Questo
vuol essere un devoto (anche se tardivo) tributo ad uno dei più
grandi arcipreti racalmutesi: mons. Alfonso Puma, mio carissimo e
compianto amico sin dal 10 ottobre 1945. Prete, poeta, oratore,
piacevole affabulatore, pittore di vaglia, meriterebbe tanto: invece
emblematicamente qualcuno l'ha voluto relegare in una squallida
lapide messa ad altezza dei piedi di chi entra nella Chiesa Madre,
occultata subito dalla porta lignea del paravento del ferreo portone
dell'Ottocento. Tanto sardonico simbolismo promana da chi non l'ha
mai amato. E si sa i preti tra loro sono più astiosi delle comari
della fontana di un tempo.
Cerco
qui di pubblicare alcuni stralci di un'intervista di diciassette anni
fa: ho cercato ospitalità in un blog parrocchiale: nulla: vi era
solo uggiosa adulazione verso il prevosto del momento. Mi sono dato
da fare con un altro blog locale, ma il blogger pare che sia tutto
intento a bardare muli per la scalinata del Monte, tentare di
azzopparli pur di montarvi su e farsi compiacentemente fotografare, a
perenne ricordo. Per la festa era da un anno in programma una
giornata a ricordo del prete pittore assurto alla fine al
monsignorato. Nulla. Si era distratti da orpelli societari ad honorem
verso che ci ha flagellato come un universo infiltrato dalla più
degenere mafia omicida. Vero è che anch'io ho disertato. Sono del
popolo e non amo il risibile scimmiottare la minuscola nobiltà dei
galantuomini di un tempo. Nessuno ha voluto sostituirmi, in
tutt'altre faccende affaccendato come era.
Pochi
stralci a titolo di demo. L’intera lunghissima intervista quando e
se il Taverna riuscirà a raccattare qualche aiuto finanziario …
cioè mai]
Arc.
Alfonso PUMA
L’Arciprete
a domanda risponde
(Intervista di
Calogero
Taverna)
Racalmuto, 5 luglio 1995
Calogero Taverna estorce al suo amico carissimo P. Puma odiose, scabrose, genuine verità sul … gregge racalmutese.Cenni autobiografici
0Domanda:
Per rompere il ghiaccio, iniziamo con alcuni cenni autobiografici.
Arciprete Puma, che mi racconta della sua vita?
Risposta:
Sono nato il 21 novembre 1926. Sono stato ordinato sacerdote nel
1950, anno santo. Sono stato eletto parroco del Carmelo nel 1961 e vi
sono rimasto sino al 1966. Come parroco-arciprete della Matrice, sono
stato chiamato il 1° dicembre 1966: rimanendovi sino al presente.
D.:
I suoi genitori - che io ricordo: sua madre soavissima; suo padre
molto benevolo - come se li ricorda?
R..:
Li ricordo non solo come genitori, ma come amici.
Mia
madre è stata addirittura la mia prima direttrice spirituale. Mio
padre, un uomo sodo, un uomo temprato, molto parco nel parlare ma
saggio, diceva: «voi non vi preoccupate: se faccio sacrifici o non
ne faccio, a voi non interessa. Ricordate che starò sempre vicino a
voi.» E del resto, sia io come mio fratello, il tenore, abbiamo
studiato con questa fiducia che qualcuno ci sosteneva e ci stava
sempre a fianco.
D.:
Io ricordo che nel 1945, quando sono entrato anch’io in seminario -
e lì l’ho incontrato - mio padre come suo padre erano costretti a
portare in seminario il frumento comprato al mercato nero, per la
nostra alimentazione.
I militi fascisti a rovistare nelle cantine del seminario di Agrigento
R.:
Rammento che una sera sono venuti due militi inviati dal regime
fascista per ispezionare se in seminario si detenessero illegalmente
farina, frumento ed altre vettovaglie. Invero tenevamo qualcosa
nascosta, ma era roba nostra. I nostri genitori facevano dei
sacrifici, si toglievano il pane di bocca per dare da mangiare ai
figli che stavano in seminario. In quel controllo, anch’io fui
chiamato perché ero il prefettino più grande. I nostri genitori
rischiavano, invero, la galera per portarci la farina. E quando il
vescovo chiese a Mons. Jacolino: come fate a dare da mangiare ai
seminaristi? Costui rispose: siamo sempre pronti ad andare a San
Vito! (S.
Vito
era un vecchio convento, adattato a carcere mandamentale di
Agrigento).
Quella
volta pure gli stessi inquisitori furono benevoli e furono invitati
alla cena e fecero una relazione più positiva che negativa nei
confronti del rettore del seminario.
Sciascia,
i seminaristi e gli aspiranti gesuiti
D.:
Sciascia - a dire il vero, irritandomi - scrive che a Racalmuto si
era furbi nel senso che si andava gratis in seminario o dai gesuiti
per fare un certo iter di studi e poi gabbare il rettore del
seminario o i gesuiti ed andarsene via. Trascura il fatto che molti
siamo andati, cambiando magari dopo intenti, perché convinti.
Comunque non era gratis andare a studiare in seminario: costava e
costava forse più che restare a studiare in paese ove tutto sommato
le scuole c’erano.
R.:
Tutti sanno quali erano i rapporti tra me e Leonardo Sciascia.
Sciascia un tempo avversò visceralmente la Chiesa e quindi anche i
sacerdoti. Amava criticare preti, religiosi e pie istituzioni. Ma
poi, conoscendo meglio la realtà della Chiesa attenuò i suoi toni.
Del resto amava dire di sé: contraddisse e si contraddisse.
Non
è vero che si andava in seminario o dai gesuiti solo per sfruttare
ed essere agevolati negli studi. I genitori facevano grandi
sacrifici. Anche quelli che andavano dai gesuiti, pur se poveri,
erano chiamati a pagare una certa retta. Certo, da ragazzi, non si
può essere sicuri della propria vocazione al cento per cento: c’è
chi la perde e c’è anche chi non l’aveva e c’è anche chi la
cercava. Quindi, quello di Sciascia non è un argomento valido. E’
vero invece che tanti sono andati in seminario o dai gesuiti e ci
sono restati. E quelli che sono rimasti sono una vera gloria per il
paese. Quello che Sciascia ha scritto non può, quindi, essere preso
per oro colato.
D.:
Ai miei tempi vi erano tre seminaristi oggi sacerdoti: padre Curto,
padre Salvo e ... padre Puma. Ricordo il padre Salvo per la sua
scienza, ma padre Puma lo ricordo per la sua grande bontà, per la
sua grande affabilità, per la sua capacità di intessere dei
dialoghi con i giovani. Che mi risponde?
R.
: Ogni sacerdote cerca di fare del suo meglio. Io son vissuto sempre
fra i giovani. Sono stato nell’Azione Cattolica sin da bambino; in
seminario, il vice rettore di allora, Mons. Di Marco - attualmente
Vicario Generale del Vescovo - ed io abbiamo portato avanti l’Azione
Cattolica, per preparare i futuri sacerdoti alla vita associativa.
Tutta la mia vita è stata spesa per i giovani. Poi sono sorte anche
ACLI e vi ho aderito perché la mia aspirazione è stata anche quella
di venire incontro al bisogno sociale della gente. Racalmuto è (o
meglio era) un paese prettamente minerario. La miniera costituiva che
so .. il petrolio, .. la ricchezza .. l’oro. Nell’Ottocento,
Racalmuto raggiunse la quota di 18.000 abitanti per l’occupazione
nelle miniere di zolfo. Poi il minerale si è svilito e Racalmuto ha
contratto la sua intensità abitativa. La mia missione è stata
svolta al servizio degli zolfatari, dei salinai, dei lavoratori di
Racalmuto.
[omissis]
D.:
Non è detto che debba rispondere a questa domanda. Può anche non
rispondere.
Ricordo
che alla fine degli anni quaranta la sua famiglia fu contraddistinta
da un evento molto increscioso: il sequestro di suo cognato. Questo
fatto ha creato in lei dei traumi? Ha visto i racalmutesi nello
stesso modo? O si è insinuato in lei il dubbio che non tutti i
racalmutesi fossero delle brave persone?
D.:
E’ vero! Era l’anno 1946: venendo dal seminario per le vacanze
ho avuto l’amara sorpresa di sapere che un mio cognato era stato
sequestrato. Era il primo sequestrato in Italia. Certo è stato
traumatizzante pensare che quest’uomo poteva non tornare più.
Erano tempi di grande miseria; mancava persino il pane. Erano tempi
di grande bisogno. I sequestratori erano andati per altre persone. Ma
poi, fallendo, si erano accontentati di qualcuno che poteva disporre
di qualche migliaio di lire, perché lavorava. Comunque, fu
restituito ai familiari: evidentemente c’era stato qualcuno che si
era mosso in soccorso di chi in fondo era un pover’uomo sfornito di
grandi mezzi. L’hanno rilasciato con una piccola cauzione. Tutto
questo ha destato in me un’avversione verso la malavita, locale o
nazionale che sia. Ecco perché in questi fatti luttuosi che si sono
di recente verificati a Racalmuto ho assunto una posizione rigida, in
quanto motivata. Sono stato dalla parte dei più deboli,
evangelicamente. [omissis. Chiedo ua risposta su questi due punti:]
a)
una fede religiosa del popolo di Racalmuto molto profonda, che si
accompagna, però, ad un anticlericalismo piuttosto viscerale. C’è
la battuta a Racalmuto che dice: «monaci e parrini, vidici la missa
e stoccaci li rini».
b)
un’abitudine all’interclassismo, quasi l’interclassismo alla De
Gasperi. Forse nasce da qui se a Racalmuto mai vi sono stati
contrasti sociali atti a suscitare moti rivoluzionari, diversamente,
ad esempio, da Grotte.
Dall’alto
della sua quarantacinquennale esperienza pastorale, lei che ne pensa?
R.:
Prima
di tutto debbo precisare che la frase «monaci e parrini, vidici la
missa e stoccaci li rini», è diffusa dappertutto in Sicilia. Nasce
nei tempi in cui la stampa era espressione della massoneria e del suo
anticlericalismo. Erano i tempi delle leggi eversive: quando furono
soppressi i monasteri e la manomorta dei conventi. A Racalmuto, in
definitiva, non vi sono state tensioni sociali acute anche perché il
popolo poté appropriarsi agevolmente dei beni della Chiesa.
Peraltro, il clero locale ha sempre parteggiato per la classe meno
abbiente. Vedasi la bella figura di padre Elia Lauricella. Abbiamo
avuto anche, a dire il vero sacerdoti alla Savatteri - nati magari in
famiglie di massoni - ma furono eccezioni, e comunque ininfluenti. I
racalmutesi sono stati anticlericali subendo l’astiosa propaganda
massone, ma nel profondo sono stati vicini ai loro sacerdoti, almeno
quelli migliori come il padre Elia Lauricella, morto in fama di
santità.
Figure
singolari di sacerdoti racalmutesi si ebbero, ad esempio, a fine
dell’Ottocento. Guardiamo all’arciprete Tirone, uomo
inflessibile, di profonda cultura anche giuridica, sagace difensore
dei diritti della Chiesa. Tanti beni si sono salvati
dall’espoliazione governativa per suo merito. E nello stesso tempo,
così legato alle autorità ecclesiali da venire prescelto nella
salvaguardia della fede fra i fedeli di Grotte, messi in subbuglio da
taluni preti finiti nello scisma, non tanto per ragioni di fede,
quanto per interessi materiali, legati al gius-patronato della locale
arcipretura. Alla fine quei sacerdoti scismatici tornarono nel grembo
di madre chiesa e ad accoglierli è stato proprio il padre Tirone.
Che vuol dire essere arciprete a Racalmuto?
D.:
Essere arciprete a Racalmuto è identico che esserlo in qualunque
altra parrocchia dell’agrigentino?
R.:
Bisogna intendersi. Una volta l’arciprete era quasi un mezzo
vescovo. Al suo presentarsi ci si doveva togliere la “scazzetta”
o la “birritta”. Era il grande datore di lavoro del luogo. Era il
distributore di messe ai tanti sacerdoti che non disponevano neppure
di una piccola chiesa (ed a Racalmuto di chiese ce ne erano tante).
Oggi, l’arciprete è alla stregua di tutti gli altri parroci. Un
primus
inter pares,
magari, ma niente di più. E questo a Racalmuto, come altrove.
Il belato delle pecorelle
D.:
Nei confronti della Chiesa, le “pecorelle” racalmutesi belano più
o meno rispetto a quelle delle altre parti?.
R.:
Beh! se le pecorelle “belano” perché bramano pascoli più
ubertosi, allora è ben giusto che belino. Se poi è vezzo critico -
molto diffuso in questo nostro paese - allora bisogna rintuzzare
quelle critiche. Oggi si parla molto di dialogo. Quindi, con spirito
di carità, la dialettica con il popolo di Dio deve essere fervida,
reciprocamente rispettosa, missionaria. Diceva papa Giovanni «chi è
dentro deve sforzarsi di guardare a quelli che stanno fuori; chi è
fuori deve sforzarsi di guardare meglio dentro. » Forse, se Sciascia
si fosse sforzato di guardare meglio dentro, non sarebbe incorso in
quelle critiche... diciamo, esagerate. Sciascia guardava alla Chiesa
dal lato esterno. Anche la Chiesa è un’istituzione, che nella sua
componente terrena può venire migliorata. Comunque, quelli che
dall’interno ci produciamo, talora, in critiche, tentiamo di
migliorarla. A Sciascia, forse, di migliorare la Chiesa con le sue
critiche non importò granché. Diceva madre Teresa di Calcutta, a
chi parlava male della Chiesa: «Lei che cosa ha fatto per la Chiesa?
Niente! Ed allora?».
Sciascia e gli eretici di Racalmuto: fra Diego La Matina, il notaio Jacopo Damiano e la strega Isabella Lo Voscu.
D.:
Detto, tra parentesi, che Leonardo Sciascia, immenso scrittore, è
stato secondo me, un pessimo politico ed un massacratore della storia
locale di Racalmuto, ho da precisare che nei miei studi storici su
Racalmuto, che modestia a parte, credo che abbiano una qualche
valenza, non ho mai riscontrato moti locali che sapessero di eresia.
La vicenda di fra Diego La Matina è tutta da studiare e va
totalmente revisionata rispetto all’abbozzo forzato di un testo
come Morte dell’Inquisitore. Il notaio Jacopo Damiano - notaio di
fiducia del barone Giovanni del Carretto negli anni sessanta del 1500
- ridonda, nei suoi rogiti, di fervore religioso ed irreprensibile
ortodossia. Ora si parla di una certa Isabella Lo Vosco (o Bosco)
come eretica. Costei, murata viva per dieci anni dall’Inquisizione,
appare più che un’eretica, una mondana che ai suoi tempi destava
scandalo, specie fra i famigli del Sant’Uffizio. Una questione
dunque di morale sessuale e l’ortodossia c’entrava ben poco.
Quindi Racalmuto può definirsi un popolo fedele alla Chiesa.
Concorda?
R.:
Racalmuto è stato
sempre
fedele alla Chiesa e quando vi è stato il famoso scisma di Grotte,
nessun racalmutese è stato coinvolto. Né vi fu, da parte di un
qualche sacerdote o di un qualche laico, moto alcuno di simpatia o di
fiancheggiamento a quella ribellione di ecclesiastici grottesi.
Quanto al protestantesimo - che qua e là nell’agrigentino un
qualche proselitismo è riuscito ad avere - qui a Racalmuto esso è
stato sempre rigorosamente bandito. Qualche elemento viene ora da
Agrigento, ma è fatto trascurabile. Il motivo? Diceva il grande
padre Parisi, eccelso predicatore - anche il Circolo Unione si sentì
in dovere di accoglierlo come socio onorario -, diceva dunque il
padre Parisi: è grazia della Madonna del Monte. La devozione alla
Madonna a Racalmuto è stata sempre profonda e radicata. Ciò l’ha
preservato dall’apostasia. La bontà, l’attaccamento alla chiesa
ed altre doti del popolo di Racalmuto restano comprovati dai tanti
documenti d’archivio, che anche tu ed il prof. Giuseppe Nalbone
state studiando, con risultati conformi a questa valutazione.
[omissis]
D.:
Ma questo è un atto di fede, o di speranza o di carità verso i
racalmutesi?
R.:
Credo solo che sia un atto di giustizia e di sincerità. Alla carità
gratuita, non bisogna indulgere. Cerco solo di essere obiettivo e
sincero. Ma i momenti di smarrimento che per avventura vi siano stati
a Racalmuto vanno presentati con altrettanta sincerità ed
obiettività. Non sono comunque uno storico per avere di siffatti
problemi. Tocca a chi cerca la verità storica, essere veridici, a
qualunque costo. Amicus
Plato, sed magis veritas,
mi pare che un tempo si dicesse, quando era di moda il latino. Ed
oggi Sciascia appare tanto Plato!
Vuol
commentare?
R.:
Io non oso mettermi, sia pure lontanamente, a confronto con tali
giganti della Chiesa. Cerco di imitarli quanto più posso, essendo
noi i continuatori della loro missione. Quando faccio qualche battuta
del tipo «cchiù mi cuociu, cchiù duru mi fazzu» intendo
sottolineare la mia ostinazione, il mio attaccamento, il mio volere
essere sempre più fedele al sì,
a quell’eccomi
pronunciato al tempo della mia consacrazione sacerdotale. Voglio
perseverare nella grazia che Dio concede giorno per giorno, perché
nell’amore di Dio si cresce giorno per giorno. Nessuno può
presumere di essere arrivato. Nessuno deve adagiarsi. Ed allora ecco
il cammino, che può essere un cammino nel deserto, che può portare
incontro al proprio Calvario. Sono tappe, anche dolorose, che vanno
ostinatamente raggiunte e superate, ad imitazione di Cristo. Con
l’andare degli anni, si riflette maggiormente. Ci si accorge di
avere avuto dei difetti. C’è bisogno di maggiore ostinazione, ma
non basta la buona volontà: occorre la grazia di Dio.
Come è cambiato Racalmuto in quest’ultimo cinquantennio.
D.:
In
questi quarantacinque anni, Racalmuto, sotto il profilo della fede,
di quello morale e di quello sociale, è migliorato o peggiorato?
R.:
Anche Racalmuto, come tutto il resto del mondo, ha subito
l’influenza generale. Se Berlino piange, Roma non ride e viceversa.
Siamo in epoca di cosiddetta planetarietà. Il mondo è diventato,
davvero un paese. Il nostro paese è diventato, in certa misura, il
mondo, nel bene e nel male. A Racalmuto - possiamo dirlo - un
miglioramento c’è: lo Spirito Santo soffia dove vuole e sta
soffiando un po’ dovunque, anche a Racalmuto. Quindi i movimenti
che nascono, gli oratori che rinascono. Il bisogno di pace, il
bisogno di associarsi, il bisogno anche di rinnovarsi. Si avverte, e
questo è già molto. Ma Racalmuto subisce anche l’ondata deleteria
del rilassamento dei costumi, del consumismo, del materialismo.
[omissis]
D.:
Racalmuto, il popolo di Dio di Racalmuto, è sincero con i sacerdoti,
o no?
R.:
Beh! Se vedono un sacerdote che si muove, che agisce con serietà,
con purezza d’intenti, sì. Non si guarda più tanto al grado di
cultura del prete, perché la gente vuole ed esige un servizio
all’insegna della
charitas, dell’amore.
Dove non c’è amore, scatta la critica. Del resto il Vangelo lo
dice: se il sale è insipido, lo si calpesta; se il sale è buono, lo
si apprezza.
D.:
A Racalmuto la fede è diversa a seconda del sesso, dell’età,
delle classi sociali?
R.:
Sì. La gioventù, ad esempio, è stata un poco più lontana. Ma
qualcosa si muove in senso positivo. Si è costituito un oratorio, si
è costituita una consulta giovanile. Cresce il richiamo associativo
tra i giovani. Le donne sono più vicine: ciò è stato sempre
scontato. Una qualche indifferenza religiosa è atavica fra gli
uomini anziani. E qui l’asino zoppica. Dovremmo trovare la maniera
come mobilitare anche gli uomini. Abbiamo trovato delle difficoltà
anche con questi Centri d’ascolto familiari. Non solo qui a
Racalmuto, ma anche in tutta la diocesi. Mi ero permesso di suggerire
qualcosa per interessare gli uomini, specialmente la sera.
La
morale sessuale di Racalmuto
D.:
Ho l’impressione che la morale sessuale a Racalmuto sia stata una
cosa molto relativa e talora inquinata. Si levano dai documenti
d’archivio sussurri e grida che fanno intuire scelleratezze
consumate qualche volta persino nel chiuso delle famiglie. E’ un
mio pessimismo o lei non intende accedere ad una provocazione del
genere?
R.:
I
misfatti di sesso sono capitati ovunque. La verità è un’altra:
siamo portati a scandalizzarci oltre misura quando i fatti di sesso
investono la vita religiosa. Siamo portati a credere che tutto un
edificio crolli.
D.:
Ma io non mi riferisco alla sessualità dei preti. E’ un problema
troppo grosso e troppo grande per affrontarlo io. Mi riferisco, però,
alla morale sessuale corrente del cosiddetto popolo di Dio, che in
questo mi sembra troppo poco popolo di Dio, per quanto riguarda
Racalmuto. E non tanto per un certo tipo di sessualità, diciamo così
sfrenata che può rientrare nell’ordine umano delle cose, quanto
per quell’andare al di là, oltre il pentagramma e pigliare certe
stecche. E non sono, secondo me, fatti isolati, ma palesano un certo
costume di vita che non va criticato - perché nulla che è umano è
criticabile - ma sicuramente non va ammirato.
R.:
La prevenzione è sempre il problema più difficile. Là dove la
prevenzione è stata praticata, si è evitata la frana. Laddove si è
fatto di meno, certamente la frana si avverte. Ora qui a Racalmuto
occorre praticare un metodo preventivo - ed io come sacerdote credo
di averlo fatto nella scuole. Per quanto riguarda il passato gli
antichi nostri non ci davano un contributo, per premunirci dai mali
che oggi sovrastano. E’ certo, però, che la gioventù di oggi è
più preparata e più attenta rispetto al passato. Le coppie degli
sposi sono più preparate. Vi sono i corsi di formazione. Certo si
suol dire che male comune, mezzo gaudio. E l’opera nefasta dei
mass-media, del materialismo dilagante, si fa sentire. E’ in atto
una scristianizzazione subdola. La famiglia è stata minata nelle sua
fondamenta: vedi divorzio, aborto, etc. che per noi cristiani sono
piaghe e piaghe anche sociali.
D.:
Racalmuto
ebbe certamente una cultura contadina, quindi chiusa e sessualmente
repressa e tendente agli eccessi. Questo, però, vale per la
Racalmuto antecedente agli anni ’50-’60. Dopo, in coincidenza con
la sua arcipretura, Racalmuto - se debbo giudicare dall’esterno -
ebbe un salto di qualità. Certe repressioni della società contadina
non ci stanno più. Oggi, ci saranno ... peccati, ma normali; prima,
i peccati potevano invece apparire ... anormali.
R.:
Io, nei primi anni di sacerdozio, ebbi infatti a notare un periodo,
definiamolo, preconciliare. Vigeva allora quella moralità antica.
Sembrava che stesse bene per tutti. Ma apparvero subito le prime
avvisaglie dell’incombente grande corruzione. Abbiamo dovuto
provvedere. In Azione Cattolica ed in altre associazioni cattoliche
abbiamo intrapreso ad affrontare problemi di morale che prima era
azzardato toccare. La questione sessuale, nelle scuole, io l’ho
affrontata, naturalmente con le dovute cautele e ... con le
pinzette. Allora c’erano le denunzie che si facevano con estrema
facilità. Nelle scuole medie - ricordo - c’è stata una preside
che mi diceva: meno male che c’è lei a trattare questi argomenti,
perché gli insegnanti sono ostili a trattarli, per paura delle
denunzie. Il paese nostro era, comunque, un paese chiuso, un paese di
montagna. Appena si è affacciato, con i ragazzi che andavano a
scuola, non appena cominciarono a muoversi, vi furono le prime
vittime che finirono subito ... segnalate. Due periodi a confronto si
ebbero, in ogni caso: quello preconciliare e quello successivo in cui
le cose cominciarono a vedersi con altra ottica.
Vi è stata una doppia morale matrimoniale?
D.:
Durante l’arcipretura Puma, ho avuto l’impressione - naturalmente
sono un osservatore non qualificato ed esterno - che le due morali
matrimoniali, quella dei ricchi e quella dei poveri, si siano
finalmente unificate. Non posso dire altrettanto per l’arcipretura
del suo predecessore.
R.:
Beh! .. il mio predecessore ha avuto grandi virtù: sono stato con
lui una vita. Carattere forte, duro, qualche volta, ma a volte era
necessario prendere atteggiamenti e decisioni dure. Bisognava creare
una certa coscienza. Andare ai Sacramenti senza una preparazione,
accostarvisi con leggerezza, erano malvezzi da correggere, anche con
durezza. Quell’arciprete andava giustificato. Avrei preferito,
invece, meno severità e più disponibilità verso la gente. A ciò
ci stiamo uniformando io ed i miei confratelli. Bisognava più
convincere che reprimere. Con l’amore si ottiene di più, come
diceva don Bosco, della rigidità.
2 Ricchi e poveri, tutti uguali?
D.:
Perché negli alti prelati c’è una sorta di diffidenza nei
confronti dei poveri ed una sorta di intelligenza con i ricchi? Ci
si scorda che nel Vangelo sta scritto «è più facile che un
cammello entri nella cruna di un ago che un ricco nel regno dei
cieli»? Perché invece i parroci, l’arciprete, il basso clero che
sono più a contatto con il popolo, sovvertono quell’atteggiamento?
R.:
Diceva il servo di Dio padre Elia Lauricella: «bisogna avvicinare i
ricchi e tenerseli vicini perché facciano del bene ai poveri.».
Credo che questa sia una strategia intelligente, pastorale. Nel
Vangelo non c’è scritto che si devono disprezzare i ricchi. Certo
non bisogna affiancarsi ai potenti sol perché sono potenti. Occorre
comunque stare in mezzo ai poveri, perché la Chiesa è dei poveri.
Lo diceva anche papa Giovanni: Ecclesia
pauperum.
Essere poveri non va considerata una gran bella cosa. La maggior
parte del mondo vive in povertà non per sua scelta. Sorge il
problema dell’aiuto che occorre approntare. Un aiuto verso i
fratelli poveri.
Fede e preti a Racalmuto
D.:
Trenta quarant’anni fa, a Racalmuto - mi consenta una battuta -
c’erano tanti preti .. e poca fede; ho l’impressione che ora ci
stia tanta fede ma pochi preti.
R.:
Ih! ...ih! ... ih! [piccolo accenno al riso]. Vuoi forse dire che è
scattato un processo inversamente proporzionale? Beh! Io non vorrei
giudicare il passato; comunque mi consta che nel passato vi erano
uomini di fede granitica. Se la fede si deve misurare dalle opere,
allora dobbiamo dire che in passato attività se ne fecero. Le varie
chiese che sono state costruite dalle varie maestranze sono
l’attestato più bello. Le varie opere caritative come la
casa della fanciulla,
la Misericordia
(quella della mastranza),
il
maritaggio dell’orfana,
furono edificanti iniziative dei nostri padri racalmutesi, atti
bellissimi di fede. Ecco, perché mi sembra un po’ azzardato
avanzare riserve sulla fede degli antichi di Racalmuto. Col cambiare
dei tempi, certo cambiano le manifestazione di fede. Anche oggi
abbiamo tante belle manifestazioni di fede .. specie per l’apporto
dei laici che suppliscono alle deficienze numeriche di sacerdoti.
[omissis]
Racalmuto, domani.
D.:
Questa la storia. E le prospettive di Racalmuto? Quelle morali,
quelle religiose, quelle della fede, quelle politiche, quelle
economiche, secondo lei quali sono?
R.:
Io credo che se il Signore ci assiste - ho molta fiducia nella
Provvidenza, nei collaboratori - Racalmuto avrà un futuro migliore.
Le chiese stanno per essere tutte restaurate e sono un patrimonio
artistico e culturale, con grande vocazione turistica, anche. Dal
punto di vista morale c’è da sperare in bene. Guardiamo ai tanti
ragazzi, ai tanti giovani che si dedicano ad un meritevole
volontariato. Gli oratori - ben quattro - sono segni tangibili di
questa buona volontà, della saldezza dell’istituto familiare.
Abbiamo, anche, alcune organizzazioni culturali, artistiche. Vedo che
diverse mostre sono state organizzate in questi ultimi tempi, segni
di una crescita culturale, di una maturità diffusa. Per quanto
riguarda il fattore politico, credo che se non cambia qualcosa a
livello nazionale, regionale, non riuscirà a cambiare nemmeno un
piccolo paese. A Racalmuto, al popolo di Dio di Racalmuto, vada
tutto il mio affetto, il sincero augurio del loro parroco, di questo
sacerdote prossimo alle nozze d’oro con la Chiesa, alle nozze d’oro
di un sacerdozio tutto speso qui, in questa terra del sale e dello
zolfo, dei campi e delle vigne, del pavido commercio, della minuscola
borghesia; in questo paese talora inverecondamente bagnato di sangue,
in questo paese che ad ogni buon conto ha una insopprimibile voglia
di redimersi, di migliorare, di essere civile, di avere fede in Dio,
nella sua materna Madonna del Monte. Racalmuto, ove la gente nei
tempi si è abbarbicata “come erba alla roccia”. Pervicacemente.
Ove la gente vuole costruire una città del sole, la città di Dio.
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