Gli arcipreti di Racalmuto
sotto Giovanni V del Carretto
A Racalmuto, nella cura delle anime, allo Sconduto era
succeduto il sac. dott. Giuseppe Cicio che dopo un quinquennio cessò i suoi
giorni terreni (+ 6 novembre 1636). Il successore nell’arcipretura, D. Antonino
Molinaro (28 febbraio 1637) dura ancor meno. Subito dopo muore don Santo d’Agrò
(+ 22 luglio 1637) cui infondatamente Tinebra Martorana, Sciascia e qualche
altro ricercatore ancor oggi vogliono assegnare il merito della moderna Matrice
sub titulo S. Mariae Annunciationis.
Il Vescovo Traina, frattanto, seduto sulla sponda del
fiume aspetta il momento della sua vendetta. Finalmente può arraffare
l’arcipretura di Racalmuto, vi manda un suo parente da Cammarata: è anche per
quei tempi un giovanotto e risulterà di scarso discernimento. Si chiama Traina
come lui, di nome Tommaso. Vanta un dottorato, chissà se effettivo. Ha solo 24
anni. Lo segue una caterva di parenti. Molti sono religiosi e qualcuno finirà
la sua vita terrena a Racalmuto come don Filippo Traina (+ dopo il 1643);
altri, i più, finita la pacchia veleggeranno verso altri lidi, come Giuseppe e
Michele Traina. Particolare menzione merita codesto don Giuseppe Traina che nel
1639 figura come economo della Matrice, incarico che ricopre nel 1645; nel
settembre del 1652 viene indicato come pro-arciprete. Era stato nel frattempo
costruito il convento di Santa Chiara con il lascito di donna Aldonza del
Carretto, che vi aveva destinato taluni pretesi diritti di mora per mancata
corresponsione del “paragio” da parte del fratello Giovanni IV e dei suoi eredi
Girolamo II, prima; e Giovanni V, dopo.
Don Giuseppe Traina, pronubi l’arciprete ed il vescovo,
diviene l’esoso cappellano e confessore di quelle pie monache. Nei libri
contabili, reperibili presso l’archivio di Stato di Agrigento, v’è quasi un
pianto per le continue erogazioni che il convento è costretto a sborsare in
favore di questo prete venuto dai monti di Cammarata.
Varrebbe la pena spulciare le varie note spese che
appaiono nei libri contabili dell’archivio di Stato di Agrigento, presentate
dal Traina al Convento per l’immediata liquidazione, pronto cassa; ma non è
questa la sede per siffatte ricerche di sapore ragionieristico.
Il giovane
arciprete Tommaso Traina s’impania nella transazione con gli eredi di don Santo
d’Agrò: sobillatore ci appare l’esecutore testamentario, don Dn. Franciscus
Sferrazza, dichiaratosi Legatarius dicti
quondam Dn. Sancti de Agrò. Che cosa
abbia disposto in favore della Matrice don Santo d’Agrò, non mi è ancora dato
di sapere, non essendo stato rinvenuto il suo testamento, nonostante le tante
ricerche. Disposizioni in favore della sua tumulazione nella chiesa madre - che
in quel tempo risulta allargata dagli altari centrali a quelli laterali,
entrambi i primi a sinistra ed a destra dell’attuale edificio - non dovevano
mancare, ma dovevano essere ambigue ed indecifrabili. Familiari diretti del
defunto, sacerdote, l’esecutore del testamento ed il giovane arciprete
addivengono ad una transazione, come da rogito notarile. Il rogito destò l’attenzione
di Tinebra Martorana, procuratogli pare - guarda caso - da tal signor Salvatore
Sferlazza. Come da quel magari incerto latino notarile, il Tinebra abbia potuto
raffazzonare quel po’ po’ di fandonie che leggiamo a pag. 143 delle sue Memorie è arcano che non manca di
sorprenderci. A dire il vero l’alumbramiento
più che nel casto sacerdote Santo d’Agrò sembra doversi cogliere nei nostrani
scrittori, passati e presenti.
Tralasciamo qui di scrivere su Pietro d’Asaro, su Marco
Antonio Alaimo - che pure qualche attinenza, non foss’altro d’indole temporale,
con il Traina ce l’hanno - perché divagheremmo troppo, esulando appieno dai
limiti del presente lavoro, volto alla ricostruzione del cilma storica al tempo
del vescovo Traina. Non mancherà tempo per restituire a Pietro d’Asaro quello
che è di Pietro d’Asaro e togliere a Marco Antonio Alaimo quello che una
secolare letteratura agiografica ha su di lui profuso in superfetazioni.
Il 30 agosto L’arciprete Traina muore a soli 35 anni.
Gli atti della Matrice segnano:
30/8/1648 Traijna
Thomaso, arciprete, sepolto in Matrice, gratis;
ed il cappellano detentore dei libri annota:
Il d.re D. Thomaso Traijna Sacerdote et Arciprete di.
questa Terra di Racalmuto d’età' d'anni 35 et mese cinque si morse et fu sepellito
in questa Matrice chiesa di detta terra. Gratis
Ove giaccia in Matrice, si è
persa la memoria.
Il 4 ottobre 1651, il vescovo
Traina, dopo tante peripezie, fra le quali una fuga notte tempo a Naro, cessa
di vivere. Nella macabra cappella funeraria della Cattedrale fece incidere, in
orripilanti caratteri bronzei, peracri
ecclesiasticae libertatis studio administravit. Chiamò libertà della chiesa
il suo pervicace attaccamento alle cose di questo mondo, come la giurisdizione
sui racalmutesi. Anche da morto non si smentì. Denis Mack Smith, un
protestante, non si esime, a distanza di secoli, dal punzecchiarlo nella sua
Storia della Sicilia, ma di ciò già si disse.
Eseguita la pena capitale, i beni feudali di Giovani V del Carretto
furono prontamente requisiti. La Corte però non li trattenne: li concesse alla
vedova donna Maria Branciforti, quale tutrice di don Girolamo III del Carretto
e Branciforti. Con un privilegio di Filippo IV, rilasciato nel Cenobio di San Lorenzo
il 28 ottobre del 1654 e reso esecutivo in Palermo il 13 novembre 1655,
Racalmuto tornò in potere dei del Carretto.
Il privilegio di Filippo IV non evita di fare riferimento alla tragica ma
anche ingloriosa fine di Giovanni V del Carretto, ma alla fine risulta più
munifico di quel che ci si aspettasse. Al figlio di Giovanni V del Carretto
andrebbe anche il feudo di Gibillini, ma noi crediamo che si sia trattato di un
errore dei curiali di Palermo.
Donna Maria Branciforti - evidentemente giovanissima - resta nel 1650
vedova ma con buone rendite specie per i beni paterni. Ma ci pare in mano di
usurai. La sua situazione economica è riepilogata in questo documento che si
conserva alla Gancia di Palermo:
(Anno 1651 vol. 609 - Archivio di Stato Palermo - Gancia - P.R.P.)
Donna Maria del
Carretto e Branciforte, contessa di Racalmuto, cittadina oriunda della città di
Palermo, relitta del Conte, figli don Girolamo di anni 3 e Anna Beatrice.
Rendite: don Nicolau Placido Branciforte, principe di Leonforte, once 300 ogni
anno sopra detto stato di Branciforte che à raggione del 5% il capitale spetta
onze 6000;
inoltre rende ogni
anno donna Margherita d'Austria onze 382
e tt. 5 per il principato di Butera quale che tiene il capitale di onze
5277 per un totale di 11277 onze, 13 deve a d. Michele Abbarca della città di
Palermo onze 2600 per tanto che ci ha dato; deve a donna Maria Morreale e del
Carretto onze 500 per tanto prestatoci.
Giovanni V del Carretto lascia dunque due figli: Girolamo di anni 2 e
Beatrice di cui ignoriamo l’età.
Girolamo III del Carretto può dirsi l’ultimo feudatario di Racalmuto
della famiglia carrettesca. Ebbe un figlio: Giuseppe; gli donò la contea mentre
era ancora in vita, sicuramente per ragioni fiscali; ma Giuseppe era
malaticcio; premorì al padre ed a Girolamo III ritornò la contea di Racalmuto;
Girolamo morì senza altri figli maschi; la contea finì in mano alla moglie del
defunto figlio Giuseppe; era costei Brigida Schittini e Galletti che non seppe
mantenere il feudo racalmutese, finito - previa un’interposizione fittizia di
una tale Macaluso - in mano dei Gaetani.
Girolamo III del Carretto nasce - crediamo a Palermo - attorno 1648. Con
la morte del padre, la vita in quella città dovette essere ardua. Così la
vedova con i due figlioletti ritorna a Racalmuto, mentre nella capitale si
infittiscono gli approcci per il recupero dei beni feudali requisiti dalla
corte spagnola.
Nel 1660, secondo una numerazione delle anime che si custodisce in
Matrice, i del Carretto costituiscono il 1625° “fuoco” di Racalmuto con questa
composizione:
1625 LA CARRETTA Xxa ECCELLENTISSIMO SIG. DON
GERONIMO C.TO ECC.MA SIGNORA DONNA MARIA
C.TA ILLUSTRISSIMA DONNA BEATRICI
CARRETTO C.TA
Girolamo del Carretto è appena dodicenne; frequenta qualche scuola da
qualche prete locale; subisce l’autorità della madre che appare molto volitiva.
S’iniziano i lavori della Matrice e donna Maria Branciforti è munifica nelle
elemosine. La contessa, in effetti, versa a spizzichi e bocconi la sua
“elemosina” di cento onze in ben 19 rate di disparato importo (da pochi tarì a
30 onze) lungo un arco di tempo che parte dal 15 dicembre 1654 per concludersi
il 10 marzo 1660.
Sembra che dopo il 1660 la famiglia del Carretto si sia trasferita ad
Agrigento. Girolamo III del Carretto ha voglia (o necessità) d’intrupparsi
nell’esercito spagnolo per andare a fronteggiare gli invasori francesi nei
pressi di Messina nel 1674. Aveva 26 anni. Non militò a lungo. Tornò a casa, si
era sposato con una Lanza. Decide di abitare nel suo castello di Racalmuto.
Il San Martino-De Spucches è piuttosto esauriente nel fornirne il profilo
araldico:
«Girolamo del CARRETTO BRANCIFORTE, figlio
del precedente [Giovanni V], per grazia speciale di Filippo IV ebbe restituiti
i beni paterni e con nuova concessione, data nel cenobio di S. Lorenzo, a 28
ottobre 1654, fu nominato Conte di Racalmuto; il Privilegio fu esecutoriato nel
Regno, nell'anno IX Indiz. 1655, e propriamente il 13 novembre. In base al
suddetto privilegio egli s'investì a 14 agosto (R. Canc. IX Indiz. f. 73). Si
reinvestì, a 16 settembre 1666, per il passaggio della Corona (R. Cancell. V
Indiz. f. 180). Sposò, in prime nozze, Melchiorra LANZA MONCADA di LORENZO,
Conte di Sommatino, e di Aloisia MONCADA; sposò in seconde nozze, Costanza
AMATO ed ALLIATA di Antonio, P.pe di Galati, e di Francesca ALLIATA LANZA
(Villafranca). Fu maestro di campo dell'esercito destinato a sedare la
rivoluzione di Messina (1674)[1];
Vicario Generale Viceregio a Noto, Girgenti, Licata, Caltagirone; Pretore di
Palermo nel 1682; Gentiluomo di Camera del Re Carlo II a 10 agosto 1688.»
Dal 1682, dunque, risulta residente a Palermo; il richiamo della capitale
era stato anche per lui irresistibile. Ha voglia a Racalmuto di mettere mano a
riforme: affida il vecchio ospedale di San Sebastiano ai Fatebenefratelli. Da
allora si chiamerà di San Giovanni di Dio. E’ leggibile una copia del
privilegio di erezione di quella pia fondazione. [2] Sono ricavabili questi estremi:
"COPIA Della fondazione di
questo nostro Convento..." "ANNO
1693" Nell'anno 1693 l'Ill.mo Sig.r d. GEROLAMO DEL CARRETTO E
BRANCIFORTE Conte di Racalmuto e P.pe di VENTIMIGLIA accumulatavi la Pietà, e
Carità dell'Ill.ma D: MELCHIORA DEL CARRETTO e LANZA sua moglie".
...." Ill.mo d: GIUSEPPE DEL CARRETTO BRANCIFORTE, e LANZA suo figlio.
-Bolle Pontificie date in Roma il .. 13|2|1693
.. in Palermo l'8\4\1693 ed in Girgenti il 20\8\1693".
Il 16 giugno 1670 Girolamo è residente a Racalmuto. Le muore una
figlioletta che viene così registrata nei libri della Matrice:
Domina Joanna, Ignatia, Antonina Elisabetta filia Ill.mi et
Ecc.mi D.ni Hijeronimi Carretti et Branciforti
comitis Racalmuti et principis XXmiliarum, et ill.me et ecc.me D.ne
Melchiorre eius uxor; duorum annorum et mensium quatuor circiter, in domo
palatii h. t. R.ti animam Deo redidit, cujusque corpus sepultum est eodem die
in ecc.sia S.te Marie de Monte Carmeli in communione S. Matris Ecc.sie presente
clero, congregationibus confraternitatibusque et Senato. GRATIS. Sappiamo che donna Melchiorra Lanza morì a Racalmuto il 10
aprile 1701 e vi fu sepolta come attestano i soliti libri della matrice:
10.4.1701 D.
MELCHIORRA LANZA DEL CARRETTO UXOR HIERONIMI PRINCIP.A COMITISSA RACALMUTI di
anni 70 sepolta a S.MARIA DE IESU IN VENERABILI CAP. SS. ROSARII. Assistita da
D. FABRIZIO SIGNORINO ARCIPRETE. Morì in sua propria domo.
Girolamo III del Carretto sarebbe dunque rimasto vedovo a soli 53 anni.
Tra lui e la prima moglie vi sarebbero stati diciassette anni di differenza.
Questo, stando ai dati che riportiamo. Confessiamo, però, di nutrire noi stessi
forti dubbi: forse gli anni della contessa defunta vanno rettificati in soli
50.
Girolamo III del Carretto appare in vecchiaia fortemente litigioso,
stando almeno alle carte del Fondo Palagonia. Un atto soprattutto. [3]
Il conte ha modo di dire di sé:
Ex ditto d. Joanne natus est
illustris don Hieronymus de Carretto et Branciforte, cuius nomine et pro parte,
illustris donna Maria de Carretto et Branciforte cepit investituram de ditta
terra, statu et comitatu Racalmuti, pro ut per dittam investituram de ditta
terra, statu et comitatu Racalmuti pro ut per dittam investituram sub die
decimo quarto Augusti nonae indittionis 1656 per attum apparet et die sua
melius etc.
Il feudo di Racalmuto a fine
del ’600
Ed ecco come ci descrive il suo feudo, il nostro Racalmuto:
Item ponit et probare intendit non
se tamen obstringens etc. qualmente il fegho nominato di Racalmuto sito e posto
in questo Regno di Sicilia nel Val di Mazzara consistente in salme setticentocinque
tummina quindeci, mondelli tre e quarti dui cioè in salme seicento
cinquantadue, tummina undeci e mondelli uno di terre lavorative e salme
cinquanta trè, tummina dui e mondelli dui di terre rampanti, valloni, trazzeri
ed altri inclusi in dette salme cinquanta tre, tummina dui e mondelli dui,
salme undeci di terra nel circuito, delle quali e sita e posta la terra [134]
che tiene il nome da detto fegho è posto in menzo delli feghi nominati:
delli Gibillini e feghi
delli Cometi;
e fegho delli Bigini;
del fegho di Zalora;
del fegho di Scintilìa;
del stato e ducato delli Grotti;
del fegho e principato di
Campofranco;
e fegho della Ciumicìa
e altri confini ...
Non v’era dunque dubbio che le terre usurpate dai sacerdoti
racalmutesi erano integralmente sotto la giurisdizione del conte.
Item ponit et probare
intendit non se tamen obstringens etc. qualmente le contrate nominate di Bovo
seu Montagna, Pinnavaira, della Rina seu Scavo Morto, della Difisa, Jacuzzo,
Zimmulù, Caliato, Serrone, Pietravella, Saracino seu Molino dell’Arco,
Menziarati e Culmitelli sono delli membri e pertinenze del fegho e stato di
Racalmuto ed intra li limini e confini di detto fegho di Racalmuto come sopra
stimato e confinato conforme fù ed è la verità, notorio e fama publica et
nihilominus dicant testes quicquid sciunt, sentiunt, viderunt vel audiverunt
etiam extra capitulum ad intensionem producentis et - -
-
Non sappiamo come sia andato a finire quel processo. Sorto alla fine del
Seicento, con tutta probabilità non era concluso alla morte del litigioso
conte. Il quale pare ebbe molto a litigare anche con il figlio che pure aveva
dotato della contea ancor prima della sua stessa propria morte.
Girolamo III del Carretto non era comunque un mangiapreti: sotto di lui
l’arciprete Lo Brutto - e con il suo esplicito e imperioso avallo - aveva
potuto costituire la “comunia” di Racalmuto con ben dodici mansionari, adorni
di fregi appariscenti.
Al Traina, frattanto, era subentrato nell’arcipretura
don Pompilio Sammaritano, un semplice dottore in teologia. Porta con sé un
parente sacerdote, don Pietro. Lo nomina subito suo cappellano ed il
racalmutese p. Antonino Morreale viene giubilato e deve emigrare. Lo segue uno stretto parente, forse un
fratello, un tal Francesco Samaritano sposato con Gerlanda e con una figlia,
come ci tramanda il primo censimento di Racalmuto conservato in Matrice. Già nel 1649, il nuovo arciprete risulta dai
registri della Matrice già in opera. Nel 1660 è felicemente insediato in paese,
ove ha messo su casa servito da “un famulo” di nome Giuseppe ed una fantesca
chiamata Lizzitella. (il solito censimento è impertinente). Durante la sua
arcipretura piombarono a Racalmuto la moglie ed i figli dell’infelice Giovanni
V del Carretto.
La contessa ha i suoi guai: deve risolvere i problemi
del recupero dei beni feudali che sono stati requisiti dal re per l’alto
tradimento del marito. Vi riuscirà. I fondi Palagonia contengono, come si è
detto, gli atti di questa avvincente vertenza feudale. Il dottore in teologia è
prodigo di consigli e sa essere di supporto morale.
Frattanto giunge ad Agrigento il nuovo vescovo
Ferdinandus Sanchez de Cuellar. Il 28 novembre 1654 visita Racalmuto e subito
mette in mora l’arciprete per il latitare dei lavori della fabbrica della
chiesa della Matrice. Il giorno dopo si apre la contabilità dei lavori edili,
il cui pregevole rollo si conserva in Matrice: LIBRO D'INTROITO ED ESITO di denari per
conto della fabrica della Matrice Chiesa di Racalmuto incominciando dalli 29 di
novembre 8a Ind. 1654, reca in esordio per la penna di don Lucio Sferrazza. Il depositario è il dott. don Salvatore
Petruzzella, futuro arciprete. I primi soldi, cioè le prime 12 onze, sono dal
vescovo. Ma è un modo di dire: si tratta delle feroci molte comminate dal
vescovo in corso di visita. E pensare che sotto il vescovo Traina le autorità
diocesane avevano latitato. A noi fa un certo senso leggere:
Dall'Ill.mo et rev.mo Monsignor frà Ferdinando Sancèz de
Cuellar Vescovo di Girgenti hò ricevuto per mano di D. Alonso de Merlo suo
mastro notaro onze dudici quali d.o Ill.mo Signore ha dato d'elemosina alla
fabrica di d.a matrice chiesa dalle .. pene esatte in discorso di visita in
Racalmuto d. ........ onze -/ 12.
La pia contessa, vedova
sconsolata, è la più munifica nel contribuire alle spese per la costruzione
della Matrice: oltre 100 onze. Ma essa è la nuova contessa di Racalmuto, a
titolo personale: il figlio Girolamo III riacquisterà la contea il 28 ottobre
1654, ma ne avrà il diploma solo il 5 novembre 1655, previo pagamento di 200
onze e 29 tarì.
La posa in opera delle colonne della Matrice - quelle di
cui si parlava nella transazione con gli eredi di don Santo Agrò del 1642 -
avverrà nel marzo del 1655. L’iter dei lavori è seguito passo passo e studenti
di architettura potrebbero utilizzare i rolli della “Fabrica” per avvincenti
tesi sulle chiese del Seicento siciliano, quelle minori dell’entroterra
contadino, come Racalmuto.
Il Samaritamo muore il 6 gennaio 1664 a 66 anni. Gli
atti della Matrice riportano:
1664 SAMMARITANO Pompilio ARCHIPRESBITER 66 huius
matricis Ecclesie
Viene sepolto in Matrice, presente clero. Aveva avuto
l’estrema unzione da P. Antonio ord. S. Marie Carmeli.
Gli succede don Salvatore Petruzzella, finalmente un
racalmutese; ma vive poco: muore il 29 maggio 1666. Non ha il tempo per
lasciare tracce durevoli del suo apostolato.
E’ ora la volta dell’altro arciprete racalmutese: il
dott. sac. Vincenzo Lo Brutto e costui di tempo ce ne ha per lasciare un segno
profondo, al di là della lapide funerea che ancora è visibile nella cappella
centrale della navata laterale di sinistra (per chi entra) della Matrice. Vanta
un elmo chiomato, come se fosse stato un nobile milite: debolezza del nipote
che quella tomba volle.
Il vescovo agrigentino Sanchez - si pensi quale
ofelimità potesse legare uno spagnolo all’amaro vivere contadino di Racalmuto -
regge la diocesi dal 26 maggio 1653 sino alla sua morte (+ 4 gennaio 1657). Subentra
Franciscus Gisulpfus (Gisulfo) - dal 30 settembre 1658 sino alla morte (17
dicembre 1664); e poi Ignatius Amico ( 15 dicembre 1666 - + 15 dicembre 1668);
Franciscus Ioseph Crespos de Escobar (e ci risiamo con gli spagnoli) - 2 maggio
1672, + 17 maggio 1674. Finalmente un buon vescovo per una cattedra durata
vent’anni: Franciscus Maria Rini (Rhini) - 10 ottobre 1676, + 14 agosto 1696.
Chiude il secolo un vescovo discutibilissimo: 26 agosto 1697 - + 27 agosto 1715
(fuori Agrigento, essendone stato espulso dalle autorità civili per il suo
atteggiamento provocatorio scaturente dalla nota questione liparitana). Su tale
controversia ebbe a scrivere Sciascia. Il valore storico di quel pezzo teatrale
fu denegato da Santi Correnti: comunque, oltre al valore - indubbio - sotto il
profilo letterario, il testo sciasciano ci immerge nel clima politico e
sociale, ma anche religioso e morale di quel tempo. Fu davvero una iattura il
vezzo di preti e religiosi ammiccanti con Roma che negavano il sacramento della
confessione ai moribondi, sol perché operava un interdetto dovuto all’incauto
comportamento di alcuni catapani che
avevano tentato di applicare l’imposta
di consumo ad un munnieddu di ceci o di fagioli - non si è capito bene -
del vescovo di Lipari (nominato, pare, al solo scopo di provocare un incidente
per consentire al Papa di cassare la medievale concessione della Legazia
Apostolica).
Se, un moribondo
- ossessionato dalla sola paura dell’inferno per i suoi tremendi peccati - in
stato di semplice attrizione, dunque,
avesse chiesto un confessore e non l’avesse avuto per l’interdetto dei fagioli,
era destinato alla dannazione eterna? Verrà mai data risposta a tale quesito?
Ci serve per riconsuderare i tanti, troppi, nostri antenati che tra il 1713 ed
il 29 settembre 1728 morirono in tale ambasce a Racalmuto (cfr. registro dei
morti della Matrice).
Annotava il canonico Mongitore - tanto sgradito a
Sciascia - «a 13 agosto 1713. Il vescovo di Girgenti D. Francesco Ramirez,
d’ordine del pontefice, dichiarò scomunicati alcuni regi ministri, che
concorsero al sequestro delli beni del vescovo di Catania.» E soggiungeva: «a
13 settembre. Partì da Palermo D. Isidoro Navarro, canonico della cattedrale,
delegato della Monarchia, per levar l’interdetto dalla città e diocesi di
Girgenti. Entrò egli non da ecclesiastico, ma da capitano; e armata mano levò
il vicario generale il padre Pietro Attardo, come pure altro vicario Giuseppe
Maria Rini, che mandò altrove carcerati. Mandò lettera circolare per la
diocesi, che s’aprissero le chiese e non s’ubbidisse a detti vicarii.» Le carte
della Matrice ci svelano che il clero racalmutese rimase ligio ai dettami del
vescovo Ramirez e snobbò il canonico-capitano di Palermo. Più abile l’arciprete
del tempo - Fabrizio Signorino - che in cambio di una bolla della crociata
(anche con effetto retroattivo) poteva consentire cristiana sepoltura in
chiesa: per i non abbienti, pazienza, l’ultima dimora era quella all’aperto a li fossi. Solo che quelli erano tempi
davvero calamitosi e tantissimi nostri antenati morirono con la paura dell’al
di là per un interdetto che non capivano ( e di cui non avevano responsabilità
alcuna) ed una sepoltura dissacrata dal vento, dal sole e dai cani randagi.
Quelli che venivano sepolti in chiesa “gratis pro Deo” godevano
di particolari privilegi: ma gli altri - la gran parte come si è visto -
finivano sepolti all’aperto, anche se ‘prope ecclesiam’ (vicino, ma non
dentro); per di più i loro parenti erano talmente poveri da non potere dare
l’elemosina o il c.d. diritto di stola all’immalinconito cappellano che
accompagnava il feretro in quel derelitto cimitero incustodito. “gratis, pro
Deo”, la formula latina, che era comunque un parlare e scrivere poco ... latino (nell’accezione sciasciana).
L’arciprete Lo Brutto fu in eccellente rapporto col
vescovo Rini: si fece elevare a chiese “sacramentali” S.Anna, S. Michele
Arcangelo, il Monte. E’ consultabile la
bolla di elevazione della chiesa di S. Anna in chiesa “sacramentale”. Del tutto
analoghe sono le altre, come quella: Datis
Agrigenti die 17 Junii 1686 - fr. Franciscus Maria Episcopus Agrigentinus - Can
Lumia Ass. - Vincentius Calafato M.r notarius.
Del pari fece autorizzare l’istituzione della speciale
congregazione dei Filippini a Racalmuto, di cui parla il padre Morreale, ed al
presente oggetto di studio da parte di un ricercatore locale. Istituisce la
Comunia e ne fa nominare i mansionari.
Contro la devastante peste del 1671 nulla poté fare il
povero arciprete, se non annotare in bella calligrafia la iattura capitata tra
capo e collo; e fu iattura per tanti versi: da quello economico a quello
sociale; da quello dell’umano vivere a quello del decomporsi morale e
spirituale; per il clero con tanti fedeli in meno e quindi tante primizie
assottigliate, per l’arciprete stesso, il cui gregge veniva drasticamente
ridimensionato; per l’Universitas che non sapeva dove andare a racimolare le
onze occorrenti, essendosi contratta la tassa del macinato per morte di un
quarto della popolazione in un anno; per i suoi giurati che rispondevano dei
tributi alla Spagna con la clausola “solve et repete”; per il neo conte
Girolamo III del Carretto, salassato dal re per il tradimento del padre
Giovanni V del Carretto, dalla mala gestione dei suoi antenati che non pagando
i debiti di “paragio” erano finiti sotto la mannaia delle condanne giudiziarie
al pagamento degli arretrati e della capitalizzazione degli interessi di mora
relativi; ed in più una sortita beffarda dell’uterina virago donna Aldonza del
Carretto e delle sue similissime sorelle, aveva finito con il dare in pasto
allo spietato convento di S. Rosalia di Palermo gran parte del patrimonio dei
conti di Racalmuto (come abbiamo già raccontato).
Girolamo III del Carretto, esasperato, si rivalse sui ricchi preti di
Racalmuto - su quelli poveri, che erano tanti, nulla poteva: a sua chiamata
finiscono sotto il torchio della giustizia palermitana.
Girolamo III del Carretto sembrò benevolo verso la locale chiesa quando
fece venire i padri Benefratelli perché accudissero presso S. Giovanni di Dio
ai malati di Racalmuto e li dotò: ma a ben guardare si limitò ad assegnare loro
le vecchie rendite del vetusto ospedale, la cui memoria si perdeva nella notte
dei tempi. Forse non si astenne dall’incamerare alcuni lasciti che a suo avviso
erano di dubbia origine.
Girolamo III aveva contratto matrimonio con una Lanza di Mussomeli, di
cui parla il Sorge nel suo studio su quella cittadina. Era una Lanza decrepita
per anni che riesce a partorire il figlio maschio Giuseppe, quello che premuore
al padre, ed una figlia femmina i cui discendenti dopo un secolo consentono ai
Requisenz di impossessarsi dell’ormai esausta
contea di Racalmuto.
Quanto fosse addolorato l’ancor possente marito non sappiamo: di certo,
passò subito a nuove nozze. Per il momento non sappiamo fare altro che dare la
parola al Villabianca per la prosecuzione della storia di Girolamo e Giuseppe
del Carretto:
GIROLAMO del CARRETTO e BRANCIFORTE, investito a 15. Agosto 1656, Fu
questi Maestro del Campo nella guerra di Messina e sostenendo tale carica prese
il Casal di Soccorso, avendo difeso coraggiosamente SAMMICI da' Colli di
Valdina, ed impedì lo sbarco de' Franzesi presso Melazzo (c) [AURIA Cron. f. 211], onde poi insieme fu
eletto Vicario Generale nella Città di Noto, di Girgenti, Licata e Caltagirone.
Fu Pretore di Palermo nel 1682, Diputato di questo Regno, e gentiluomo di
camera del Ser.mo Rè Carlo II. pubblicato a 10. Agosto 1688 (e) [AURIA Cron. f. 211]. Sposò nelle prime sue
nozze MELCHIORRA LANZA e MONCADA figlia di LORENZO C. di Sommatino, e poscia
ebbe in moglie COSTANZA di AMATO ed AGLIATA, figlia di ANTONIO P. di GALATI.
Dal primo suo letto coniugale venne alla luce GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA.»
L’arciprete Lo Brutto morì il cinque febbraio del 1696. Risale al 20
settembre 1699 una relatio ad limina
del Vescovo di Agrigento (e cioè una delle relazioni triennali che i vescovi
erano tenuti a fare alla Sede Apostolica dopo il Concilio di Trento sullo stato
della propria diocesi). Là [4]
troviamo un ampio ragguaglio sulla vita religiosa di Racalmuto e val la pena di
richiamarla consentendoci un quadro di raffronto con quanto emerso dalla documentazione degli archivi statali.
''RECALMUTUM - Cittadina (oppidum) di cinquemila abitanti sotto la cura
di un arciprete, la cui elezione ed istituzione sono da tanto tempo di diritto
comune. Costui ha per il proprio sostentamento quasi duecento scudi. Nella
chiesa maggiore si recitano quotidianamente le 'hore canonice' da parte di
sacerdoti vestiti con paramenti canonicali (Almutiis insigniti). Vi sono cinque
conventi di religiosi:
- dei Carmelitani, con tre sacerdoti e due laici;
- dei Minori Conventuali, con tre sacerdoti e un laico;
- dei Minori di Regolare Osservanza, con 4 sacerdoti e 3 laici;
- dei Riformati di S. Agostino con tre sacerdoti e due laici;
- una casa addetta ad ospedale in cui stanno i frati di S. Giovanni di
Dio, al momento un sacerdote e due laici.
Reputo qui di rappresentare
che questi religiosi, dopo avere accettato di accudire all'ospedale, non hanno
giammai pensato di rinunciare all'istituto ospedaliero, e ne hanno percepito il
reddito dell'ospedale. Ed essendo esenti dalla giurisdizione del vescovo
ordinario, non vi sono forze per costringerli
a rinunciare ai proventi ed a lasciare i locali del convento.
Sorge un monastero di monache sotto la regola del terzo ordine di San
Francesco ove servono il Signore otto professe corali; due novizie e 5
converse.
Oltre alla chiesa maggiore ed a quelle conventuali prima segnalate, vi
sono quindici chiese, con quarantasette sacerdoti e trentasei laici.''
Sul vescovo Ramirez
non è poca la letteratura - e noi ne abbiamo fatto sopra vari riferimenti. Ma
qualunque sia il giudizio su questo presule, una sua pagina è profonda ed
illuminante. Vi si scorgono le scaturigini della mafia.
[1] ) Giovan Battista CARUSO, Memorie
Storiche di Sicilia, volume II, parte III, pag. 132 e seguenti.
[2] )
Archivio di Stato di Agrigento -
Soppresse Corporazioni Religiose - Inventario n. 46 - fascicolo 532.
[3]
) ARCHIVIO DI STATO PALERMO Fondo archivistico Palagonia - Serie Fondi Privati
- UNITA’ n.° 631 ANNI 1502-1706 Pagine da 126 a p. 143v
[4])
Archivio Segreto Vaticano: Agrigentum, relationes ad limina, B18 - f. 314.
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