Questo è il testo che il mio diletto figlio selettivo mi chiede: vuole il libro. Il libro è testo molto più complesso. di Laterza.
Esercitazione scolastica quella di Gorgia per imparare l'arte del convincere.
Dovrei imparare anch'io l'arte del Convincere per convincere Tano Savatteri che non ha senso alcuno scrivere libri come i Ragazzi di Regalpetra e poi abbandonare al suo destino Alfredo Sole.
Non ha senso alcuno essere il vecchio Camilleri che piange senili lagrime perché non danno il vecchio computer ad Alfredo e poi abbandonarlo al suo destino, tanto il computer dieci anni dopo Alfredo Sole lo ha avuto.
Non ha senso alcuno che il conclamato giornalista del Corrierone Felice Cavallaro predica lotte alla mafia in nome per conto dell'antimafia e poi lascia che un magistrato dell'antimafia di cui non so ancora il nome, tra un momento di accidia e tanta di lagnusia ventiquattro anni dopo stili un referto giudiziario sancendo l'ostatività di Alfredo senza il piacere di fare una telefonata al maresciallo dei carabinieri di Racalmuto.
Alfredo Sole è un ostativo ancora? e di che?
Quelli co cui stava si sono trucidati a vicenda; quelli con cui non stava fanno i collaboratori di (in)giustizia strapagati mi dicono anche con i soldi del comune di origine che poi è Racalmuto, cioè noi.
Indolenze, omissioni di atti dovuti, latitanza dal posto di lavoro anche se togato.
Il Consiglio Superiore della Magistrura non ha nulla da ridire?
Questi giganti dell'informazione racalmutese non sanno spendere manco una parola per chiedere magari una spiegazione se non una giustificazione su una relazione palesemente falsa e bugiarda?
E se ne stanno con la coscienza tranquilla anche quelle mogli di avvocati che mi avevano contattato credendo che con il caso Sole chissà quanti soldi ne traevano versati magari dai compari mafiosi.
Ma Alfredo Sole per il mondo della mafia è morto e sotterrato da trent'anni. Lo sappiamo. Tantissimi lo possiamo testimoniare (e non siamo certo tra gli schedati dell'Antimafia).
L'unico che non lo sa (o meglio non lo vuol sapere per nequizia accidiosa) è questo giudice dell'antimafia che chissà quanti soldi prende al mese anche per il rischio lupara e non ha neppure il tempo di chiedere informazioni alle autorità inquirenti sul campo in quel di Racalmuto.
Questa è casta e questa dovrebbero sputtanare questi facitori di grida manzoniane contro chi prende più di loro che invero nulla dovrebbero prendere per inettitudine costante e desolante.
Calogero Taverna
Esercitazione scolastica quella di Gorgia per imparare l'arte del convincere.
Dovrei imparare anch'io l'arte del Convincere per convincere Tano Savatteri che non ha senso alcuno scrivere libri come i Ragazzi di Regalpetra e poi abbandonare al suo destino Alfredo Sole.
Non ha senso alcuno essere il vecchio Camilleri che piange senili lagrime perché non danno il vecchio computer ad Alfredo e poi abbandonarlo al suo destino, tanto il computer dieci anni dopo Alfredo Sole lo ha avuto.
Non ha senso alcuno che il conclamato giornalista del Corrierone Felice Cavallaro predica lotte alla mafia in nome per conto dell'antimafia e poi lascia che un magistrato dell'antimafia di cui non so ancora il nome, tra un momento di accidia e tanta di lagnusia ventiquattro anni dopo stili un referto giudiziario sancendo l'ostatività di Alfredo senza il piacere di fare una telefonata al maresciallo dei carabinieri di Racalmuto.
Alfredo Sole è un ostativo ancora? e di che?
Quelli co cui stava si sono trucidati a vicenda; quelli con cui non stava fanno i collaboratori di (in)giustizia strapagati mi dicono anche con i soldi del comune di origine che poi è Racalmuto, cioè noi.
Indolenze, omissioni di atti dovuti, latitanza dal posto di lavoro anche se togato.
Il Consiglio Superiore della Magistrura non ha nulla da ridire?
Questi giganti dell'informazione racalmutese non sanno spendere manco una parola per chiedere magari una spiegazione se non una giustificazione su una relazione palesemente falsa e bugiarda?
E se ne stanno con la coscienza tranquilla anche quelle mogli di avvocati che mi avevano contattato credendo che con il caso Sole chissà quanti soldi ne traevano versati magari dai compari mafiosi.
Ma Alfredo Sole per il mondo della mafia è morto e sotterrato da trent'anni. Lo sappiamo. Tantissimi lo possiamo testimoniare (e non siamo certo tra gli schedati dell'Antimafia).
L'unico che non lo sa (o meglio non lo vuol sapere per nequizia accidiosa) è questo giudice dell'antimafia che chissà quanti soldi prende al mese anche per il rischio lupara e non ha neppure il tempo di chiedere informazioni alle autorità inquirenti sul campo in quel di Racalmuto.
Questa è casta e questa dovrebbero sputtanare questi facitori di grida manzoniane contro chi prende più di loro che invero nulla dovrebbero prendere per inettitudine costante e desolante.
Calogero Taverna
Gorgia, Encomio di Elena
Altro testo famoso di Gorgia è questo Encomio di Elena: il
tema è scelto allo scopo di dimostrare la forza persuasiva del ragionamento e
del linguaggio. Il brano nel suo insieme può essere considerato come esempio
del tipo di lavoro, in questo caso di esercizio retorico, di arte della
persuasione, che veniva svolto nelle scuole dei sofisti.
Fr 82 B 11 DK
1 (1) È decoro allo stato una balda gioventú; al
corpo, bellezza; all’animo, sapienza; all’azione, virtú; alla parola, verità.
Il contrario di questo, disdoro. E uomo e donna, e parola ed opera, e città e
azione conviene onorar di lode, chi di lode sia degno; ma sull’indegno,
riversar onta; poiché è pari colpevolezza e stoltezza tanto biasimare le cose
lodevoli, quanto lodar le riprovevoli. (2) È invece dovere dell’uomo, sia dire
rettamente ciò che si addice, sia confutare <il contrario; e dunque è giusto
confutare> i detrattori di Elena, donna sulla quale consona e concorde si
afferma e la testimonianza di tutti i poeti, e la fama del nome, divenuto
simbolo delle fortunose vicende. Pertanto io voglio, svolgendo il discorso
secondo un certo metodo logico, lei cosí diffamata liberar dall’accusa, e
dimostrati mentitori i suoi detrattori e svelata la verità, far cessare
l’ignoranza.
2 (3) Che
per nascita e stirpe fosse prima tra i primi – uomini e donne – la donna di cui
ora parliamo, non c’è chi lo ignori. Noto è infatti come sua madre fu Leda, e
padre autentico un dio, putativo un mortale: Tindaro e Zeus; di cui questi, pel
fatto che era, fu ritenuto suo padre; quegli, pel fatto che appariva, fu messo
in dubbio; l’uno il piú potente tra gli uomini, l’altro il supremo dominatore
di tutti gli esseri. (4) Da tali
generata, ebbe bellezza di dea, e, avutala, non nascose d’averla. Ché in
moltissimi moltissime brame d’amore suscitò, e con una sola persona molte persone
attirò di eroi superbi per superbi vanti: chi avea profusion di ricchezza, chi
lustro d’antica nobiltà, chi pregio di innato valore, chi superiorità di
sapienza acquisita; e tutti vennero, indotti da amore avido di vittoria e da
invitta avidità di onore.
3 (5) Ma
chi fu, e per qual motivo, e in che modo appagò l’amore colui che conquistò
Elena, non lo dirò: ché il dire, a chi sa, ciò che sa, aggiunge fiducia, ma non
porta diletto. E però, varcato ora, col discorso, il tempo d’allora, mi rifarò
dal principio del discorso propostomi, ed esporrò le cause per le quali era
naturale avvenisse la partenza di Elena verso Troia.
4 (6)
Infatti, ella fece quel che fece o per cieca volontà del Caso, e meditata
decisione di Dèi, e decreto di Necessità; oppure rapita per forza; o indotta
con parole, <o presa da amore>. Se è per il primo motivo, è giusto che
s’incolpi chi ha colpa; poiché la provvidenza divina non si può con previdenza
umana impedire. Naturale è infatti non che il piú forte sia ostacolato dal piú
debole, ma il piú debole sia dal piú forte comandato e condotto; e il piú forte
guidi, il piú debole segua. E la Divinità supera l’uomo e in forza e in
saggezza e nel resto. Che se dunque al Caso e alla Divinità va attribuita la
colpa, Elena va dall’infamia liberata.
5 (7) E se per forza fu rapita, e contro
legge violentata, e contro giustizia oltraggiata, è chiaro che del rapitore è
la colpa, in quanto oltraggiò, e che la rapita, in quanto oltraggiata, subí una
sventura. Merita dunque, colui che intraprese da barbaro una barbara impresa,
d’esser colpito e verbalmente, e legalmente, e praticamente; verbalmente, gli
spetta l’accusa; legalmente, l’infamia; praticamente, la pena. Ma colei che fu
violata, e dalla patria privata, e dei suoi cari orbata, come non dovrebbe
esser piuttosto compianta che diffamata? ché quello compí il male, questa lo
patí; giusto è dunque che questa si compianga, quello si detesti. compianta che
diffamata? ché quello compí il male, questa lo patí; dunque è giusto che questa
si compianga, quello si detesti.
6 (8) Se
poi fu la parola a persuaderla e a illuderle l’animo, neppur questo è difficile
a scusarsi e a giustificarsi cosí: la parola è un gran dominatore, che con
piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce
infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e
ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò. (9) Perché bisogna
anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la poesia nelle sue varie forme io
la ritengo e la chiamo un discorso con metro, e chi l’ascolta è invaso da un
brivido di spavento, da una compassione che strappa le lacrime, da una
struggente brama di dolore, e l’anima patisce, per effetto delle parole, un suo
proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere.
Ma via, torniamo al discorso di prima. (10) Dunque, gli ispirati incantesimi di
parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena. Aggiungendosi infatti,
alla disposizione dell’anima, la potenza dell’incanto, questa la blandisce e
persuade e trascina col suo fascino. Di fascinazione e magia si sono create due
arti, consistenti in errori dell’animo e in inganni della mente. (11) E quanti,
a quanti, quante cose fecero e fanno credere, foggiando un finto discorso! Che
se tutti avessero, circa tutte le cose, delle passate ricordo, delle presenti
coscienza, delle future previdenza, non di eguale efficacia sarebbe il medesimo
discorso, qual è invece per quelli, che appunto non riescono né a ricordare il
passato, né a meditare sul presente, né a divinare il futuro; sicché nel piú
dei casi, i piú offrono consigliera all’anima l’impressione del momento. La
quale impressione, per esser fallace ed incerta, in fallaci ed incerte fortune
implica chi se ne serve. (12) Qual motivo ora impedisce di credere che Elena
sia stata trascinata da lusinghe di parole, e cosí poco di sua volontà, come se
fosse stata rapita con violenza? Cosí si constaterebbe l’imperio della
persuasione, la quale, pur non avendo l’apparenza dell’ineluttabilità, ne ha
tuttavia la potenza. Infatti un discorso che abbia persuaso una mente,
costringe la mente che ha persuaso, e a credere nei detti, e a consentire nei
fatti. Onde chi ha persuaso, in quanto ha esercitato una costrizione, è
colpevole; mentre chi fu persuasa, in quanto costretta dalla forza della
parola, a torto vien diffamata. (13) E poiché la persuasione, congiunta con la
parola, riesce anche a dare all’anima l’impronta che vuole, bisogna apprendere
anzitutto i ragionamenti dei meteorologi, i quali sostituendo ipotesi a
ipotesi, distruggendone una, costruendone un’altra, fanno apparire agli occhi
della mente l’incredibile e l’inconcepibile; in secondo luogo, i dibattiti
oratorii di pubblica necessità [politici e giudiziari], nei quali un solo discorso
non ispirato a verità, ma scritto con arte, suol dilettare e persuadere la
folla; in terzo luogo, le schermaglie filosofiche, nelle quali si rivela anche
con che rapidità l’intelligenza facilita il mutar di convinzioni dell’opinione.
(14) C’è tra la potenza della parola e la disposizione dell’anima lo stesso
rapporto che tra l’ufficio dei farmaci e la natura del corpo. Come infatti
certi farmaci eliminano dal corpo certi umori, e altri, altri; e alcuni
troncano la malattia, altri la vita; cosí anche dei discorsi, alcuni producon
dolore, altri diletto, altri paura, altri ispiran coraggio agli uditori, altri
infine, con qualche persuasione perversa, avvelenano l’anima e la stregano.
7 (15)
Ecco cosí spiegato che se ella fu persuasa con la parola, non fu colpevole, ma
sventurata. Ora la quarta causa spiegherò col quarto ragionamento. Che se fu
l’amore a compiere il tutto, non sarà difficile a lei sfuggire all’accusa del
fallo attribuitole. Infatti la natura delle cose che vediamo non è quale la vogliamo
noi, ma quale è coessenziale a ciascuna; e per mezzo della vista, l’anima anche
nei suoi atteggiamenti ne vien modellata. (16) Per esempio, se mai l’occhio
scorge nemici armarsi contro nemici in nemica armatura di bronzo e di ferro,
l’una a offesa, l’altra a difesa, subito si turba, e turba l’anima, sicché
spesso avviene che si fugge atterriti, come fosse il pericolo imminente. Poiché
la consuetudine della legge, per quanto sia salda, viene scossa dalla paura
prodotta dalla vista, il cui intervento fa dimenticare e il bello che risulta
dalla legge, e il buono che nasce dalla vittoria. (17) E non di rado alcuni,
alla vista di cose paurose, smarriscono nell’attimo la ragione che ancora
possiedono: tanto la paura scaccia e soffoca l’intelligenza. Molti poi cadono
in vani affanni, e in gravi malattie, e in insanabili follie; a tal punto la
vista ha impresso loro nella mente le immagini delle cose vedute. E di cose
terribili molte ne tralascio; ché sono, le tralasciate, simili a quelle
anzidette. (18) D’altro lato i pittori, quando da molti colori e corpi
compongono in modo perfetto un sol corpo e una sola figura, dilettano la vista.
E figure umane scolpite, figure divine cesellate sogliono offrire agli occhi un
gradito spettacolo. Sicché certe cose per natura addolorano la vista, certe
altre l’attirano. Ché molte cose, in molti, di molti oggetti e persone
inspirano l’amore e il desiderio. (19) Che se dunque lo sguardo di Elena,
dilettato dalla figura di Alessandro, inspirò all’anima fervore e zelo d’amore,
qual meraviglia? il quale amore, se, in quanto dio, ha degli dèi la divina
potenza, come un essere inferiore potrebbe respingerlo, o resistergli? e se poi
è un’infermità umana e una cecità della mente, non è da condannarsi come colpa,
ma da giudicarsi come sventura; venne infatti, come venne, per agguati del
caso, non per premeditazioni della mente, e per ineluttabilità d’amore, non per
artificiosi raggiri.
8 (20)
Come dunque si può ritener giusto il disonore gettato su Elena, la quale, sia
che abbia agito come ha agito perché innamorata, sia perché lusingata da
parole, sia perché rapita con violenza, sia perché costretta da costrizione
divina, in ogni caso è esente da colpa?
9 (21) Ho
distrutto con la parola l’infamia d’una donna, ho tenuto fede al principio
propostomi all’inizio del discorso, ho tentato di annientare l’ingiustizia di
un’onta e l’infondatezza di un’opinione; ho voluto scrivere questo discorso,
che fosse a Elena di encomio, a me di gioco dialettico.
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