Del FALCONCINI ce ne siamo interessati VOLONTARIAMENTE da un trentennio; del volume trafugato dalla Biblioteca del Senato di pari passo e sempre volontariamente. Rimanemmo perplessi quando quel volumetto apparve a Racalmuto, provenienza Sciascia- Ce ne parlò Totò Petrotto. Non ci pre che il volume sia tornato al legittimo proprietario: il SENATO. Vederlo pubblicato da Sellerio ci suonò arditezza legale direì illegale. Ma tant'è. Francaente crediamo di avere più titoli storici (o se si vuole microstorici) di chiunque altro a Racalmuto, almeno per quanto riguarda Racalmuto. E siffatti titoli ce li siamo sudati con ricerche originali ed oneste. Direi volontaristicamente. E credo meritatamente anche se non abbiamo avuto né chiesto favori al Comune, come l'assunzione di qualche fratello o alla Fondazione come pretendere rimborsi spese e in definitiva neppure al mio CIRCOLO UNIONE, che però sembra divenuto proprietà privata del Ciccio racalmutese, e se lui si assenta nessuno può sostituirlo neppure nei compiti statutari, quale ad esempio un convegno su Messana (questore) perché magari non va al Messana (sindaco) a motivo dello zio Everardo.
Calogero Taverna
Calogero taverna
18/12/2012
Alla fin fine questo postumo e forse illegittimo libro dell’delhi Leonardo Scoascia – IL FUOCO NEL MARE – 2010) consente gratificanti excursus nella veridica storia racalmutese dal 2 febbraio al1975. E spescie per il quadriennio ’46-60 se non fosse per questi autografi sciasciani poco o nulla sapremmo della vicenda storica di questo nostro diletto paese. Grazie dunque ancora Sciascia.
In Paese con Figure – pubblicato, pare, dallo stesso Nanà in GALLERIA I, n- 1. Agosto 1949. Pp. 21-24 – a parte una faccenda di diritti d’autore che non ci riguarda – abbiamo i prodromi della satira sciasciana del circolo dei Galantuomini. Ma l’ardire costò qualche grattacapo al Racalmutese, e per riparare scrisse in Illustrazione Italiana un elzeviro deliziosissimo quanto sussiegoso e in definitiva un tantinello ipocrita. Nel 1947.
Iil primo personaggio della “Concordia” è DON GIUSEPPE SAVATTERI e Sciascia v subito giù forte “è un imbecille detestabile. La sua voce sembra trascinarsi dietro un’eco moleplice. Anto è violenta e maleducata. Tutte le sue parole ingombranol’area del luogo in cui ci si trova come un ciarpame onfuso, si accataztano come ose inutili dentro un vecchio solaio. Ma non può mancare; è quasi un simbolo.” Con chi ce l’avessete tanto Nanà non è dato sapere. A quel tempo al Circolo Unione, cessato dall’essere un dopolaro fascista, sia pure per nobili sfatigati – e ritornato il sacrario della crestomazia paesana – non albergava alcun Savatteri. Nobili davvero i Savatteri, erano in quel tempo molto ecaduti. Nessun Savatteri vivnte, aveva comunque le stigmate desolanti che ci siamo divertiti e a riproporre. Per quella faccenda che si narra lì del terno gli addetti ai lavori credono in un falso cognome del falso don Ferdinando Trupia delle auree pagine delle Parrocchie di Regalpetra. Ma noi siamo imprecisi. Avremmobisogno dei lumi di FORBICE LUCENTE,ma di ‘sti tempi disdegniamo il CicoloUnione per stiza verso giovani rampanti che massacrando l’intagibile statuto grintosamente salvaguardato dall’avvocato Pilllitteri si sono intrufoati tra i nobili di paese e subito, senza alcuna doverosa anzianità, hanno arraffato persi i posti apicali: roba da ufficiale giudiziario.
Vsto che sinora Savatteri no hanno querelato loSciascia, suppliamo noi riportando vecchie nostre pagin su quella grande, digitosa ed altera famiglia.
Ma, per completezza, occorrerebbe addentrarsi nelle vicende del casato dei Del Carretto e per far ciò necessiterebbe un libro intero - che forse apprirà a suo tempo e luogo. Abbiamo già scritto sulle tante figlie di Girolamo I Del Carretto - il figlio Giovanni, figlie legittime non ne ebbe - soprattutto sulla celebre virago donna Aldonza, quella che dotò il convento di Santa Chiara: queste le altre sorelle: donna Diana, donna Ippolita, donna Giovanna, donna Eumilia e donna Margherita del Carretto. Le del Carretto - antecedenti e successive - non potevano essere assegnate in isposa a Scipione Savatteri, per evidenti ragioni .... di età. Quanto alle altre sbavature sui del Carretto del Messana, è meglio qui sorvolare.
Scipione Savatteri primo (ve ne sarà un altro a fine secolo XVII) è di per sé una figura di spicco: non abbisogna di sicuro di falsi orpelli nobiliari per imporsi all’attenzione degli storici.
I Savatteri a metà del secolo XVII.
Il ricco archivio della Matrice di Racalmuto ci ha conservato due “numerazioni delle anime” - cioè a dire due censimenti religiosi - che sono databili, rispettivamente, intorno al 1660 ed al 1666. La compagine racalmutese risulta a quell’epoca arricchita di vari nuclei familiari dei Savatteri. Ci risultano sei nuclei per il 1660 e sette per il 1666. Nuovi nati e nuovi matrimoni spiegano le variazioni dei nuclei familiari. Presso Filippo Savatteri, alloggiava nel 1660 Maria la Bosca. Un personaggio - Isabella la Bosca - che è venuto alla ribalta di recente in studi sulle “magare” inquisite dal Sant’Ufficio. Parente o mera omonimia?
Il padre Girolamo M. Morreale vorrebbe un Gaetano Savatteri donante nel 1627 per devozione verso Maria SS. Del Monte; [1] pensiamo che il dotto gesuita sia incorso in un duplice errore: quello di considerare donazione un mero obbligo di soggiogazione e quello di leggere in Gaetano un nome diverso, forse Giacomo. A quell’epoca non risultano Savatteri con il nome di Gaetano (ben diversamente da ciò che avverrà nel XIX e XX secolo).
Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)
Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.
Quello su cu il Tinebra trama è un carteggio del Caracciolo su cui abbiamo avuto modo di effettuare nostre personali ricerche. Iniziano dal 16/2/1785 gli appunti del Caracciolo sulla questione[2]:
«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati.»
E, quindi, in data 12.3.1785:
«32. [3]L’avvocato fiscale Vagginelli proceda quel che convenga ed avendo di riferirlo, dica- A 12 Marzo detto - Li singoli di Racalmuto: V. E. rimise le pendenze loro col barone all’avv.to sig.re Vagginelli. Innanti a costui facendosi dui contraddittorij vi interviene il Cav.e fratello del principe di Pantelleria, che ha procura. E poiché per rispetto che vuole esigere molte cose bisognano trovarsi e li professori concepiscono qualche timore, prega V.E. di ordinare che tal Cav.e non intervenga più nei contraddittori ma con i singoli e il Barone.»
Ed in data 22.3.1785:[4]
«12 - L’avv.to fiscale barone Vagginelli informi col parere - 22 marzo - Li singoli di Racalmuto. Il suggello della verità lo tiene in potere il governatore baronale, ed occorrendo di suggellarsi l’investitura questa si deve suggellare dal Barone e si suggella quando a costui piaccia. Ciò essendo un inconveniente molto più quando occorre a singoli di suggellare scritture contrarie al ripetuto Barone.
«Pregano l’E.V. di ordinare che il suggello si riformi con il ricorso al Re, e che debba riservarsi al mastro notaro della Corte Giuratoria.»
E’ del successivo 28 marzo[5] il seguente appunto:
«4. L’avvocato fiscale Barone Vaggianelli disponga perché urgendo le provvidenze che siano convenienti per la superiore, che riferisca col parere - 29 marzo 1785 - Don Stefano Campanella arciprete di Racalmuto - Dietro un raccolto sterilissimo ed una tirannica esazione fatta dall’arrendatario di questa terra don Giuseppe Savatteri ... trovasi in oggi questa Popolazione in somma necessità a segno che non si può riparare, e si teme di qualche tumultuazione per la fame, e dal ricorrente e da altri preti si à soccorso per quanto debolmente si è potuto, ma si prevede maggior necessità in questi mesi che sono li più poveri.
«E’ perciò da credere opportuno che dovendo dal amministrare pagare per maggio onze 1000 al Principe della Pantelleria gliene paghi medietà, e l’altra medietà distribuirsi per aiuto a poveri, che si obbligano in agosto pagare; prega V.E. di ordinare l’esecuzione di tale distribuzione a quattro persone elette da chi invochi, dapoiché quei Giurati son poveri e senza veruna abilità.»
Il dato di maggior risalto è quello contenuto nel biglietto datato 11 aprile 1785:[6] abbiamo questo richiamo storico:
«13 - L’avvocato faccia quel che convenga per l’accertamento della giustizia e della legalità. - 11 aprile 1785 - Li singoli di Racalmuto. - Nel 1559 don Giovanni del Carretto ebbe venduto il mero, e misto impero dal viceré don Giovanni della Cerda sopra la Baronia di Regalmuto per il prezzo di onze seicento, cioè cinquecento l’ebbe allora il Governante, e le onze 100 le dovea dare qualora veniva continuata la vendizione da S. M. fra il termine di un anno.
«Sino al presente giorno non è stato possibile dimostrarsi detta rattifica, o confirma; ed è segno evidente che la M.S. non l’abbia concessa. Che perciò li ricorrenti .. pregano l’E.V. di ordinare che il Barone di Ragalmuto che è oggi il Principe di Pantellaria, che per esercitare il mero, e misto dimostri all’E.V. il titolo.»
Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali. Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia[7]:
«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso. Per una di quelle strane coincidenze storiche, il Busuito era parente stretto della moglie del notaio Nalbone.
Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggettiche il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la poltica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.
D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giusppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Vediamole:
GIUSEPPE SAC. D.
SAVATTERI
n. undeci messe cioè n. 9 per l' ... e n. 2 per pena d'essere stato negligente in scrivere le d. messe.
La controversa questione del beneficio del Crocifisso.
Nell’intricata controversia giudiziaria del beneficio del Crocifisso di Racalmuto, i Savatteri vi entrano prepotentemente per due volte: nella prima, è attore il sac. Giuseppe Savatteri e Brutto, a ridosso dell’Ottocento; nella seconda un patetico personaggio: Giuseppe Savatteri, sposato con una Matrona. Siamo nell’ultimo quarto del secolo scorso. In entrabi i casi i Savatteri finirono soccombenti e gabbati. Ma procediamo con ordine.
La vicenda del beneficio del Crocifisso è lunga, tortuosa ed intrigante ed ha dato adito ad almeno un paio di complicate vertenze giudiziarie. Negli atti giudiziari dell’arciprete Tirone avverso i coniugi Giuseppe Savatteri e Concetta Matrona abbiamo la ricostruzione della provenienza di tali beni. Come risulta da un atto del 3 settembre 1659, la Confraternita del SS. Crocifisso di Racalmuto aveva diritto ad un canone di proprietà «primitivo veluti jus pheudi et proprietatis su terre della Menta e Culmitella». Trattavasi, in base a quel che si desume da altri atti, di un fondo di quattro salme e tumoli sei di terre ubicate nel feudo Menta, contrada Fico Amara, detta - secondo l’arc. Tirone - «in quei tempi Mercanti». Del resto aggiunge l’arciprete che «il nome di contrada fico amara e Mercanti andiede in disuso. Questa contrada prese nome di SS. Crocifisso.»
Nessun commento:
Posta un commento