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Ispettorato
Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, al centro Gaetano Collotti
« I luoghi della
memoria dell’oppressione e della lotta sono tanti. A cominciare da via
Bellosguardo a Trieste, dove in una villa demolita ormai da tempo ebbe sede
per un certo periodo l'Ispettorato speciale di pubblica sicurezza per la
Venezia Giulia, l'organismo istituito dal regime nel 1942 con il compito di
combattere il movimento partigiano ormai affermatosi anche nelle province
giuliane. L'ispettorato si distinse per l'uso sistematico della tortura sugli
arrestati e la villa di via Bellosguardo divenne nota per le urla dei
seviziati che si sentivano dall'esterno. Un'altra sede dell'ispettorato fu
l’attuale stazione dei carabinieri di via Cologna a Trieste, che è anche
l’unica sede dell’organismo ancora esistente. Da notare che il torturatore
più efferato, l’ispettore di polizia Gaetano Collotti,
è stato insignito nel 1954 dalla Repubblica Italiana di medaglia di bronzo al
valore per il comportamento tenuto durante un’operazione antipartigiana e che
diversi componenti l’ispettorato caduti durante la guerra o nella resa dei
conti a guerra finita sono ricordati sulla grande lapide che nell’atrio della
Questura di Trieste ricorda i poliziotti caduti nell’espletamento del proprio
dovere »
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Nell'aprile del 1942
il Ministero
dell'interno istituisce a Trieste un organismo di
repressione a cui viene assegnato il nome di Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia.
L'ispettorato viene incaricato della repressione dei movimenti antifascisti,
sia slavi che italiani; è stato l'unica struttura esclusivamente dedicata a
tale scopo in Italia
e nelle aree occupate. L'uso di metodi di tortura fu sistematico e capillare
con gli antifascisti catturati, e non si trattò di imitazione delle tecniche di
interrogatorio dei nazisti
infatti tali metodi furono usati già prima della caduta di Mussolini, come
testimoniato da quanto dichiararono i componenti dell'ispettorato nel corso dei
processi durante il dopoguerra.
La prima sede dell'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza
per la Venezia Giulia era in via Bellosguardo 8, già nota come Villa
Triste. Fu questa la prima fra le numerose "Ville
tristi" che sorsero in Italia nel corso della II guerra mondiale[1]
L'ispettorato generale era agli ordini di Giuseppe
Gueli ed aveva un organico 180 uomini.
Indice
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Dopo l'8 settembre 1943[modifica | modifica
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Dopo l'armistizio
dell'8 settembre 1943 l'Ispettorato prosegue la sua attività contro
gli antifascisti ma essendosi messo agli ordini dei germanici si occupa
sensibilmente della cattura degli ebrei.[2]
Il governo repubblicano scioglie l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza e
lo ricostitusce con il nome di Ispettorato Speciale; la catena di comando è
comunque mantenuta sempre con a capo Gueli, lo stesso a cui Pietro Badoglio aveva
assegnato la custodia di Mussolini dopo l'arresto.
« Allorché mi
convocò, il capo della Polizia mi chiarì che si trattava di salvaguardare la
persona di Mussolini e di impedire, in tutti i modi, che i tedeschi lo
rapissero. In tal caso, bisognava far fuoco sul prigioniero e far trovare un
cadavere. Risposi che ero un uomo di battaglia non un assassino e allora lui
mi disse che della bisogna erano stati incaricati i Carabinieri. Badoglio
volle conoscermi, e a presentarmi al Capo del Governo provvide Senise. Il
Maresciallo ripeté a me la consegna già data a Polito e io, come Polito,
assicurai che l'avrei fedelmente e, occorrendo, personalmente eseguita. Nella
notte, trascorsa insonne, però, presi la mia decisione: poiché la sorte, fra
milioni d'ltaliani restati fedeli al Duce, dava a me l'occasione favorevole,
dovevo fare di tutto per salvarlo. L'indomani, mi recai in Sardegna e
constatai che, per clima e per sicurezza Mussolini si trovava molto male. Se
gli inglesi avessero avuto notizia della sua presenza alla Maddalena,
avrebbero potuto facilmente impadronirsene o seppellirlo sotto le macerie
della villa con quattro cannonate delle loro navi" »
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Dopo la liberazione di Mussolini
dal Gran Sasso Gueli si porta
dietro diversi agenti che avevano tenuto "prigioniero" Mussolini e
l'organismo appena formato dipende dal Ministero dell'Interno della Repubblica di Salò,
ufficialmente, ma in pratica sotto controllo del comando SS con sede Trieste. Fra gli agenti
più spietati vi è Gaetano
Collotti. Sarà lui che si occuperà di torturare personalmente Ercole Miani, ex
Legionario di Fiume e comandante partigiano.
Tullio
Tamburini, prefetto di Fiume, innalza al grado di maresciallo Sigfrido
Mazzuccato, ex squadrista fascista, con lo scopo di costituire un
nucleo che si occupi degli interrogatori e costituito da un reparto di polizia
ausiliaria, la cui sede è posta in via San Michele. Il nucleo è conosciuto al
tempo come "squadra Olivares" e conta 200 membri, la cui maggioranza
è cooptata fra gli squadristi fascisti locali. Il reparto verrà sciolto in
settembre dalle autorità germaniche. Lo stesso Mazzucato fu inviato in Germania
e se ne perdono le tracce fino al processo a Gueli.
Alcune testimonianze
tratte dagli atti del processo a Gueli[modifica
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il dottor Paul Messiner, di nazionalità austriaca, nel 1944
aveva l'incarico di capo-sezione Giustizia del Supremo Commissariato della Zona
di Operazioni del Litorale Adriatico:
« Mi è stato
riferito che nell’anno 1944 l’Ispettorato di P.S. di via Bellosguardo,
trasferitosi dopo in via Cologna, procedette all’arresto dei fratelli Antonio
e Augusto Cosulich (armatori che avevano finanziato il C.L.N., n.d.a.). Il
barone Economo si rivolse al Supremo Commissario dott. Rainer per ottenere
l’immediato trasferimento dei detenuti dall’Ispettorato alla sede delle S.S.
di piazza Oberdan, a causa dei noti sistemi di tortura dei detti agenti italiani,
usati contro patrioti. Il Supremo Commissario accolse subito la richiesta e
disse che la polizia tedesca non usava i metodi crudeli e le sevizie
escogitati dall’Ispettorato [26]… Ho saputo da diverse persone e tra queste
dall’avv. Tončič, che la polizia italiana usava metodi barbari e sadici
contro i detenuti. Ho parlato e fatto rapporto scritto al dott. Rainer... Mi
sono state date assicurazioni in merito. (...) Il giudice Anasipoli sa che ho
fatto arrestare due agenti dell’Ispettorato pur non rientrando nelle mie
attribuzioni. (...) Ho dato ordine che i tribunali provinciali italiani non
potessero giudicare antifascisti e che se avessero violato tale ordine
sarebbero stati arrestati. (...) »
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l'avvocato Tončič:
« Slavik mi disse
di aver fatto un esposto al capo della sezione giustizia
dell’ex-Commissariato dott. Paul Messiner e me lo mostrò. In tale esposto oltre
a narrare quanto contro di lui era stato commesso dagli agenti
(dell’Ispettorato, n.d.a.), espose anche i maltrattamenti e le violenze
carnali commesse ai danni di una ragazza diciassettenne e di una signora di
Trieste... Il dott. Slavik fu arrestato poco tempo dopo dalle S.S. germaniche
e deportato a Mauthausen dove purtroppo trovò la morte »
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Arrestato nel 1944, all'età di 16 anni, Pietro Prodan,
insieme a Nives e Nerina, sue sorelle:
« Tra i poliziotti
che procedettero al nostro arresto c’era anche Sigfrido Mazzuccato. »
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Dopo un periodo ci circa un mese negli uffici del
"gruppo Olivares" dove i tre furono percossi anche da Gaetano Collotti:
« mi hanno portato
in Germania al campo di Buchenwald dove sono
stato liberato dagli alleati. Nello stesso campo di concentramento è venuto
nel novembre del 1944 anche il maresciallo Mazzuccato che la vigilia di
Natale è stato, verso mezzanotte, trasportato nel forno crematorio e gettato
in esso. Ho visto coi miei occhi la cartella scritta dai tedeschi in cui si
diceva: “Mazzuccato, deceduto per catarro intestinale il 24 dicembre
1944 »
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Il rebus della sparizione di Mazzuccato fatto rimuovere dal
comando SS dall'incarico è stato
risolto.
Agli atti del processo ci son numerosissime testimonianze sui
"metodi di interrogatorio" queste testimonianze sono agli atti sia
del processo a Carico di Gueli sia di quello relativo alla Risiera di
San Sabba. Da tali testimonianze si deduce che il metodo della
tortura non era occasionale bensì sistematico e lo stesso vescovo di Trieste, mons. Santin,
intervenne tentando di porre fine a tal modo di agire nel 1942, dopo un periodo
di incredulità su quanto era venuto a conoscenza, ma senza gli esiti che il
prelato si era prefisso.
Specifico sulla caccia agli
ebrei e l'uso dei delatori[modifica
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Un altro dei compiti dell'Ispettorato, oltre la cattura e gli
"interrogatori" di partigiani ed antifascisti, era quello di
prelevare gli ebrei.
« Prima della
seconda guerra mondiale gli ebrei triestini erano circa 5.000. Si trattava di
una comunità di antico insediamento, assai radicata nella vita culturale ed
economica della città. Dopo le leggi razziali fasciste del 1938 e
l'istituzione anche a Trieste di uno dei famigerati "Centri per lo
studio del problema ebraico" (uno dei 4 istituiti in Italia) molte
famiglie decisero di emigrare all'estero, sottraendosi alla persecuzione
fascista. Ciononostante fascisti e nazisti riuscirono dopo l'8 settembre a
catturare e a deportare nei campi di sterminio più di 700 ebrei
triestini »
|
[5]
da inviare ai lager
germanici e per questo compito specifico potevano disporre della non
trascurabile cifra di 10.000 lire messa a disposizione dai nazisti per i delatori che
avessero permesso una cattura. I catturati dopo un passaggio negli uffici del
"gruppo Olivares" venivano inviati alla Risiera di
San Sabba.
Quindi il gruppo si poteva avvalere di delatori organizzati
sistematicamnete che riferivano alla "banda Collotti", nome con cui è
meglio conosciuto il gruppo di agenti dell'Ispettorato, o ai preposti organi
delle SS. Un caso è molto noto è
quello relativo a Giorgio Bacolis, impiegato presso il Lloyd Triestino, il quale
si travisava da pastore evangelico oppure valdese a seconda della bisogna, per
poter ottenere più facilmente informazioni, anche da persone che non erano
delatori, lui ebbe un "premio" di 100.000 lire per avere fatto
catturare un membro di rilievo del CLN.
I processi del dopoguerra[modifica
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Nel dopoguerra furono istituiti processi a carico di alcuni
membri dell'Ispettorato. Quello di maggior peso era riferito a Giuseppe Gueli,
Umberto Perrone, Nicola
Cotecchia, Domenico Miano, Antonio Signorelli, Gherardo Brugnerato e
Udino Pavan. In seconda istanza Gueli ebbe una condanna ad 8 anni ed undici
mesi, gli altri pene molto minori, a parte Cotecchia e Perrone che vennero
direttamente assolti. Lucio Ribaudo con capi di imputazione gravissimi inerenti
a un pervicace e continuo metodo di applicazione feroce della tortura fu
condannato a 24 anni. Essendo stato Gaetano Collotti trucidato
dai partigiani nel corso dell'eccidio della
cartiera di Mignagola insieme alla fidanzata incinta, il difensore
di Gueli si giocò la carta di impostare la difesa sul fatto che Gueli era
"succube" di Collotti. Gueli fu assolto il 27 febbraio 1947.[6]
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