domenica 26 giugno 2016

Milano, 22 giugno 2016 - 23:39

Raggi e l’incarico alla Asl
Quel «no» barrato sul modulo

Nel 2012 e 2014 la neosindaco di Roma ha dichiarato di non aver ricoperto altri incarichi presso entri pubblici o privati. Scende in campo anche l’Anac di Cantone

Virginia Raggi indossa per la prima volta la fascia tricolore da sindaco di Roma (Omniroma)
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La frase è quella «di rito» inserita nei moduli prestampati della pubblica amministrazione. Ed è proprio quella che rischia di trasformarsi in un boomerang per Virginia Raggi, neosindaco di Roma. Perché nei «prestampati» che ha firmato nel 2012 e nel 2014 — quando era nel consiglio comunale di Roma — ha barrato la casella in cui dichiara di «non aver ricoperto incarichi presso altri enti pubblici o privati e percepito compensi a qualsiasi titolo corrisposti ovvero altri incarichi con oneri a carico della finanza pubblica». E lo ha fatto nonostante fosse specificato che «sul suo onore afferma che la dichiarazione corrisponde al vero, consapevole delle responsabilità delle pene stabilite dalla legge per false attestazioni e mendaci dichiarazioni» in base all’articolo 76 del Dpr 445/2000.
C’è un doppio accertamento che riguarda adesso questa sua dichiarazione formale. Perché si è mossa la procura di Roma con l’avvio dell’indagine, ma anche l’Anac di Raffaele Cantone ha avviato accertamenti preliminari per stabilire la regolarità del suo comportamento. Il clamore che si è creato attorno alla vicenda, rende necessaria la verifica penale e amministrativa. Ma sembra di capire che non si procederà soltanto come atto dovuto.
Al momento il fascicolo aperto dai magistrati romani non ha ipotesi di reato, né ci sono iscrizioni nel registro degli indagati. Però è possibile che questo si renda necessario nei prossimi giorni proprio per poter svolgere controlli sulla scelta fatta dalla stessa Raggi di non dichiarare l’attività svolta per la Asl di Civitavecchia nel 2012 e 2014, ma di farlo invece per il lavoro effettuato nel 2015.
Lei continua a ripetere di essere pronta a spiegare, ieri ha fornito ulteriori giustificazioni. In Procura si sottolinea però che, svolgendo da tempo la professione di avvocato, non poteva non sapere che «le false attestazioni e le mendaci dichiarazioni sono un reato». Ecco perché le verrà chiesto di chiarire — non pubblicamente, ma prevedibilmente in un interrogatorio formale - come mai abbia deciso di seguire questa modalità, per di più diversa a seconda degli anni, nonostante si trattasse della stessa Asl.
Dovrà dirlo ai pubblici ministeri e probabilmente anche agli ispettori dell’Anac che stanno esaminando la vicenda. Come è già stato chiarito nei giorni scorsi, non c’è alcun rischio di incappare nelle sanzioni previste dalla legge Severino — anche in caso di eventuale condanna — perché la pena massima prevista per questo tipo di violazioni è inferiore ai due anni. Il problema rimane semmai politico, visto che i leader del Movimento 5 Stelle hanno sempre dichiarato di non poter arretrare di un passo rispetto alla trasparenza e alla regolarità anche formale di ogni atto.
Nei giorni scorsi era stato Alfonso Sabella — magistrato prestato alla politica e indicato dal candidato del Pd Roberto Giachetti come suo capo di gabinetto in caso di vittoria per il Campidoglio — a parlare di un avviso di garanzia che doveva essere recapitato alla Raggi come «atto dovuto». Dichiarazioni che gli sono costate l’apertura di una pratica di fronte al Csm. I suoi colleghi dovranno stabilire «in che termini un magistrato possa esprimersi con dichiarazioni pubbliche su un’inchiesta che allo stato delle dichiarazioni era soltanto ipotetica».
L’organo di autogoverno potrà però esprimersi soltanto quando Sabella — destinato al tribunale di Napoli — tornerà in servizio. L’assegnazione è stata infatti decisa, ma senza il via libera del ministro della Giustizia Andrea Orlando, la pratica è ferma

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