Contra Omnia Racalmuto
...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.
sabato 17 dicembre 2016
Propongo la lettura dell'articolo di Sottile sul "Foglio" per le riflessioni che vorranno fare.
Se i magistrati non sanno perdere Così muore il "giusto processo"
DAL FOGLIO: come leggere l'appello presentato dai pm della Trattativa contro l'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino. Dal Foglio.
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Lillo Taverna
Dal Foglio
Se i magistrati non sanno perdere
Così muore il "giusto processo"
di Giuseppe Sottile
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E pensare che fino a qualche giorno fa erano tutti lì, a dibattere di diritti e Costituzione, a denunciare le arroganze e lo strapotere delle forze politiche, a contrastare il cinismo di chi voleva comunque modificare le regole del gioco. Erano tutti lì, dal procuratore generale Roberto Scarpinato all’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia fino a Nino Di Matteo, il pubblico ministero del processo sulla trattativa tra lo Stato e i sanguinari boss di Cosa nostra. Ma, conclusa l’esaltante fase referendaria, sono tutti tornati all’ordinaria amministrazione della giustizia.
E come primo atto ecco l’appello – firmato da Di Matteo e dagli altri tre pm del mastodontico processo – contro l’assoluzione di Calogero Mannino decisa nel novembre dell’anno scorso da Marina Petruzzella, giudice del rito abbreviato. Un appello legittimo, per carità, e certamente rispettoso della sacralità dei codici. Ma come convincere Mannino e i suoi più stretti familiari che, dietro questo appello, non c’è anche e soprattutto un potere giudiziario che non accetta la propria sconfitta? Come convincere gli amici e i nemici di Mannino che la Costituzione italiana parla di “giusto processo” da celebrare e concludere in tempi ragionevoli e non di un martirio senza speranza e di una gogna senza fine?
Sono ventidue anni che la magistratura perseguita l’ex ministro democristiano. Ad aprire le danze era stato il procuratore Gian Carlo Caselli che, nel febbraio del 1994, aveva spedito Mannino nel carcere di Rebibbia con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Mannino, dopo sedici anni e quattro processi, ne uscì indenne ma il rito palermitano, per sopravvivere anche a se stesso, subito dopo tirò fuori il romanzo della Trattativa – un romanzo di grandi sonorità mediatiche – e l’ex uomo politico si ritrovò nuovamente impigliato nella grande trappola giudiziaria. La procura, rappresentata in quel momento da un Antonio Ingroia già pronto per scendere sullo sfavillante terreno della politica, gli contestava di essere stato addirittura tra i registi e gli ispiratori della Trattativa: dopo le stragi mafiose del ’92, sosteneva il procuratore aggiunto, l’onorevole Mannino temeva di essere ucciso e per scongiurare tale grave pericolo si adoperò perché i più autorevoli rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell’ordine stringessero un patto scellerato con Totò Riina, Bernardo Provenzano e tutti gli altri malacarne della filiera corleonese.
Un teorema e nulla più. Che il giudice Petruzzella ha fatto letteralmente a pezzi con una sentenza che oltre a stabilire la completa estraneità di Mannino ai fatti contestati, censura con una pesantezza inaudita atti e comportamenti dei pubblici ministeri durante la raccolta delle cosiddette prove. A cominciare dagli interrogatori di Giovanni Brusca, il carnefice della strage di Capaci oggi pentito, e di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo al quale, nei mesi roventi delle mattanze, si sarebbero rivolti gli ufficiali dei carabinieri per tentare di capire come contrastare la furia assassina dei boss.
Le frasi scritte, nelle motivazioni, da Marina Petruzzella denunciano un metodo di indagine a dir poco discutibile. Le interpretazioni di Brusca, ad esempio, sarebbero state “suggerite dalle molteplici sollecitazioni, ricevute nel corso di interrogatori, a volte molto sofisticati, degli inquirenti e dalle contestazioni fattegli durante i suoi esami”. Nonostante “la confusione dei suoi ricordi e l’innegabile e ingiustificata progressione delle sue accuse” Brusca, che è un pentito per tutte le stagioni, “mostra di avere, sulle situazioni di cui riferisce, delle conoscenze frammentarie e limitate”. Eppure, sottolinea la dottoressa Petruzzella, il collaboratore ha finito per essere considerato da Ingroia “il depositario di verità non rivelate”.
Dal bluff Brusca al bluff Ciancimino. Il figlio di Don Vito, “accompagnato nel suo luminoso cammino dalla stampa e dal potente mezzo televisivo, stuzzicati con altrettanta astuzia”, ha popolato i suoi racconti di misteri e fantasmi. Tuttavia – e qui le parole della Petruzzella diventano pietre – “salta agli occhi la sua forte suggestionabilità, con la tendenza ad assecondare la direzione data all’esame dai pm, frammista a una propensione alla rappresentazione fantasiosa e spettacolare, e al contempo manipolatoria”.
Se non si corresse il rischio di precipitare in un’acida ironia, si potrebbe anche dire che la mastodontica inchiesta sulla Trattativa, dalla quale Ingroia ha tratto una tale popolarità da presentarsi sicuro e baldanzoso alle elezioni politiche del 2013, sia nata in realtà da una surrettizia e inconfessabile trattativa tra chi conduceva le indagini e due personaggi di certo poco raccomandabili: da un lato Brusca, il cui interesse è stato ed è sempre quello di mantenere il comodo status di pentito nonostante sia tornato più volte a mafiare; dall’altro lato Massimo Ciancimino, il cui interesse era ed è quello di salvare il malloppo lasciato in eredità dal padre e di salvare se stesso dal processo per calunnia che gli ha intentato Gianni Di Gennaro, l’ex capo della polizia che il figlio di Don Vito voleva mascariare contraffacendo con la fotocopiatrice un documento forse del padre.
Tutta roba da vedere e da verificare, comunque. L’unica certezza fino ad oggi è che contro l’assoluzione di Mannino c’è l’appello sottoscritto da Nino Di Matteo e dagli altri pm che, da tre anni e mezzo, seguono nell’aula bunker dell’Ucciardone il processo ai dieci imputati che, a differenza di Mannino, hanno scelto il rito ordinario e non quello abbreviato. Proprio perché resta ancora in piedi il filone principale – la sentenza, se tutto va bene, dovrebbe arrivare entro il dicembre del 2017 – la procura non aveva via di fuga: l’appello si doveva fare. E si farà.
Resta tuttavia aperto un problema: potranno essere inghiottite dal silenzio (dall’omertà, si stava per dire) le sconvolgenti annotazioni della Petruzzella su come sono state condotte le indagini sulla fantomatica Trattativa?
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Lillo Taverna
Ho riportato sopra lo sproloquio del FOFGLIO. Vi è tanto vero ma vi è tanta omertà giornalistica. Un gridar troppo per seppellire tanto. Io non sono colpevolista. Stimo Mannino da quando alla fine degli anni '50 bazzicava il "Santisimo" di Racalmuto ove addirittura un arcigno arciprete come il Casuccio ospitava gratis le ACLI. Oggi quella vecchia e gloriosa chesa, dissennatamente dissacrata, vien data in mierevole affitto. Ma non riesco a santificare don Calogero Mannino (un Lillo come l'altro Lillo Pumilia di Sciascca che fecero abnormi le Terme e san Caloiro). Sono stato al Ministero dll'Agricoltura in via Venti Settembre quando ancora si chiamava così. Ho potuto dare qualche assistenza tecnica ad un arcigno capo di gabinetto, quelo che poi fece esplodere lo scanfadalo comunitaroo delle quote latte, e quindi resto prpesso. Sono stato all'AIMA dopo il minstero agricolo di Mannino per non avere capito certa politica clintelare del Nostro. E insomma ricordiamo tutti che signficava acquisire una via preferenziale per un posticino qua o là. Pare che anche Sciasia ne abbia usufruiro.
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Lillo Taverna
certo ora Mannino è vituperevolmente in attesa di giudizio. Assolto qua da una certa signorina togata, impigliato là dai noti professionisti dell'antimafia. Non amo l'antimafia. Odio l'antimafia non certo perché ridimensionano un gran colletto bianco. Per costui lacrine e pianti, il grassone del Foglio fa sprecare parole retorica e politica. Giunto a questa età don Calogero di Sciascca può godersi anche l'aureola del martire per giustizia ritardata. Odio l'antimafia perché mi tiene ostativo in ferocissime carceri il mio figliolo selettivo Alfedo Sole, di recente titolato a pieni voti come Magister Philosophiae. Potrebbe andare al MIUS al posto della brutta e chiacchierta ministra gentiloniana. Alfredo Sole non ha peso politico, non ha difensori d'alto bordo, scrive su di liui il noto romanziere Gaetano Savatteri per inquinarne figura e stazza etica. In tre anni che seguo questo mio figliolo SELETTIO ho scoperto, anche se lui nega, che lui non ha ucciso mio zio Alfonso Burruano. A far fuori mio zio è stato uno strettissimo parente di Alfredo. E Alfredo appena diociottenne , imbevuto della fetida cultura della sua famiglia, si è autocalunniato allora e continua ad autocalunniarsi. E per questo si è beccato, iniquamente, un ergastolo con 41 bis divenuto perenne perchè un magistrato dell'antimafia di Palermo lo attesta pericolosamente ostativo, oggi tempo in cui tutta la grande famoglia mafiosa in cui è nato è stata ammazzata ferocemente. Tanu Savatteri direbbe dai culi vasci che pare siano stati più forti e proterìti degli antagonisti stiddrara di Gela, rectius Favara e Portoempedocle- E guarda caso proprrio il clan letterario di Savtateri ne ha preso uno di codesti stiddrara e ne ha fatto un mito letterario in nome dello Sciascia quello del Giorno della Civetta. Il mio figliolo selettivo si è poi buscato un secondo ergastolo ostativo per certa tregenda canicattinese ove forse s'impinguava un tal mangialasagne. Come potesse essere copevole il mio figliolo setelltivo manco ventenne che andava cacandosi sotto per le vendette canicattinesi contro chi aveva osato mpallinare il loro rappresntante racamutewse in quella villa vicino il bivio della cantina castrofilippese. Quanto al terzo ergastolo ostativo, il mio figliolo selettivo se l'è buscato perché in quel liquame culturale mafioso lui ha dovito guidare un'auto con cui portare davanti alla Matrice e poi far trasmigrare quei noti stiddrara che fecere minnitta dei culi chiatti che avevano fatto giusizia impropria di mio zio Alfonso Burruano. Con tre argstoli passat in giudicato mio figlio selettivo lustru d pradiso non ne vedrà mai. Tre grossi errori giudiziari lo condannano a morte, FINE PENA MAI. Non una volta sola si consuma la condanna a morte ma mille volte al giorno. Persino Camilleri protesto per un certo computer negato. Ma peggiorò la situazione di Afredo Sole. Calogero Mannino al conronto ha di che emettere vari soperiri di sollevo. Nessun pingue Ferrara spreca un foglio del suo FOGLIO per far luce su questo triplice ergastolano senza colpa. Calogero Taverna
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