La mia insormontabile imperizia informatica mi aveva fatto un brutto scherzo nel taglia e cuci; pretermesse le note l’acidula contesa con il sommo racalmutese perdeva di afrore. Ecco perché rimpiazzo il file. Emerge subito come le nostre baruffe chiazzotte su a chi spetta la primogenitura (io vantavo il 1999) erano insulse. Già a ridosso del 1940 qualcuna doveva redigere un inventario. A dire il vero quando mi presentai al museo della provincia per poco non chiamavano i carabinieri per liberarsi di un fastidioso postulante. Forse quell’inventario di cui parla Griffo non fu mai redatto: l’incaricata fece carriera ma l’elaborato credo che non sapesse farlo per le difficoltà ostative a chi tutto sommato mancava delle specializzazioni del caso. Sarà Guillou a supplire. Ma siamo nel 1980, comunque un ventennio prima di certe vantate pubblicazioni. Guillou fu preciso? Griffo - che vecchissimo consultai una quindicina di anni fa qui a Roma – sembra correggerlo. Certo quei due imperatori bizantini creano confusione ancor oggi tanto che inavvertitamente si fanno diventare ancor oggi uno solo nella pubblicistica paesana. Pippo Di Falco mi parla di una tesi al riguardo. Non sono riuscito a rintracciarla. Certo se il sedicente museo locale invece di sperperare una decina di migliaia di euro in tempi di strettissima magra di bilancio si fosse adoperato al recupero di carte diplomi e testimonianze antiche propulsivi del turismo colto a Racalmuto avremmo forse un plauso commissariale di meno ma una fonte culturale di alto rango in più. Quelle monete mi risulta essere state obnubilate in una sala (IX o X, non so) sempre chiusa. Altro che frotte di turisti che accorrono ad Agrigento pe ammirarle. Se si fosse davvero stata una competente autorità locale il turismo colto qui a Racalmuto lo avremmo avuto. Invece si esalta una evanescente ARCHEOCLUB (in cui io e per mia colpa il parsimonioso avvocato Buscarino) sprecammo qualche paio di centinaia di migliaia di vecchie lire. Pare che ora un ingegnere ricupererà tutto. Auguri di cuore. Quei marenghi d’oro pochi l’hanno visto a Racalmuto. Mio padre mi raccontava che nel salone di Nicu lu Sardu il maresciallo Craveri consentì agli avventori di riguardo di ammirarne una di quelle monete: piccola, leggerina, di incerto conio deludeva. I fantasiosi marenghi d’oro non potevano essere come quell’esemplare modesto e incomprensibile. Comunque il maresciallo Craveri fu più lungimirante da sontuoso Museo agrigentino, che oggi limita persino l’accesso al suo sito su Facebook.
Ad ogni modo ringrazio qui l’accorto e competente ex sindaco Petrotto che subito percepì, manifestandomi il suo piacere, la no disprezzabilità del mio scrivere in proposito. Spero che torni ad essere sindaco così i miei negletti libri potranno avere degna pubblicazione e gradita diffusione, contro l’astio di chi non ne volle sapere con la cordiale adesione del cessato Petralia.
IL TEMPO DEI BIZANTINI
Attorno al VI secolo d.C. a Racalmuto si ebbe un discreto diffondersi della civiltà bizantina: ne è probante testimonianza il tesoretto di monete studiato dal Guillou. Aspetto singolare è il luogo del ritrovamento delle monete, dietro la Stazione Ferroviaria, in contrada Montagna. Si dà infatti il caso che, al di là dei divieti codificati dalle autorità a difesa di una asserita rilevanza archeologia, in tale contrada nessun altro reperto antico è sinora affiorato. E dire che le ricerche dei privati proprietari sono state frenetiche. Ciò fa pensare che il tesoretto fu nell’antichità nascosto in zona disabitata per comprensibile cautela. Il centro abitativo era discosto, ad un paio di chilometri circa, attorno alle Grotticelle.
Per Biagio Pace le Grotticelle erano - come si è detto - un ipogeo cristiano. I Bizantini racalmutesi, ormai decisamente convertiti al cristianesimo e sicuramente grecofoni (il fondo di lucerne del tempo colà rinvenute portano marchi in greco), curavano la loro cristiana sepoltura ed è un peccato che vandali locali abbiano frugato all’interno di quelle tombe, distruggendo e trafugando - a beneficio pare di un giudice che intendevano ingraziarsi - un patrimonio archeologico d’incommensurabile portata storica. Ma la zona resta pur sempre archeologicamente ricca e saranno gli scavi futuri a fornire materiale esplicativo di quel periodo di storia racalmutese, oggi affidato solo alle fantasie degli eruditi locali. (Invero neppure il Guillou è esaustivo ed il competente Griffo () retrocede la datazione dellle monete al V secolo: cosa inverosimile se le effigie degli imperatori bizantini sono di Tiberio II ed Eracleone, di oltre un secolo posteriori)
A seguito della scoperta archeologica del 1990 in contrada Grotticelli le pubbliche autorità si sono per il momento limitate ad imporre un vincolo sul territorio interessato. Nel decreto della Regione Siciliana del 10 luglio 1991 viene sottolineata «la notevole importanza archeologica della zona denominata Grotticelle nel territorio di Racalmuto interessata da stanziamenti umani di epoca ellenistica-romano-imperiale, costituita da ingrottamenti artificiali ad arcosolio e da strutture murarie abitative affioranti». Non viene precisato altro. Tanto comunque è sufficiente a comprovare un più o meno vasto insediamento abitativo in quella zona a partire da un’epoca che per quello che abbiamo detto prima può farsi risalire ai tempi della caduta dell’impero romano.
Biagio Pace, invero, accenna ad un ipogeo cristiano in «quell'abitato prearabo che fa postulare il nome di Racalmuto» () Nostre personali ricerche ci portano a ritenere che l’importante notizia poggia su questo passo del Tinebra Martorana: «..alla contrada Grutticeddi esiste un poggetto di masso scavato in una grotta; da molti mi fu assicurato che in quella grotta furono rinvenuti dei sepolcri scavati nel masso con resti di ossa». Da qui - per esser franchi - all'ipogeo cristiano ce ne corre. Una ipotesi dunque, ma tutt'altro che inattendibile come i recenti ritrovamenti archeologici nei dintorni sembrano comprovare. Di certo sappiamo che le Grotticelle erano una plaga abitata anche al tempo dei bizantini. Grotticelle e dintorni poterono dunque essere fattorie o pertinenze di 'massae' soggette al papa Gregorio nel VI secolo o alla chiesa di Ravenna oppure costituire beni propri della corte di Bisanzio. Sulla scia di autorevoli storici () è pur congetturabile una sorta di continuità tra l'assetto agrario dell'epoca bizantina e quella della Sicilia post-araba. La frattura saracena a Racalmuto, come altrove, fu profonda ma non invalicabile.
Ma l'ultimo reperto relativo a Racalmuto pre-arabo resta per il momento il cennato ripostiglio di aurei imperiali (oltre duecento) rinvenuto casualmente in contrada Montagna. Sul ritrovamento delle monete a Racalmuto, ho sentito varie versioni pittoresche sin dalla prima infanzia: lavori di scasso per l'impianto di una vigna; scoperta del tesoro da parte di operai, tra i quali un contadino di non eccelse capacità intellettuali; rapacità del padrone del fondo; imprevista denuncia del minorato; intervento dei carabinieri e sequestro delle monete finite al Museo di Agrigento. A quel ripostiglio si riferisce André Guillou (), secondo il quale è da collocare nei secoli VII-VIII il «numero notevole di tesori di monete ... dispersi nell'isola», tra i quali le monete di Racalmuto costituite da «205 pezzi, riferentisi a Tiberio II - Héracleonas».. () Quelle monete sono oggi custodite in una sala sempre chiusa del Museo Agrigento, quasi a simbolo del pubblico oscuramento della nostra antica storia locale. Se non fosse stato per il francese Guillou, le ultime vicende bizantine di Racalmuto sarebbero finite nell'oblio o inficiate da errori di datazione ().
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