domenica 25 febbraio 2018

La faccenda partiva da lontano, da un esposto del Mutuo Soccorso che metteva in ambasce la prefettura:



R. PREFETTURA DI GIRGENTI

n. 419 sub 1\6\75

Esposto dei soci del Mutuo Soccorso di Racalmuto, del 31 maggio 1875



Al Signor Prefetto della Provincia di

Girgenti



Signore



I sottoscritti componenti il Consiglio direttivo della Società del Mutuo Soccorso degli Operai di Racalmuto, rassegnano alla S.V. Ill.ma quanto siegue.

La detta Società tende ad affratellare la classe lavoratrice pel miglioramento  morale e materiale della classe stessa; fondata sin dal Gennaro 1873 con l'ausilio dei Signori fratelli Gaspare e Napoleone Matrona, il primo attualmente Sindaco di questa Comune, ed il secondo fu quegli che il giorno dell'impianto della società pubblicò gli articolati dello statuto per approvarsi, e diresse il tutto.

La Società, dopo un poco elasso di tempo, eleggeva a socii onorari i predetti Signori Matrona, i quali ne significarono con lettera la loro accettazione. Le relazioni tra il Signor Sindaco e la Società divennero or mai più strette, tanto vero, che in tutte le feste Nazionali e religiose, ove assisteva il Municipio, la Società era sempre invitata per assistere parimenti a quelle solennità.

Lo mentre la Società era ligia ai voleri del Sindaco e volentieri obbediva a tutti gli inviti dello stesso; la Società era progressista e tendente all'ordine; onesti e liberali erano tutti coloro che la componevano; se ne encomiava la condotta; si plaudivano tutte le sue operazioni, tutto era armonia e serenità.. Quando, giorni sono, l'inaspettato scoppio di un fulmine in ciel sereno, venne a spezzare le relazioni tra il Sindaco e la Società, a disturbare l'armonia che li univa e ad abbuiare lo splendore che rischiarava il tanto bene che si operava dalla stessa. La si fu l'arrivo di un numero del Giornale intitolato Don Bucefalo, che conteneva un articolo a carico del ridetto Sindaco, che la Società dietro di aver udito la lettura in pubblica assemblea ( per come suole usarsi di tutti i giornali diretti alla Società) l'assemblea medesima non sen incaricò e passò a trattare delle faccende proprie.

Il Sindaco non si acquetò a codesto diportamento indifferente della Società, volea tirare bracia alla sua pasta con le mani attrici, e fece sentire a certi socii a lui dipendenti, che proponessero ed invogliassero la Società a rispondere in contrario a quanto diceva il giornale. I Socii che si ebbero questo incarico fecero noto all'assemblea, che era piacere del Sindaco, che la Società si incaricasse dell'articolo in di lui carico e che si accingesse a smentirlo; al che la Società peritosa sul da fare, adottò la norma che la stessa siegue tutte le volte che un socio viene accusato nella condotta; e cioè d'invitare il Socio accusato per legitimarsi in faccia della Società infra un termine, sotto pena di venire cancellato, e così fece. Deliberò che il Sig.r Gaspare Matrona come socio venisse a legitimarsi infra sessanta giorni del carico che l'articolo gli addebita.= Cotesto deliberato fece montare nelle furie il detto Signor Matrona, e concepì in cuor suo il disegno di vendicarsi a qualunque costo e di fare sciogliere la Società. Ed in effetti non indugiò tanto a far vedere i preludii; la sera del 28 spirante Maggio, quando il consiglio era riunito, il Signor Napoleone Matrona si portò nell'ufficio della Società, ed appena giunto si fece lecito bistrattare con ingiuriose parole pronunziate con indicibile acrimonia contra gli assembrati, tanto che quei buoni operai riuniti rimasero di sasso; chiese conto dell'operato alla Società in riguardo all'articolo di cui è parola, e letto una proposta fatta da un socio in proposito, che invitava l'assemblea a prendere in considerazione quell'articolo a carico del Socio Gaspare Matrona, disse altre obbrobriose parole per la società, ed invitando il consiglio a cancellarlo di socio unitamente al di lui fratello Sig.r Gaspare, si appartò.= Poco dopo di questa scena, si videro presentare il Delegato di sicurezza pubblica accompagnato da due reali carabinieri, chiedendo la consegna del pezzo di carta ove era scritta la predetta proposta. Gli assembrati gliela esibirono immantinenti, ed il delegato se la portò con se.

Le diatribe e garralità che si sparsero, l'indomani, contro la Società, sono indicibili Onorevole Sig.r Prefetto. Essa viene dipinta come una associazione d'internazionalisti, come una banda di briganti; composta da gente di galera e simili, tanto che han messo in allarme le famiglie dei socii; ognuno crede arrivata l'ora di venire arrestato; di essere mandato in esilio o a domicilio coatto; insomma si crede essere in quei tempi del medio evo, che fece esclamare dal divino Alighieri.

O fortunati! E ciascuna era certa

della sua sepoltura.

Ecco Signor Prefetto, perché i supplicanti si rivolgono alla di Lei giustizia, onde non dare credito a tutto quanto Le potranno esporre avverso detta Società; mentre il fatto genuino è quanto si espone, e potrà informarsi da onesti cittadini del Paese.

Racalmuto lì 31 maggio 1875.

Falletta Calogero - Romano Calogero

Salvatore Scimè - Lumia Gaetano

Agrò Rosario - Rossello Giovanni

Giuseppe Romano.



E’ facile vedervi la prosa tra l’aulico e l’incespicare del giovane barone Tulumello. Il prefetto aveva il suo bel da fare (o da dire) per riportare entro limiti di normalità il contesto accusatorio. Da Roma si esigevano spiegazioni ed era il ministro dell’interno a reclamare informazioni e chiarimenti. C’era di mezzo nientemeno Garibaldi.



PREFETTURA DI GIRGENTI



REGNO D'ITALIA

MINISTERO dell'INTERNO

SEGRETARIATO GENERALE

DIV. 2^ SEZ. Gabinetto

N. 3296

oggetto: Circolare della Società di mutuo soccorso di Racalmuto.

Signor Prefetto di Girgenti

/ n. 418 gab. 10/7/75 al Sig. Delegato S.P. di Racalmuto/



Roma, addi 7 Luglio 1875

Dalla Società di mutuo soccorso di Racalmuto è stata diramata la circolare di cui trasmetto copia alla S.a V.a per le necessarie disposizioni di vigilanza, e per quei provvedimenti che riterrete opportuno  di adottare.

p IL MINISTRO.

(firma illeggibile)

/nella stessa lettera del Ministro, viene aggiunto di pugno del prefetto per il delegato di S.P. di Racalmuto questo codicillo:

"Vorrà poi manifestarmi il motivo per cui ha omesso di informarmi della diramazione di tale circolare, e della trasmissione di una copia della medesima"./

In allegato la copia che così recita:



Società Mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto - provincia di Girgenti.

CIRCOLARE

Soci Onorari

Maurizio Quadrio

SAFFI Aurelio

Campanella Federico

 Presidente Onorario

GARIBALDI

----------------

RECALMUTO



PREFETTURA DI GIRGENTI - N. 419 LUGLIO - Girgenti 13\5\76 - riservata minuta Oggetto: Reclamo della Società degli Operai di Racalmuto.



Girgenti 13 maggio 1876

 Signor Delegato di P.S.

Racalmuto.



La Presidenza della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto ha diretto a S.E. il Ministro dello Interno l'unito memoriale contenente addebiti contro codesto Municipio e specialmente contro il Sindaco il quale, si dice, osteggi ed attraversi in tutti i modi quella Società.

Io trasmetto il reclamo a V. S. affinché assuma le più accurate informazioni sulla verità dei fatti esposti e me ne riferisca categoricamente e imparzialmente il risultato insieme alla restituzione del comunicato dovendo farlo obietto di un rapporto al Ministro.

IL PREFETTO

(firma illeggibile)





R. PREFETTURA DI GIRGENTI - Div. Gabinetto - n. 419 - Urgente -  Oggetto: Sollecitazioni per affari in ritardo - Al Signor Delegato P.S. di RACALMUTO



Girgenti 9 giugno 1876



Prego la S.V. trasmettere con tutta sollecitudine al mio foglio del 13 n. ° 1° maggio numero pari alla presente insieme al quale trasmettere un ricorso del Presidente di codesta Società di mutuo soccorso rivolto al Ministero Interni. IL PREFETTO.

DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N.  157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 9 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al ricorso della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.

Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti.



Racalmuto addì 11 giugno 1876.



In riscontro alla riverita nota a margine citata, colla quale mi si sollecitano le informazioni sul ricorso in oggetto indicato, mi faccio un dovere significare alla S.V. Ill.ma, che non più tardi di giovedì prossimo, 15 corrente mese, Le farò pervenire le suddette informazioni col ritorno del ricorso di cui si tratta, non potendolo far prima mancandomi ancora qualche notizia. - IL DELEGATO (A. COPPETELLI).



A S. E. il Ministro dell'interno Roma

OGGETTO: Ricorso della Societa' Operaja di Racalmuto contro quel Municipio.



Anche a questa Prefettura la Società Operaja di Racalmuto fece pervenire in addietro vari ricorsi contro quel Municipio lagnandosi di essere da esso osteggiata.

Però non si è potuto prendere dei provvedimenti perché le querimonie furono sempre generiche non imputando ai reggitori di quel comune fatti pei quali potesse l'Autorità legittimamente intervenire.

E' una verità che il Sindaco Cav. Gaspare Matrona, la sua famiglia influentissima e i suoi amici e partitanti vedano di cattivo occhio quella Società, mentre nel 1873 contribuirono invece a darle vita e sostegno; ma la ragione non istà minimamente nel proposito di osteggiare le idee liberali né precludere la via alle libere associazioni, ma sibbene trova la sua spiegazione naturale nel fatto che la Società stessa ha disertato dal partito dei Matrona per militare sotto le bandiere del loro antagonista Barone Luigi Tulumello il quale se ne vale come di strumento per creare imbarazzo all'attuale Amministrazione alla quale vorrebbe subentrare.

Messi così in chiaro i rapporti esistenti fra la Società ed il Comune si ha la spiegazione del movente del generico ricorso che si restituisce.

IL PREFETTO. 



*   *   *

Se si è prestato anche un minimo di attenzione alle carte che abbiamo riportato, non si può restare colpiti dalla figura di questo gesuita racalmutese - zio del celebra papa nero - dal prestigioso nome (è un Nalbone), che viene a trescare politicamente contro i Matrona.

Sulla figura di codesto gesuita si è soffermato il compaesano padre Angelo Sferrazza Papa, S.J. trattandolo - ovviamente - con i guanti gialli. [24]  Per converso, il Messana - che con i Nalbone ha anche motivi di astio familiare - infieririsce, impietosamente, con sarcasmo. Noi abbiamo legami di stima e di deferenza verso il padre Angelo Sferrazza Papa da un lato, e consuetudini di amicizia e di passioni storiche per la nostra Racalmuto con il discendente prof. Giuseppe Nalbone, dall’altro per poterci avventurare in una rigorosa ricostruzione di un siffatto personaggio che ad dir poco la tempra del martire non ce l’ha: notare quel sussiegoso rimettersi alla volontà del prefetto per poi sobillare i clericali locali in una improba compezione elettorale contro i Matrona.

Vi è poi un fatto ancora più clamoroso. I clericali locali, sobillati dal gesuita Nalbone e dai non meno nostalgici preti racalmutesi alla Giudice, furro molto agguerriti contro il clan Matrona. Nel pieno della lotta ricorsero a tutti i mezzi anche a quelle laide delle lettere anonime. Una di queste fu certamente concepita e redatta dal gesuita Nalbone. Riportiamola; è uno spaccato della Racalmuto di allora: [25]







«Signori Presidenti e componenti la Commissione d'inchiesta - Canicattì.

«Uno solo è il tema del giorno, il sindaco di Racalmuto. E' una anomalia quello, un anacronismo , un controsenso che per adempiere ad un'opera eminentemente patriottica, bisogna ad ogni costo scalzare. Avanti adunque, dietro vi sta l'abisso.

«Avvezzo l'integerrimo ad un arbitrio il più sconfinato ed a vederci tacere e soffrire non comprendeva che quando si è all'orlo del precipizio ed una calamità ci minaccia; quando le prepotenze, gli arbitrii, le vendette ed i balzelli han raggiunto il favoloso e l'ingiusto; quando il denaro del popolo  trovasi impudicamente scialacquato e le centinaia di migliaia spariscono come lampi; quando un comune floridissimo batte alle porte della bancarotta; quando la libertà è un mito e le votazioni avvengono nel modo, simile alla fiera proposta dell'assassino, il quale appuntando il coltello alla gola ti dice o la borsa o la vita, l'uomo libero, indipendente ed onesto non deve restarsene indifferente, né temere le basse calunnie. I nemici dell'ordine gridano e s'impongono, quando gli onesti tacciono e tremano; quindi è che generosi cittadini sorsero per protestare ed opporsi a che le iniquità finiscano, ed il denaro del pubblico cessi una volta di essere il patrimonio di una ..  casta.

«Alcuni lodarono l'attuale stendardo tenutosi da undici anni dall'integerrimo Sindaco Matrona triste avanzo della più efferata tirannide, ma quello è lo stendardo che si è imposto con la minaccia, colle violenze e colle vendette. E' lo stendardo che ha partorito il medio Evo in permanenza, prepotenze, vessazioni ed angherie di ogni sorta con una franchezza tale da mostrare che giustizia non esiste, e si vive senza governo. E' lo stendardo che pospone la pubblica istruzione allo spirito di parte, si rimossero abilissimi professori Farrauto, Capitano, Chiodo, Zambuto, perchè  ebbero il coraggio di seguire l'impulso della propria coscienza, e  negare il voto ai suoi affiliati; fu l'ill.mo che al professore provetto e direttore di quelle scuole Sig. Cappadoro in un giorno di Venerdì Santo ed innanzi ad un pubblico ebbe l'ardire d'insultarlo ed opprimerlo dicendo che  non lo schiaffeggiava per non lordarsi le mani. Imbecille di professore! dovevi conoscere che il funzionario, il quale si fa superiore alla legge e la calpesta è un ingiusto aggressore. E' lo stendardo sotto il quale i delitti si sono aumentati e di giorno in giorno aumentano; pascoli abusivi, furti campestri, grassazioni dentro e fuori dell'abitato, omicidi anche nella pubblica piazza. Signori dello stendardo siate sinceri e veridici, per come ogni cittadino deve esserlo, e diteci: a chi il popolo ne addebita la colpa? quali cause ne adduce? quali rimedii propone? E' lo stendardo che di precipizio in precipizio ha rovinato la ricchezza pubblica e la privata ancora.  E' lo stendardo che ha oberato di pesi civici un comune di speciale floridezza, sino a condurlo alla disperazione, dando tasse esorbitantemente aumentate che di anno in anno si aumentano e sempre insufficienti. E' lo stendardo che ha imposto un'imposizione grave, insostenibile, estrema.

«Ma vorrà porsi un argine a tanto torrente? Non lo sperammo quando 22 civili notabili tutti presentatisi in massa a reclamare, nulla ottennero sin'ora. Quando una dimostrazione seria, preconcetta, imponente, feroce di diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitore del Sindaco ed ai quali si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una guerra civile, si vela sotto l'aspetto d'ubriachezza.

«Quando, mentre i Racalmutesi lavorano pesantemente, come una mandria d'Iloti, o pagano una enorme tassa di sangue per la strada da giorni aperta Racalmuto-Montedoro, un'altra se ne intende aprire, Racalmuto-Favara, capricciosa, vessatoria ed ingiusta, e tuttoché legalmente dichiarata non necessaria, né di pubblica utilità, come dall'Ufficio prefettizio 30 aprile 1870, si ritorna su di essa e si approva, favorendo l'interesse dell'Ill.mo alla di cui casa di campagna trovasi esclusivamente destinata. Quando, tuttoché si è giustificato che il Consiglio Comunale in Racalmuto non si radunava che sempre in seconda convocazione, ed i tre fratelli Matrona dispongono di vistoso patrimonio di quel Comune, pure non si è riparato. Quando nella relazione del valente  professor Ragusa, il quale palesa che in Racalmuto non osservò che scuro , non si vuol vedere una dimostrazione di popolo tutto ufficialmente invitato che non prese parte in odio al Sindaco. Quando .... basta, l'animo si commuove, e minaccia di trasmodare la lingua: infreniamola per ora a prudenza.

«Or allora che questi, quando ci parlano tutti nell'anima, si ha mille ragioni di credere che quel Sindaco sarà confermato. Ebbene Sigg.ri della Commissione in questo caso altro non resterà all' Ill.mo che sulle orme dell'amabil suo fratel cugino Giuseppe Geraci Matrona Sindaco di Castrofilippo, il quale si suicidò in prigione, chiamarci uno per uno in segreteria e trucidarci.

«Persuadetevi, Signori, finché l'ammonizione ed il domicilio coatto non saranno a lui applicati, Racalmuto avvilito e depauperato non avrà pace giammai.»



Chi fosse quel Francesco Nalbone non è dato sapere. Non si può escludere un errore di trascrizione. Di certo non era un parente stretto de gesuita, stando almeno alle accurate ricerche genealogiche del prof. Giuseppe Nalbone. Il gesuita era nato a Racalmuto nel 1818 da Angelo Benedetto Giovanni Nalbone e da Stefania Salvo: aveva quattro sorelle ed un fratello, Luigi (1812-1883), sposato con Raffaella Mattina, da cui il filone dei notabili in atto rappresentati in modo egregio dal medico Giuseppe.

Noi restiamo convinti che quella tremenda missiva sia stata concepita dal gesuita ed il fatto che si sia nascosto dietro le brume della firma ambigua non depone a favore del primo dei due gesuiti di casa Nalbone. Quella lettera ci torna comunque a fagiolo perché ci dà una testimonianza preziosissima sugli sviluppi del circolo unione. Siamo nel 1875; infuria lo scontro tra il clan del giovane barone Luigi Tulumello e quello, saldissimo, dei Matrona. I Matrona sono davvero arroganti, sperperatori del pubblico denaro delle casse comunali per faraoniche opere pubbliche, vessatori e tassaioli, mafiosi e massonicamente  corazzati. Si beffano di tutti gli avversari: professori e preti, gesuiti e notabili avversari. Sia chiaro: il Nalbone anche allora era espressione di un casato racalmutese potente. Quello che certi denigratori dell’attuali circolo unione vanno dicendo è falso. Con il sacerdote Benedetto Nalbone (1709-1793) un ramo di quella famiglia risalente agli albori anagrafici della nostra Racalmuto del 1554 aveva fatto un salto sociale cospicuo, inarrestabile. Il prete (figlio di Giuseppe - 1671-1736 - e di Anna Maria Vassallo e nipote di tal Benedetto) aveva raggiunto una cospicua posizione economica, consentendo al fratello Giovanni Vito (11710-1755) di sposare una Baeri, Vincenza. Il nipote Francesco Paolo (1758-1833) diviene notaio e sposa la potentissima Gesuela Busuito. Alle fortune di famiglia si associano ora quelle del ricco prete don Francesco Busuito  [26], ultimo officiale del Santo Officio di Racalmuto. Siamo al pronipote, anche lui notaio, don Angelo Benedetto Giovanni che muore giovane ed è solo per questo che il ramo dei Nalbone flette un po’ nella gerarchia dei valori nobiliari racalmutesi. Ma il figlio Luigi è già in ripresa; nient’affatto codino, se ne impipa delle scomuniche e vince l’asta per l’acquisto di “2 seminativi” in contrada Sacramento espoliati alla chiesa e cioè alla compagnia Renda di Grotte. [27] t. Vanta il fratello gesuita che abbiamo detto. Sarà comunque il figlio Giuseppe - fratello del papa nero il gesuita Francesco di Paola Nalbone - ad entrare prepotentemente nell’alta burocrazia del comune e conseguire cospicue possidenze immobiliari. Il figlio Luigi (1890-1950) può già considerarsi un facoltosissimo erede che si afferma a Palermo.

La famiglia Nalbone contrasta, dunque, i Matrona ed è affiancata con il barone Luigi Tulumello. Questi ha una partita aperta con i Matrona che s’accende di acrimonia ogni giorno di più. Un contorno di “civili” il Tulumello ce l’ha: il barone stringe attorno a sé i fedelissimi di rango; devono lasciare il circolo di conversazione che pur frequentavano dalla giovane età e tutti insieme devono fondare e frequentare un nuovo circolo, un “nuovo casino” come dice il gesuita.

I Matrona evidentemente dominavano il tradizionale circolo dei galantuomini: considerarono la secessione un grave sgarbo personale e se lo legarono a dito. Sappiamo dal gesuita Nalbone che i padroni di Racalmuto - che se mafiosi se furono, contigui alla mafia lo furono di certo - mandano «diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitori del Sindaco» e costoro «si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una guerra civile». I galantuomini dissidenti restano sgomenti, in 22 vanno dal sindaco Matrona, invocano giustizia. Raccomandano l’anima al diavolo, si direbbe. Il sindaco don Gasparino finge indignazione, fa fare accertamenti, ma alla fine conclude che si trattava di volgari ma innocui ubriaconi: una bazzecola senza importanza, tutti innocenti, una chiassata di ubriachi da non prendere neppure in considerazione. L’arroganza del potere nei Matrona in generale e in don Gasparino in particolar modo. Avranno gioito i soci del vecchio circolo unione, rimasti fedeli a don Gasparino.

*  *  *

  Ma in fin dei conti la strusciata dei piedi dinanzi a nuovo casino dei galantuomini dissidenti è stata poca cosa: ben più gravi furono le conseguenze di quella missiva del gesuita. Proprio nel 1875 vi fu una inchiesta parlamentare sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia che è rimasta celebre negli annali del nuovo Stato italiano. Da Racalmuto giungono echi allarmanti: l’ordine pubblico è dubbio; le elezioni sono sospette; il sindaco è circondato da bagarioti in odore di mafia, etc. Il gesuita Nalbone infiamma gli animino dei codini e questi sono diventati tanti; si annidano persino in casa Matrona con un prete don Calogero - un favorito del vescovo, un beneficiario delle terre del Crocifisso ... per una simoniaca concessione - che se ne infischia del liberalismo dei fratelli minori e milita tra i borbonici. Un guazzabuglio che appare a Roma inestricabile. Una sezione della Giunta viene allora inviata sul luogo, ad indagare. Abbiamo il resoconto che dovrebbe essere stenografico, ma che sa di postuma e compiacente rielaborazione. Don Gasparino ed i suoi hanno modo di fare una gran bella figura: gli avversari ridotti a voce meschinella e patetica, in pratica floscia ed insignificante.

Di quella prolissa inchiesta sono stati pubblicati gli atti; a dire il vero una sintesi poca esauriente. Sciascia la lesse: lì c’erano elogi sperticati di don Gasparino Matrona e dei suoi fratelli; traspare una sospetta intesa massonica; restano oscurati gli intrecci negativi che coinvolgono la potente satrapia racalmutese. Sciascia non lesse la lettera che abbiamo riportato e finisce con l’essere fazioso quando, nel 1982, si prese la briga di prefazionare il libro del Tinebra. Lì [cfr. pag. 11] ebbe a dire: «A loro, ai Matrona, si devono scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro. [...] E non solo i Matrona si occuparono di sanare e abbellire urbanisticamente il paese, di dargli splendido teatro e di farlo attivamente funzionare, ma anche della sicurezza sociale. Dall’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, del 1875-76, citiamo i passi che, nella deposizione del prefetto di Girgenti Rossi, riguardano Racalmuto ...  e della deposizione del colonnello comandante la zona militare di Girgenti ..» Il prefetto, invero, si guarda bene dall’esaltare i Matrona; questi invece vengono osannati da quel colonnello, che non ha davvero il senso della misura. «Ci sono esempi - dichiara - che dove hanno voluto estirpare il malandrinaggio ci sono riusciti, e ne abbiamo uno bello, lodevole, nel circondario di Girgenti. A Racalmuto ci sono cinque fratelli di cognome Matrona, possidenti di una certa istruzione. Racalmuto era un paese tristissimo dove tutti i giorni succedevano reati di sangue, furti e grassazioni. Questi cinque fratelli si sono messi d'ac’ordo e hanno detto - non vogliamo più questi delitti -; montavano a cavallo armati sino ai denti ed in pochissimo tempo hanno reso quel paese il modello non solo della Sicilia ma del continente. Sulla strada per andare a Canicattì o a Caltanissetta troveranno un bel palazzo dove ci sono scuole, locale per i carabinieri, telegrafo, teatro; insomma hanno fatto di quel paese qualcosa di buono, e sono cinque fratelli che lo hanno voluto ...» Certo Leonardo Sciascia - che delle cose di mafia se ne intendeva, avendo tra l’altro scritto Il Giorno della civetta -   avrebbe dovuto diffidare delle parole di quel colonnello che non trova nulla di male nel fatto di privati, armati fino ai denti, che se ne vanno a cavallo a sterminare malviventi e malandrini, come vigilantes all’americana. Le carte ufficiali - quelli dell’archivio di Stato di Agrigento e quelle comunali - testimoniano invero su tali arditezze dei Matrona; non c’è da rimanerne ammirati. Tutt’altro!

Il 20 dicembre 1975 era partita da Racalmuto questa lettera anonima:

«Racalmuto che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante aspettando una visita dalle Signorie loro ill.me per dare una forma di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla riparazione e alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro Augusto Sovrano

«E’ però lo allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. [...] Sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose (sic) per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare. Si chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno fratelli Matrona, Cammillo sic Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele (sic) Mantia, Arciprete, Michiele (sic) Alaimo , Gioacchino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi chi più chi meno; e formano i gaudenti dell’azienda Comunale.»

Sappiamo così da chi era formato il clan dei Matrona. Sorprende che anche l’arciprete Tirone si fosse accodato ai potenti cinque fratelli; Gioacchino Savatteri lascia il fratello Calogero con le sue manie mazziniane e si accoda ai liberal-massoni Matrona. Per ripicca il fratello Calogero accetta la tessera del Mutuo Soccorso, omai in mano ai Tulumello, e finge lì di essere un socialista ed un mazziniano, come abbiamo visto sopra. Un anno dopo la morte, il Mutuo Soccorso ne commemora l’anniversario, in pompa magna. Ora è divenuto sindaco Gioacchino Savatteri, ma questi rifiuta lo stendardo comunale nelle celebrazioni del fratello: è scandalo. Il Tulumello stila una lettera di fuoco. Sarebbe stato scandalo aggiunto a scandalo: chissà chi riesce a bloccare quella rovente accusa. Oggi gli eredi di Calogero Savatteri detengono quella lettera non firmata.

  All’archivio di stato di Agrigento permane il carteggio sull’eroicomico gesto dei Matrona su cui in definitiva quel colonnello citato da Sciascia poggia i grandi meriti di lotta alla mafia di quella celebrata famiglia. Siamo nel novembre del 1873. L’intera corte familiari di quegli ottimati se ne sta ancora in “campagna”, in quella villa cioè esaltata da Sciascia per almeno due volte: nella citata prefazione al libro del Tinebra e nella recente pubblicazione - a spese della comunità comunale provinciale e regionale - “gli amici della Noce”. Nella prefazione (pag. 13) abbiamo questa ammaliata descrizione «Mentre scrivo, nella mia casa di campagna di contrada Noce, ho di fronte - da una collina all’altra - la settecentesca casa di villeggiatura dei Matrona, grande ed armoniosa .. E ancora negli anni della mia infanzia era luogo di meraviglia, di delizia. C’erano palme e magnolie, siepi di rose e d’oleandro, alberi qui rari come i corbezzoli, i giuggioli; e giganteschi pini di fitta ombra e odorosi. C’era pure una grotta che nelle pareti e nella volta era stata rivestita di cristallini, splendenti schisti di zolfo e di salgemma, di stalattiti. C’erano le due fontane: una rettangolare, ad abbeverarvi  i cavalli; l’altra rotonda, grande, in mezzo una colonna con sopra un vaso traboccante di capelvenere - e il fresco suono dell’acqua.» E la suggestione si accende di erotismo - insolito in Sciascia - ne “Gli amici della Noce” [pag. 7]: «E delle villeggiature di quella grande famiglia è rimosto favoloso ricordo: delle feste; delle colazioni sull’erba in cui tra i lini e gli argenti, nel profumo delle magnolie, e luminose e profumate come magnolie, donne di mai più vista bellezza splendevano; delle carrozze dorate e stemmate; dei cavalli, dei cavalieri, dei lacché, degli stallieri, dei cuochi.» E l’Autore squarcia il suo usuale velo pudico [pag. 11]: «Dal punto in cui ho l’abitudine di sedere ogni sera, - confida - alla stessa ora, vedo un paesaggio in tutto simile a quello che fa da sfondo all’Amor sacro e all’Amor profano del Tiziano: e la sera trascorre in esso come una delle tizianesche donne serene e opulente. Poi di colpo, come un ventaglio, quella visione si chiude: ed è la notte col suo pergolato di stelle e con la luna così vicina che sembra la si possa colpire e far vibrare come un gong.»



Ma una cronaca meno ammaliante, anzi prosaicamente meschina, la possediamo e riguarda proprio quella grande famiglia. Citiamola, senza orpelli: «!3 dicembre 1873. Sin dal giorno 23 novembre ultimo scorso, la contrada della Noce veniva turbata dalla presenza di più malfattori. Il fatto che quattro persone armate, eransi rivolte giorni prima per la casina dei ricchi borgesi fratelli Brucculeri, che scamparono dalla rete dandosi alla fuga, e ricoverandosi nella casina del nominato Rosina Francesco, erasi pubblicato nel nostro comune, ed ogni cittadino si asteneva di portarsi in quelle campagne.

« ... il giorno 4 Dicembre, sei persone armate si presentarono nel fondo di proprietà dei sopradetti Sig.ri Matrona, e stabilendosi alla distanza di 100 metri dalla casina inviarono il giovane Luigi Mansella, uno dei famoli della casina Matrona a domandare il pane. Il sig. Matrona Gaspare, ben comprende la sfida, conoscendo essere quella la formola dei briganti che si presentano pel bottino. Comprese il pericolo nel quale si trovava l’intiera famiglia, mentre d’unità allo stesso e sua moglie, trovavasi anco il fratello Michele con una figlia a 13 anni, ed una bimba di anni 3, e l’altro fratello scapolo Napoleone [...] Chiamati a sé i due fratelli, il nominato Vinci Calogero suo affezionato sovraintendente, il castaldo Gagliardi Nicolò, Denaro Giuseppe, e lo stesso Mansella Luigi, ed uniti partono dalla casina, lasciando a guardia delle tremanti donne i tre contadini Mansella Giovanni, Letterio Gagliardi e Casa Tommaso. [Viene descritta qui prolissamente la caccia ai briganti, n.d.r.] [E sia come sia, accorre in aiuto] il comandante dei militi a cavallo sig. Leone Giuseppe. [In tal modo riescono ad arrestare 4 banditi: due però riescono a scappare, ma non vanno lontano visto visto che il fratello Napoleone con Tommasa Casa] valse a disarmarli ed arrestarli.

«E la giunta, compresa della valorosa  azione, sul riguardo:

«1° che il sig. Matrona Gaspare di anni 34, ammogliato senza prole, colla qualità di Sindaco, e in ottimo e sicuro stato di fortuna;

«2° che il sig. Michele Matrona di anni 36, ammogliato e padre di sette figli nello stato di fortuna come sopra;

«3° che il sig. Napoleone Matrona, scapolo di 31 anni ...

«tutti figli di Pietro di Racalmuto, arrischiarono evidentemente la propria vita, per arrestare n.° 6 malfattori, che infestarono la contrada Noce [...] determina di venire accordata, a ciascuno degli stessi, una medaglia d’oro del valore di L. 100; sopra un lato sarà effigiato lo stemma di Racalmuto con intorno il motto AL VALORE CIVILE, e nell’altro lato scolpito il nome del benemerito, col motto ARRESTO BANDA ARMATA 4 dicembre 1873. CONTRADA NOCE.

« ... Questa Amministrazione accorda le seguenti ricompense pecuniarie:

«1° L. 70 a Danaro Giuseppe da Bagaria, contadino:

«2° L. 70 a Casa Tommaso da Bagaria, contadino;

«3° L. 70 a Mansella Luigi da Racalmuto, contadino;

«4° L. 40 a Letterio Gagliardi da Bagaria, contadino;

«5° L. 40 a Mansella Giovanni da Racalmuto.»

Quella storiella che puzza di ipocrisia e di peculato per retribuzioni improprie dei propri scherani a spese del Comune - altro che un don Gasparino che ci rimetteva di tasca sua! - ha convinto solo il colonnello di Sciascia, che ancora un paio d’anni dopo la ammanniva ai commissari dell’inchiesta parlamentare. Già il prefetto si era proprio indispettito per tutte quelle manfrine dei Matrona che cercavano di fare apparire atti eroici mere espressioni della loro prepotenza, del loro contorno di bagarioti, di quel sovrastante a nome Vinci che abbiamo visto ben tratteggiato nella lettera anonima  che racconta della strusciata di piedi avverso il nuovo casino del barone Tulumello. Va notato che il prefetto stizzosamente boccia quella impudente delibera della giunta comunale di Racalmuto con queste eloquenti parole: «le insegne e medaglie dei quali possono fregiarsi i cittadini sono quelle concesse dal governo.» (nota del 25 marzo 1875). Più che un sindaco repressore della mafia, don Gasparino  emerge dai vecchi documenti come un uomo al top della cupola cui non si può impunemente far torto alcuno. Un incidente come quello del 1873 - in effetti dei poveracci affamati e latitanti pietivano un po’ di pane e non c’era nessun messaggio occulto - si ripeté qualche tempo dopo. Riferisce il procuratore del re [28] alla Commissione d’inchiesta del 1875: «Quando poi ci inoltriamo verso Palma, naro, Favara, Castrofilippo, Racalmuto questi reati pigliano proporzioni più serie. Vi è la banda Sajeva, capitanata dal Sajeva, che va commettendo grassazioni in un punto e in un altro. [....] Molte volte sono gli stessi contadini che noi vediamo lavorando che hanno commesso delle grassazioni, come accadde a pochi passi dal Comune di Grotte, dove si presentarono alla vettura pubblica dove vi erano sei o sette signori fra cui il sindaco di Racalmuto, hanno intimato al cocchiere di scendere, hanno fatto uscire tutti dalla vettura, li hanno fatto mettere bocconi per terra, e li hanno depredati di 700 o 800 lire, e poi tranquillamente hanno imposto di andare avanti. Fuvvi chi disse che erano quei lavoranti delle campagne, accorse la forza pubblica ... si sono già fatti sette arresti.» Noi siamo certi che quell’affronto do Gasparino  non lo subì passivamente: poi gli amici degli amici di Grotte furono sicuramente solerti nel recuperare il maltolto e nel punire gli insolenti.

Eugenio Napoleone Messana ha pagine piene di spunti storici pregevoli su questo periodo: egli tratteggia la figura di Gaspare Matrona (pag. 265-273) con qualche faziosità plaudente - forse per compiacere Sciascia, che però gli fu ingrato - ma tutto sommato con sufficiente attendibilità e con dovizia di documenti inediti.

Un quadro disarmante viene però dal testo delle deposizioni che don Gasparino Matrona ed altri furono costretti a fare al distaccamento della giunta d’inchiesta. Le lettere anonime sortino il loro buon effetto e così il 21 dicembre del 1875 un senatore, un consigliere di stato, un deputato e tanto di segretario ufficiale si insediano nel comune per indagare sui massimi esponenti della politica locale e della pubblica amministrazione sedente in Racalmuto.  Trascriviamo dal fascicolo 11, sott. 8  [29]gli «Appunti degli interrogatori tenuti dalla sottocommissione nella città di Racalmuto nel giorno 21 Dicembre 1875 - Sezione della Giunta Comm. Verga Sen. ff. da presidente, Alasia, Consigliere di Stato, Cav. Luigi Gravina Deputato - Testimoni uditi:

1) Gaspare Matrona - Sindaco

2) Enrico Micali-Freri Pretore

3) Delegato di Pubblica Sicurezza

4) Bonfanti Antonio Maresciallo Carab.

5) Dr. Diego Scibetti Troise

6) Carlo Lupi

7) Giuseppe Grillo.»

Il fascicolo n.° 66 contiene la seguente trascrizione stenografica:

«Racalmuto 21 Dicembre 1875.

Comm. Verga

Comm. Alasia

Deputato Gravina

                 ------

Gaspare Matrona - Sindaco di Racalmuto.

= S.P.?

“Ottime le condizioni di S.P. qui si è dato sempre il buon esempio a reprimere i birbanti. Le autorità hanno coadiuvato.

= Ammonizioni?

“Molti e bene ammonimenti. Si è visto tornare dal domicilio coatto Caloggero [sic] Morello di Canicattì. E’ ritornato prima che finisse la pena. La voce pubblica dice che la prefettura l’ha fatto tornare prima per servirsene.

= Sono sorvegliati gli ammoniti?

“Non abbiamo che i Carabinieri ed a questi è affidato il servizio.

= Le autorità disimpegnano il loro ufficio?

“Sì, succede qualche cosa ma non è scossa la S.P.

= Ma la S.P. anche in campagna?

“ Parlare di Racalmuto nelle campagne non ci può essere sicurezza. C’è ancora il Sajeva di Favara, un altro di Girgenti e qualche altro. Per Racalmuto non c’è che la classe dei solfatari che è a tenersi in guardia. Però la cittadinanza ha sempre dato braccio forte alle Autorità.

= Attriti ce ne sono?

“ Da qualche tempo in qua c’èstato qualcosa, per quistione municipale. La reale causa è la presenza di un Gesuita Padre Nalbone il quale ha suscitato degli attriti; si è messo a capo di un partito elettorale.

= Ci è partito clericale?

“E sì, ci è.

= Le Autorità si sono immischiate?

“ No ... Io come sindaco non mi sono immischiato, ma quando si è trattato di questione elettorale ho dovuto prendere parte ... Qui i carabinieri hanno poco da fare, qui li chiamano Canonici.

= L’amministrazione comunale?

“E’ in buone condizioni, debiti non ne abbiamo. Non abbiamo altra imposta che il dazio di consumo.

= Scuole?

Le scuole elementari, e le scuole facoltative le abbiamo avute nel passato e le scuole serali.

= Asili?

“ Niente.

= La sovrimposta?

“ La sovrimposta l’abbiamo per la costruzione delle vie.

= Opere Pie?

“ L?antico monte frumentario, oggi tradotto in Monte di pegnorazione. Vi sono poi le congreghe che sono ricche, ho fatto di tutto per farle tradurre in opere di beneficenza, ma non ci sono riuscito.

= Amm.ne Giustizia?

“ Non ho che osservare. E’ in regola mentreché è importantissima questa Pretura.

= E l’affare fanciulli nelle zolfare?

“E’ questione grave, ci è l’umanità da una parte e l’interesse economico dall’altro.

= Produce danni fisici e morali?

“ Non quanto si crede. Per le zolfare credo che ci vorrebbe una specie di consorzio. Qui la proprietà è divisa. Tutti siamo nella commodità generale. Per togliere l’acqua occorrerebbe potersi avvalere della costruzione di acquedotto dei terreni sottostanti; una specie di servitù di acquedotto o meglio consorzio.

= Ferrovie?

“ Insiste per la linea Caldaje dicendo essere utile all’industria per lo zolfo e le saline. Dice che la strada di Racalmuto è stata dichiarata comunale. Si sono fatte due strade intercomunali.

= Pel servizio delle imposte?

Ci sono sempre reclami, ci è deèerimento sempre e variazioni continuee nelle miniere.

= Ricchezza Mobile, ci è vessazione?

“ Si lamenta la lungheria nella via dei reclami, a me non consta che ci siano lagnanze per arbitrio dell’Agente. Io credo che il lamento non è di pagare la tassa, è di avere i vantaggi che ha il resto d’Italia, manchiamo di strade.

= Macinato?

“ Procede bene. Racalmuto è molto ossequiente alla legge. Raccomanda la ferrovia e l’affare della strada provinciale.



Pretore Enrico Micali-Freni

= S.P.?

“ S.P. non lascia nulla a desiderare. I cittadini si prestano grandemente in favore della S.P. per la scoverta dei reati. Giorni addietro per uno scrocco mercè il Sindaco si seppe tutto e si procedette all’arresto.

= Ammonizioni?

“ Ce ne sono molte. Quelli per i quali finisce il biennio saranno rammoniti. In quanto a sorveglianza è difficile perché il numero è esuberante.

= Quell’individuo Caloggero Morelli ritornato dal domicilio coatto prima del tempo?

“ Non lo so. In quanto ad ammonizioni io credo che bisognerebbe amminire meno.

= Partiti?

“ Ci è un partito che cerca spiantare l’attuale Amministrazione. Io credo che il partito attuale stia bene al potere.

= Chi è capo del partito contrario?

“ Il fratello dell’attuale Sindaco il quale per non comparire mette avanti il barone Tulumello.

= Altri servizi? Imposte?

“ Procedono regolarmente; le Autorità non sono ostacolate.

= Ma le campagne sono sicure?

“ Ci sono piccole grassazioni. Io feci fare degli arresti dei sospetti ed ora stiamo bene. Sono giovanotti che lavorano molto, guadagnano, giocano e bevono. I carabinieri sono ottimi.

Delegato di S.P.

[E’ in missione di delegato da due mesi. La S.P. è migliorata. Parla delle piccole grassazioni e degli arresti fatti e dell’arresto fatto per lettera di scrocco di un tale di Bagheria. La classe intelligente aiuta le autorità. E’ tornato qualcuno dal domicilio coatto.]

= Se con condotta regolare dal loro ritorno? E Calloggero Morelli?

“ L’adopero qualche volta come confidente, perché mi fu raccomandato dal mio predeccesore. Sino ad ora un bel servizio non l’ha ancora reso.

= Partiti?

“ Matrona attuale sindaco e l’altro Tulumello.

= E lei cosa crede?

“ Credo che se trionfa l’altro il bene del paese non ci guadagnerebbe certo.

= Amministrazione della giustizia?

“ Nessun reclamo.

Bonfanti Antonio - Maresciallo dei Carabinieri

 = S.P.?

“ Non è cattiva. Vi è stata qualche cosa perché ora giocano molto. Io credo che tra gli arrestati vi siano i rei delle grassazioni. Io questi li ho visti sempre giocare, con delle donne, anche nelle bettole.

= Ma non ci sono ammoniti?

“ Come si può? Gli ammoniti sono 61 e noi siamo pochi. Qui l’opera della forza pubblica è facile, ci è un sindaco ottimo ed ha un partito di ottima gente.

Dott. Diego Scibetti-Troise - Consigliere Comunale

“ Raccomando le ferrovie delle Caldaje per Canicattì. Vorrebbero che più sorvegliata la classe dei forestieri che vengono a lavorare in Racalmuto. Aumentare la forza per sorvegliarli e mettere le librette.

= Crede nocivo ai fanciulli il lavoro delle miniere?

“ Non soffrono molto. Si sa che il peso che portano sempre loro nuoce. Il paese reclama che non si pensi all’Amministrazione comunale, all’Istruzione Pubblica, non vi sono che scuole elementari, il Comune ha invece voluto spendere a cose di lusso e fare il palazzo.

= Ma le poteva fare, non vi sono debiti?

“ Debiti non appariscono ma ci sono. Di 100.000 lire che furono stanziate per spese se ne sono spese 87.000 per la sola casa comunale, circa 40.000 per la casa dei carabinieri; quindi i debiti ci sono. [Dice che sarebbe inutile la via di Favara].

= Ma le elezioni si fanno regolarmente, le liste sono ben fatte? Che cosa può fare in questo la Commissione d’inchiesta? Si sa che il sindaco deve avere la maggioranza; prendete voi il di sopra!

In fatti di S.P. si aiuta l’Autorità?

“ Siamo tutti uniti nell’ajutare l’Autorità, in quel caso termina ogni idea di partito. Ma nel Consiglio ci vorrebbe altri.

= Che?

“ Io ritengo di sì. La pretura, il delegato, i carabinieri fanno il loro dovere.

= Imposte?

“ Niente ... Abbiamo ottimo esattore.

= Macinato?

“ Niente.

Carlo Lupi

= L’Amministrazione comunale?

“ Va benissimo l’amministrazione comunale perché il sindaco è ottimo.

= S.P.?

“ Nell’interno è ottima ma nelle campagne ci è qualcosa.

= Le ammonizioni procedono bene?

“ Sì.

= I carabinieri?

“ Ottimi.

= Elezioni, imposte?

“ Niente

= A’ altro da dire?

“ [Parla del Matrona fratello del sindaco che è un clericale, nemico di ogni progresso.

= Ma per la casa ci è debito?

“ No.

= E’ forte il partito Matrona?

“ Non tanto ... Il Matrona ed il gesuita che venne qui, hanno cercato minare il paese. Il Matrona accusa il Municipio di aver fatta la strada comunale per andare commodamente al suo podere.

= Ma si lagna il partito contrario per la mancanza di scuola tecnica?

“ La scuola tecnica non avrebbe che un solo allievo. L’avevamo e la togliemmo per mancanza di allievi.

= La scuola elementare quanti allivi ha?

“ Oggi sono dodici.



Giuseppe Grillo Cavallaro

 S.P.?

“ Qualche cosa succede raramente.

= Imposte?

“ Niente a deplorare.

= Partiti?

“ Sì per ambizione.»

Da annotare. Colpisce il fatto che proprio il fratello del sindaco stia dalla parte avversa, con il gesuita Nalbone. Don Giuseppe Matrona - su cui abbiamo dato prima ragguagli - quella faccendo di essere finito in galera per la iattanza del prefetto Falconcini non ebbe mai a digerirla. Rimase ostile ai savoiardi ed a quali li rappresentassero, fosse anche il giovane e rampante fratello don Gasparino, che evidentemente per bramosia di potere fu disposto a tenere in poco conto i torti subiti dalla sua prestigiosa famiglia ed a dimenticare quegli abbracci umilianti in presenza del sindaco Mirabile di Agrigento. Più indaghi e più la figura di don Gasparino si deteriora, a scorno dell’esaltazione sciasciana.

Nelle poche battute riportate nel resoconto stenografico della Commissione d’inchiesta, don Gasparino appare arrogante, incolto, ma particolarmente cinico quando accenna alla sorte dei “carusi” delle miniere di zolfo. Anche in questa occasione don Gasparino emerge come uomo che domina la mafia: una lettera di scrocco? Arriva lui e tutto va a posto.

Vi è un codazzo di corifei attorno a don Gasparino: pretore, maresciallo dei carabinieri, il lacchè Carlo Lupi, l’evanescente Giuseppe Grillo Cavallaro, non hanno pudori, non hanno ritegno quando si tratta di esaltare il loro protettore, il sindaco don Gasparino. Nelle brume della memoria, dopo, quegli opportunismi divennero esaltante mito che perdura sino ai nostri giorni, con il suggello di tanto nome: Leonardo Sciascia. Una sola voce discorde: quella del dott. Diego Scibetti-Troise; ma ci pensano addirittura i commissari a redarguirlo. E via l’obiettività di quell’organo inquirente. L’Italietta sabauda scendeva a valle per difendere, massonicamente, l’irrequieto giovanotto racalmutese di buona famiglia, don Gasparino Matrona.

Frattanto a Racalmuto abbiamo ben 61 ammoniti, un solo allievo alle scuole tecniche - che il provvido don Gasparino si affretta a chiudere per risparmiare e costruire la faraonica casa comunale - e solo 12 alunni alla scuole elementari, una popolazione scolastica inconsistente  in un comune che quasi fiorava i venti mila abitanti. E la tragica situazione del lavoro minorile nelle miniere, che metteva in apprensione i galantuomini racalmutesi solo per il fatto che qualche riflesso si aveva sulla pubblica sicurezza; per il resto c’era solo da storcere il muso per i troppi soldi guadagnati da quei traviati minori, e per il loro vezzo di spenderli  al gioco e con le donne. La cifra morale degli ottimati racalmutesi non è elevata. E don Gasparino non fa eccezione, anzi!

Di fronte a Sciascia scrittore, noi restiamo ammaliati; la sua prosa è musica, la sua visionarietà è sublime, il suo moralismo sconcertante, la sua ironia corrosiva, il suo periodare pieno d’inventiva inusitata ed avvolgente. Non era tenuto alla verità storica ed infatti non l’amò. A noi  - che molto più sommessamente - andiamo in cerca del vero storico del locale arrovellarsi umano, resta l’intralcio di un grande scrittore che ha voglia di stravolgere il banale avvenimento, il prosaico ruolo degli ottimati racalmutesi, l’affaccendarsi ingenuo, ma non perverso, di preti e frati del minuscolo proscenio nostrano. Nella prefazione al libro del Tinebra, Sciascia si lascia andare a tutta una serie di giudizi storici su figure ed avvenimenti della Racalmuto dell’Ottocento: ebbene quelle valutazioni ci paiono decisamente cervellotiche. Dice Sciascia: «La richiesta e la ricerca del libro [del Tinebra] divenne tanto intensa quanto vana. E non la spense la pubblicazione  .. della storia del paese di E.N. Messana, voluminosa, fitta di notizie.» [pag. 8]; ma dopo, alla fine [pag. 15], «limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono estrarre da libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi tentacoli sono quelle che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della memoria.» Ci pare uno Sciascia o in vena di contraddizioni o di sardoniche, eppure sotterranee, stroncature degli insaccati cronachistici del Messana. In ogni caso della “galassia della memoria” sciasciana, da punto di vista storico, c’è molto da diffidare. I Matrona non possono davvero essere definiti: «una famiglia che per amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio o, più esattamente, andava travasando nel patrimonio pubblico.» Abbiamo visto invece come quei matrona tendessero a farsi assegnare medaglie d’oro ultracostose e come tendessero a dar dare soldi pubblici ai propri famigli bagarioti, e come facessero finanziare strade comode che comodamente collegassero il paese ai loro poderi, alla Noce, a pro’ di loro e dei soliti “amici della Noce”, allora come adesso. Certo, se non si trattasse di Sciascia, sarebbe da sghignazzo un’elucubrazione così ingenua come la seguente: «Naturalmente, - vedi pag. 12 - i Matrona dei nemici: ma si scoprirono più tardi, aggregandosi alla famiglia Tulumello. Intanto, nel 1875-76, si limitavano a denuncie [sic] anonime: e la commissione d’inchiesta (si chiamava propriamente giunta), ne riceve tre: contro l’amministrazione comunale, contro il sindaco Gaspare Matrona. Ma si infrangevano contro l’evidenza di quel comune  amministrato con tanta dedizione, coraggio e generosità che il colonnello propone a modello non solo della Sicilia ma dell’Italia intera. E si capisce che nel giro di mezzo secolo i Matrona furono poveri, sicché fu facile ai loro avversari batterli: col conseguente effetto di un ritorno al malandrinaggio, della mafia, delle usurpazioni e prevaricazioni. [Corsivo ns.]» Spropositi del genere vanno solo negletti. A dire il vero i Tulumello non abbatterono don Gasparino Matrona. Questi cedé la sindacatura al suo correligionario don Gioacchino Savatteri, nel 1875 per le vicende che abbiamo adombrato. Don Gioacchino Savatteri dovette abbandonare la sindacatura per un sospetto peculato di L. 7.535. Le carte dell’archivio di stato di Agrigento del 1890 insolentiscono quella nefanda gestione: «Nel comune di Racalmuto - sbraitano - l’inchiesta a carico della precedente amministrazione non è ancora compiuta e già abbe a risultare un’appropriazione indebita di L. 7.535 a carico dell’ex sindaco Savatteri che fu denunziato all’autorità giudiziaria.» Sciascia aveva ataviche subalternità verso i Matrona. Confessa [pag. 13] «tutto sommato, devo ai Matrona questo mio rifugio in campagna: perché mio nonno loro fedelissimo elettore, volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un secolo).» Noi non abbiamo di siffatte gratitudini: anzi ribolle la rivolta ancestrale dei miei poveri antenati zolfatai, sfruttati da tali arroganti “civili”, galantuomini, ottimati, signorotti o come diavolo si chiamano; sfruttati anche per «non sapere scrivere né sottoscrivere per non averlo mai appreso.»[30] E gli zolfatai non sapevano leggere e scrivere perché facevano comodo da “carusi” andare nelle miniere dei Matrona (e di altri ottimati), come arrogantemente don Gasparino dichiara ai membri della Giunta. E si è visto come don Gasparino risparmiasse sull’istruzione dei figli del popolo, avendo più a cuore gli spettacoli lirici, propoziatrici di tresce con attrici, cantanti e ballerine. Eh! Sciascia, Sciascia! Lascia perdere i Matrona tutti presi a far [pag. 11] «scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro.» Ed in men di cinque anni (la sindatura di don Gasparino dura secondo il Messana , appendice 29a, dal 1872 al 1876): non ci crede neppure il prof. Salvatore restivo che pu sappiamo quanto sia devoto alla memoria di Sciascia. Giustamente annota, ad esempio, che il teatro di Racalmuto fu inaugurato il 9.11.1880, come dire quattro anni dopo la defenestrazione dei matrona per un duello mancato. L’avversato Messana comprova che nel 1874, in pieno regime di don Gasparino, 32 erano i racalmutesi “aderenti alla mafia” secondo la segnalazione del delagato di P.S. Annibale Macaluso (cfr. appendice XVII, pag. 493). Il sottotenente comandante la sezione dei carabinieri di Racalmuto, G. Bianchi, ha un concetto tutto personale, ottocentesco, della legge se scrive: «l’attuale sindaco di quel paese sig. Matrona Cav. Gaspare è l’unico cittadino capace di mantenere obbedienti alle Leggi dello Stato una massa di uomini oltremodo ignorante e proclivi a qualunque reato». [31] Oggi - molto più civilmente - quel sindaco finirebbe nelle grinfie dell’Antimafia, proprio quella che Sciascia non amò tanto.





Archivio  Centrale di Stato  - Roma - "Commissione Parlamentare d'inchiesta - 1875-76"



«Vi è una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto - rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figutante agli atti - contro il Sindaco di Racalmuto - cfr. Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1»



«Fascicolo 11 sott. 8 -

[V. acclusa fotocopia]

[Cfr. Fascicolo 66 per la trascrizione del resoconto stenografico]









[Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia 1875, SCATOLA 7 FASCICOLO 5 - sf. 2 LETTERA  "A" n. 15]



da Racalmuto, 20 dicembre 1875 (anonimo)

«Illustrissimi Signori Onorevoli

Componenti la Commissione

d'inchiesta parlamentare

Canicattì



«Illustrissimi Signori,

«Racalmuto, che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante appettando una visita delle Signorie loro ill.mi per dare una forma  di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla riparazione ed alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro Augusto Sovrano .

«E però l'allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. S'addolora dippiù sentendo che ga chiamato una Commissione scelta dal seno d'un partito che vuole a forza imporsi con violenze, con prepotenze e con illegalità e ch'è in urto alle ispirazioni pubbliche. L'ultima cronaca del paese è bastante delineata dalla stampa, che per ultimo risultato pose al silenzio i nemici pubblici.

«Dei reclami si sono presentati alle Autorità superiori della Provincia, senza risultati. Signori Onorevoli! Racalmuto per più versi non è paese che merita essere abbandonato! ...E' perciò pubblica anzia [sic] di far sentire i proprii lamenti alla Commissione d'inchiesta Dalle Signorie loro bene rappresentata; e si è sicuri che si convincerebbero che sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare.

«Si chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno  fratelli Matrona, Cammillo Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele Mantia, Arciprete, Michiele Alaimo, Gioachino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi in più o in meno; e formano i gaudenti dell'azienda Comunale.

«Con ogni sicurezza allora le SS.LL.II. si potrebbero fare giusta es adequata [sic] immagine delle condizioni attuali lacrimevoli del paese, per promuoversi gli opportuni e giusti provvedimenti.

«Si spera giustizia.

«Racalmuto 20 Dicembre 1875»



Nella "Rubricella" contenuta nella Scatola 7[Renato GRISPO- L'Archivio della Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia - Inventario - Cappelli Editore 1969 porta [5] - L'archivio usa questo testo per inventario, ma la numerazione non corrisponde alle scatole] e che riguarda le "petizioni", alla lettera  N risulta la seguente annotazione che ci porta se non all'autore, almeno all'ispiratore delle precedenti lettere non firmate:

«                                                                N.ro ordine

«Nalbone Francesco                       1             "al prefetto di Girgenti"



e nell' «Elenco dei Reclami e petizioni» [Stessa scatola 7, stesso fascicolo 5, ma sottofascicolo 3, elenco ben diverso dalla Rubrucella p.c.] vine meglio precisato come così di seguito:

1 Nalbone Francesco di Racalmuto      «Reclamo contro il Sindaco di Racalmuto»





* * * * * *

Archivio di Stato di Agrigento

Da Inventario n. 32



Conto di Racalmuto del 1878 presentato da Nalbone Luigi.



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 Fascicolo n. 403 (Inventario n. 32)

 - Conti Racalmuto 1869-1887

«Conto entrata ed uscita per l'esercizio 1886.

reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.»



- Anno 1885



reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.

































[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C 1]

Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)  1925 - Busta 80 sf. C 1]

Espresso del 30 luglio 1925.

«il 15 andante circa 120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti recaronsi quello scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che fermatosi pochi minuti promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno 20 successivo tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno solidarietà e per analogo scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose trattative .... fu raggiunto accordo sulla base  ... dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»

Testo accordo:

«L'anno 1925 addì 28 luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.

 «Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav. Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto esercente miniera Quattrofinaiti  Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza  per la  sua parte della miniera Gubellina  ... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino, Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1° Agosto 1925.

«Gli esercenti tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118 ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale, concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base pagato sin oggi.

«Tale aumento unito ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul prezzo base.

«[.......]

«I rappresentanti delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da domani 29 andante.»





Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)  1932 - Busta 41 sf. C 1]





30.6.1932

«29 corrente Racalmuto - Nalbone Luigi proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera - ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto - Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»





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Da una lista a stampa dell'Archivio di Stato di Agrigento

«Lista della sezione elettorale di Racalmuto.

«N.ro d'ordine  - Elettori Cognomi e nomi - PATERNITA' - data nascita - titolo o qualità che gli

lista   lista                                                                                                                        conferisce il diritto 

com  politica                                                                                                                  elettorale commer-

mer   comuna                                                                                                                le

ciia    le

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181     316       - Nalbone Giuseppe      di Luigi     - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo.

182     317       - Nalbone Angelo          di Luigi      - 2 giugno 1863


[1] ) Enrico Falconcini, Cinque mesi di prefettura in Sicilia, Firenze 1863, pag. 49.
[2] ) Massimo Gangi, La Sicilia contemporanea - pag. 117.
[3] ) Domenico De Gregorio - Ottocento Ecclesiastico Agrigentino - vol. II, La sede vacante - Agrigento 1968, pag.32 e 33.
[4] ) Giovanni Spadolini tesse uno sperticato elogio di questo napoletano, esponente della Destra, nel libro su Gli Uomini che fecero l’Italia - L’Ottocento -  Longanesi  1972 . pag. 174 e ss.
[5] ) Leonardo Sciascia - Le parrocchie di Regalpetra - Bari 1982, pag. 24
[6]) Mons. Domenico De Gregorio, Ottocento ..., op. cit. pag. 52.
[7] ) Invero un don Luigi Tulumello di un otaio defunto, don Gaspare, era pu vivente a Racalmuto; ma non crediamo che avesse cultura ed interesse alle questioni di diritto canonico, a meno che non scrivesse d’ordine e per conto di chissà chi. In matrice abbiamo rivenuto quest’atto di matrimonio:

1825
11/6/1825
TULUMELLO Dn LUIGI FU Nr D. IGNAZIO
MATTINA D. ROSALIA
TULUMELLO D. ROSA DEL BARONE D. LUIGI E
GRILLO D. MARIA

[8]) Luigi Pirandello - I vecchi e i giovani - Oscar Mondadori 1973 - pag. 142-143
[9]) Nino Savarese - La Sicilia nei suoi aspetti poco noti od ignoti - in Delle cose di Sicilia - vol. IV - Sellerio editore Palermo 1986, pag. 254 e segg.
[10]) Cfr. Atti della Giunta per l’Inchiesa Agraria sulle condizioni della classe agricola, vol. XIII, tomo I, fasc. III, Relazione generale, Roma 1885, pp.  661-662.
[11]) Cfr. L. Hamilton Caico, Vicende e costumi siciliani, Epos, Palermo 1983, pp. 118-121.
[12]) Archivio Centrale dello Stato - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza - 1930, busta 310 fasc. C1 - Relazione del prefetto Miglio del 16 luglio 1931.
[13]) Cit. in  S. Bosco, Il proletariato a Favara. Lotte scioperi ed altre manifestazioni dal 1860 al 1960, Sicilia Punto L Edizioni, Ragusa. S.d., p. 75.
[14]) Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l’inchiesta sulla Sicilia - Fascicolo 66.
[15]) Elaborazione dai dati riportati dallo studio di Mario Cassetti - Fascismo e crollo operaio. I villaggi minerari (1937-1942) in Economia e società nell’area dello zolfo - secoli XIX-XX  - Sciascia Caltanissetta editore 1989 - pag. 456.
[16]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 443.
[17] ) Camera dei Deputati - Discussioni - 6° Periodo, pag. 6341 e segg.; ibidem, tornata del 12 giugno 1863, pag. 237  e segg.
[18] ) Archivio di Stato di Agrigento - Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[19] ) Archivio di Stato di Agrigento - Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[20] ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 279.
[21] ) Archivio Stato Agrigento - Inventario 18 - Atti prefettura - voll. 43-43bis.
[22] ) Calogero Savatteri. Pensieri .. Favara 1879, pag. 63
[23] ) ARCHIVIO DI STATO DI AGRIGENTO  - Inventario n. 18 - fascicolo n. 42
[24] ) Angelo Sferrazza Papa, S.J. - Francesco di Paola Nalbone, S.J. - L’uomo - il sacerdote - il gesuita - Istituto “Ignatianum” - Messina 1995 - passim, ma in particolare pagg. 17-22.
[25] ) Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia 1875, Scatola 7 fascicolo 5 - sf. 2 [sottofascicolo 2] lettera A   n. 13 -  "inchiesta - Lettera Anonima [n. 13] 1875 [Fascicolo 5- sf. 2- 13]. In effetti la lettera non era anonima: a firmarla era stato tal Francesco Nalbone come emerge  dal Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1 ove si annota che  una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto era stata rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figurava agli atti: la lettera era contro il Sindaco di Racalmuto .

[26] ) In matrice il Busuito è così segnato: « Collegiale, Missionario, predicatore, quaresimalista, consultore del S. Officio, Parroco di Comitini, Maestro di Spirito sotto Mons. Gioeni alla casa degli oblati e sotto Mons. Lucchesi successivamente - M. di Lettere, di teologia Morale, Prefetto di Studii, Direttore - Rettore del Seminario di Girgenti - Vicario Foraneo - Beneficiale del SS. Crocifisso - Economo - Obiit 29 Januari 1802 - d’anni 74.
[27] ) Salvatore Cucinotta - Sicilia e siciliani, dalle riforme borboniche al “rivolgimento” piemontese - Soppressioni - Ed. Siciliane Messina, 1996 - pag. 483 n.° 441. Invero, quell’esimio studioso mal trascrive vari dati: bisogna infatti leggere “L. Nabbone” per “L. Nalbone”, “c. Bruscamente” per “contrada Sacramento”. Il Nalbone ebbe ad offrire L. 655 maggiorando sensibilmente il prezzo base dell’asta fissato in L. 423, maggiorandolo del 54,85%: ovviamente vi teneva proprio: ma 655 lire di allora erano davvero una bella sommetta. Si trattava di quattro ettari di terre seminativi in una contrada che crediamo essere quella di Racalmuto: non ho conoscenze di contrade con tal nome in quel di Grotte, come i dati riportati dal Cucinotta potrebbero far credere. L’aggiudicazione di quei beni ecclesiastici - con comminazione di scomunica ipso facto - avvenne nel 1879. In quell’anno due gesuiti vantava proprio don Luigi Nalbone nella sua famiglia: p. Giuseppe che doveva essere a Noto essendovi stato chiamato nel 1878 da Mons. Giovanni Blandini come Rettore, Prefetto degli studi e Amministratore del Seminario (cfr. P. Sferrazza, op. cit. pag. 33); ed il futuro papa nero, anche se a quel tempo era solo sul punto di andare novizio dai gesuiti. Non certo dal figlio che era solo un adolescente, ma dall’intrigante fratello ebbe il benestare ad imbarcarsi in un’asta sacrilega?
[28] ) Archivio centrale di Stato - Roma - resoconto stenografico degli interrogatori in Girgenti nella tornata del 16-12-1875 pag. 123 e ss.
[29] ) Archivio centrale di Stato - Roma - Commissione Inchiesta Sicilia 1875-1876.
[30] ) da un atto del notaio Grillo Borgese del 1860, rog.to un Racalmuto 18 ottobre 1860 li. 1 col. 19 f  98 n.° 1794 c.a 5, ricevuti grana venti - D. 20. - Il ricevitore : P. Alfano.
[31]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 492.



Il XV secolo

Il XV secolo Racalmuto lo trascorre sotto l’egida dei Del Carretto. Matteo del Carretto muore nel 1400; gli succede il figlio Giovanni che deve vedersela con gli esosi Martino. E’ costretto ad esibire una nutrita documentazione e pagare tante once per avere confermato il titolo di barone di Racalmuto. Vi riesce. E buon per noi perché possiamo ora consultare presso l’archivio di stato di Palermo quella documentazione ed avere preziose notizie sul nostro paese. Giovanni I del Carretto a noi sembra un barone oculato, laborioso e in definitiva attaccato al paese che sotto di lui cresce e si consolida. Ma lo storico francese Henri Bresc la pensa diversamente ed è sicuro che il figlio di Matteo finì male e dovette cedere la baronia agli Isfar di Siculiana. A conferma della sua tesi, cita documenti spagnoli. Li cita in termini talmente evasivi da impedirci, per il momento, riscontri convincenti. Siamo dunque costretti a lasciare in sospeso la questione.
La baronia ritorna, in ogni caso, ai Del Carretto: Federico, figlio di Giovanni I, riceve l’investitura da Alfonso d’Aragona l’11 febbraio 1451; viene salassato, deve corrispondere 20 once ogni anno, deve rendere omaggio nelle forme solenni, deve rispettare i diritti di “legnatico” dei cittadini racalmutesi, non è proprietario delle miniere, delle saline e delle antiche difese del luogo, deve salvaguardare la libertà di pascolo dei paesani e degli equipaggiamenti regi. In compenso ha il dominio assoluto sul feudo racalmutese che si estende però alla parte nord-ovest del paese. La parte sud-ovest (Gibillini ed il Castelluccio) costituisce un altro feudo (si diceva allora “stato”) ed apparteneva per due terzi alla famiglia De Marinis di Favara. Il restante terzo non si è mai saputo a chi appartenesse: solo nell’Ottocento vi è stata un’annessione da parte della famiglia Tulumello.
Federico Del Carretto fu un grande affarista: nel 1451 si associò con Mariano Agliata per un’operazione speculativa sul grano simile a certi contratti a termine dei nostri tempi (outright): i due consegnavano al Lomellina il vecchio frumento delle annate 1449 e 1450 e si assicuravano il raccolto dell’anno in corso, consegna a luglio prossimo presso il caricatoio di Siculiana.
Federico del Carretto dovette essere molto esoso con i suoi vassalli racalmutesi se questi nel 1454 si ribellarono violentemente. Il Del Carretto, intanto, procedeva ad acquistare un altro feudo, quello di Rabiuni di Mussomeli, preso da Pietro del Campo. Altri notabili racalmutesi erano diventati anche loro facoltosi: uno di loro, Mazzullo Alongi, teneva in affitto il feudo di San Biagio sempre a Mussomeli.per 14 onze annue, un castrato, un quintale di formaggio ed una “quartara” di burro.
Verso la fine del secolo Federico muore e gli succede il figlio Giovanni II. Forse visse poco, forse il contesto politico era molto agitato, forse era propenso ad evadere, fatto sta che non si sobbarcò alla procedura dell’investitura feudale e non corrispose i balzelli alla corte reale. Qualche anno dopo il Barberi, un ispettore regio particolarmente rigoroso, bolla i Del Carretto per questa evasione fiscale. Intanto era succeduto il figlio di Federico, il celebre Ercole Del Carretto ed anche lui incappa nelle censure dell’inquisitore: si era ben guardato dall’ottemperare agli obblighi feudali dell’investitura. Ed  eravamo già nel XVI secolo.
Racalmuto nel XV secolo passa da 800 a 2500 abitanti circa: più che triplicata, dunque, la popolazione. Non sarà stato tutto merito dei Del Carretto ma tale crescita non è stata almeno impedita; depone a merito dei locali baroni. Non poté trattarsi di mera crescita demografica: condizioni politiche, sociali ed economiche attraevano, di sicuro, gente dai dintorni che trovavano migliori possibilità di vita nella baronia dei Del Carretto.
Vi fu però un fatto gravissimo che palesa una mentalità antisemita. Un ebreo fu barbaramente trucidato a scopo di rapina. Era il 7 luglio 1474 VII Indizione, l’efferato crimine era già avvenuto. Ma Palermo vigila e non consente crimini dal vago sapore razziale. Il viceré Lop Ximen Durrea dà allora commissione ad Oliverio RAFFA  di recarsi  a  Racalmuto per punire coloro che  uccisero  il giudeo Sadia  di  Palermo, e di pubblicare un bando a  Girgenti  per  la protezione di quei giudei. Nei giorni precedenti il giudeo Sadia di Palermo, abitante nel casale di Racalmuto, attendendo ad alcune sue faccende fu ferito mortalmente da un tal Leone, figlio di mastro Raneri. Altri facinorosi del luogo, congregatisi come in un branco, si misero ad infierire contro il povero giudeo. Lo colpirono varie volte alla testa, gli tagliarono la lingua, gli ruppero costole mani e gambe, gli fracassarono i denti ed infine lo gettarono in una fossa. Lo ricoprirono quindi di paglia e vi diedero fuoco. Mentre bruciava gli tirarono pietre e terra. Gli ordini all’algozino (ufficiale di polizia) furono precisi e perentori. Soprattutto, però, bisognava tentare di recuperare “ uno gippuni  in lu quali si dichi erano cosuti chentochinquanta pezi d’oro” (una giacca nella quale si dice che erano cuciti dentro 150 pezzi d’oro). Non sappiamo se i soldi furono recuperati, pensiamo di no. Possiamo essere certi che davvero i responsabili, almeno i caporioni, furono tutti individuati ed insieme a Liuni figliastro di mastro Raneri finirono nelle carceri di Agrigento.
Passeranno meno di vent’anni e nel 1492 la regina Isabella la spunta nel cacciare via dalla Sicilia gli ebrei. Noi, in ogni caso, siamo convinti che solo gli ebrei ricchi emigrarono (soprattutto a Napoli, pare): i poveracci non sapevano dove andare. Cambiarono nome, cambiarono paese, non si circoncisero, divennero marrani e continuarono a vivere in Sicilia. Tanti ne vennero a Racalmuto come i tanti La Licata, Lintini, D’Asaro, Aiduni, Caltabiano, Caltavuturi, Camastra, Castronovo, Castrogiovanni, Chiazza, Madonia, Milazzo, Modica, Monreale, Montilioni, Nicastro, Noto, Petralia, Ragusa, Randazzo, Sicilia, Siragusa, Termini, Terranova, Vicari e simili -  che costellano la nomenclatura dell’anagrafe del ‘500 - fanno trasparire, sia pure con tutte le riserve e cautele del caso.

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