Racalmuto e le sue vicende storiche
di Calogero Taverna
Una nota a
mo’ di premessa
Questa vuol essere una storia veridica su Racalmuto, una
storia che presuppone ma non esplicita l’enorme quantità di documenti
consultati presso i vari archivi di Roma, Palermo Agrigento e Racalmuto, per
non parlare della marea di letture più o meno storiche che attengono a questo
paese dell’agrigentino. Il risultato è stravolgente di ciò che agli occhi di chi
scrive sa ormai di stucchevole mistificazione, di aporie letterarie, di voglie
che traducono il desiderio di eventi memorabili in indubitabili realtà storiche. Abbiamo così
miti di monaci dal “tenace concetto”, di preti in decrepita età presi da
“alumbramiento” erotico, di frati omicidi, di fantasiosi eroi saraceni, di allocazione
delle misere casupole racalmutesi in presunte località amene, di frati omicidi,
di contesse in foia erotica, di pittori sublimi e di medici d’alta scienza e
via discorrendo.
A proposito dei Del Carretto, abbiamo già scritto e qui
ripetiamo:
Forse risponde al vero che un tale Antonino del Carretto, un
avventuriero ligure, ebbe a circuire la giovane Costanza Chiaramonte e farsi da
costei sposare - lui vecchio e prossimo a morire - spendendo l’altisonante
titolo di marchese di Finale e di Savona negli anni di esordio del turbolento
secolo XIII. Forse davvero Costanza Chiaramonte, figlia primogenita del
rampante cadetto Federico II Chiaramonte, era bella, anzi bellissima - secondo
quel che la pretesca fantasia del pruriginoso Inveges ci ha propinato in un
libro secentesco, dal fuorviante titolo Cartagine
Siciliana. Forse davvero il matrimonio fu fecondato dalla nascita di un
ennesimo Antonino del Carretto. Forse è attendibile che - non tanto la baronia
di Racalmuto, di sicuro inesistente a quel tempo - ma almeno fertili lembi di
terra alla Menta, a Garamoli, al Roveto furono assegnati in dote come beni
“burgensatici” da Federico II Chiaramonte a codesto nipotino, mezzo siculo e
mezzo ligure. Il solito Inveges lo attesta: ma era un falsario come il grande
storico Illuminato Peri ampiamente dimostra.
Di questi oscuri esordi della signoria dei Del Carretto su
Racalmuto, quel che di certo abbiamo è un processo d’investitura - la cui
datazione sicura deve farsi risalire al 1400 - che solo negli anni novanta del
secolo scorso chi scrive ha avuto il destro di riesumare dai polverosi archivi
di Stato di Palermo per un’ostica ma illuminante lettura.
Ma in
quell’investitura, scopo, intento, occorrenza ed altro sono talmente
trasparenti e svelano in modo così esplicito la voglia di accreditare titoli
nobiliari dinanzi gli Aragonesi che resta particolarmente ostico travalicare i
limiti di una fioca credibilità a quel vantare ascendenze altisonanti:
difficile credere a quanto vi si afferma nei confronti di Giovanni, figlio del
cadetto Matteo del Carretto; traluce invece una realtà ove si scorge la
rapacità di codesti esattori delle imposte dei Martino, quei Martino che
risultano più che altro gli avventurieri dell’ “avara povertà di Catalogna” che
piombarono sull’imbelle Sicilia allo spirare del XIII secolo.
A noi - racalmutesi - quegli intrighi matrimoniali
esattoriali predatori e via discorrendo interessano perché sono la nostra
storia, quella vera e non quella oleografica che dal Tinebra Martorana ai vari
storici locali, non escluso Leonardo Sciascia, sembra deliziare i nostri
compaesani e deliziarli tanto maggiormente quanto più cervellotico è il
costrutto fantasioso.
Noi abbiamo speso tempo e denaro per raccogliere presso gli
archivi di Palermo la documentazione veridica sui del Carretto. Quella
documentazione più vetusta ed originale - la documentazione dei processi
d’investitura - venne riprodotta in un CD-ROM interattivo cui si rinvia. Carta
canta e villan dorme: non si può fantasticare quando ostici diplomi vengono -
ed è arduo - disvelati. Addio del Carretto alle prese con vergini violate prima
di passare a giuste nozze per un inesistente ius primae noctis; addio servi fedifraghi strumenti di uxororicidi
a comando di principesche padrone dalle propensioni all’adulterio irridente con
i propri giovani stallieri; addio frati omicidi; addio preti in
“alumbramiento”; addio terraggi e terraggioli vessatori; addio secrete ove
innumeri villici sparivano e morivano come cani. Addio storielle che Tinebra e
Messana ci hanno fatto credere come verità inoppugnabili. Addio moralismo di
bassa lega.
Un quadro - ora inquietante, ora banalmente normale, ora
esplicativo, ora feudalmente complesso - affiora con tasselli variamente
policromi a testimoniare una vita a Racalmuto sotto il dominio, consueto per
l’epoca, dei baroni del Carretto: costoro verso la fine del Cinquecento - dopo
un paio di secoli di egemonia (a dire il vero spesso illuminata) - hanno voglia
di farsi attribuire un’arma ancor più prestigiosa, di farsi nominare conti di
Racalmuto; mancano però l’obiettivo e non riescono a farsi riconoscere il
titolo di marchese che fasullamente in esordio della loro signoria su Racalmuto
avevano contrabbandato.
Certo se Eugenio Napoleone Messana aveva in qualcuno fatto
sorgere un familiare orgoglio per un nobile matrimonio tra Scipione Savatteri
ed un’improbabile figlia dei del Carretto, la documentazione che abbiamo
pubblicato ne spazza via ogni briciola di attendibilità. E quel che si scrive su data e struttura del
castello chiaramontano svanisce miseramente, come diviene commiserevole ogni
sicumera sulle origini storiche del Castelluccio.
Ma ora
uno sguardo ai tempi remoti.
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