L’ho pubblicata ieri e tutto tace. I miei paesani sono tutti
presi dalle loro miserabili meschinissime cose (come arraffare 50 mila euro e ristorare
la familiare di chi sta per essere fregato da Giochi di potere o magari cercare
di evitare che il cognato famoso finisca infognato per avere reso inservibile il
depuratore da miliardi di vecchie lire del pubblico denaro dato che non l’aveva
fatto passare passare dai suoi orti cavolari… etc etc.)
Non so se mi legge
più la querula moglie di un avvocato che voleva fare il missionario credendo di
poter guadagnare chissà quanto; ma gesuiticamente e stomachevolmente
abbandonando il caso appena appurato che non c’è era trippa (molta trippa per
lui).
Tano Savatteri è
ormai tutto dedito ai suoi successi cinematografici per dare un sguardo a
questo suo peccato di gioventù. Camilleri lo stanno sbalsamando per disbalsamare
il Montalbano del comunista dalle gambe storte Zingaretti cercando di riempirsi
di tanta liquidità con le bollette della luce di Renzi,
liquidità prosciugatasi per quell’antipatia di Berlusconi che almeno in questo
lo rimpiango tanto. Cavallaro lo conosciamo:
è vizio atavico di famglia: Non ti curar
giammai degli altri. Adragna? E chi è costui? Sergio SciMè non ha più tempo per
nient’altro dovendo tamponare le falle del suo novello sindaco. Malgrado Tutto
ha da darmi colpi di spillo perché difendo la memoria del grande racalmutese (classe
1884) Ettore Messana. Studio 98 ha l’anima dei guai suoi. Lo stato di renzi lo
vuol soprrimere questo STUDIO che invero non leggerà neppure questo Gorgia che
per loro è mistero assoluto. Ma Gorgia qualche racalmutese lo noterà? Ma quando
mai! il livello culturale di Racalmuto al massimo si eleva alle fotografie di
certa lady Hamilton muntidurisa.
Che squallore signori! Né posso contare sulla solidarietà
delle menti elette del mondo FB. Chi pensa ai fiori, chi gioca a Barraco, chi,ha
solo paturnie erotiche, e chi stizze esistenziali. Amano molto il prossimo ma
solo quello che fa loro comodo.
Calogero Taverna.
Questo è il testo che il mio diletto figlio selettivo mi
chiede: vuole il libro. Il libro è testo molto più complesso. di Laterza.
Esercitazione scolastica quella di Gorgia per imparare
l'arte del convincere.
Dovrei imparare anch'io l'arte del Convincere per convincere
Tano Savatteri che non ha senso alcuno scrivere libri come i Ragazzi di
Regalpetra e poi abbandonare al suo destino Alfredo Sole.
Non ha senso alcuno essere il vecchio Camilleri che piange
senili lagrime perché non danno il vecchio computer ad Alfredo e poi
abbandonarlo al suo destino, tanto il
computer dieci anni dopo Alfredo Sole lo ha avuto.
Non ha senso alcuno che il conclamato giornalista del
Corrierone Felice Cavallaro predica
lotte alla mafia in nome per conto dell'antimafia e poi lascia che un
magistrato dell'antimafia di cui non so ancora il nome, tra un momento di accidia e tanta di lagnusia
ventiquattro anni dopo stili un referto giudiziario sancendo l'ostatività di
Alfredo senza il piacere di fare una telefonata al maresciallo dei carabinieri
di Racalmuto.
Alfredo Sole è un ostativo ancora? e di che?
Quelli con cui stava si sono trucidati a vicenda; quelli con cui non stava fanno i
collaboratori di (in)giustizia strapagati mi dicono anche con i soldi del
comune di origine che poi è Racalmuto,
cioè noi.
Indolenze, omissioni di atti dovuti, latitanza dal posto di
lavoro anche se togato.
Il Consiglio Superiore della Magistratura non ha nulla da
ridire?
Questi giganti dell'informazione racalmutese non sanno
spendere manco una parola per chiedere magari una spiegazione se non una
giustificazione su una relazione palesemente
falsa e bugiarda?
E se ne stanno con la coscienza tranquilla anche quelle
mogli di avvocati che mi avevano contattato credendo che con il caso Sole
chissà quanti soldi ne traevano versati magari dai compari mafiosi.
Ma Alfredo Sole per il mondo della mafia è morto e
sotterrato da trent'anni. Lo sappiamo. Tantissimi lo possiamo testimoniare (e non siamo certo
tra gli schedati dell'Antimafia).
L'unico che non lo sa (o meglio non lo vuol sapere per nequizia accidiosa) è questo giudice dell'antimafia che chissà
quanti soldi prende al mese anche per il rischio lupara e non ha neppure il
tempo di chiedere informazioni alle autorità inquirenti sul campo in quel di
Racalmuto.
Questa è casta e questa dovrebbero sputtanare questi
facitori di grida manzoniane contro chi prende più di loro che invero nulla
dovrebbero prendere per inettitudine costante e desolante.
Calogero Taverna
Gorgia, Encomio di Elena
Altro testo famoso di Gorgia è questo Encomio di Elena: il
tema è scelto allo scopo di dimostrare la forza persuasiva del ragionamento e
del linguaggio. Il brano nel suo insieme può essere considerato come esempio
del tipo di lavoro, in questo caso di esercizio retorico, di arte della
persuasione, che veniva svolto nelle scuole dei sofisti.
(1) È
decoro allo stato una balda gioventú; al corpo, bellezza; all’animo, sapienza;
all’azione, virtú; alla parola, verità. Il contrario di questo, disdoro. E uomo
e donna, e parola ed opera, e città e azione conviene onorar di lode, chi di
lode sia degno; ma sull’indegno, riversar onta; poiché è pari colpevolezza e
stoltezza tanto biasimare le cose lodevoli, quanto lodar le riprovevoli. (2) È
invece dovere dell’uomo, sia dire rettamente ciò che si addice, sia confutare
<il contrario; e dunque è giusto confutare> i detrattori di Elena, donna
sulla quale consona e concorde si afferma e la testimonianza di tutti i poeti,
e la fama del nome, divenuto simbolo delle fortunose vicende. Pertanto io
voglio, svolgendo il discorso secondo un certo metodo logico, lei cosí
diffamata liberar dall’accusa, e dimostrati mentitori i suoi detrattori e
svelata la verità, far cessare l’ignoranza.
2 (3) Che
per nascita e stirpe fosse prima tra i primi – uomini e donne – la donna di cui
ora parliamo, non c’è chi lo ignori. Noto è infatti come sua madre fu Leda, e
padre autentico un dio, putativo un mortale: Tindaro e Zeus; di cui questi, pel
fatto che era, fu ritenuto suo padre; quegli, pel fatto che appariva, fu messo
in dubbio; l’uno il piú potente tra gli uomini, l’altro il supremo dominatore
di tutti gli esseri. (4) Da tali
generata, ebbe bellezza di dea, e, avutala, non nascose d’averla. Ché in
moltissimi moltissime brame d’amore suscitò, e con una sola persona molte
persone attirò di eroi superbi per superbi vanti: chi avea profusion di
ricchezza, chi lustro d’antica nobiltà, chi pregio di innato valore, chi
superiorità di sapienza acquisita; e tutti vennero, indotti da amore avido di
vittoria e da invitta avidità di onore.
3 (5) Ma
chi fu, e per qual motivo, e in che modo appagò l’amore colui che conquistò
Elena, non lo dirò: ché il dire, a chi sa, ciò che sa, aggiunge fiducia, ma non
porta diletto. E però, varcato ora, col discorso, il tempo d’allora, mi rifarò
dal principio del discorso propostomi, ed esporrò le cause per le quali era
naturale avvenisse la partenza di Elena verso Troia.
4 (6)
Infatti, ella fece quel che fece o per cieca volontà del Caso, e meditata
decisione di Dèi, e decreto di Necessità; oppure rapita per forza; o indotta
con parole, <o presa da amore>. Se è per il primo motivo, è giusto che
s’incolpi chi ha colpa; poiché la provvidenza divina non si può con previdenza
umana impedire. Naturale è infatti non che il piú forte sia ostacolato dal piú
debole, ma il piú debole sia dal piú forte comandato e condotto; e il piú forte
guidi, il piú debole segua. E la Divinità supera l’uomo e in forza e in
saggezza e nel resto. Che se dunque al Caso e alla Divinità va attribuita la
colpa, Elena va dall’infamia liberata.
5 (7) E se per forza fu rapita, e contro legge
violentata, e contro giustizia oltraggiata, è chiaro che del rapitore è la
colpa, in quanto oltraggiò, e che la rapita, in quanto oltraggiata, subí una
sventura. Merita dunque, colui che intraprese da barbaro una barbara impresa,
d’esser colpito e verbalmente, e legalmente, e praticamente; verbalmente, gli
spetta l’accusa; legalmente, l’infamia; praticamente, la pena. Ma colei che fu
violata, e dalla patria privata, e dei suoi cari orbata, come non dovrebbe esser
piuttosto compianta che diffamata? ché quello compí il male, questa lo patí;
giusto è dunque che questa si compianga, quello si detesti. compianta che
diffamata? ché quello compí il male, questa lo patí; dunque è giusto che questa
si compianga, quello si detesti.
6 (8) Se
poi fu la parola a persuaderla e a illuderle l’animo, neppur questo è difficile
a scusarsi e a giustificarsi cosí: la parola è un gran dominatore, che con
piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce
infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e
ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò. (9) Perché bisogna
anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la poesia nelle sue varie forme io
la ritengo e la chiamo un discorso con metro, e chi l’ascolta è invaso da un
brivido di spavento, da una compassione che strappa le lacrime, da una
struggente brama di dolore, e l’anima patisce, per effetto delle parole, un suo
proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere.
Ma via, torniamo al discorso di prima. (10) Dunque, gli ispirati incantesimi di
parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena. Aggiungendosi infatti,
alla disposizione dell’anima, la potenza dell’incanto, questa la blandisce e
persuade e trascina col suo fascino. Di fascinazione e magia si sono create due
arti, consistenti in errori dell’animo e in inganni della mente. (11) E quanti,
a quanti, quante cose fecero e fanno credere, foggiando un finto discorso! Che
se tutti avessero, circa tutte le cose, delle passate ricordo, delle presenti
coscienza, delle future previdenza, non di eguale efficacia sarebbe il medesimo
discorso, qual è invece per quelli, che appunto non riescono né a ricordare il
passato, né a meditare sul presente, né a divinare il futuro; sicché nel piú
dei casi, i piú offrono consigliera all’anima l’impressione del momento. La
quale impressione, per esser fallace ed incerta, in fallaci ed incerte fortune
implica chi se ne serve. (12) Qual motivo ora impedisce di credere che Elena
sia stata trascinata da lusinghe di parole, e cosí poco di sua volontà, come se
fosse stata rapita con violenza? Cosí si constaterebbe l’imperio della
persuasione, la quale, pur non avendo l’apparenza dell’ineluttabilità, ne ha
tuttavia la potenza. Infatti un discorso che abbia persuaso una mente,
costringe la mente che ha persuaso, e a credere nei detti, e a consentire nei
fatti. Onde chi ha persuaso, in quanto ha esercitato una costrizione, è
colpevole; mentre chi fu persuasa, in quanto costretta dalla forza della
parola, a torto vien diffamata. (13) E poiché la persuasione, congiunta con la
parola, riesce anche a dare all’anima l’impronta che vuole, bisogna apprendere
anzitutto i ragionamenti dei meteorologi, i quali sostituendo ipotesi a
ipotesi, distruggendone una, costruendone un’altra, fanno apparire agli occhi
della mente l’incredibile e l’inconcepibile; in secondo luogo, i dibattiti
oratorii di pubblica necessità [politici e giudiziari], nei quali un solo
discorso non ispirato a verità, ma scritto con arte, suol dilettare e
persuadere la folla; in terzo luogo, le schermaglie filosofiche, nelle quali si
rivela anche con che rapidità l’intelligenza facilita il mutar di convinzioni
dell’opinione. (14) C’è tra la potenza della parola e la disposizione
dell’anima lo stesso rapporto che tra l’ufficio dei farmaci e la natura del
corpo. Come infatti certi farmaci eliminano dal corpo certi umori, e altri,
altri; e alcuni troncano la malattia, altri la vita; cosí anche dei discorsi,
alcuni producon dolore, altri diletto, altri paura, altri ispiran coraggio agli
uditori, altri infine, con qualche persuasione perversa, avvelenano l’anima e
la stregano.
7 (15)
Ecco cosí spiegato che se ella fu persuasa con la parola, non fu colpevole, ma
sventurata. Ora la quarta causa spiegherò col quarto ragionamento. Che se fu
l’amore a compiere il tutto, non sarà difficile a lei sfuggire all’accusa del
fallo attribuitole. Infatti la natura delle cose che vediamo non è quale la
vogliamo noi, ma quale è coessenziale a ciascuna; e per mezzo della vista,
l’anima anche nei suoi atteggiamenti ne vien modellata. (16) Per esempio, se
mai l’occhio scorge nemici armarsi contro nemici in nemica armatura di bronzo e
di ferro, l’una a offesa, l’altra a difesa, subito si turba, e turba l’anima,
sicché spesso avviene che si fugge atterriti, come fosse il pericolo imminente.
Poiché la consuetudine della legge, per quanto sia salda, viene scossa dalla
paura prodotta dalla vista, il cui intervento fa dimenticare e il bello che
risulta dalla legge, e il buono che nasce dalla vittoria. (17) E non di rado
alcuni, alla vista di cose paurose, smarriscono nell’attimo la ragione che
ancora possiedono: tanto la paura scaccia e soffoca l’intelligenza. Molti poi
cadono in vani affanni, e in gravi malattie, e in insanabili follie; a tal
punto la vista ha impresso loro nella mente le immagini delle cose vedute. E di
cose terribili molte ne tralascio; ché sono, le tralasciate, simili a quelle
anzidette. (18) D’altro lato i pittori, quando da molti colori e corpi
compongono in modo perfetto un sol corpo e una sola figura, dilettano la vista.
E figure umane scolpite, figure divine cesellate sogliono offrire agli occhi un
gradito spettacolo. Sicché certe cose per natura addolorano la vista, certe
altre l’attirano. Ché molte cose, in molti, di molti oggetti e persone
inspirano l’amore e il desiderio. (19) Che se dunque lo sguardo di Elena,
dilettato dalla figura di Alessandro, inspirò all’anima fervore e zelo d’amore,
qual meraviglia? il quale amore, se, in quanto dio, ha degli dèi la divina
potenza, come un essere inferiore potrebbe respingerlo, o resistergli? e se poi
è un’infermità umana e una cecità della mente, non è da condannarsi come colpa,
ma da giudicarsi come sventura; venne infatti, come venne, per agguati del
caso, non per premeditazioni della mente, e per ineluttabilità d’amore, non per
artificiosi raggiri.
8 (20)
Come dunque si può ritener giusto il disonore gettato su Elena, la quale, sia
che abbia agito come ha agito perché innamorata, sia perché lusingata da
parole, sia perché rapita con violenza, sia perché costretta da costrizione
divina, in ogni caso è esente da colpa?
9 (21) Ho
distrutto con la parola l’infamia d’una donna, ho tenuto fede al principio
propostomi all’inizio del discorso, ho tentato di annientare l’ingiustizia di
un’onta e l’infondatezza di un’opinione; ho voluto scrivere questo discorso,
che fosse a Elena di encomio, a me di gioco dialettico.
(I Presocratici, Laterza, Bari, 19904, pagg. 927-933)
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