Lo confesso, l'ammetto e lo proclamo: non leggo quello che propino. Non leggo mai. Mi annoio. Ora se non come Camilleri, la vista non mi accompagna molto. Figurarsi se mi metto a leggere il testo italiano della seconda satira di Quinto Orazio Flacco di Venosa.
Il suo latino è sapidissimo, il suo contenuto sciocchino e persino volgaruccio.
Certo frasi ome queste mi stanno a fagiolo: "candida rectaque sit". E non basta: "munda hactenus"; però "neque longa ncc magis alba". E dove la trovo una donna così. Ua volta forse. Ora le donne specie quelle atte ad un talamo peccaminoso non sono più bianche, sono abbronzatissime. Lo dice persino la canzone. E quanto ad altezze sono bimetriche, ma senza seno, senza fianchi e poco pingui là dove dicono che non batte il sole. Non c'è gusto. Certo io mi attengo ora solo alle mie residue resipiscenze. Finito il membro solo qualche sfiziosa rimembranza.
Talune amiche mi hanno fatto nero per avere propinato il satirico Quinto Orazio Flacco di Venosa. In effetti avevo letto ma non appurato che quel brevis atque obesus satirico era molto satiro. Ma Orazio mica son io, direbbe TOTO'-
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