I Tragici fatti del 12 e 14 luglio 1943 a Canicattì
Nel primo pomeriggio del 12 luglio 1943 i carri armati americani comandati del cap. Norris H. Perkins, provenienti da Licata, giunti nei pressi di Canicattì, si erano fermati sulle alture di Carlino, Cuccavecchia e Rinazzi, da dove si distingueva nettamente la città, racchiusa nella valle, con gli edifici di vecchia pietra che apparivano come incuneati nelle rocce. Dietro i carri armati venivano avanzando cinquemila soldati della Compagnia H del 66° Reggimento Usa. La copertura aerea era completa. "Our air – racconta il cap. Perkins – bombed Canicattì about 1 or 2 hours before we started the attack", cioè "la nostra aviazione bombardò Canicattì per una o due ore prima che noi sferrassimo l'attacco".
I soldati tedeschi, pressati in tal modo dal cielo e incalzati da terra dalle truppe alleate, stavano abbandonando la città. Fu allora che, mentre essi si ritiravano, scorsero davanti all'imbocco del ricovero antiaereo di Via Cap. Ippolito, quello ubicato poco più sotto l'attuale Odeon, un gruppo di canicattinesi esultanti per l'ormai imminente arrivo degli americani. Erano le ore sedici circa. Contro di essi i tedeschi aprirono il fuoco, facendone strage. Furono almeno sei i morti, tra i quali due giovani di diciotto e diciannove anni. Fu la prima strage nazista in terra italiana.
Di questa strage gli storici non hanno mai fatto menzione. Un accenno a quanto accaduto nel ricovero di Via Cap. Ippolito si trova nel libro di Norris H. Perkins "North African Odyssey", là dove scrive: "Indeed we learned later that when a hunch of civilians in Canicattì had cheered upon hearing the Americans were coming, they were gunned down by the Germans". Vale a dire: "Invero noi abbiamo appreso più tardi che, quando un gruppo di civili a Canicattì si erano messi ad esultare nel sentire che gli americani stavano arrivando, essi furono raggiunti dal fuoco tedesco".
Due giorni dopo questa strage, ne avvenne un'altra per mano di un tenente colonnello americano. Egli si era insediato al Comune di Canicattì come capo dell'AMGOT, cioè del Governo Militare Alleato per i Territori Occupati, e come tale si trovava nel suo ufficio del Municipio il pomeriggio del 14 luglio 1943, quando vide presentarglisi un uomo in stato di forte agitazione, il quale reclamava un immediato intervento alla Saponeria Narbone-Garilli di Viale Carlo Alberto, dove, a suo dire, c'era in atto un saccheggio.
Il tenente colonnello ordinò subito a un plotone di soldati di recarsi immediatamente sul posto, al comando di un tenente. Ma, quando essi erano già partiti, ci ripensò, e disse ai tre militari dell'Intelligence Services che erano con lui di seguirlo. Giunti alla Saponeria, videro che ne erano entrati tanti, tra cui anche donne e bambini, perché c'era nel muro una breccia provocata dai bombardamenti. I soldati del plotone ne stavano tenendo in stato di fermo da trenta a quaranta, secondo la testimonianza di chi ne fu testimone oculare. Erano, quindi, tutti fermi, quando il tenente colonnello ordinò al plotone di soldati e al loro comandante di sparare sui presenti, ma nessuno di loro osò ubbidire. Allora comandò ai tre militari dell'Intelligence di far fuoco loro. Ma anch'essi rimasero fermi, di ghiaccio. Va a loro onore l'aver disubbidito, con grave rischio personale, a un simile ordine superiore. Estrasse, a questo punto, il tenente colonnello la sua pistola, una Colt automatica, calibro 45, e cominciò a sparare. Ed ecco cosa fece secondo il racconto del prof. Joseph S. Salemi della New York University, figlio di uno di quei militari dell'Intelligence che furono presenti alla strage: "He emptied one magazine, and then reloaded, emptying another, and then reloading again", cioè "egli svuotò il primo caricatore, e poi ricaricò, ne svuotò un altro e quindi ricaricò di nuovo".
Nella sua relazione tenuta il 15 aprile 1998 a New York all'Institute of C.U.N.Y. Graduate Center su An unreported atrocity at Canicattì, July 1943, il prof. Joseph S. Salemi riporta anche un particolare agghiacciante: "My father remembers, in particular, that one child of about twelve or thirteen years of age received a .45 round directly in the stomach. The child did not die at once, but cried out in the Sicilian dialect several times, C'haiu na bodda ntu stummachu! C'haiu na bodda ntu stummachu!", cioè "mio padre ricorda, in particolare, che un bambino di circa dodici o tredici anni ricevette un colpo di rivoltella direttamente nello stomaco. Il bambino non morì subito, ma si mise a gridare più volte in dialetto siciliano che aveva una pallottola nello stomaco".
In seguito a ricerche effettuate, si è potuto constatare che non esiste nei documenti ufficiali nessun nome di ragazzino scomparso per ferite mortali in quel 14 luglio o nei giorni seguenti. Si legge, però, nel registro dell'Ospedale Civile il nome di una scolaretta di undici anni, ricoverata proprio in quel giorno e spentasi il 20 successivo. Forse potrebbe essere questa la più piccola creatura, la vittima più innocente di quella strage del tenente colonnello dell'AMGOT. Con questa bambina i morti della Saponeria Narbone-Garilli salirebbero a otto. Tra le vittime di cui si ha certezza il più giovane aveva ventidue anni ed era di professione contadino. Egli, ferito mortalmente, venne ricoverato nell'Ospedale "Barone Lombardo", dove si spense l'indomani, 15 luglio, alle ore quattordici. Il più anziano ne aveva cinquanta ed era un venditore ambulante di frutta e verdura, molto noto a Canicattì.
Delle vittime si conoscono i nomi, come anche del tenente colonnello, autore della strage, il quale è scomparso ormai da tanti anni. Egli, come risulta dai documenti dell'Archivio Nazionale degli USA, nella relazione che fece ai suoi superiori, alterò la realtà, riferendo che, mentre andava in giro con un plotone di soldati, aveva visto dei saccheggiatori alla Saponeria e aveva loro intimato di fermarsi, ma erano fuggiti, e lui allora aveva sparato, sicché: "Six men were killed. Some of those who escaped may have been wounded", che vuol dire: "Sei uomini furono uccisi. Alcuni di quelli che fuggirono possono essere stati feriti".
Di questa strage avvenuta a Canicattì si parla in un recentissimo libro pubblicato negli Stati Uniti da Stanley P. Hirshson, intitolato General Patton – A Soldier's Life, New York, 2002. A pagina 379 si legge: "According to one American eyewitness, the lieutenant colonel fired twenty?one shots from his 45?caliber pistol point?blank into the crowd, whose members had entered the grounds through a hole in the factory wall and were guilty only of filling buckets with liquid soap from pits. After killing an unknown number of civilians, perhaps twenty?one, without provocation, the lieutenant colonel drove off ", cioè: "Secondo l'attestazione di un testimone oculare americano, il tenente colonnello sparò ventuno colpi dalla sua rivoltella calibro 45 sulla gente che era entrata attraverso un buco del muro della saponeria ed era colpevole soltanto di riempire dei secchielli di sapone liquido dalle fosse. Dopo avere ucciso un numero imprecisato di civili, forse ventuno, senza provocazione, il tenente colonnello andò via".
Tale numero di morti va ridimensionato, come si è detto precedentemente. Il testimone oculare, del quale parla Stanley P. Hirshson, è il padre del prof. Joseph S. Salemi, a cui bisogna essere grati per avere sottratto all'oblio, dove era rimasto sepolto per circa sessant'anni, un fatto così grave. Questo inspiegabile oblio viene messo in rilievo anche nel libro del prof. Hirshson: "For almost sixty years the episode has been hushed up", per almeno sessant'anni l'episodio è passato sotto silenzio.
I soldati tedeschi, pressati in tal modo dal cielo e incalzati da terra dalle truppe alleate, stavano abbandonando la città. Fu allora che, mentre essi si ritiravano, scorsero davanti all'imbocco del ricovero antiaereo di Via Cap. Ippolito, quello ubicato poco più sotto l'attuale Odeon, un gruppo di canicattinesi esultanti per l'ormai imminente arrivo degli americani. Erano le ore sedici circa. Contro di essi i tedeschi aprirono il fuoco, facendone strage. Furono almeno sei i morti, tra i quali due giovani di diciotto e diciannove anni. Fu la prima strage nazista in terra italiana.
Di questa strage gli storici non hanno mai fatto menzione. Un accenno a quanto accaduto nel ricovero di Via Cap. Ippolito si trova nel libro di Norris H. Perkins "North African Odyssey", là dove scrive: "Indeed we learned later that when a hunch of civilians in Canicattì had cheered upon hearing the Americans were coming, they were gunned down by the Germans". Vale a dire: "Invero noi abbiamo appreso più tardi che, quando un gruppo di civili a Canicattì si erano messi ad esultare nel sentire che gli americani stavano arrivando, essi furono raggiunti dal fuoco tedesco".
Due giorni dopo questa strage, ne avvenne un'altra per mano di un tenente colonnello americano. Egli si era insediato al Comune di Canicattì come capo dell'AMGOT, cioè del Governo Militare Alleato per i Territori Occupati, e come tale si trovava nel suo ufficio del Municipio il pomeriggio del 14 luglio 1943, quando vide presentarglisi un uomo in stato di forte agitazione, il quale reclamava un immediato intervento alla Saponeria Narbone-Garilli di Viale Carlo Alberto, dove, a suo dire, c'era in atto un saccheggio.
Il tenente colonnello ordinò subito a un plotone di soldati di recarsi immediatamente sul posto, al comando di un tenente. Ma, quando essi erano già partiti, ci ripensò, e disse ai tre militari dell'Intelligence Services che erano con lui di seguirlo. Giunti alla Saponeria, videro che ne erano entrati tanti, tra cui anche donne e bambini, perché c'era nel muro una breccia provocata dai bombardamenti. I soldati del plotone ne stavano tenendo in stato di fermo da trenta a quaranta, secondo la testimonianza di chi ne fu testimone oculare. Erano, quindi, tutti fermi, quando il tenente colonnello ordinò al plotone di soldati e al loro comandante di sparare sui presenti, ma nessuno di loro osò ubbidire. Allora comandò ai tre militari dell'Intelligence di far fuoco loro. Ma anch'essi rimasero fermi, di ghiaccio. Va a loro onore l'aver disubbidito, con grave rischio personale, a un simile ordine superiore. Estrasse, a questo punto, il tenente colonnello la sua pistola, una Colt automatica, calibro 45, e cominciò a sparare. Ed ecco cosa fece secondo il racconto del prof. Joseph S. Salemi della New York University, figlio di uno di quei militari dell'Intelligence che furono presenti alla strage: "He emptied one magazine, and then reloaded, emptying another, and then reloading again", cioè "egli svuotò il primo caricatore, e poi ricaricò, ne svuotò un altro e quindi ricaricò di nuovo".
Nella sua relazione tenuta il 15 aprile 1998 a New York all'Institute of C.U.N.Y. Graduate Center su An unreported atrocity at Canicattì, July 1943, il prof. Joseph S. Salemi riporta anche un particolare agghiacciante: "My father remembers, in particular, that one child of about twelve or thirteen years of age received a .45 round directly in the stomach. The child did not die at once, but cried out in the Sicilian dialect several times, C'haiu na bodda ntu stummachu! C'haiu na bodda ntu stummachu!", cioè "mio padre ricorda, in particolare, che un bambino di circa dodici o tredici anni ricevette un colpo di rivoltella direttamente nello stomaco. Il bambino non morì subito, ma si mise a gridare più volte in dialetto siciliano che aveva una pallottola nello stomaco".
In seguito a ricerche effettuate, si è potuto constatare che non esiste nei documenti ufficiali nessun nome di ragazzino scomparso per ferite mortali in quel 14 luglio o nei giorni seguenti. Si legge, però, nel registro dell'Ospedale Civile il nome di una scolaretta di undici anni, ricoverata proprio in quel giorno e spentasi il 20 successivo. Forse potrebbe essere questa la più piccola creatura, la vittima più innocente di quella strage del tenente colonnello dell'AMGOT. Con questa bambina i morti della Saponeria Narbone-Garilli salirebbero a otto. Tra le vittime di cui si ha certezza il più giovane aveva ventidue anni ed era di professione contadino. Egli, ferito mortalmente, venne ricoverato nell'Ospedale "Barone Lombardo", dove si spense l'indomani, 15 luglio, alle ore quattordici. Il più anziano ne aveva cinquanta ed era un venditore ambulante di frutta e verdura, molto noto a Canicattì.
Delle vittime si conoscono i nomi, come anche del tenente colonnello, autore della strage, il quale è scomparso ormai da tanti anni. Egli, come risulta dai documenti dell'Archivio Nazionale degli USA, nella relazione che fece ai suoi superiori, alterò la realtà, riferendo che, mentre andava in giro con un plotone di soldati, aveva visto dei saccheggiatori alla Saponeria e aveva loro intimato di fermarsi, ma erano fuggiti, e lui allora aveva sparato, sicché: "Six men were killed. Some of those who escaped may have been wounded", che vuol dire: "Sei uomini furono uccisi. Alcuni di quelli che fuggirono possono essere stati feriti".
Di questa strage avvenuta a Canicattì si parla in un recentissimo libro pubblicato negli Stati Uniti da Stanley P. Hirshson, intitolato General Patton – A Soldier's Life, New York, 2002. A pagina 379 si legge: "According to one American eyewitness, the lieutenant colonel fired twenty?one shots from his 45?caliber pistol point?blank into the crowd, whose members had entered the grounds through a hole in the factory wall and were guilty only of filling buckets with liquid soap from pits. After killing an unknown number of civilians, perhaps twenty?one, without provocation, the lieutenant colonel drove off ", cioè: "Secondo l'attestazione di un testimone oculare americano, il tenente colonnello sparò ventuno colpi dalla sua rivoltella calibro 45 sulla gente che era entrata attraverso un buco del muro della saponeria ed era colpevole soltanto di riempire dei secchielli di sapone liquido dalle fosse. Dopo avere ucciso un numero imprecisato di civili, forse ventuno, senza provocazione, il tenente colonnello andò via".
Tale numero di morti va ridimensionato, come si è detto precedentemente. Il testimone oculare, del quale parla Stanley P. Hirshson, è il padre del prof. Joseph S. Salemi, a cui bisogna essere grati per avere sottratto all'oblio, dove era rimasto sepolto per circa sessant'anni, un fatto così grave. Questo inspiegabile oblio viene messo in rilievo anche nel libro del prof. Hirshson: "For almost sixty years the episode has been hushed up", per almeno sessant'anni l'episodio è passato sotto silenzio.
Diego Lodato da www.solfano.it
Un eccidio – non denunciato – del Luglio 1943 a Canicattì di Joseph S. Salemi
Relazione presentata mercoledì, 15 aprile 1998, al John D. Calandra Institute del Graduate Center della City University of New York
Traduzione dall'inglese di Carmelo Incorvaia
Relazione presentata mercoledì, 15 aprile 1998, al John D. Calandra Institute del Graduate Center della City University of New York
Traduzione dall'inglese di Carmelo Incorvaia
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