"Si può dire che il cristianesimo, dopo due millenni,
ha lasciato la sua orma su tutte le manifestazioni della nostra vita spirituale e civile, di
modo che riesce straordinariamente difficile stabilire in tutto questo vasto
materiale che ha accompagnato, seguito e rivestito la trasmissione del
messaggio cristiano nella storia, quello che è essenziale al cristianesimo
stesso e quello che è avventizio, perché noi ci troviamo di fronte a una
tradizione etica nella quale giacciono inestimabili tesori. Ed è
straordinariamente pericoloso, sarebbe anzi esiziale per noi se, alla ricerca
dell'essenza del messaggio cristiano, noi ponessimo questo messaggio in
elementi avventizi, o se noi considerassimo come elementi avventizi elementi
che invece sono sostanziali ed essenziali al messaggi cristiano".
ERNESTO BONAIUTI
ECCO perché QUESTO PAPA è impari: un incolto non può reggere
la Chiesa di Roma. Che aspetta la chiesa di Roma a riabilitare padre Ernesto
Bonaiuti; perché non fa resipiscenza, con tutto quell'arbitrio del
Santo Ufficio, con tutta quella imbecillità di Papa X (che andrebbe retrocesso
da santo). Non è vero che il Signore abbia detto: beati i poveri di spirito
perché di loro è il Regno dei Cieli!. Il paradiso degli imbecilli non si addice
a noi CATTOLICI dall'ingegno aperto!
CHI ERA BONAIUTI!
BUONAIUTI,
Ernesto
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)
di Fausto Parente
BUONAIUTI, Ernesto. - Nacque a Roma da Leopoldo e da Luisa
Costa il 25 giugno 1881. Dal 1892 frequentò il ginnasio presso il Pontificio
Seminario Romano, ove poi entrò come interno nel 1894. Nel 1897 egli ricevette
la tonsura. Le opere di Luigi Tosti, che trovò nella biblioteca del seminario,
risvegliarono in lui i primi interessi storici mentre taluni manuali di storia
della filosofia, come quello di Augusto Conti, contribuirono a destare quelli
filosofici. Nella sua personalità, non ancora formata, questi ultimi appaiono,
sullo scorcio del secolo, decisamente prevalere e determinante fu, per il suo
orientamento durante questi anni, la conoscenza di L'action del Biondel,
pubblicata nel 1893.
L'insofferenza per la rigida disciplina ecclesiastica e la
ricerca di libri che non poteva trovare nella biblioteca del seminario lo
posero in dissidio con i suoi superiori ed una lettera di adesione inviata al
Minocchi quando questi, nel 1901, fondò la rivista Studi religiosi (vedi
L'Italia che scrive, II [1919], pp. 151-152) costò al B. il posto gratuito di
interno alla fine del primo biennio (1900-1901). La simpatia e l'appoggio del
suo professore di filosofia, Luigi Chiesa, gli valsero però, l'incarico di
filosofia scolastica presso la scuola della Congregazione di Propaganda Fide.
Spinto da un "affetto appassionato per la causa
democratica" frequentò, alla Sapienza, le lezioni di Antonio Labriola e,
sulla rivista del Murri, Cultura sociale (IV [1901], pp. 324-326), pubblicò una
"lettera aperta" dal titolo: Abbiamo un programma?Le idee di un
anonimo, firmandosi "Novissimus".
Nello scritto, in polemica con lo stesso Murri, al quale
rimproverava di preoccuparsi solamente dell'organizzazione delle classi e della
diffusione della piccola proprietà, affermava di sognare una piena rivoluzione
sociale, per cui i vari mestieri, le varie funzioni intellettuali ed artistiche
si affratellino nelle risorgenti universitates, posseditrici dei mezzi di
produzione, substrato del regime politico e comprendenti tutti i lavoratori".
Appare qui già evidente quella sua tendenziale interpretazione sociale del
messaggio cristiano che sarà una tra le componenti più importanti del suo
pensiero.
Nel 1903 il B., conclusi gli studi teologici e ordinato
sacerdote, sostituì monsignor Umberto Benigni, già suo professore,
nell'insegnamento di storia della Chiesa nel seminario dell'Apollinare. Nel
1904 collaborò alla Rivista delle riviste per il clero diretta da G. Sforzini e
agli Studi religiosi del Minocchi; nella prima delle due riviste (II [1904],
pp. 482-487) compare una sua recensione a De sacra traditione. Contra novam
haeresim evolutionismi di L. Billot in cui afferma di "non temere la
scienza anche di fronte ai pericoli dei suoi abusi". Nel 1905, con la
pubblicazione della Rivista storico-critica delle scienze teologiche (per
iniziativa, forse, del padre G. Bonaccorsi, ma della quale il B. assunse la
direzione già a partire dal fascicolo di giugno della prima annata), ebbe
inizio la sua attività più specificamente storica; contemporaneamente sulla
rivista del Minocchi (V [1905], pp. 211-256), con un articolo su La filosofia
dell'azione, tornò a temi più strettamente connessi con la sua formazione
filosofica blondeliana.
[omissis]
Nel novembre 1934 a Milano il B. tenne una serie di
conferenze dal titolo: La fede dei nostri padri, pubblicate a Modena da Guanda
nel 1944, in cui è formulata quella che appare come una delle posizioni più
caratteristiche del pensiero dell'ultimo B., secondo la quale la cultura di tutti
i popoli affacciantisi sul Mediterraneo sarebbe stata influenzata, ad un certo
momento del suo sviluppo storico, da concezioni dualistiche di origine iranica
che avrebbero permeato di sé sia le concezioni filosofiche sia quelle
religiose.
Nel 1935 il B. tenne un corso di lezioni all'università di
Losanna come Gastprofessor, iniziando così un'attività che si protrarrà fino
allo scoppio della guerra. In Italia, le sue conferenze ebbero ad oggetto
l'affacciarsi delle concezioni dualistiche nel mondo greco: il B. lo individua
nella reinterpretazione, in termini di religiosità orfico-dionisiaca, della
vecchia tradizione mitologica operata dai tragici greci; rielaborate, esse
vennero pubblicate a Roma nel 1938 col titolo Amore e morte nei tragici greci.
Nel 1936 il B. pubblicò a Modena Dante come profeta, ponendo
l'accento sulle profonde affinità tra il mondo religioso di Dante e quello di
Gioacchino da Fiore e, di quest'ultimo, curò l'edizione del De articulis fidei.
Nel 1937, a Oxford, su invito del World Congress of Faiths parlò su Il bisogno
mondiale della religiosità (pubblicato in italiano in Religio, XIV [1938], pp.
161-178). Questo scritto è molto importante perché documenta un momento
significativo nell'evoluzione religiosa del B.: la reviviscenza religiosa gli
appare adesso affidata agli esuli di tutte le chiese costituite, per cui la
dialettica non è più ristretta alla Chiesa romana e a coloro che lottano contro
la sua sclerotizzazione, ma diventa dialettica tra morale e religione statica e
morale e religione dinamica.
[omissis]
Pochi giorni dopo si presentò a lui il cardinal Francesco
Marmaggi; recava le condizioni poste dal Vaticano per la sua riammissione nella
Chiesa: avrebbe dovuto sottoscrivere una dichiarazione in cui affermava di
accettare tutto ciò che la Chiesa professa, riprovando tutto ciò che essa
riprova. Il B. rifiutò (si veda il biglietto scritto a C. Barbagallo in
L'Avanti! del 27 aprile).
Morì il 20 aprile 1946.
Nel B. lo storico ed il pensatore religioso sono
strettamente connessi, sì che non è possibile dare un giudizio su uno di questi
due aspetti della sua personalità prescindendo dall'altro. Come ebbe a
definirla nel 1908, per il B. l'esperienza religiosa fu essenzialmente
"escatologia, attesa, cioè, impaziente di ultimi eventi" e chi ne
scorra gli scritti si accorge facilmente che l'attesa di una palingenesi
imminente e radicale è forse la vera nota dominante, il vero Leitmotiv, del suo
pensiero. Se è certamente vero che questa palingenesi, durante gli anni della
sua giovinezza, ha una coloritura mondana e "sociale" piuttosto
marcata, a ben guardare, anche in quegli anni, essa non esorbita mai dal piano
religioso: in ultima analisi, non coglieva nel segno il rimprovero del Tyrrell
che il suo fosse "un regno di Dio puramente economico". Al contrario,
solo tenendo conto di tale iniziale atteggiamento, che non verrà mai veramente
meno e che riaffiorerà in maniera significativa nei suoi ultimi anni, è possibile
rendersi conto esattamente di che cosa egli intendesse per
"escatologia" e, di conseguenza, come vedesse la stessa esperienza
religiosa: escatologia è l'attesa di un rovesciamento totale della realtà,
rovesciamento che è, insieme, spirituale e materiale. Di questa palingenesi,
egli si sentì sempre - e ciò andò sempre più accentuandosi nel corso della sua
vita - l'annunciatore; e "profetica", come ha più volte posto in
evidenza Giorgio Levi Della Vida, è, nella più riposta essenza, la sua religiosità.
Egli annunciò la rigenerazione della Chiesa, che a lungo cercò di identificare
con la Chiesa romana, ma che, in realtà, altro non era se non la κοινωνία, per
adoperare una sua caratteristica espressione, di coloro che sarebbero stati
partecipi di quella palingenesi. Per lui, l'esperienza religiosa non è mai,
infatti, singola e individuale, ma sempre qualcosa che interessa un gruppo, una
collettività. Ciò spiega anche, in parte, la ragione per la quale, nella sua
prima formulazione, essa sembrò identificarsi col socialismo.
Questa sua prospettiva religiosa ha inciso in maniera
determinante sul suo lavoro di storico. Quando il B. si affacciò al mondo
intellettuale nei primissimi anni del secolo, l'avvenimento più saliente nel
campo degli studi religiosi era certamente la controversia Harnack-Loisy, ma
egli, pur professandosi, allora, ammiratore del Loisy, non seppe cogliere la
profonda intuizione storica che era alla base de L'Evangile et l'Eglise e, di
conseguenza, la più che fondata critica alle affermazioni dello Harnack; e,
dallo Harnack, raccolse, sia pure indirettamente, la concezione che il
cristianesimo fosse storicamente schematizzabile in un nucleo centrale attorno
al quale sarebbe avvenuta una vera e propria superfetazione di elementi
estrinseci. Di conseguenza, egli intese il lavoro dello storico essenzialmente
come il lavoro di rimozione di questi elementi estrinseci, allo scopo di
riportare alla luce il nucleo originario del cristianesimo, per cui egli fu
portato a vedere in esso un momento essenziale della stessa esperienza
religiosa. In una lettera al Cagnola del 6 giugno 1958 (si veda Bedeschi, B.,
p. 380) aveva affermato di essersi sentito chiamato a liberare l'essenza del
cristianesimo dalle sue sovrastrutture, atteggiamento questo che permette di
comprendere bene la sua inesauribile carica di proselitismo, che gli procurò
una così tenace ostilità da parte della Curia; che spiega il suo disperato
attaccamento alla cattedra, l'affermazione più volte ripetuta che
l'insegnamento era per lui la vera esplicazione della sua missione sacerdotale:
il fatto che il suo vero mezzo di espressione fosse piuttosto la voce che la
pagina scritta.
FontieBibl.: Inaccessibili rimangono le fonti
ecclesiastiche; i fascicoli personali del B. presso il ministero della Pubblica
Istruzione e presso l'università di Roma contengono documenti in parte
pubblicati; una serie di lettere del B., per lo più a M. Niccoli è stata
depositata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; una lettera del
B. a U. Pestalozza del 2 1 apr. 1916 è conservata presso la Biblioteca
Ambrosiana di Milano; alcune lettere del B. ad U. Zanotti Bianco sono
conservate presso l'Associazione nazionale interessi del Mezzogiorno d'Italia
in Roma. Nel commento a Pellegrino di Roma (si veda più oltre), M. Niccoli ha
utilizzato (e parzialmente pubblicato) documenti (soprattutto lettere al B.)
non altrimenti accessibili.
Molti documenti sono contenuti nell'appendice alle Lettere
di un prete modernista (1908): Dalla sospensione di R. Murri alla scomunica di
Loisy; in Il programma dei modernisti; in Una fede e una disciplina; in Le
modernisme catholique. La fonte principale rimane, naturalmente,
l'autobiografia, Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo, Roma 1945 (2
ediz., Bari 1964), a cura di M. Niccoli con introduzione di A. C. Jemolo. Il B.
stesso ha pubblicato parzialmente e senza indicazione di destinatario alcune
lettere a lui indirizzate dal Tyrrell (si veda F. Parente, E. B., Roma 1971, p.
110 n. 21). Importanti documenti ecclesiastici riguardanti il 1909 sono stati
pubblicati in S. Savarino, Peccato mortale, Roma 1964, pp. 46-57; F.
Margiotta-Broglio, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla conciliazione.
Aspetti politici e giuridici, Bari 1966, ha pubblicato i principali documenti
relativi ai rapporti tra il B. ed il ministero della Pubblica Istruzione,
specialmente in occasione del mancato giuramento. Molte lettere del B. sono
state pubblicate integralmente o parzialmente da P. Scoppola in Crisi
modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna 1961 (insieme con molto
altro materiale tratto dagli archivi di L. Piastrelli, U. Fracas e C. Pizzoni:
2 ediz., 1969, con l'indicazione dei destinatari delle lettere spesso omessi
nella precedente). Una serie di settantasette lettere del B. a L. Bietti, e a
G. Cagnola sono state pubblicate da L. Bedeschi in appendice a B., il
concordato e la Chiesa, Milano 1970. Nel testo del volume il Bedeschi ha
riportato parzialmente anche altre lettere indirizzate agli stessi destinatari.
Le lettere indirizzate dal B. a R. Missir attendono di essere pubblicate.
Una bibliografia delle opere del B. è stata redatta da M.
Ravà, Bibliografia degli scritti di E. B., con prefazione di L. Salvatorelli,
Firenze 1951 (si veda A. Pincherle, in Ric. di storia rel., I [1954], pp.
210-211 e, della stessa Ravà, Aggiunte alla bibliografia di E. B., in Riv. di
stona e lett. relig., VI [1970], pp. 235-239). Per una bibliogr. completa sul
B. si rimanda al volume citato del Parente.
ECCO perché QUESTO PAPA è impari: un incolto non può reggere
la Chiesa di Roma. Che aspetta la chiesa di Roma a riabilitare padre Ernesto
Bonaiuti; perché non fa resipiscenza, con tutto quell'arbitrio del
Santo Ufficio, con tutta quella imbecillità di Papa X (che andrebbe retrocesso
da santo). Non è vero che il Signore abbia detto: beati i poveri di spirito
perché di loro è il Regno dei Cieli!. Il paradiso degli imbecilli non si addice
a noi CATTOLICI dall'ingegno aperto!
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