Sulla primissima presenza umana nei dintorni di Racalmuto, non
sappiamo null’altro se non quanto, con qualche ingenuità ed approssimazione da
dilettante, ebbe a riferire, in una sua corrispondenza a W. Helbig, il solerte
ingegnere delle ferrovie, Mauceri ([13]).
Apprendiamo, così, che «le scoperte di tombe antichissime hanno un
importantissimo riscontro nell’altipiano di Pietralonga tra Canicattì e
Racalmuto, ove ebbi la fortuna di esaminare le tracce di un gruppo di tombe
scoperte casualmente. La strada ferrata in costruzione, che va da Canicattì a
Caldare, ... a circa dieci chilometri dalla prima città passa in una terrazza
che si protende a sud-ovest di un altipiano tortuoso, costituito da un gran
banco di roccia calcare non ancora denudato. In questa altura e su vari speroni
rocciosi che in vari sensi si diramano, nella scorsa estate [1879] furono
aperte parecchie cave di pietra per le costruzioni ferroviarie. Quivi i
cavatori avanzando le loro cave in vari punti, ... incontrarono molte tombe che
hanno una perfetta somiglianza con le altre precedentemente descritte.» ([14]) Si
ha, quindi, la descrizione delle tombe, oggi non più rinvenibili. Esse «erano
scavate - aggiunge il Mauceri - quasi tutte nei versante di levante e
mezzogiorno dell’altipiano e dei contrafforti. La loro forma è assai varia;
abbonda per lo più il tipo della tomba a pozzo, come quella di Passarello; ma
sembra che talvolta le celle invece di due siano state tre e anche quattro. In
un punto pare fosse stata aperta una specie di trincea, su cui poi furono scavate
parecchie celle a pozzo, ma irregolari. [...] La chiusura della
bocca dei pozzi o dell’ingresso delle celle è sempre fatta con grossi massi
irregolari, e in cui non scorgesi traccia di alcuna particolare lavoratura.
Tutte le tombe, oltre a contenere più d’uno scheletro e parecchi vasi,
contenevano anche molti ossami di animali, e terra grassa mista a cenere e
carbonigia. Nessun utensile, né di pietra né di metallo.» ([15])
Segue la descrizione di n.° 11 reperti fittili, di cui viene fatta anche una
riproduzione grafica. Trattasi di vasetti di terracotta, di frammenti di una
“coppa di un vaso grande”, di “una specie di olla”, della “coppa di un calice”,
di un “vaso di bucchero”, nonché di un “utensile di terracotta a forma di un
corno”. Non è questa le sede per riportare diffusamente la
descrizione che fornisce il Mauceri: per gli appassionati, si fa rinvio alla
pubblicazione ed alle tavole ivi allegate. La conclusione di quella
corrispondenza contiene affermazioni che l’ulteriore sviluppo dell’archeologia
ha solo in minima parte confermato. «Gli altopiani rocciosi e naturalmente
muniti di Passarello, Pietrarossa, Fundarò e Pietralonga, ([16]) -
conclude l’A. - nei cui contorni sonosi scoverte le tombe da me descritte, mi
sembrano indicare il sito di altrettante dimore stabili dei Sicani, tanto più
che ho osservato alle falde di ciascuno abbondanti sorgenti d’acqua. In ispecie
a Pietralonga, chiunque esamini la contrada, troverà indicatissimo il sito di
una città; ond’io ritengo che di queste notizie potrà in qualche guisa
avvantaggiarsene la topografia antica di Sicilia, potendosi ivi collocare
qualcuna delle città sicane (Ippona, Macella, Jeti, ecc.) di cui è tuttora incerta
la giacitura.»
Dopo
la descrizione di quel rinvenimento casuale, nessuna campagna di scavi è stata
sinora portata avanti nel territorio racalmutese. Quell’antichissima - ma certa
- presenza umana resta dunque per ogni altro verso oggi del tutto oscura. Si
trattò di un popolo sicano, ma come quel popolo visse, con quale evoluzione,
con quali strutture socio-economiche, si ignora del tutto. Possono solo
avanzarsi congetture: ma esse risultano alla fine inappaganti.
Quel
che le affioranti testimonianze archeologiche dimostrano con certezza è un
policentrico insediamento sicano che può farsi risalire all’Età del Bronzo
(1800-1400 a.C.) Oltre alla necropoli lungo la strada ferrata, nei pressi di
Castrofilippo, di cui è cenno presso il Mauceri, il maggior nucleo è quello
sulla fiancata della grotta di Fra Diego. Tombe rade, ma pur presenti, emergono
vicino al Castelluccio, su un avvallamento del Serrone ed in altre contrade
racalmutesi. Molto manomesse, ma non irriconoscibili, sono le tumulazioni
sicane scavate in costoni calcarei sovrastanti la contrada di Casalvecchio o al
confine tra il Saraceno e Sant’Anna.
Si sa che nel XIII-XII secolo a.C. si sviluppa nella media Valle
del Platani un’articolata iconografia tombale micenea. E’ questo il tempo dei
primi contatti con il mondo miceneo. Nella confinante Milena si rinvengono
tombe a tholos e materiali del Mic. III B-C. Secondo il De Miro è da pensare
«ad una miceneizzazione di questa parte dell’Isola tra il Salso ed il Platani,
risalente a veri e propri stanziamenti di nuclei transmarini avvenuti nel
XIII-XII secolo a.C., forse alla ricerca della via del salgemma.» ([17]) Il
Monte Campanella di Milena, ove sono state rinvenute tombe a tholos con
frammenti di vasi micenei e corredo di spade e pugnali di bronzo e un bacile
cipriota del XIII secolo a.C., non è poi tanto lontano dalla necropoli di Fra
Diego; eppure a Racalmuto nulla si è trovato, a memoria d’uomo, che comprovi un
analogo influsso miceneo. Né vi è notizia di tombe a tholos in qualche punto
dell’intero territorio di Racalmuto. Forse è da pensare che la civiltà sicana
sia qui sparita sin dal XIII secolo a.C.? Lo stato delle conoscenze
archeologiche porta a tale conclusione. Scompaiono, dunque, i Sicani o
sopravvivono senza contaminazione? Ed in tal caso per quanti secoli ancora?
Possiamo solo affermare con qualche fondamento che al tempo della
colonizzazione interna dell’Agrigento greca, Racalmuto dovette essere pressoché
disabitato, come la rarefazione delle testimonianze archeologiche paiono
dimostrare.
In sintonia con Milena [vedasi appendice ([i])], Racalmuto fa risalire le
sue ascendenze umane comprovate al Neolitico. La fase neolitica dei dintorni
racalmutesi è variamente comprovata. «Frammenti di ceramica impressa
[provenienti dalla] contrada Fontanazza presso Milena» [18] comproverebbero
insediamenti umani risalenti addirittura al VI-V millennio a.C. La citata
contrada non confina con il nostro territorio ma non sta molto discosta e se
insediamenti umani vi erano in quella lontana epoca neolitica colà, non è poi
azzardato congetturare che incuneamenti abitativi vi dovettero essere a
Racalmuto. Futuri scavi archeologici – ne siamo certi – lo comproveranno. A
Serra del Palco, sul versante ovest di Monte Campanella in Milena, scavi
eseguiti negli anni 1981-82-83 hanno messo in luce «un insediamento del
neolitico medio, ripreso attraverso i vari momenti dell’età del rame.» [19] Fu
epoca questa – antichissima – in cui i nostri antenati seppero costruirsi le
capanne abitative, il La Rosa propende per «introduzione della “cultura del
recinto”» e ciò come peculiarità «del processo di
neolitizzazione della fascia sud-occidentale dell’Isola, determinato
verosimilmente dall’arrivo di piccoli gruppi transmarini, rapidamente assimilati.» [20] E
continuando con l’esimio archeologo, vaggiunto che « … l’episodio si consuma nell’ambito
del neolitico medio, magari attardato [attorno al terzo millennio a.C. dunque,
ndr] , e certamente in un momento anteriore alla introduzione della
tessitura (nessun elemento di fuseruola è stato sinora restituito dallo scavo).
[…] La documentazione di questa “cultura del recinto”, la sua brevità,
l’assenza finora di materiali più tardi di quelli stentinelliani associati a
ceramica tricromica, sono dunque i dati di maggior rilevo per uno specifico
approccio al fenomeno della neolitizzazione nella media valle del Platani.»
Lo sprofondo di Gargilata - con le sue acque (ora
purtroppo sparite), con monti gessosi (atti alle tombe e validi per la difesa),
con la sua stretta contiguità alle zone archeologiche già indagate – fa
affiorare ceramiche antichissime, che, quando verranno studiate, non potranno
che dar la prova di un fenomeno di neolitizzazione anche in terra racalmutese:
e la presenza umana verrà posticipata rispetta alla datazione del Griffo ma
risulterà di sicuro presente già da prima del secondo millennio a.C., anche se,
a quanto pare in base alle recenti risultanze archeologiche, non di molto.
Sulla falsa riga di quanto tracciato da Carla Guzzone sul
neolitico a Serra del Palco (vicina ed omologa al territorio nostrano di
Nord-Est), ipotizziamo presenze umane racalmutesi del tutto analoghe a quelle
evolutive del Neolitico (ben 5 momenti) e della successiva età del rame (due
momenti). Per abbozzare un quadro di ampia massima, siamo costretti per il
momento, in mancanza degli indispensabili e non più rinviabili scavi
stratigrafici, a riecheggiare la sintesi della Guzzone [21]:
a) il
primo momento è quello dei fori sul banco roccioso, destinati all’alloggiamento
di pali lignei per la perimetrazione e il sostegno della copertura di capanne;
b) il
secondo momento è quello delle capanne con battuti pavimentali;
c) segue
poi la fase monumentale; impianti realizzati con tecnica accurata (grossi
blocchi rinzeppati da piccole pietre), con probabili alcove e con probabili
contenitori di derrate;
d) il
quarto momentoè quello dei rifacimenti;
e) un
quinto ipotetico episodio edilizio sarebbe rappresentato (se davvero può
riferirsi al neolitico) da un bel focolare impostato su di uno strato di
giallastro.
Per un quadro d’assieme, con particolare riferimento all’età
eneolitica, riportiamo queste note di sintesi di Laura Maniscalco:[22]
«L’età del rame … è rappresentata da un gran numero di stazioni.
[…] I siti individuati, sia attraverso scavi che da semplici ricognizioni sul
terreno, sono tutti di carattere domestico, manca una altrettanto ampia
documentazione relativa all'aspetto funerario. Alcune tombe a forno presenti
nella zona e presumibilmente attribuibili a questo periodo, risultano violate
da tempo.»
Discorso questo valido per le tombe a forno di Fra Diego: anche
in riferimento alle affermazioni della Maniscalco, può dirsi che la nostra
spettacolare necropoli di Gargilata va ricondotta temporalmente all’età del
rame, a circa l’inizio del secondo millennio a.C. Vi si attagliano le
risultanze archeologiche della vicina Rocca Aquilia la cui similarità e la cui
propinquità con Gargilata sono incontestabili. Per quel che ce ne riferisce la
Maniscalco, «i saggi eseguiti a Rocca Aquilia hanno restituito sequenze
stratigrafiche complete dal tardo neolitico alla fine dell’età del rame.» Come
dire sino alle soglie dell’età del bronzo, cioè ad immediato ridosso del secolo
XVII. Ovvio che le date sono di mero riferimento, atteso il continuo
ripensamento delle datazioni preistoriche.
Scavi recenti a Milena ragguagliano sulle presenze insediative
risalenti alle fasi finali del bronzo antico; [23] quelle
del bronzo medio sono state comunicate sin dalla loro individuazione nel 1988
dal prof. Vincenzo La Rosa [24].
Il continuum del vivere preistorico nell’hinterland del
fiume Gallo d’oro, la cui ampia ansa dal Monte Castelluccio al Platani
abbraccia anche i displuvi castellucciani racalmutesi, è ormai ampiamente ed
esemplarmente documentato nell’area nissena; solo per risibili barriere
circoscrizionali, ciò manca per le nostre ancor più ubertose plaghe.
A mo’ di nota conclusiva, per avere una chiave di lettura, della
vicenda preistorica della civiltà sicana racalmutese, valgano questi stralci da
uno studio di Fabrizio Nicoletti [25]:
«Non sappiamo se la nostra regione sia stata popolata in un
periodo anteriore al neolitico. I reperti della grotta dell’Acqua Fitusa, a
monte del fiume, lasciano sperare in future scoperte. Già da ora la nostra
attenzione può concentrarsi su un gruppo di manufatti inquadrabili
tipologicamente tra i pebble tools. [..] La cronologia dei
discoidi è .. incerta, per quanto la loro presenza nel territorio risulti
[piuttosto] capillare. Un bifacciale da contrada Cimicia, di forma ovale,
sembra potersi confrontare con esemplari analoghi diffusi nella Sicilia
centrale. Nella maggior parte dei casi si può pensare ad una datazione compresa
tra il neolitico medio e le prime fasi dell’età del bronzo. […] Il neolitico,
sin dai livelli più antichi di Serra del Palco-Mandria, vede la comparsa di
quel singolare e ricercato vetro vulcanico che è l’ossidiana. La sua origine
allogena non lascia dubbi circa la nascita di una rete di scambi che in questo
periodo interessò la valle del Platani.[…] L’ossidiana grigia segue l’andamento
generale: in ascesa durante la fase delle capanne, in declino durante quella
dei recinti, in rapida ascesa alle soglie dell’eneolitico, quando diviene quasi
l’unico tipo attestato.[…] Nonostante le consistenti importazioni di ossidiana,
la materia prima maggiormente usata in tutti i periodi, almeno a partire dal
neolitico medio, è una varietà di selce a grana fine dai colori variabili dal
giallo-verde, al rosso, al marrone, spesso mescolati su un unico pezzo a
testimonianza della medesima origine. […] L’industria del villaggio sommitale
di Serra del Palco è la più tarda tra quelle conosciute nella media valle del
Platani. Il progressivo sviluppo culturale dalle forme castellucciane a quelle
thapsiane è in questo sito accompagnato dalla presenza di materiali micenei.
[…] C’è da chiedersi quale possa essere stato il ruolo delle
importazioni micenne in un radicale mutamento che, oltre agli aspetti già noti,
sembra coinvolgere la stessa tecnologia litica. …»
Nessun commento:
Posta un commento