non esistono sotto
minaccia scioglimento consiglio comunale. Voglia V.S. notiziarmi in propoisto.»
La
puntualizzazione del prefetto è abile come emerge dal seguente “rapporto
dimostrativo”:
«Dal marzo, quando assunsi in questa provincia le funzioni
di Prefetto, ad oggi furono istituiti cinque nuove sezioni del P.N.F. nei
seguenti comuni:
1.
Castrofilippo - dove l’Amministrazione comunale era già
sciolta ed il Comune retto da un R.Commissario;
2.
S. Giovanni Gemini - Amministrazione
Comunale Popolare;
3.
Alessandria della Rocca -
Amministrazione Comunale Riformista;
4.
Raffadali - Amministrazione
Comunale Socialista;
5.
Montaperto - Frazione di
Girgenti - Amministrazione Comunale Popolare.
Per la costituzione di Tali Sezioni non ci fu affatto bisogno di
intimidazioni o minaccie né da parte mia né da parte della Federazione
Provinciale. Fu l’effetto di una attiva propaganda Fascista.
Faccio osservare a V.E. che fra i Comuni sudetti non ve n’è alcuno
amministrato da Democratici-Sociali. Sto esaminando personalmente la posizione
del Comune di Raffadali dove àavvi il feudo di S.E. il Ministro Colonna Duca di
Cesarò, il quale intende porre la Sua candidatura in quel Mandamento, e mi
riservo fare le proposte del caso.
Restano tuttora da costituirsi le sezioni del P.N.F. nei comuni
seguenti:
Aragona
|
Montallegro
|
Villafranca
|
Comitini
|
S. Angelo Muxaro
|
Calamonaci
|
Favara
|
Cianciana
|
Burgio
|
Lampedusa
|
Lucca Sicula
|
|
Ad eccezione degli ultimi due, dove l’Amministrazione Comunale è
Riformista e Popolare, e di Lampedusa, lontana, sperduta nel mare Africano,
tutti gli altri comuni sono amministrati da scritti alla Democrazia Sociale. E
per questi, non solo non fu fatta da me alcuna pressione per la costituzione di
Sezioni del P.N.F., ma dovetti mostrarmi a ciò risolutamente contrario almeno
per ora. Invero quei Comuni - specialmente i maggiori - Favara e Aragona - sono
talmente infestati dalla mafia, che è necessario procedere ad un’accurata
chiarificazione e selezione, per evitare che nelle costituende Sezioni Fasciste
venga ad annidarsi la forma più subdola della delinquenza Isolana.
Nei detti Comuni pertanto, che come ho detto, sono amministrati da
Demo-Sociali, nonché esercitare pressioni, è stato invece necessario a me ed al
Fiduciario Provinciale resistere alle vive e ripetute pressioni che ci vennero
fatte per la costituzione di Sezioni Fasciste da elementi di altri partiti
troppo interessati e troppo malfidi.
Si addiverrà certamente a costituire anche lì Sezioni Fasciste, ma solo
quando il lavoro - delicatissimo - di selezione sarà ultimato. E le Sezioni
dovranno essere formate da elementi puri e sicuri. E senza bisogno di minaccie
di scioglimenti di Consigli Comunali.
A proposito dei quali debbo fare presente alla E.V. che gli
scioglimenti da me proposti furono sempre effettuati per ragioni di ordine
pubblico o per disordini amministrativi e riguardano i seguenti Comuni:
Canicattì - Palma Montechiaro - Ravanusa - già amministrati da
socialisti ufficiali;
Sambuca Zabut - Campobello di Licata - S. Margherita Belice
(quest’ultimo in corso), già amministrati da riformisti (La Loggiani).
Faccio osservare che nessuno di questi comuni è amministrato da
democratici Sociali.
Concludendo:
1. Nessuno dei
Consigli Comunali sciolti dal marzo in poi era amministrato da Democratici Sociali.
2. Non solo non ho fatto minaccie per la costituzione di Sezioni Fasciste
nei Comuni dove mancano (quasi tutti amministrati da Demo-Sociali) ma ho dovuto
e devo tuttora resistere, per le ragioni suesposte, a pressioni che vengono
fatte, anche da elementi Demo-Sociali, per la costituzione di talune Sezioni
stesse».
Nel
successivo luglio il prefetto Reale sembra più un federale fascista che un
dipendente del Ministero degli Interni. Ecco quanto scrive il 10 luglio 1923:
«Alla vigilia della riunione della Giunta Esecutiva del P.N.F. credo
doveroso inoltrare il seguente rapporto riassuntivo sull’andamento del Fascismo
in questa Provincia.
Dal Marzo in poi si è verificato un considerevole sviluppo ed una
notevole chiarificazione.
Sviluppo: in quanto sono
numericamente cresciuti gli iscritti alle Sezioni dei Fasci (4568) e dei
Sindacati (4382). L’entrata nel Fascismo dell’on. Abisso ed una parziale
fusione, da me caldamente patrocinata, delle forze migliori degli
ex-combattenti, hanno contribuito a tale sviluppo. Occorrerà lavorare ancora
per assorbire nei Fasci almeno un altro migliaio di ex-combattenti che ora sono
fuori perché non possono e non credono di distaccarsi da altri partiti.
Chiarificazione: in quanto, dopo mie vive
insistenze, si è proceduto alla epurazione di talune sezioni, mediante
eliminazione di elementi indegni.
In proposito debbo rilevare di avere dovuto superare non poche
resistenze da parte del Fiduciario Provinciale e della Federazione Provinciale
che non vedevano con eccessiva simpatia l’ingerenza del Prefetto in questo
campo.
Questo processo di epurazione si è accentuato maggiormente nei riguardi
della M.V. i cui iscritti avevano raggiunto il numero di 1800, mentre ora sono
ridotti a poco meno di 1500. Ma è un bene.
Attualmente la situazione, tenuto conto delle difficoltà ambientali, e
dei personalismi da superare, e specialmente dei numerosi elementi malfidi
infiltratisi nelle sezioni, e che debbono man mano eliminarsi, può dirsi
abbastanza soddisfacente.
Però la mia opera assidua di sgretolamento delle camarille locali, dei
vecchi ed agguerriti partiti, e specialmente del partito riformista (La
Loggia), di quelle Social-Comunista e popolare - opera che ha portato allo
scioglimento di sette Amministrazioni comunali, e che intendo continuare -
dovrebbe essere più attivamente fiancheggiata dalle Autorità Fasciste di questa
Provincia. Dovrebbe soprattutto essere ripresa l’azione di propaganda fascista
che ora languisce in una stasi apatica.
E’ d’uopo riconoscere che il Fiduciario Provinciale attuale Ing.
Narciso Dima, se pure non eccessivamente energico, ha finora fatto il possibile
per lo sviluppo del Fascismo, sacrificandosi anche finanziariamente,
contribuendo del proprio, trascurando la sua professione. Le sezioni Fasciste
non gli dànno che un aiuto finanziario scarsissimo.
Occorre, è anzi urgente, che l’On. Giunta Esecutiva stabilisca un
congruo aiuto finanziario.
Nessuna preparazione ha potuto fare la Federazione per le lezioni
Provinciali appunto per mancanza assoluta di propaganda. Occorrerebbe istituire
nuove sezioni nei Comuni dove ancora mancano (18 su 41)), ma occorrono mezzi
sopraluoghi locali ecc., mezzi che mancano.
Se si dovessero fare le elezioni provinciali ora, alla scadenza dei poteri
della Commissione Reale, sarebbe una débacle dal
punto di vista fascista. Mentre gli altri partiti, soprattutto i Democratici
sociali e i popolari, si vanno organizzando e preparando alla lotta, che
ritengono imminente, e dispongono di mezzi finanziari cospicui, i Fasci poco o
niente hanno potuto fare. Occorre, ripeto, finanziarli.
Ho detto débacle se i fasci dovessero
lottare da soli, chiudendosi nella più assoluta intransigenza nei
riguardi degli altri partiti.
Ma occorre esaminare la situazione nei riguardi della Democrazia
Sociale: situazione che in questa Provincia è estremamente delicata.
La Democrazia Sociale si mantiene qui in piede di guerra pronta ad una
lotta, come pronta ad un accordo coi Fasci, per una eventuale collaborazione.
Senonché qui si presenta una difficoltà.
I Deputati Demo-Sociali sono gli On. Pancamo e Guarino-Amella; binomio
indissolubile. L’On. Pancamo è elemento puro, inattacabile. L’ideale sarebbe
poter scindere il binomio, e accordare i Fasci cogli elementi migliori della
Democrazia Sociale che fanno capo all’On. Pancamo. Ma questo è impossibile.
Non poca parte degli elementi che fanno parte all’On. Guarino-Amella -
che ha largo seguito - sono bacati dalla mafia che sino a poco tempo addietro
ha imperato in questa provincia, e che ora è smontata, disorientata. Effetto
dei provvedimenti energici di P.S.- Accordarsi cogli elementi demosociali che
fanno capo all’On. Guarino Amella, vorrebbe dire accordarsi anche in certo modo
con la mafia. E allora si ricadrebbe nel vizio delle elezioni precedenti che si
facevano appunto con l’aiuto della mafia.
D’altra parte il partito Guarino Amella vuol dire S.E. Di Cesarò, del
quale il primo è il più fido e autorevole luogotenente in questa Provincia.
I fasci risentono di questa situazione.
Il Fiduciario Provinciale Ing. Dima, sembra contrario a qualsiasi
accordo coi Democratici Sociali. I suoi avversari - e ne ha anche in seno ai
Fasci - dicono che ciò dipende dalla sua origine La Loggiana.
Comunque questa situazione non può risolversi se non si conoscono in
modo preciso e in tempo utile le direttive del Governo al riguardo.
Concludo:
1. Occorre
finanziare la Federazione Provinciale perché eserciti una più attiva azione di
propaganda;
2. Occorre
procedere alla nomina del Fiduciario Provinciale. L’attuale Ing. Dima, in
conseguenza della ritardata conferma ha perduto un po’ di autorità e prestigio.
Urge quindi o confermarlo o nominarne uno nuovo, che possa esplicare con
autorità e energia l’azione Fascista, e fiancheggiare la mia azione politica e
amministrativa.»
Il
prefetto di Agrigento è, peraltro, quello che è in grado di fornire ragguagli
precisi e dettagliati sulla “situazione del Fascismo in Provincia di Girgenti
al 27 ottobre 1923”. Val la pena di riportare integralmente la sua relazione al
ministero:
«In mancanza di fascismo puro, limitato a pochissimi elementi, i Fasci
della Provincia di Girgenti sono costituiti necessariamente da elementi tratti
da altri partiti politici.
Il partito politico finora predominante in questa Provincia era il
partito Demosociale, imperniato sui Deputati Grarino Amella e Pancamo, (agli
ordini di S.E. Di Cesarò) e Abisso. Col passaggio di quest’ultimo al Fascismo,
avenuto nell’Aprile, questo partito cominciò a sgretolarsi. Gli elementi
migliori passarono anch’essi, in buon numero al Fascismo. E se è vero che il
partito personale Abisso si va sempre più rafforzando, è pur vero che il
Fascismo sta prendendo uno sviluppo sempre più grande e più saldo - anche
perché questi elementi ex-demosociali sono assai più sinceri degli altri.
In sostanza non deve credersi che sia il partito Abisso che si faccia
sgabello del Fascismo per rafforzarsi, ma è il Fascismo che acquista realmente
forza e compattezza dai numerosissimi elementi che staccatisi come ho detto
dalla Democrazia Sociale facente capo all’On. Guarino, Pancamo e Di Cesarò, si
sono appoggiati all’on. Abisso.
Al Ministero è noto come io abbia visto con una certa diffidenza il
passaggio dell’On. Abisso al Fascismo.
E’ per me doveroso ora dopo diversi mesi di vigile esperienza porre in
rilievo la disciplina e l’ossequio non solo apparente, ma effettivo alle
Direttive del Duce, dell’On. Abisso verso il quale ora convergono le forze
migliori della Provincia, forze che Egli dirige e orienta risolutamente verso
il Fascismo.
Il Fiduciario Provinciale, d’intesa con lui ha potuto sistemare la
posizione prima equivoca, ora chiara di parecchie sezioni Fasciste, ha potuto
costituirne delle nuove, e rafforzarne delle altre.
Non è quindi vero che il Fascismo non abbia presa in Provincia di
Girgenti. Questo forse poteva dirsi alcuni mesi addietro, quando si verificò
una stasi - da me segnalata - che avrebbe dovuto preludere ad una grave crisi,
dovuta sopratutto all’azione allora scarsamente efficace del Fiduciario Provinciale,
il quale era rimasto per oltre due mesi quasi privo di autorità. Causa il
ritardo della sua conferma. Ma la crisi fu superata e la minaccia di essa, in
certo modo, fu anche benefica. L’attività del P.F. fu da me e dall’On. Abisso
galvanizzata; molte opposizioni più o meno interessate furono smontate. Il
susseguirsi di importanti avvenimenti patriottici, che riunivano in un solo
patriottico sentimento importanti forze Fasciste, valsero a guadagnare anche le
simpatie della grande massa della popolazione
la quale prima diffidente, segue ora con vivissima simpatia, gli
spettacoli sempre bellissimi di giovinezza di forza di disciplina che le
adunate Fasciste hanno dato modo di apprestare. A questo aggiungasi la continua,
dirò quasi sistematica, valorizzazione dei veri combattenti, mutilati e
decorati di Guerra, ai quali spesso per mio personale intervento si sono aperti
i Fasci, portandovi una cospicua forza morale.
Concludendo la situazione nei riguardi del Fascismo è molto migliorata
in confronto al passato, e non credo di peccare di soverchio ottimismo, se
affermo che essa migliorerà ancora di più e più si chiarificherà.
Personalità cospicue di cui non si può mettere in dubbio l’alto
patriottismo e che hanno sempre combattuto palesemente il sovversivismo
mascherato da riformismo e da popolarismo, come l’On. La Lumia ex Deputato
assai molto stimato nella importante zona di Licata, e l’On. Parlapiano Vella,
altro ex Deputato, nella zona di Ribera e Bivona, hanno sinceramente aderito al
Fascismo.
Degli altri partiti anche in conseguenza dell’azione da me svolta; il
Socialista è ormai morto; il Riformista è ridotto ai minimi termini, il
popolare è in continua dissoluzione.
Gravi incidenti tra Fascisti, per l’urto di tendenze diverse, in questa
Provincia non sono mai avvenuti. Incidenti non gravi, sono stati risolti
tempestivamente, anche pel mio intervento diretto, senza strascichi di ire e di
odi.
La situazione, quindi, può dirsi veramente buona, specie se si
raffronta con quella di altre Provincie Siciliane. E diventerà migliore se si
potrà continuare nell’attuale indirizzo, se questo non verrà modificato per
l’intervento, per ora non necessario, di elementi che, per quanto
autorevolissimi, non sarebbero forse in grado di valutare, per la scarsa
conoscenza di questo ambiente, le condizioni specialissime di esso in rapporto
ai partiti ed alle persone. Unisco un prospetto riguardante i sindoli Comuni
della Provincia.»
La
relazione - un vero e proprio resoconto di un propagandista del fascismo - è
comunque perspicua per chiarezza, esaustività, penetrazione dell’ambiente
socio-politico. Il Reale doveva avere entrature preferenziali a Roma - anche in
ambito della direzione del P.F. - se può accennare, in conclusione, alla
eventualità - che poi si verificherà appieno - della venuta ad Agrigento di
“elementi autorevolissimi”. E saranno costoro a cambiare il volto del fascismo
agrigentino.
Frattanto,
valga il prospetto del prefetto Reale, ai nostri fini molto significativo
perché stranamento vi è omesso totalmente il paese di Racalmuto che in questa
ricerca è il nostro oggetto di studio.
«Provincia di Girgenti
1°) - Comuni nei quali i Fasci hanno una posizione dominante: (su un
totale di 41)
Casteltermini
- Siculiana - Porto Empedocle - Sciacca - Caltabellotta - Santa Margherita -
Sambuca - Menfi - Montevago - Calamonaci - Campobello di Licata - Camastra -
Ribera - Licata - Naro - Canicattì (n.°
16)
2°) -Comuni nei quali esistono dei
Fasci, sui quali non è ancora possibile fare sicuro assegnamento, ma la cui
situazione migliora giornalmente:
Cammarata -
S. Giovanni Gemini - Castrofilippo - Grotte - Bivona - S. Stefano Quisquina -
Villafranca - Palma Montechiaro - Ravanusa - Realmonte - Montallegro -
Alessandria Rocca - Favara - Cattolica - S. Biagio Platani - Raffadali (n.° 17:
in effetti sono sedici: il dattilografo omise di battere forse Racalmuto
per mero errore. Se aggiungiamo questo paese torna il totale di n. 41 centri
dell’agrigentino, n. d.r.)
3°) - Comuni dove il Fascismo non
ha ancora presa, specialmente perché combattuto dalla mafia:
Comitini -
Burgio - Lucca Sicula - Cianciana - S. Angelo - Aragona A Lampedusa, data la
grande distanza, e la difficoltà delle comunicazioni marittime (una volta alla
settimana) nulla si è potuto ancora fare.
4°) - Girgenti
- Situazione non buona, ma discreta, a motivo della esistenza degli Stati
Maggiori - attivissimi - dei partiti Riformista (che fa capo all’On. La
Loggia), Popolare (che fa capo al prosindaco Gr. Uff. Sclafani e all’On.
Fronda), e dei residui del partito Demo-Sociale (On. Pancamo e Guarino). I
primi due, specialmente difendono ostinatamente le proprie posizioni.
Fra giorni si verificherà la crisi
nell’Amministrazione Comunale Popolare-Riformista.
Molto vi sarà da guadagnare pel
Fascismo se il R. Commissario che verrà prescelto saprà lavorare bene e
risanare moralmente e finaziariamente il Comune.»
Il
prefetto Reale, alla fine dell’anno, diviene un vero e proprio fiduciario del
fascismo. Ecco, a dimostrazione, quanto scrive all’On. Avv. Francesco Giunta -
Segretario Generale del Partito Naz. Fascista - in data 11 dicembre 1923:
«Situazione del Fascismo nella
Provincia di Girgenti
Ottemperando allo incarico da V.S.
On. Affidatomi a Siracusa di vigilare e seguire da vicino il Fascismo in questa
Provincia, pregiomi riferire quanto segue:
E’ continuata più attiva che mai la ingerenza del Grande Uff. Sacerdote Sclafani, capo del Partito Popolare
nell’organizzazione del fascismo Provinciale.
Alla lettera originale a firma sac. Sclafani in data 25 ottobre, da me
mostratale a Siracusa, con cui egli offriva l’incarico di costituire un Fascio
in Comitini (dove non era stato possibile finora la sua costituzione
trattandosi di un comune infestato dalla mafia) ad un tale Dr. Bongiorno,
congiunto di un capo della mafia locale, si sono aggiunti altri gravi elementi.
E’ infatti in mio potere una dichiarazione del Maggiore Cav. Orestano
R. Commissario di Palma, con cui attesta che il Sac. Sclafani inviò una lettera
analoga al Sac. Zimmili per richiedere “il nome di persona fidata al P.P. da
far passare subito al Fascismo e da incaricare della ricostituzione di quel
Fascio”.
E’ pure in mio potere un rapporto del Colonnello Sindico, R.
Commissario di Raffadali, col quale mi informa che a costituire il fascio di
Joppolo “fu incaricato certo Onorio Sacco, alter ego
del Sac. Camilleri, capo del P.P. che egli dirige secondo gli intendimenti di
Padre Sclafani”.
E non più tardi di ieri ho potuto constatare de visu perché mi trovavo sul posto, un abboccamento tra il Sac. Sclafani e il
Sindaco di Porto Empedocle. Da informazioni certe mi risulta che lo Sclafani
d’accordo col detto Sindaco intende di riorganizzare quella Sezione Fascista,
per asservirla ai suoi fini.
E non posso passare sotto silenzio un episodio che non conferì certo
serietà all’azione del Fiduciario nella riorganizzazione del Fascio di Sciacca.
Giova premettere che egli anziché seguire le direttive opportunamente
dategli da V.S. On., di “lasciare in disparte gli elementi dei vecchi partiti”
incaricò della costituzione del fascio di Sciacca, fra gli altri l’avv.
Giuseppe Imbornone di oltre 60 anni che mai era stato Fascista, bensì
era in quest’ultimo periodo, riformista tanto che aveva nello scorso
anno partecipato ad un banchetto in onore dell’On. La Loggia.
A prescindere dal fatto che l’Imbornone era stato candidato politico
bocciato per due volte, la sua scelta era inopportuna perché cognato e suocero rispettivamente di
Corrado Turano e vella Gaetano, l’uno detenuto nelle Carceri di Sciacca, come
capo di una vasta associazione a delinquere; l’altro espluso dal Fascismo
perché affiliato alla maffia consenziente il Fiduciario Provinciale.
L’Avv. Calogero Guarino, capitano degli Arditi, decorato e ferito,
essendosi dimesso dalla Commissione di
reggenza per protestare contro l’infiltrazione popolare, voluta dagli altri
due membri riceveva da Girgenti un
telegramma a firma Dima con cui si accettavano le sue dimissioni, e quasi
simultaneamente ne riceveva un altro da Roma, a firma dello stesso Ing. Dima
che gli riconfermava lo incarico.
Tali provvedimenti contraddittorii, oggetto di salaci commenti, valsero
a dimostrare che a Girgenti qualcuno sostituisce il Dima, e dà importanti
disposizioni senza neanche interpellarlo. Inutile ripetere chi possa essere
questo qualcuno.
E così a Sciacca in luogo della Sezione sorta nel 1920 esiste ora un
piccolo Fascio trucco composto prevalentemente di popolari.
A Menfi, altro centro dove i combattenti e i mutilati, organizzati sin
dal 1919, si erano trasfusi nel Fascismo, fu incaricato della reggenza, insieme
ad altre figure insignificanti, il Gr. Uff. Bivona, di 75 anni, il quale nelle
elezioni del 1919 distribuì i voti di cui disponeva fra la lista di Nitti e
quella di Don Sturzo; nel 1921 li diede alla lista Verderame, voti annullati
dalla Giunta delle Elezioni per corruzione. Nel 1922, il Bivona fu
successivamente riformista (La Loggiano) e popolare (Sturziano). Ora è a capo
del Fascismo di Menfi, dove fece nominare Segretario Politico Berto Ravedà,
intimo congiunto del Segretario Provinciale del P.P. Sturziano Avv. Molinari.
A Licata il Fiduciario Provinciale dopo avere tolto l’incarico al
signor Ettore Sapio amico e parente dell’On. Verderame lo affidò ad una
Commissione di Reggenza alla quale pure lo tolse per riaffidarlo al Sapio.
Ciò, nel giro di pochi giorni, ha arrecato grave pregiudizio al partito
anche perché è notorio che l’Ing. Dima aveva chiesto al Generale Starace,
l’espulsione del Sapio per indegnità.
La Sezione Fascista di Licata è
ora una succursale del partito riformista, che, è bene si sappia, in questa
Provincia fa causa comune coi popolari.
Analoghe repentine metamorfosi si verificarono a Bambuca di Sicilia.
In taluni Comuni della Provincia, refrattari al Fascismo perché
completamente asserviti alla maffia (Cianciana - Burgio - Aragona - Comitini -
Favara) non era stato possibile - anche perché io mi ero opposto risolutamente
- costituire dei Fasci. In queste ultime settimane, all’unico scopo di
procurarsi segretari politici disposti a votare per la sua rielezione il
Fiduciario fece sorgere per incanto delle sezioni Fasciste, composte di
elementi apertamente devoti all’On. La Loggia, o al partito popolare.
Il Fiduciario Provinciale, sapendo della mia opposizione ad un Fascismo
così impuro ed equivoco, non mi avvertì neppure della costituzione di questi
Fasci.
Le elezioni compiute per la ricostituzione dei direttorii, tranne che a
Girgenti nella prima votazione durante la mia assenza, sono procedute ordinate,
senza dar luogo a incidenti o proteste. Specialmente la seconda votazione a
Girgenti si svolse calmissima.
I risultati finora furono i seguenti:
1°) A Girgenti riuscì la lista dei vecchi fascisti con carattere di
opposizione al Fiduciario Provinciale.
2°) A Canicattì riuscì una lista ostile al Fiduciario Provinciale
composta quasi tutta di ex Ufficiali combattenti e decorati con a capo il
valoroso Generale Gangitano più volte decorato al valore e ferito.
3°) A Porto Empedocle riuscì una lista degli elementi uscenti, fascisti
di vecchia data, contrarii al Fiduciario.
Vi furono anche elezioni in comuni di minore importanza: Casteltermini,
Bivona, Siculiana e Palma con risultati varî. In complesso
però si è creata una situazione artificiosa specie in queste ultime settimane
per effetto della sovrapposizione degli elementi popolari, riformisti, alla
gerarchia Fascista.
I maggiorenti demosociali si mantengono per lo più inattivi nella
incertezza dell’atteggiamento da assumere di Fronte al Governo Fascista. Una
organizzazione veramente forte e seria del Fascismo, ne potrebbe diminuire di
molto l’efficienza. Le Sezioni di vecchia data, in gran parte ostili al
Fiduciario Prov. Intendono affermarsi sul nome del predetto Generale Gangitano,
come Segretario Politico Provinciale, il quale ha sempre combattuto apertamente
la Democrazia Sociale. Per evitare questo pericolo si minacciano nuovi
scioglimenti da parte della Federazione Provinciale.
Per conto mio, ho ritenuto conveniente mantenermi del tutto estraneo al
movimento fascista di quest’ultima fase. E ho pur dato disposizioni affinché i
funzionari dipendenti si astenessero da qualsiasi ingerenza.
Tali direttive sono state rigorasamente osservate.
Date le circostanze di fatto sopra riferite e delle quali potrei
occorrendo dare la documentazione, ritengo di dover confermare la proposta che
ebbi l’onore di farLe a Siracusa e cioé
lo scioglimento della Federazione Provinciale, con la nomina di una Commissione
di Reggenza che proceda ad una rigorosa revisione delle Sezioni ed il rinvio
delle elezioni.
In linea subordinata ritengo che si debba negare il riconoscimento alle
Sezioni di Comitini, Favara, Cianciana, Burgio, Bivona, Joppolo e Aragona.
Infine per la ricostituzione delel Sezioni di Licata, Sciacca, Menfi e
Sambuca, dove le condizioni sono favorevoli allo sviluppo di un forte e sincero
Fascismo, propongo che vengano rigorasamente seguite le direttive
opportunamente dalla S.V. On. Date coll’ordine del giorno emesso a Siracisa,
affidandone la riorganizzazione a elementi estranei all’ambiente, e non asserviti
ai vecchi partiti locali.»
La
peculiarità di Agrigento di un fiduciario a capo della federazione fascista
provincila si trascinò sino al 26 gennaio 1924. Sotto tale data venne
incaricata di regge il fascismo agrigentino una Commissione Straordinaria, come
aveva proposto il prefetto Reale in via principale. Tale Commissione si resse
sino al 17 aprile 1924, quando venne eletto tal Girolamo Galatioto, che durò
sino al 4 aprile 1925. Dopo abbiamo un certo Paladino Raffaele, che a diverso
titolo, fu capo del fascismo agrigentino sino al 13 settembre 1925. Quindi è il
tempo del celeberrimo Achille Starace che fu commissario straordinario del
federazione di Agrigento dal 13 settembre 1925 al 17 maggio 1926. Il 17 maggio
1926 subentra l’On. Angelo Abisso: esso è il federale di Agrigento sino al 29
dicembre 1927.
Questi
sono i suoi successori:
1. D’Andrea Calogero dal 29 dic. 1929 sino al 14 gennaio 1931;
2. Basile Carlo Emanuele dal 14 genn. 1931 al 17 aprile
1931 (Commissario Straordinario);
3. Morello Vincenzo dal 17 aprile 1931 all’ 11 giugno1932;
4. Puccetti Corrado dall’11 giugno 1932 al 6 febbraio 1933;
5. Gaetani Alfonso dal 6 febbraio 1933 al 1° aprile 1937;
6. Guggino Emerico dal 1° aprile 1937 al 4 aprile 1940;
7. Di Marsciano Ermanno dal 4 aprile 1940 al 3 maggio
1943;
Ufficialmente,
la Federazione fu costituita il 15 novembre 1922. I personaggi che si sono
succeduti alla sua guida non sono tutti di grosso risalto. Alcuni dati
biografici aiutano a comprendere l’altalenare di personalità a vario spessore
che si registra nella direzione del fascismo agrigentino.
Dima Narciso
Laurea
in ingegneria - assicuratore. Iscritto ai fasci sin dal 1919. Fiduciario della
Federazione dal 15 novembre 1922. Agente generale dell’INA per Girgenti.
Galatioto Gerolamo
nato
a Ravanusa (Ag.) il 10 agosto 1894. Partecipò alla guerra del 1915-18 con il
grado di tenente di fanteria. Ebbe due medaglie di bronzo.
Paladino Raffaele
nato
a Floridia (Sr) il 10 gennaio 1884. Laurea in lettere, insegnante. Figlio di
Esattore Comunale. Socialista rivoluzionario; interventista; nazionalista.
Iscritto al Fascio nel 1920. Espulso dal PNF nel marzo 1926 «quale elemento
disgregatore», fu riammesso nel maggio successivo. Non aderì alla RSI.
Starace Achille
«”Buttatelo giù
per le scale”, fu l’urlo di Mussolini che scacciava definitivamente Starace
dal’anticamera della Sala del Mappamondo a Palazzo Venezia. Il “duce” lo aveva
privato di ogni carica e di ogni onore in breve tempo. Nel ‘39 Starace dovette
dimettersi da segretario del partito fascista e nel ‘41 da capo di stato
maggiore della milizia: la sua stella era tramontata per sempre. Cominciarono
per lui gli anni delle umiliazioni e della misera che non ebbero più termine
fino al giorno della sua esecuzione in Piazzale Loreto a Milano, il 29 aprile
1945.» [13]
«La sua vicenda personale non si chiude in se stessa, maè il riverbero
di un costume che andava mutando, la sua biografia è anche il racconto della
vita esemplare d’un gerarca fascista assai potente, di una sacra autorità del
Ventennio. E’ uno specchio in cui si riflettevano gli italiani del Littorio
irreggimentati in una coreografia alienante di cui Starace era regista discusso
e irriso ma ubbidito.
«La condanna del fascismo è nelle cose di tutti i giorni e negli eventi
della storia. Rovesci e sciagure furono addebitati al regista, come conseguenza
d’un’apparente organizzazione del partito che non poteva reggere alla prova del
fuoco. Di lui si fece un capro espiatorio. Misero tutto sul suo conto. Lo
distrussero, e forse lo meritava. Mussolini lo scacciò, e forse aveva buone
ragioni per farlo. L’ingranaggio ormai lo stritolava e nessuno poteva
riabilitarlo. Cercò di risollevarsi da solo, con una morte dignitosa davanti al
plotone d’esecuzione.» ([14])
Nel
“carteggio riservato” della Segreteria particolare del Duce, custodito
nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, ben tre voluminosi fascicoli
riservati ([15]) sono
destinati allo Starace. Vi è di tutto. Mussolini lo seguiva in tuttto. Dalle
cose pruriginose (pederastia, tradimenti tra fratelli, orge) a quelle
invereconde (le celebri avventure galanti) ai latrocinii, alle concussioni. La
parentesi agrigentina di Starace vi emerge per gli aspetti più inquietanti: la
sua amicizia con Abisso fu molto interessata. Non è provato, ma niente
smentisce la miserevole vicenda dei tanti soldi spillati all’on. La Lumia di
Licata dietro promessa di una resurrezione politica.
«A S.E. Benito Mussolini - Ministro degli Interni, Roma - Dopo un
lavoro faticoso e pericoloso di spionaggio, ho potuto appurare i dati di fatto
che vengo ad esporVi, nell’interesse generale del Fascismo e particolare della
Provincia di Agrigento.
«Da parecchi anni l’On.le La Lomia, politicamente di Licata,
corrisponde la somma di lire cincquantamila annue all’On.le Starace.- Detti
pagamenti, che ad oggi ammontano a £. 350.000 sono stati fatti direttamente con
vaglia bancari girati dallo stesso all’attuale Segretario del Partito, oppure a
mezzo del Senatore Abisso, difensore della delinquenza siciliana. Per detta
somma l’On. Starace, fin dalla sua gestione commissariale nella provincia di
Agrigento, si è impegnato di difendere l’associazione Abisso-La Lomia fino alle
estreme conseguenze. In conseguenza di questo fatto l’On. Starace ha inviato
come Questore di Agrigento il Comm. Papa, che appena arrivato in sede si è
premurato di chiamare al telefono il Comm. Lo Dico, ex Preside della Provincia
di Agrigento, al quale comunicava un discorso cifrato, in seguito al quale,
dopo pochi giorni, avveniva nei pressi di Porto Empedocle .. nel villino campestre del detto Lo Dico ,
una riunione segreta alla quale partecipavano, il Questore, Lo Dico, il
senatore Abisso, il dott. Di Leo Calogero sanitario del comune di Sciacca e
fratello del Segretario Federale Agrigentino in pectore, il dottore Venezia medico
chirurgo dentista di Sciacca, fervente
propagandista repubblicano, l’nsegnante
Castellana Alfonso di Lucca Sicula, il cav. Liborio Friscia di Ribera, il Capo
Manipolo Friscia Gaetano di Ribera, il Marturana Salvatore di Agrigento, alcuni
rappresentanti dell’On.le La Lomia ed altri Abissiani della Provincia.
«Scopo della riunione fu di impartire disposizioni perché fosse fatto molto
rumore in Provincia per la promessa dell’On. Starace del rovesciamento
imminente della situazione politica provinciale.
«In seguito a tale riunione infatti in vari paesi della Provincia
furono sguinzagliati degli agenti provocatori che tentarono dappertutto di
sollevare incidenti. A prova della veridicità della promessa dell’On. Starace
in quella riunione l’On.le Abisso riferì per comunicazione avuta dall’On.
Starace che il ritardo del provvedimento di rovesciamento si doveva al fatto
che presso la magistratura di Sciacca giaceva una pratica per la riesumazione
di un processo di associazione a delinquere per stabilire se il padre del
futuro Segretario Federale di Agrigento fosse stato a suo tempo coinvolto in
detta associazione. Al che il Questore Papa prese la parola assicurando ‘in
ogni caso la Segreteria Federale sarà data a persona che pur sembrando neutrale
tuttavia sarà al completo servizio del Senatore Abisso’».
Nella
permanenza ad Agrigento, l’On. Starace ebbe modo di incontrarsi con due uomini
politici: l’on. Abisso e l’on. Cucco; del primo ne consolidò la fortuna, del
secondo ne stabilì l’umiliante radiazione dai ranghi (almeno sino al 1939). La
lotta alla mafia non c’entra affatto. Diversamente la sorte dei due politici
siciliani doveva esse parallella, identica essendo la radice mafiosa.
L’on.
Abisso fu tanto camerata dell’On. Starace da seguirlo in scandalose
frequentazioni di donnine romane. Le spie di Mussolini riferivano. Ma senza
effetto.
Abisso Angelo
E’
figura centrale dell’agone politico agrigentino, almeno dal 1913 sino al 1933
quando il nobile Gaetani diviene federale di Agrigento. Equilibrismi polticici,
repentine conversioni, tradimenti, trasformismo determinano un effetto alone
sul personaggio, che resta equicoco, indefinibile, moralmente opaco. Ciò
trascende l’angusta economia di questa ricerca per il doveroso approfondimento.
Al
nutrito partito di fiancheggiatori - sprezzantemente chiamati abissisiani - si
contrappone quello dei denigratori ad oltranza. Nelle carte di archivio abbondano
le denunzie, le calunnie, le insinuazioni. L’on. Abisso finisce
nell’osservatorio della Segreteria particolare del Duce che apre a suo carico
un folto fascicolo informativo. ([17]) Il
potente amico Starace riesce, in ogni caso, a parare i fulmini mussoliniani. La
stella politica di Abisso potè appannarsi alla fine, ma non si oscurò per tutta
la durata del fascismo.
D’Andrea Calogero
Nato
a Campobello di Licata (Ag) il 30 maggio 1877, si laureò in giurisprudenza. Fu
avvocato ed insegnante. Partecipò alla guerra del 1915-18 col grado di
capitano, poi maggiore di fanteria. Iscrittosi al fascio il 20 novembre 1922,
fu preside dell’Istituto Tecnico di Agrigento. Rivestì anche la carica di Vice
Preside dell’Amministrazione Provinciale di Agrigento. Non aderì alla R.S.I.
[1]) 2000
pagine di Gramsci, vol. II:
Lettere edite e inedite 1912-1937, a cura di G. Ferrara e N. Gallo, Milano
1964, p. 45.
[2]) Salvatore Lupo, La crisi del monopolio naturale. Dal Consorzio obbligatorio all’Ente
Zolfi, in Economia e società nell’area dello zolfo
- secoli XIX-XX - Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta-Roma, 1989,
pag. 354.
[3])
Lettera ad A. Di Nola in Archivio
Carnazza, fasc. 28, III 37, busta “C” ;
Industria zolfifera e legge mineraria. Cit. in Lupo, op. cit. pag. 354.
[4]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - p. 234.
[5])
Editoriale “Il delitto Matteotti” di Storia
e Civiltà - gennaio-giugno 1994 - Edizione del Lavoro - Roma - a. X, n. 1-2
- a firma P.F.P. (Pier Fausto Palumbo, direttore responsabile), pag.
7-9.
[6]) Salvatore Leone - Per una storia delle strutture culturali: le Società di storia patria -
in Storia d’Italia - Le Regioni: dall’Unità ad oggi - la Sicilia
- Einaudi editore 1987 - pagg. 876-877.
[7]) Francesco Renda - Storia della Sicilia - dal 1860 al 1970 - Vol. II - Sellerio
Editore Palermo, 1985, pag. 365.
[8]) ibidem pag. 354.
[9]) Vincenzo Agozzino - Cronache della Vigilia rivoluzionaria fascista nella provincia di
Agrigento - in Panorami di realizzazioni del Fascismo - Il
movimento delle squadre nell’Italia meridionale e insulare - Vol. VI
- Roma, 1942 , pag. 167 e segg.
[10])
Archivio Centrale dello Stato - M.I. - P.S. - 1925 - busta 115 G1
[11])
Archivio Centrale dello Stato - Gabinetto Finzi - 1922-24 - busta 6 fascicolo
53. Anche i successivi passi virgolettati che si riferiscono al prefetto Reale
sono tratti dal predetto fascicolo dell’ACS di Roma.
[12]) Mario Missori - Gerarchie e statuti del P.N.F. - Roma 1986 - pag. 91.
[13]) Dalla copertina di Starace
- l’uomo che inventò lo stile fascista di Antonio
Spinosa BUR Milano 1988.
[14]) Antonio Spinosa - l’uomo che
inventò lo stile fascista di Antonio Spinosa - BUR Milano 1988,
pagg.8-9.
[15])
Archivio Centrale dello Stato - Segreteria particolare del Duce “Carteggio
riservato 1922-1943” - buste nn.° 36; 49 e 94.
[16]) Archivio Centrale dello
Stato - Segreteria particolare del Duce “Carteggio riservato 1922-1943” - busta
n.° 94.
[17]) Archivio Centrale dello
Stato - Segreteria particolare del Duce “Carteggio riservato 1922-1943” - busta
n.° 78.
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