Mediterranea – direttore Valvano
APPUNTO PRELIMINARE
Nel 1994 la Banca d’Italia imponeva l’estromissione
della vecchia gestione a seguito di gravissime perdite e di fidi indebiti
(gruppo Casillo in ispecie), aspetti anomali riscontrati dal proprio ispettore
di Vigilanza Scattone.
Impose, in
sostanza, l’inserimento della Banca di Roma attraverso la sottoscrizione di un
pacchetto del 30% del capitale prima e l’acquisizione del controllo
maggioritario assoluta (53%) dopo.
La gestione
Banca di Roma risultò fallimentare tanto che in una seconda ispezione BI del
1999 apparve l’esigenza di prendere provvedimenti cautelari.
In
particolare c’era in sostanza la perdita integrale del capitale sociale per cui
occorreva procedere anche ai sensi dell’art. 2447 c. c.
La Banca
Mediterranea procedeva invece ai soli sensi dell’art. 2446, prendendo quindi
tempo: si stabilì infatti in una assemblea straordinaria del 9 novembre 1999 il
rinvio di decisioni per la ricostituzione del capitale sociale a data da
destinarsi.
Nel
frattempo, anche per pressioni politiche ed a Roma, si formulò un progetto di
fusione mediante incorporazione della Banca Mediterranea spa di Potenza nella
Banca di Roma.
Si elaborò
tale progetto che si articola nei seguenti termini:
-
fusione per incorporazione della Banca Mediterranea
nella Banca di Roma ad un concambiodi 5 azioni della Banca di Roma del valore
nominale di L. 500 per azione per due azioni della Mediteranea del valore
nominale di L. 5000 cadauna;
-
costituzione di una nuova banca a “capitale
totalitariamente posseduto” dalla Banca di Roma che assorba mediante scorporo
l’incorporata Banca Mediterranea, con esclusione di tutti i vecchi soci
minoritari.
Occorreva
l’autorizzazione della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 57 TULB.
Solo una
società di revisione, nella perizia fatta per incarico del Tribunale di Melfi,
accenna ad una «lettera della Banca d’Italia del 21 marzo 2000 indirizzata alla
Direzione Generale della Banca Mediterranea S.P.A in cui si rilascia
l’autorizzazione ai sensi dell’art. 57 del D. Lgs. 385/93 all’attuazione
dell’operazione di fusione.» (cfr. pag. 5 della relazione RECONTA Ernst &
Young. , designata dal Tribunale di Melfi a redigere una relazione sulla
congruità del rapporto di cambio).
Tale
relazione è datata 24 marzo; la pretesa autorizzazione risalirebbe a prima: 21
marzo 2000.
Le
doglianze si trovano già tutte in una relazione tecnica di parte fatta dalla
Taleta.
Ora
contestano l’operato B.I. i seguenti soci di minoranza:
Valvano
Antonio;
Ferrara
Michele;
ditta Russillo.
Al presente
sembra sia stato avviato anche un “atto di citazione presso il Tribunale di
Melfi.»
Si
accludono
-
stralci della relazione Taleta in cui si precisano le
anomalie BI e i danni patiti
-
stralci di un’autoconvocazione propedeutica all’assemblea
del 26 aprile del 2000 ove per ineluttabile voto favorevole del solo socio di
maggioranza (o quasi) si è approvata la fusione per incorporazione.
CONTRORELAZIONE DI STIMA DEL RAPPORTO DI CONCAMBIO TRA LE
AZIONI DI BANCA MEDITERRANEA E DI BANCA DI ROMA A SUPPORTO DELLE DETERMINAZIONI
DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI BANCA MEDITERRANEA.
Due o tre
puntualizzazioni a mo’ di premessa.
Si dà per letta
la congerie di documentazione messa a disposizione dei soci di minoranza della
Banca Mediterranea in ordine a:
1)
al progetto di fusione per incorporazione della Banca
Mediterranea SpA nella Banca di Roma Spa;
2)
al bilancio di esercizio 1999 della medesima Banca
Mediterranea.
Nella prodromica
assemblea del 9 novembre 1999, l’istanza di chi scrive a coinvolgere – anche in
posizione oltremodo subalterna – i vari comitati di soci nella impostazione
delle stime e delle controdeduzioni ai rilievi della Banca d’Italia della
precedente primavera è stata totalmente disattesa.
Non è stata accettata l’offerta di «…collaborare
per una contrapposizione difensiva avverso la Banca d’Italia.»
Non si è dato
peso al fatto che «se questa proposta dovesse essere accolta, si renderebbe
necessario interrompere l’assemblea e riconvocarla per deliberare sui risultati
che una siffatta commissione mista di cointeressati riterrebbe utile sottoporre
all’approvazione dell’intero sodalizio bancario.»
Men che meno si
è dato spazio ai soci di minoranza intenzionati a «respingere l’intero o.di g.
che viene proposto e predisporre gli strumenti tecnico-giuridici per una difesa
giudiziaria, il cui filo conduttore non può non essere il conflitto di
interessi con il socio di maggioranza – spesso socio tiranno – e con quanti vi
si sono accodati o vi si accodano.»
…omissis…
PRIME CONSIDERAZIONI CRITICHE
Nell’intelaiatura,
nello spirito e nella lettera, tali contrapposizioni di taluni soci di
minoranza postulavano minuziose e
precise rettifiche degli organi consiliare e di controllo. Emerge che non solo
non è stata data risposta alcuna, ma risulta persino neppure presa in
considerazione e manco verbalizzata l’istanza del socio Taverna sulla questione
dei notori allegati ispettivi sul rischio creditizio al 31.12.1998.
Nulla
si precisa sul divario tra la ricostruzione Scattone e quella di Barbagallo in
tema di “sofferenza” (a quanto pare: L. 508,6 miliardi per il primo; L. 1.384
per il secondo). Trattasi di un vallo di L. 876 miliardi di deterioramento
creditizio che s’impatto con la gestione “Bancoroma”.
E
soprattutto nulla si rivela sulla ricuperabilità dei crediti secondo gli
ispettori: per Scattone erano prevedibili perdite – oltre quelle segnalate alla
Vigilanza - per L. 619 miliardi; per Barbagallo (stando alle notizie trapelate)
la gestione post 1994 aveva pretermesso di considerare decrementi prospettici
nella realizzabilità dei crediti per L. 257.587 milioni.
E’
questa cifra strategica nella valutazione di vari bilanci (specie quello ex
art. 2501 ter 2° c.): se le L. 168 miliardi di “rettifiche in chiave
tuzioristica” dei crediti, si riferiscono al recepimento delle doglianze
ispettive (come sembrerebbe cogliersi dalla relazione di bilancio – pagg.
12-13) e vi si rifascino integralmente (il che appare dubbio), rimarrebbero
scoperte ulteriori previsioni di perdita per L. 90 miliardi.
Ne consegue
che qualora si aggiungono le certezze che in senso decrementativo della
compagine patrimoniale si colgono nell’erosa assistenza creditizia alle quattro
partecipate della banca (incomprensibilmente considerata “normale”
dall’ispettore B.I.), si perviene ad una perdita integrale del capitale già
nota alla data dell’ultima assemblea straordinaria dei soci. Le inadempienze ex
art. 2447 c. c. appaiono coerentemente inoppugnabili.
Su tali
scottanti aspetti, non pare che il collegio sindacale abbia mai avuto a ridire.
Tali scottanti aspetti – che pure in sede assembleare traspaiono – non pare che
siano stati adeguatamente vagliati dall’Organo di Vigilanza che pure – viene
relazionato (cfr. pag. 4 della relazione Reconta Ernst & Young – abbia
accordato in data 21 marzo 2000 (addirittura tre giorni prima della stesura di
detta relazione) “l’autorizzazione ai sensi dell’art. 57 del D. Lgs. 385/93
all’attuazione dell’operazione di fusione).
E – per
quello che qui conta – le varie società di revisione non hanno ritenuto di
porvi mente locale, pur potendo (e dovendo accedere) alla complessa
documentazione ispettiva, almeno quella relativa alla cosiddetta “parte aperta”
e pur dovendo recepire la vasta verbalizzazione delle doglianze dei soci di
minoranza, non foss’altro per procedere alla puntualizzazione della irrilevanza
giuridica, di bilancio e contabile di detti rilievi contestativi.
Non va
dimenticato che ai sensi dell’art. 2501 ter, 2° c., «la situazione patrimoniale
è redatta con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio». Si sostiene
in dottrina che, pertanto, tale bilancio deve rispettare «non solo la struttura
.. ma anche i criteri prudenziali di valutazione per quest’ultimo stabiliti». E
se è vero che viene così «espressamente risolto un problema precedentemente
controverso», non potendosi più «sostenere che dalla situazione patrimoniale
dovesse risultare il valore effettivo della società» (cfr. Campobasso, Diritto delle Società, pag.
555), è ultroneo che dalla situazione de qua occorra partire per tutte le
eventuali rettifiche e per gli occorrenti conguagli nel rapporto di cambio. Una
base non veritiera, infedele, mutila inquina, senza ombra di dubbio, gli
“elementi di valutazione ulteriori rispetto all’effettivo valore dei patrimoni
delle società partecipanti alla fusione” (cfr. ibidem p. 555). Il bilancio semestrale fatto approvare il 9
novembre 1999 – aspramente rampognato dai soci di minoranza – è del tutto
prodromico a quello di fine anno, preso a base per la fusione. Sui c.d. tecnici
– specie quelli nominati dai tribunali – incombeva l’onere di asseverare la
fondatezza o meno dei rilievi critici dei soci, potendoli certo superare ma
motivatamente. Tanto non consta.
IL RAPPORTO DI CAMBIO SECONDO IL BILANCIO D’ESERCIZIO
Va qui peraltro precisato che siamo nel settore del
credito, capillarmente disciplinato dalla normativa di Vigilanza e con un
quadro contabile denominato della “Matrice”, ragion per cui non vi è molto
spazio per i c.d. tecnici di inventarsi valori di concambio esorbitanti dal patrimonio
di base o al limite dal c.d. “patrimonio di vigilanza”. Quello che debbono
appurare i tecnici è solo l’osservanza dei principi di chiarezza e precisione,
il rispetto del quadro fedele, ma soprattutto la rispondenza del fattuale alle
segnalazioni di Matrice.
Il fatto che i
vari tecnici del nostro caso neppure abbiano sfiorato siffatta tutt’altro che
agevole problematica, è oltremodo rivelatore della incongruenza valutativa.
La “semestrale”
della Mediterranea palesava scricchiolii informativi che potevano agevolmente
rilevarsi dallo spettro critico dei soci dissenzienti. Ancor più inaffidabile
si valuta qui il progetto di bilancio finale degli amministratori, traslato
acriticamente nel bilancio di fusione ex. art. 2501 ter e recepito dai tecnici
chiamati a stabilire la congruità del rapporto di cambio come mero e formale
adempimento di una non significativa norma di legge.
Ma un’appena
superficiale analisi dei bilanci di fusione della Banca Mediterranea e della
Banca di Roma porta alle seguenti risultanze:
BANCA DI ROMA –
bilancio a fine 1999
-
Patrimonio netto: L. 10.939.693.000.000;
-
Numero delle azioni: 5.350.016.750;
-
Rapporto PN/azioni: L. 2.044.
BANCA
MEDITERRANEA – BILANCIO A DINE 1999
-
Patrimonio netto: L. 102.567.208497;
-
Numero delle azioni: 73.162.476;
-
Rapporto PN/azioni: 1.401.
RAPPORTO BR/BM =
1,4589
RAPPORTO MB/BE =
0,68542.
E’ codesto punto
fermo da cui non si può divagare oltre misure e margini di iniqua ristrettezza.
Non è un caso se in interrogazioni parlamentari (cfr. ad es. la n. 4-16400 del
Sen. Giovanni Russo Spena ed altri) non si reputa prudente avventurarsi in
valutazioni appena appena risarcitorie nei confronti dei soci di minoranza
della Mediterranea.
Resta, poi,
l’aleatorietà della valutazione del patrimonio del mega-gruppo bancario che si
affastella sin troppo attorno al perno Banca di Roma. Le nuove acquisizioni del
tipo Banco di Sicilia, Mediocentrale e similari sono al centro dell’attenzione
delle autorità dell’antitrust e per converso impongono cautele in tema di
integrità patrimoniali che la stampa specializzata prudentemente ma
significativamente fa percepire con
espressioni criptiche del tipo «la qualità del credito dell’istituto romano è
ulteriormente peggiorata. Alla luce di queste considerazioni si preferisce
mantenere un orientamento neutrale/negativo sul titolo.»
In effetti si ha
una griglia impeditiva di apprezzamenti in qualche modo rettificative delle
strozzature di bilancio.
Quando i c.d.
tecnici si sganciano dai valori di bilancio delle due banche e si proietanno in
erratiche stime divaricanti si assumono responsabilità che in questa sede non
vale la pena neppure di additare.
Non si ignora
che una parte della dottrina giuridica è disposta a legittimare «un valore
effettivo del patrimonio» (cfr. op. cit. p. 555) divaricati rispetto a quello
emergente dal «bilancio di fuzione». Si afferma – con dubbio fondatamente,
secondo noi – che «la legge si astiene … dal fissare criteri direttivi per la
determinazione del rapporto di cambio; criteri che restano quindi affidati alla
discrezionalità tecnica (ma non
all’arbitrio) degli amministratori.» (ibidem). Eppure non si può non
annotare che il rapporto di cambio è caducabile quando sono emergenti – o
peggio evidenti - «dati incompleti o non veritieri» (ibidem nota sub 3) .. e nel
nostro caso non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Per contro
imbarazza il fatto che gli organi di controllo (interni ed esterni) sembra non
si siano accorti neppure di dissennatezze come le seguenti. Per arrivare un
rapporto di 5 a 2 - alquanto ipocritamente “per non danneggiare i soci di
minoranza, in effetti per legittimare la riemersione di un ammortamento in sede
di “semestrale” Banca di Roma dell’enfiata partecipazione nella Mediterranea –
i c.d. tecnici si sono letteralmente inventati queste divaricate parabole:
In altri
termini, mentre per la Banca Mediterranea v’è questo trend ascensionale del
patrimonio di fusione:
-
da 102 miliardi a 176 miliardi e da qui a 258 miliardi e da qui a 270 miliardi:
per la Banca di
Roma, nel cui ambito quel trend doveva crescere a dismisura, si ha questa
inspiegabile caduta:
-
da 10.940 miliardi si porta a 14.802 miliardi; ha
quindi un contenuto assestamento raggiungendo quota 15.967 miliardi per
ripiegarsi nella fase finale in un inverosimile risucchio verso il basso e cioè
a quota 12.945 miliardi.
Il fatto che i
tecnici si guardano bene dal fornire esplicitamente le masse patrimoniali
terminali, a base del con cambio, non è certo segno di inidoneità
professionale, ma indice di evidente imbarazzo espositivo. C’è da chiedersi se
davvero la Banca d’Italia nel fornire – se l’ha fornito – il benestare di legge
non si sia accorta della zoppa ed inaccettabile procedura estimativa.
Stante
l’assoluta inattendibilità del bilancio Mediterranea – sia per gli argomenti
sopra cennati sia per quelli che si diranno e sia ancora per quelli che si
potranno addurre nelle competenti sedi, ova occorra – ogni ricostruzione
estimativa è destinata a cadere.
L’UNICO CONCAMBIO ACCETTABILE
Disincagliandosi
dalle secche del netto patrimoniale
apparente, è possibile rinvenire, ma a ritroso, un aggancio
giuridicamente ammissibile per la costruzione del valore delle azioni della
fondenda Mediterranea.
Solo
riportandosi ad un istante prima della gestione Banca di Roma si coglie il
valore di tale azioni. In tempo ancor utile per rinvenire l’ultimo istante
dell’autonomia gestionale della Banca Mediterranea, questa azienda palesava un
patrimonio oltremodo robusto. Ancor oggi è possibile appurare che ogni sua
azione valeva L. 14.377,90.
Era evidente l’integrità patrimoniale – frutto magari di
agevolazioni ministeriali connessi ai benefici che si intesero accordare a
ristoro dei danni provocati dal noto terremoto dell’Irpinia – e coesa risultava
la totalità degli azionisti (qualche dissenso non si originava certo da
contrasti gestionali ma da moventi personalistici).
Si era
nell’ultimo scorcio dell’esercizio 1993 ed ascendeva il patrimonio a L. 545.706.222.421 che ripartito tra le
n° 37.954.498 azioni comportava un
valore unitario appunto di L. 14.378.
C’era un
frazionamento tale per cui nessuno poteva vantare un ruolo egemone; men che
meno poteva atteggiarsi a socio di maggioranza e soprattutto non v’era nessuna
maggioranza assoluta precostituita. In altri termini era la banca a base
diffusa e la struttura della base poteva qualificarsi democratica.
Tanto finché – per
pressioni della Vigilanza – non intervenne la Banca di Roma che
surrettiziamente ed attraverso manovre ancora non investigate poté acquisire
posizioni di risalto prima (30%) e quindi di maggioranza assoluta (53% viene
oggi dichiarato) senza esborsi di sorta a compenso di una tale scomposizione
dell’assetto sociale e cioè senza liquidare e ristorare chi da posizione
egualitaria finiva per passare a quella subalterna ed attualmente a quella di
insignificante minoranza.
Tale valore
unitario – L. 14.378 – può senza dubbio considerarsi ancora del tutto reale ed
integro. Le varie tosature – che a cadenza annuale si sono lamentate e
registrate dal 1993 al 1999 – non possono ascriversi ai soci di minoranza su
cui il socio di maggioranza, divenuto egemone in termini assoluti, ha fatto
ricadere il peso di onerose scelte gestionali per recupero di propri
investimenti o per occorrenze della capogruppo.
Non è questa la
sede per comprovare quanto qui affermato. All’occorrenza si produrranno prove
ed argomenti che sarebbe tedioso e defatigatorio farne qui anche sintetico
accenno.
La chiave di
lettura è stata comunque fornita sin dal novembre 1999, in occasione
dell’assemblea straordinaria. Qualche ulteriore spunto, a briglia sciolta ed a
valore antologico, lo si vuole esemplarmente fornire pure in questa sede
impropria.
IL PRESTITO subordinato di L. 100 milioni
Il 9 novembre 1999, nell’assemblea straordinaria ex art.
2446 c.c., il C.di A. della Mediterranea relazionava di avere «deliberato
l’emissione di un prestito subordinato sotto forma di strumento ibrido di
patrimonializzazione di L. 100 mld.»
Nella relazione
al bilancio di fine esercizio 1999 lo stesso C. di A. fa sapere che «la banca
di Roma, per riequilibrare l’assetto patrimoniale della Mediterranea ha emesso
uno strumento ibrido di patrimonializzazione di lit. 100/miliardi» e,
contraddittoriamente, soggiunge che «per il superamento della crisi vissuta
dall’Azienda, la Capogruppo, di comune accordo con gli Organi Amministrativi
della Mediterranea, ha individuato nella fusione per incorporazione della
Mediterranea nella Banca di Roma e nel
successivo scorporo del ramo di azienda bancaria di Banca Mediterranea la
soluzione più idonea.» (Cfr. p. 1).
Qualche
annotazione su tale strumento ibribo di
patrimonializzazione: esso a nulla poteva giovare, atteso il
disastroso ordito valutativo cui gli uomini del socio egemone si sono indotti a
chiusura d’esercizio. Si consideri che “le passività subordinate non possono
eccedere il 50 per cento del ‘patrimonio di base’ (cfr. Appendice B.I. 1998,
pag. 283); si consideri anche che per un processo di ardite svalutazioni dei
crediti che gli stessi uomini del Banco di Roma dichiarano avvenute in “chiave
tuzioristica” – il che significa attraverso gonfiature di “riserve” – non si
era potuto raggiungere quel “minimum” di patrimonio di vigilanza; si sappia
che senza quel “minimum” nessuna banca
può continuare ad operare per norme giuspubblicistiche di settore. Tutto ciò
considerato, siffatto “strumento ibrido” è finito per palesarsi inutile e
dannoso per la BM ed indebitamente
locupletativo per il socio a maggioranza assoluta [alias BR].
Quest’ultimo
imponeva ai propri uomini – che recepivano – di contrarre un debito con la casa
madre di cui la BM obiettivamente non necessitava: si frapponeva infatti il
sovrabbondante cash flow alla cui lievitazione non mancava di
contribuire la notoria riluttanza degli uomini del banco a finanziare
l’industria locale (vedi la stasi degli impieghi, in decremento se si depurano
delle pesanti capitalizzazioni degli interessi di fine esercizio). Aggiungasi
il basso rapporto impieghi/depositi che ha determinato un ulteriore aggravio
dei già critici saggi di rendimento gestionale.
Ovvio che, presumendosi l’assolta inidoneità
dei soci di minoranza – e di quelli più deboli in particolare, più numerosi e
quindi più facilmente obnubinabili – il C. di A. della Mediterranea ha creduto
sufficiente licenziare la precisazione che abbiamo appena sopra citata, nella
relazione di legge a corredo della loro proposta di bilancio.
Quanto di
contraddittorio e di capzioso si sottende nel passo citato è di tutta evidenza.
Ma non può il socio di minoranza avere capacità tecniche sufficienti a contrastare
la Banca di Roma socia al 53% ad onta di
tutte le norme anti-trust
Alla voce 110 di
fine esercizio abbiamo – si pensi - una
“passività subordinata” di L. 100 miliardi che stando a ciò che si annota – a caratteri
piccolissimi a pag. 43 - è “passività subordinata” «… riferita ad un prestito di L. 100 miliardi ricevuto dalla Capogruppo
Banca di Roma. Esso è regolato al tasso Eurobar a 6 mesi diminuito dello 0,10%,
prevede una durata di almeno 10 anni e il rimborso in unica soluzione alla
scadenza, previa autorizzazione della Banca d’Italia. Le clausole di
subordinazione che disciplinano il contratto consentono, in caso di perdite di
bilancio che determinino una situazione del capitale versato e delle riserve al
di sotto del livello minimo di capitale previsto per l’autorizzazione
all’attività finanziaria, che le somme rivenienti dal finanziamento e dagli
interessi maturati possano essere utilizzate per far fronte alle perdite al
fine di consentire alla Banca di
continuare.»
Ammesso e non
concesso che questa sia un’informativa accessibile ai soci sprovveduti, emerge ictu oculi che si è deciso aliunde di non far più “continuare” la
Banca: è dunque venuto meno ogni motivo per un siffatto iugulatorio prestito.
Ed era prestito che non poteva essere deciso dagli amministratori della BM, per
evidente conflitto di interessi; che non poteva essere deciso dalla
“maggioranza” dei soci, per lo stesso conflitto di interesse del socio tiranno;
che semmai andava fatto decidere ai soli
soci di minoranza, il che notoriamente non è avvenuto.
E così, con
qualche disinvoltura e forse con reticenza, si adempie formalisticamente ai
dettati della vigilanza sugli schemi di conto economico delle banche per
affastellare incomprensibili cifre sul “conto economico riclassificato” (cfr.
pag. 17). Il linguaggio algoritmico diviene ulteriore velame alla
comprensibilità degli inspiegabili (e non svelati) crolli gestionali in tema di
-
“margine gestione denaro” (erraticamente contrattosi
nel 1999 del 22,77%),
-
“utili netti operazioni finanziarie” (astuzia lessica
per non dire “crollo reddituale”) contrattisi e ribaltatisi del 170,22%;
-
“risultato lordo di gestione” passato dagli 80,8
miliardi di resa del 1998 ad un valore pesantemente negativo di meno 93,7 miliardi;
-
“risultato ante
imposte” di meno 272,887 miliardi,
con un peggioramento di gestione al saggio decrementativo del 653,50%.
Tanto avrebbe
dovuto mettere sull’avviso il perito di nomina pubblica – la RECONTA ERNST
& YUNG di Roma – che si era in presenza di un bilancio dubbio e forse
falso, apparentemente non veritiero; un bilancio concepito in sospetto
conflitto d’interessi e quindi passibile di segnalazione alle autorità
competenti, non mancandosi comunque di ragguagliare il Presidente del Tribunale
di Melfi che mancava il requisito primo di una “situazione patrimoniale ..
redatta con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio” di cui al
secondo comma dell’art. 2501 ter del
codice civile; emergeva pertanto che – fino ad un nuovo progetto di bilancio
vero e reale – non era praticabile alcuna seria e fondata quantificazione dei
rapporti di cambio per la fusione. Ciò pare sia stato del tutto ignorato.
Ciò avrebbe
dovuto spingere la Banca d’Italia ad essere forse alquanto più cauta nel
concedere l’autorizzazione di cui all’art. 57 del TULB.
Del pari,
qualche ripensamento avrebbe dovuto esserci presso la Consob: Banca di Roma prima svaluta e poi ripristina al costo
la partecipazione maggioritaria presso la Mediterranea. E ciò non tanto per
supino rispetto verso i propri tecnici, ma, stando a quel che appare
predisporre un’agile traslazione, senza inceppi rivalutativi del proprio
specifico attivo nella divisata «società bancaria di nuova costituzione,
controllata totalitariamente dalla Banca di Roma.»
E qui davvero
c’è da pensare in ordine al fatto che possa darsi per scontato un nugolo di
autorizzazioni della Banca d’Italia “ante litteram”, a futura memoria, in
palese disapplicazione delle norme
avverso il “socio unico” e con elusione di quanto comunitariamente stabilito in
tema di concentrazioni bancarie.
Né Banca
d’Italia né Consob pare abbiano sinora ritenuto opportuno esigere rettifiche su
questo passaggio della relazione al bilancio della società incorporante:
«Per quanto
riguarda la Banca Mediterranea, il valore di carico è stato mantenuto a 226
miliardi [ma nella semestrale non era stata svalutata? n.d.r.] Esso si raffronta con un patrimonio netto totale di 102,6
miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca di Roma (53 per cento
circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il controllo di Banca
Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli investimenti effettuati
che produrranno effetti a partire dal 2000, costituisca un valore che
giustifica il mantenimento del valore di carico. Del resto, le perizie effettuate da advisor
indipendenti per determinare il valore di concambio ai fini della prevista
fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della Banca
di Roma un valore che eccede il valore di carico.»
Orbene, il c.d.
“valore di carico” non può che essere questo:
-
Costo residuo della partecipazione: L.
226.000.000.000.=
-
N.ro azioni possedute: n. 38.840.319.=
-
Valore unitario: L. 5.818,696.=
Da qui forse il non pregevole
itinerario estimativo di quei “advisor” che hanno portato prima il valore di
bilancio della BM di L. 1401,91 a L. 2.435 (quasi un raddoppio) e poi a L.
3.570. Successivamente, essendo la stima ancora insufficiente, si salta ad un
concambio di 5 a 2, senza precisare la
parametrazione patrimoniale, in base ad un presunto valore di mercato di
banche consimili per la Mediterranea ed omettendo analogo calcolo per la Banca
di Roma.
Sennonché
quel 5 a 2 postula che le azioni della
Mediterranea al massimo varrebbe L. 5.112. Quindi la Banca di Roma nel suo bilancio non appare encomiabile
quanto a precisione. Si è lontani dalle proclamate L. 5818,696 così come inaccettabile è
l’affermazione che vorrebbe «il valore di concambio ai fini della
prevista fusione per incorporazione attribuito alla quota di pertinenza della
Banca di Roma [avere] un valore che eccede il valore di carico.»
Non può stupire
se i soci di minoranza della BM tendono a considerare quell’affermazione
alquanto lesiva dei loro diritti societari. La sincerità nelle rappresentazioni
delle valutazioni; la veridicità delle appostazioni di bilancio; la correttezza
nelle relazioni d’affari non paiono in questa occasione esemplari.
Quando, poi, si afferma (cfr. pag. 2 della
Relazione BM al progetto di fusione) che si è inteso adoperarsi per «la salvaguardia
dei diritti patrimoniali degli azionisti di minoranza» si è in contraddizione
con i citati assunti del socio egemone. Siamo in presenza di espressioni
elusive che possono apparire accorgimenti eziologicamente rivolti ad espellere
da una banca che solo nel 2000 prospererà (questo è stato detto nelle relazioni
di bilancio) i soci indesiderati per conseguire un vantaggio per il socio
egemone (dato che potrà traslare un attivo, in atto dubbio, in una costituenda
nuova banca, tutta di sua proprietà, locupletando in proprio in correlazione al
danno subito da altri). Per converso i soci minoritari finiscono per soggiacere
ad una sorta di estromissione coatta, nulla potendo contro lo strapotere
assembleare del socio di maggioranza assoluta.
LA PERDITA DEL CONTROLLO SOCIETARIO
Non appare
questa la sede per rievocare la vicenda dell’ingresso della Banca di Roma nella
compagine societaria della Banca di Roma. Qualche dato è stato già fornito. Non
sembra del tutto corretto asserire che l’istituto romano sia divenuto socio
quasi unico in un sol colpo, nel 1995. Le tante assemblee straordinarie del
1994 prima e del 1995, dopo, stanno lì a testimoniare il fatto che da una
partecipazione minoritaria e pressoché irrilevante si è passati ad una
partecipazione cospicua del 30% per finire in quella massiccia attuale che pare
trascenda di fatto il 53% dichiarato.
E’ inoppugnabile
che la Banca di Roma non ha mai pagato azioni Mediterranea sopra le L. 8.000; o
meglio: il patto iniziale di acquistare a L. 15.000 si è modificato a seguito
di valutazioni fatte con criteri non del tutto in linea con quelli che ora
vengono proposti dagli advisor.
Fuor di dubbio
che nessun premio di maggioranza è gravato sull’acquirente del tempo. Tanto ora
non può che essere corrisposto ai soci del tempo – se sopravvissuti – a titolo
risarcitorio. In altri termini è questione di equità, di giustizia applicata al
caso concreto, recuperare in sede di estinzione della tradizionale Banca
Mediterranea ciò che venne meno nei processi di aggiustamento della compagine
societaria, in definitiva voluti dall’estranea Banca d’Italia.
Allora non si
corrispose quella giusta integrazione di prezzo sia perché scriveva come
scriveva il direttore della locale Filiale B.I. (vedi sopra) sia perché si
diceva e si ammoniva l’assemblea dei soci che con la presenza della Banca di
Roma cosiddette “sinergie” entravano nell’asfittica potenzialità di crescita
della Banca Mediterranea.
Facile oggi
richiamare i rilievi dell’ultima ispezione B.I. per sottolineare carenze addebitabili
al nuovo assetto amministrativo come:
-
la circostanza che “ancorché note da almeno un
quinquennio, solo da pochi mesi sono state avviate a soluzione le mancate
problematiche del sistema informatico, obsoleto, scarsamente integrato ed
assoggettato ad una disordinata e poco documentata opera di intervento manuale
e di personalizzazione delle procedure”. E guarda caso, s’inizia il risanamento
e si estingue la banca con l’istituto dell’incorporazione da parte del socio
egemone;
-
rimarchevole «l’inadeguatezza dell’apparato contabile e
di quello segnalatecico, nonché dei sistemi di controllo interno e
direzionale.» Aspetto tanto più grave se si tien conto dello smantellamento
delle connaturali strutture della Mediterranea e dei gravi costi per
l’introduzione degli alieni ed abnormi sistemi consoni all’istituto romano;
-
«scrutinio e monitoraggio del credito – interessati da
manchevolezze ed incoerenti con l’ipotizzata espansione del comparto.» E
siffatto nevralgico comparto è quello che si contraddistingue con la pesante
involuzione delle sofferenze prima additata e soprattutto con il deterioramento
del grado di ricuperabilità dei dubbi realizzi;
-
«contenzioso lento ed incompleto» ad onta dei gravami
del conto economico che hanno impedito all’azienda di prosperare;
-
«ritardi nell’appostazione di sofferenze»: i misteri di
posizioni contrassegnati con i codice CR 4433672; 6439964 e 5114286 forse
stanno avendo acconcio disvelamento, ma in sedi alquanto scabrose;
-
“numerosi rapporti … risultano di fatto abbandonati”
forse sol perché ritenuti “di ammontare non elevato”, e tanti piccoli rivi
fanno un fiume;
-
«le previsioni di perdita non sempre sono guidati da
criteri univoci, volti ad assicurare una tendenziale oggettività e omogeneità
valutativa.»
E si potrebbe
continuare. Resta però inspiegabile perché i c.d. tecnici della fusione non
sfiorino neppure siffatti scottanti aspetti. Avrebbero dovuto chiedere ad
esempio la seguente documentazione e farne dei circospetti ma esaustivi
ragguagli. Senza contemplare tali risvolti gestionali ogni giudizio sulla
congruità del con cambio è a dir poco malcerto.
Non ci risulta
che siano stati vagliati i risultati di esercizio tenendo presenti:
-
le decisioni degli amministratori delagati dell’ultimo
triennio;
-
le pratiche di fido (centrali nella gestione di una
banca);
-
la corrispondenza con la banca socia;
-
i rapporti ispettivi interni (vedi rilievo n. 8);
-
atti, lettere e corrispondenza idonei a controdedurre
al rilievo sub 11);
-
la parte aperta delle due ultime due ispezioni della
Banca d’Italia.
Sono
pretermissioni che da un lato avvalorano la nostra stima sul giusto peso delle
azioni Mediterranee, desumibile solo dalla pregestione Banca di Roma, pari cioè
a L. 14.378 e dall’altro impongono la refusione del premio di maggioranza a suo
tempo non corrisposto dal neo-socio Banca di Roma.
Non si nega che
tale valore non è facilmente quantificabile, ma il giusto mezzo tra un minimo
del 15% del valore dell’azione al tempo dell’ ingresso maggioritario della
Banca di Roma ed un massimo del 20% porta ad un’integrazione pari a L. 2.500
per azione dei soci di minoranza. Siffatta integrazione esula dai vincoli
dell’art. 2501 bis terzo comma, trattandosi di atto risarcitorio e può quindi
essere corrisposta in contanti.
LA NUOVA BANCA MEDITERRANEA
La
Banca d’Italia si era premurata di far sapere in Parlamento che «Mediterranea e
Banca di Roma, in qualità di capogruppo, [dovevano] redigere, in tempi brevi,
un dettagliato piano di risanamento, nel quale fossero previsti adeguati
interventi di ricapitalizzazione e fossero formulate coerenti previsioni di
crescita degli aggregati patrimoniali, economici e finanziari.» Non pare che si
privilegiasse l’ipotesi dello scioglimento della banca Mediterranea, sia pure
sotto forma di fusione mediante incorporazione. Se qualche avvocato romano
sostiene che tale ultima via fosse la sola percorribile per volere della B.I.
si assume non poche responsabilità.
Purtroppo, dopo
ondivaghi atteggiamenti, torna comodo alla B.R. tale forma di estinzione della
sua partecipata. In effetti, basta l’emissione di n° 83.708.730 nuove azioni
(al massimo) per un importo complessivo di L. 41.854.365.000 per tacitare tutte
le ragioni dei vecchi soci della Mediterranea. Con una semplice scrittura
contabile del tipo:
-
dare conto
“fusione” avere capitale sociale: L.
41.854.365.000:=
per chiudere la partita.
Nasce un certo
annacquamento del capitale che a nostro sommesso avviso rastremerà il valore
contabile della singola azione BR forse attorno a L. 1.972 (con ulteriore
lesione del concambio delle azioni della Mediterranea), ma tanto non risulta
interessare alcuna autorità di controllo.
Al conto fusione
accederà anche l’attuale partecipazione, riportata non al costo storico come si
dice da parte degli amministratori della BR ma a quello del precedente
esercizio al momento pari a L. 226.000.000.000 (salvo rettifiche per
sopraggiunti acquisti o per emersione di sistemazioni varie).
Il complessivo
importo di siffatta voce dell’attivo (L. 268 miliardi al massimo) ha già una
sua destinazione: pare che verrà qualificato come effettivo e veridico apporto
di capitali alla divisata nuova banca «al fine di preservare una serie di
vantaggi competitivi connessi al mantenimento del marchio ed al radicamento
territoriale» (Cfr. Relazione C.di A. Mediterranea, pag.1)
Si reputa di far
sapere ai vecchi soci della Mediterranea che:
-
«vi è stata una sostanziale tenuta della Banca
Mediterranea nelle posizioni sul mercato di riferimento» (cfr. ibidem p. 10»
-
«frutto di una costante ed attiva presenza sul mercato»
(cfr. ibidem p. 11);
-
«grazie anche alla sviluppo di sinergie commerciali con
le società del Gruppo Bancoroma» (ibidem p. 11);
-
In definitiva, «da tali linee di azione, unitamente
alle scelte di riorganizzazione tecnologica ed amministrativa, alla
valorizzazione delle risorse umane, alle sinergie derivanti dall’appartenenza
ad un gruppo ampio, integrato ed in evoluzione, si attendono il continuo
miglioramento della qualità degli impieghi ed il rafforzamento del ruolo della
Banca quale interlocutore privilegiato del mondo produttivo e soggetto attivo
di propulsione e di sviluppo, pronto a cogliere in via anticipata i segnali che
vengono dai territori e dalle istituzioni» (ibidem, p. 12).
Invero non pare
che l’Organo di Vigilanza sia d’accordo se in una «recente visita», sia pure
«di norma», ha riconsiderato «in chiave più critica le componenti aziendali
strutturali, patrimoniali ed economiche.» Ma, non pare equo che i soci di
minoranza vengano radiati e non possano in alcun modo godere dei frutti dei
loro ormai ultraquinquennali sacrifici.
Ai soci della
Mediterranea viene infatti precluso ogni accesso nell’ente che risorgerà dalle
ceneri della banca che loro hanno fondato, sviluppato, radicato nel territorio,
consegnato al nuovo socio egemone con una dote cospicua patrimoniale e che
altri ha affossato e dissolto in una “incorporazione” letale. Bancaroma scrive:
«è stato peraltro predisposto un progetto di fusione per incorporazione nella
Banca di Roma. E’ inoltre prevista, a seguire, un’operazione di scorporo di parte
della Banca Mediterranea in una società di nuova costituzione, controllata
totalitariamente dalla Banca di Roma. Questa soluzione offre al nostro Gruppo
la possibilità di salvaguardare le importanti potenzialità competitive presenti
nella rete della Banca Mediterranea, in funzione soprattutto delle sue
caratteristiche di localismo e di radicamento territoriale, attraverso un nuovo
organismo atto ad assicurare migliori prospettive di profittabilità.»
(Relazione Bilancio BR, p. 61) Ma tali «potenzialità competitive» in parte sono
di pertinenza degli estromettendi soci. Giustizia impone che vengano risarciti.
L’attribuzione ad ogni vecchia azione
Mediterranea dell’opzione a sottoscrivere alla pari le azioni della costituenda società bancaria
– totalmente riveniente dalla Mediterranea – si rende quindi ineludibile: pena
prevedibilissime azioni giudiziarie.
Del resto è la stessa Banca di Roma che implicitamente
riconosce l’inadeguatezza del concambio di 5 a 2. A pag. 96 della cennata
relazione si afferma: «Per quanto riguarda la Banca Mediterranea, il valore di
carico è stato mantenuto a 226 miliardi. Esso si raffronta con un patrimonio
netto totale di 102,6 miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca
di Roma (53 per cento circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il
controllo di Banca Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli
investimenti effettuati che produrranno effetti già a partire dal 2000,
costituisca un valore che giustifica il mantenimento del valore di carico. Del
resto, le perizie effettuate da advisor indipendenti per determinare il valore
di concambio ai fini della prevista
fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della
Banca di Roma un valore che eccede il valore di carico. E’ da aggiungere infine
che la valutazione è confermata anche da offerte di acquisto pervenute da
potenziali acquirenti.».
Duole dover
controbattere:
-
se positivi effetti sono previsti «a partire dal 2000»,
del tutto ingiustificata è la sostanziale soppressione di una banca vitale;
-
il valore di carico risulta forse pari a L. 5.094,
mentre quello che percepirà il socio minoritario BM, dopo le dilatazioni del
capitale della BR per estromissione dei soci di minoranza BM, difficilmente
supererà le L. 4.930 (rapporti precisi non sono possibili per difetto di
informazione societaria);
-
prudenza imporrebbe di non accreditare tesi azzardate
in materia di azioni quotate in borsa e di evitare frasi come questa: «advisor
indipendenti … attribuiscono … un valore che eccede il valore di carico»;
-
se «potenziali acquirenti» erano disposti a subentrare
nella partecipazione, era quella la via non solo auspicabile ma da percorrere
doverosamente per evitare i danni inflitti ai soci di minoranza. Se non si era
stati in grado di amministrare, si poteva almeno essere avveduti nel vendere.
------------
Stralci da un documento di autoconvocazione dei soci
dissenzienti.
al
fine di:
a) conseguire il giusto
concambio che i nostri tecnici (presieduti dall’ex ispettore di Vigilanza ed ex
ispettore SECIT, dott. Calogero Taverna) hanno valutato in 7,290764745 azioni della Banca
di Roma per ogni azione della Banca Mediterranea (rapporto tra valore effettivo
dell’azione della Mediterranea pari a L. 14.377,90647 e quello della Banca di
Roma pari a L. 1.972,07110);
b) evitare l’iniquo danno che discende dalle
valutazioni della Banca di Roma che tramite suoi tecnici tanto fumosi quanto
imprecisi vorrebbe scambiare un’azione della Banca Mediterranea del valore
nominale di L. 5.000 con due azioni e mezza del valore nominale di L. 1.250
della stessa Banca di Roma;
c) dichiarare la responsabilità
degli organi romani della Banca di Roma che con tali accorgimenti tendono ad
estromettere i soci di minoranza dissenzienti della Mediterranea onde si
costituisca una «società bancaria … controllata totalitariamente (sic) dalla
Banca di Roma»;
d) dare i debiti incarichi ai
legali di fiducia,
e) diffidare le autorità
tutorie (Bankitalia e Consob), richiamandole ai loro doveri giuspubblicistici
di rigoroso ed imparziale controllo.
Contestazioni Carbonetti
Ove tra l’altro si cita per la prima volta
l’autorizzazione de qua per intero:
Da BBTC 1994 pp.1-46 prima parte.
QUESTIONI
RELATIVE ALLA BANCA MEDITERRANEA DI POTENZA
Premessa
Il profilo tecnico giuridico ed espositivo della
documentazione ispettiva rispecchia smaccatamente l’intento di supportare
l’obiettivo perseguito dalla vigilanza amministrativa di far confluire la
locale banca del sud nell’alveo del mega gruppo facente capo alla Banca di
Roma. E’ un obiettivo che viene dichiarato persino in una sede impropria quale
è la lettera ufficiale di ritualizzazione delle risultanze ispettive (nota n.
4626 del 16 settembre 1994): vi si legge, infatti. «... la Banca di Roma
dovrebbe acquisire una quota del 30% del capitale di codesta Banca
[Mediterranea] [..]: in tal modo, codesto ente entrerebbe a far parte del
gruppo creditizio Cassa di Risparmio di Roma. Al riguardo, si è qui dell’avviso
che l’accordo debba essere considerato alla luce dei risultati della verifica
ispettiva. In particolare, l’apporto patrimoniale dovrà essere quantificato
tenendo presente la necessità di fronteggiare il deterioramento dell’attivo e
di ripristinare l’equilibrio reddituale [..]: l’intesa dovrà consentire i più
ampi poteri di gestione al partner prescelto, nel cui gruppo creditizio andrà
ricompresa l’azienda ...» (v. pag. 5).
L’obiettivo, come noto, è stato totalmente conseguito.
L’ordito ispettivo doveva quindi essere ridimensionato ed il suo compito andava
considerato esaurito essendo state raggiunte pienamente le finalità perseguite.
Sennonché, si è proceduto ad alimentarne una sorta di ultrattività con la
postulazione di sanzioni amministrative e di investigazioni giudiziarie. Alla
base, abbiamo un taglio ispettivo
sovrabbondante ai predetti fini sanzionatori. Nel contenzioso amministrativo in
corso, le puntuali e ficcanti annotazioni della difesa mettono in risalto
questo eccesso di zelo ispettivo. In sede giudiziaria, la verbosità e
l’aggettivazione persino passionale degli atti ispettivi potrebbero indurre a
valutazioni improprie e devianti. C’è dunque da augurarsi che la saggezza dei
giudici colga appieno l’intento ispettivo e riconduca la strumentalizzazione
nell’ambito suo proprio e non assuma comunque ad apodittica prova quello che
gli ispettori più che dire, insinuano.
Prefigurarsi esaustivamente scenari accusatori è in questa
sede del tutto defatigatorio e forse fuorviante. Ci si limita, quindi, ad
estrapolare dalle carte ufficiali disponibili solo alcuni punti, e
precisamente:
*
la questione della corretta rappresentazione in bilancio del
complesso rapporto creditizio con il gruppo Casillo;
*
il tema dell’assistenza alla realtà consortile e
cooperativistica facente capo alla FISVI;
*
le pretese agevolazioni a specifici soggetti, sottoscrittori
di azioni della Mediterranea;
*
le incidenze economiche lamentate da piccoli azionisti, adusi
ad un’opposizione preconcetta, in
ordine alla contrazione di valore delle azioni della Mediterranea;
*
il credito accordato alla defunta signora Maria Rosa Scozzi.
Questione
preliminare.
Snodo dell’intero impianto ispettivo è il rilievo n. 43 e non
tanto per la qualificazione dei crediti - dato che classificare “sofferenza” od
“incaglio” un rapporto creditizio rappresenta un giudizio di valore cui
un’assennata magistratura non dovrebbe attribuire soverchia rilevanza - quanto
per la quantificazione delle perdite prevedibili. Qui abbiamo una
contrapposizione tra valutazioni aziendali e quelle ispettive che coinvolgono
la questione della prudente esposizione dei crediti per il loro presumibile
valore di realizzo. Stando alle affermazioni degli ispettori, la banca si
sarebbe limitata a rettifiche di bilancio insufficienti. A loro avviso,
l’importo complessivo delle svalutazioni era da fare ascendere a L. 508,6 miliardi,
contro le lit. 102,5 miliardi della previsione della Banca, con una differenza
di Lit. 406,1 miliardi (vedi All. 3/B).
E’ un assunto che va minuziosamente e fondatamente smantellato. La banca vi ha
per il momento provveduto con le sue varie ponderose e ponderate
controdeduzioni all’Organo di Vigilanza. Con note sintetiche di rara efficacia,
ha rintuzzato tali censure nel reclamo prodotto alla Corte di Appello di Roma,
avverso la proposta di sanzioni amministrative. Non vale la pena richiamare qui
siffatta difesa (vedansi in particolare le pagg. 25; 26; 27;28 e 29). Risulta
fornita a supporto degli assunti una vasta documentazione: si è sicuri che
questa copra la quasi totalità dei crediti su cui vi è diversità di
apprezzamento; che essa non venga contraddetta da altra che possa venire
raccolta nel prosieguo delle indagini; che comunque i fascicoli prodotti
comprovano e suffragano le seguenti tesi difensive:
«sono corrette tecnicamente e comunque ragionevoli, e quindi
certamente tali da non consentire di configurare una condotta colposa a carico
di chi le aveva eseguite, le classificazioni e le valutazioni effettuate dalla
Banca Mediterranea» (pag. 26);
«sono viceversa irragionevoli, immotivate e del tutto fuori
della realtà le classificazioni e le valutazioni eseguite dal gruppo ispettivo»
(pag. 27);
«diverse posizioni classificate anomale sono agevolmente
rientrate» (pag. 27);
«in molti casi, le imprese hanno trovato credito altrove e/o
sono state in condizioni di offrire piani di ristrutturazione (consolidamento)
pienamente affidabili» (pag. 28);
«molti affidati, a semplice richiesta, hanno concesso
ulteriori garanzie spesso anche collegate a procure all’incasso nei confronti
di P.A. ovvero a cessioni di credito» (pag. 28);
«per fidi assistiti da garanzie reali e/o personali, queste
non sono state prese in considerazione dagli ispettori nell’ambito delle
previsioni di perdite» (pag. 28);
«anticipazioni su pegno di merci o su crediti sono state
classificate erroneamente tra gli incagli dagli ispettori, i quali delle
menzionate fonti di rimborso non hanno tenuto conto alcuno» (pag. 28);
«a conferma dell’adeguatezza del patrimonio immobiliare degli
affidati e/o dei garanti esistono perizie tecniche che smentiscono le
previsioni di perdita operate dagli ispettori» (pag. 28);
«gli ispettori hanno erroneamente ritenuto un affidato
(valutandolo tra le partite anomale) compreso in un gruppo viceversa del tutto
estraneo» (pag. 29).
La documentazione prodotta è talmente “complessa” da spingere
la difesa alla richiesta di un C.T.U. (o esperto particolarmente qualificato).
Non risulta che sinora quel supporto cartaceo sia stato in alcun modo soppesato
sotto il profilo tecnico e probatorio. Se lo sviluppo giudiziario lo esigerà,
occorrerà naturalmente approntare un memoriale di parte orientato in tal senso.
Al momento non è neppure disponibile il molteplice sistema contabile ed
amministrativo che in vario modo ha attinenza con le pratiche di fido in
questione.
Il contrappunto
argomentativo della Mediterranea un qualche segno l’ha di già lasciato
nell’Organo di Vigilanza, se questo si limita ad arroccarsi in una “non
condivisibilità, in generale” (p. 4 della nota n. 4626), omettendo, però, una
puntualizzazione della erroneità e della falsità delle argomentazioni controdedottegli.
Solo per due aspetti, la Vigilanza mostra di potere mantenere il proprio
assunto: valutazioni del gruppo Casillo ed apprezzamento del gruppo FISVI (v.
ibidem pag. 4). Su questi due rapporti si prefigureranno qui alcune aggiuntive
argomentazioni difensive.
Sullo sfondo si staglia l’esimente di responsabilità, quale
discende dal positivo andamento della gestione bancaria, che in atto ha
redditività e forza patrimoniale. Se le analisi e le previsioni ispettive
fossero state vere e fondate, non sarebbe stato sufficiente l’intervento del
Banco di Roma per evitare un dissesto
bancario esiziale. E ciò è tanto più vero quando si fa mente locale che il
nuovo assetto proprietario ha mantenuto nella sostanza la tradizionale
valutazione dei crediti e non si è conformato al catastrofismo ispettivo.
GRUPPO
CASILLO
Nel rapporto ispettivo il c.d. “Gruppo Casillo” viene, nei
suoi supporti creditizi, censurato con eccesso di zelo e con prevenzione
oltremodo accentuata.
Il “Gruppo” - in cui
vengono fatti confluire i crediti verso imprese a diversa configurazione
giuridica e con varia rispondenza patrimoniale - viene, con riferimento al
bilancio 1993, giudicato apoditticamente
ed indifferenziatamente in sofferenza, omettendosi ogni
considerazione sul comportamento della banca che aveva prudentemente e con
ragionevolezza distinto - s’intende sempre con riferimento alla fine
dell’esercizio 1993 - tra enti societari autonomi (SRL SILOS CASILLO; EDI GENTILE EDITRICE GENTILE SRL; FA SERBATOI;
FOGGIA CALCIO SRL; ICEM; INVESTIND SPA; ITAL SERVICE SRL; LUIGI LIPPOLIS SPA;
SALERNITANA SPORT SPA; SEMENTIFICIO MOLINO ROVATO; TOP SERVICE SRL) che
fondatamente venivano reputati ‘normali’ alla luce degli elementi disponibili
all’epoca della redazione di quel bilancio, ed enti raffigurati in “incaglio” (CASILLO GRANI SNC; IND. SEMOLERIE
MANGIMIFICI; ITALSEMOLE SRL; PARDINI FLLI SPA; SEICA - in sofferenza per di più
dal 2/94). Per gli ispettori va in sommatoria di un unico gruppo qualificato
dal solo nome del soggetto privato di riferimento la seguente esposizione
creditizia cui si contrappongono le seguenti previsioni di perdita:
GRUPPO CASILLO
N.°
|
crediti cassa
|
crediti firma
|
totale
|
previsione perdita banca
|
previsione ispettiva di perdita
|
n.° 16
|
L.145.900
mln
|
L.12.783 mln
|
L.158.683mln
|
==
|
L.137.767mln
|
Gli ispettori non ci dicono quale previsione di perdita è da
riferire ai crediti di firma. E’ un dato di grosso risalto, essendo rilevante
la distinzione tra valutazione dei crediti per i quali vi è stata una
variazione numeraria certa o assimilata nello stato patrimoniale (cui per tanti
versi si riferisce la voce 90 del passivo del bilancio bancario) e gli
accantonamenti per spese future tramite i quali si possono rettificare i
crediti di firma (che non hanno alcuna esposizione all’attivo e che danno adito
a movimenti nella voce 80 del passivo nel bilancio di una banca).
Ed è una delle tante carenze tecniche ispettive. Come
diffusamente è stato fatto presente nel reclamo avverso le sanzioni
amministrative, quel che la Banca d’Italia eccepisce in tema di perdite è solo
l’apodittica affermazione della loro sussistenza, quale si desume dall’allegato
3/b al rapporto ispettivo.
Confusi fra loro disparati fatti gestionali in quello che
genericamente l’Organo di Vigilanza indica come “caso del gruppo Casillo” (v.
p. 4 lettera n. 4626 richiamata), scattano nel rapporto ispettivo giudizi di
valore grevi quanto assiomatici e non provati.
Nel rilievo n.° 1 si
afferma «... nonostante le informative di volta in volta rese in ordine alle
difficoltà del “gruppo Casillo” (L. 159 miliardi al 31.12.1993) [il Consiglio
d’A. si era] limitato a prendere atto della situazione, senza esprimere alcun
apprezzamento in merito alla congruenza degli interventi di sostegno proposti e
alle reali possibilità di recupero dell’ingente creditoria.».
Nel rilevo n.° 3 si legge: « ... Avevano influito sul
risultato le scelte adottate in materia di valutazione dei crediti, non
improntate a criteri di ragionevole prudenza e di obiettiva considerazione del
rischio; emblematica a tale proposito appariva la circostanza che non si fosse
ritenuto di effettuare alcuna svalutazione dei crediti vantati nei confronti
del menzionato gruppo “Casillo”, nonostante che le diverse ipotesi di
ristrutturazione sottoposte all’esame del ceto bancario fossero tutte fondate
sulla necessità di procedere ad un consistente abbattimento della creditoria in
conto capitale. La soluzione prescelta di costituire accantonamenti per
complessive L. 106,7 miliardi a presidio di eventuali perdite sui crediti dava
luogo ad un improprio accrescimento delle componenti patrimoniali.»
Nel rilievo n.° 7 vi è un ritorno sul caso Casillo: «il
sovrapporsi nel tempo di decisioni - vi si annota - da parte di organi
amministrativi diversi si rifletteva sulla trasparenza e sull’efficacia stessa
del processo di valutazione del merito creditizio, con effetti pregiudizievoli
sul controllo dell’andamento dei rischi». E qui si fa riferimento - tra l’altro
- «al citato gruppo “Casillo”».
Nel rilievo n.° 9 ci si lascia trasportare in avventate
censure ad un (inesistente) “organo monocratico” che avrebbe - a dire degli
ispettori - concorso ad «elevare la complessiva rischiosità degli impieghi
(cfr. in particolare le posizioni facenti capo ai già menzionati gruppi “Fisvi”
e “Casillo”).»
Nel rilievo n.° 28 il gruppo Casillo è citato come uno di
quelli che avrebbero determinato «l’elevatezza dei rischi assunti».
Il rilievo n.° 32 è quello che intenderebbe focalizzare
appieno la patologia del rapporto creditizio con il gruppo Casillo. Ad esso si
fa rinvio per l’esplicazione di rilievi tendenti a dimostrare che:
*
«utilizzi largamente eccedenti le linee di credito
concesse» venivano consolidati con «ripetute concessioni a ripiano» (mutuo alla
Casillo Grani snc e fido temporaneo alla “Industrie Semolerie Mangimifici
Casillo srl”);
*
«un incondizionato e crescente sostegno [...] si
concretizzava anche mediante reiterate concessioni di proroghe di finanziamenti
scaduti a fronte di ipotesi di rientro che non trovavano supporto su
documentate analisi istruttorie»;
*
«un ammontare complessivo dei crediti del “gruppo”
contabilizzati in sospeso tra le partite transitorie si ragguagliava ad oltre
L. 18 miliardi»;
*
«talvolta, il mantenimento in essere degli affidamenti
era avvenuto pure attraverso operazione di sconto di effetti di comodo» ( si fa
riferimento all’operazione ove compare «tale Gnudi Pietro, nominativo risultato
sconosciuto»);
*
«ulteriori sconti .. avevano riguardato effetti .. più
volte rinnovati e successivamente richiamati con addebito tra le partite
sospese» (credito alla “Investind”);
*
«in taluni casi proroghe o erogazioni di nuova finanza
si fondavano sulla acquisizione di garanzie successivamente rivelatesi
inesistenti» (finvaluta alla “Foggia Calcio srl” e finanziamento del giugno 1993
alla “Casillo Grani s.n.c.”).
Nel rilievo n.° 40 vi è ancora un riferimento al gruppo
Casillo. Questo viene chiamato in causa molto di traverso e per normali
operazioni sulle azioni della Lucania. L’allusione che vi affiora non sembra
avere stretta attinenza con le censure verso “l’erogazione del credito” - cui
s’intitola quella parte del rapporto -, sibbene ad una (non comprovata)
facilitazione per il collocamento di azioni della Mediterranea. Citiamo per una
più puntuale ricognizione della non lineare prosa ispettiva: «Le azioni [della
Lucania] risultavano successivamente cedute a società del gruppo Casillo,
anch’esso detentore di una quota significativa del capitale sociale della
“Lucania”» Vari crediti bancari a privati «venivano estinti anticipatamente
nell’ottobre 1992 con il ricavo della cessione dei titoli “ex Lucania” al
“gruppo Casillo”, che provvedeva al relativo pagamento mediante assegni per
complessive L. 4,6 miliardi tratti sulla “Comit” di Foggia; al riguardo si
rilevava che la “Mediterranea”, in data 15.10.92, aveva concesso alla “Casillo
Grani s.n.c.” un finanziamento per L. 5 miliardi utilizzato con traenza di
assegni per L. 4,3 miliardi, negoziati presso la ridetta “Comit” di Foggia.»
Ad utilizzare un termine caro agli ispettori, è “emblematico”
che si censuri in ben sette rilievi (nn.° 1; 3; 7; 9; 28; 32 e 40), producendo
un abbaglio fittiziamente moltiplicativo, un unico rapporto creditizio.
Aggiungasi a ciò, quanto rappresentato nell’allegato 3/b in termini vaghi e
assiomaticamente accusatori (come la banca ebbe a lamentare nel cennato reclamo
avverso le sanzioni amministrative quando obietta che tale elaborato è
improntato ad “eccessivo rigore”, e le valutazioni sono “apodittiche”,
“irragionevoli ed erronee” “inattendibili” “immotivate“ “segno di abusiva
discrezionalità tecnica basata su fantomatiche ed inesistenti regole di
vigilanza”).
Nelle controdeduzioni del Consiglio di Amministrazione della
banca del 15 ottobre 1994, i cennati rilievi sul gruppo Casillo vengono
puntualmente smantellati e contestati.
Quanto al rilievo n.° 1, si nota che il Consiglio di
Amministrazione (e non un qualsiasi presunto organo monocratico) «ha seguito ed
approfondito le cause dell’evoluzione e delle possibili conseguenze sugli
equilibri aziendali: in particolare, ha seguito con puntualità le difficoltà
del gruppo Casillo - assistito dal sistema creditizio nazionale per oltre mille
miliardi - valutando e seguendo anche l’azione in proposito svolta
dall’Associazione Bancaria Italiana (cfr. al riguardo le delibere 5-8-93 e
22-9-93 all. 1.3). Congiuntura sfavorevole, avverse evoluzioni del mercato dei
cambi e sfavorevole andamento dei tassi non hanno certamente favorito la
ripresa del gruppo Casillo, che pur controllava una quota pari al 30% del
mercato nazionale di sua pertinenza. Non va altresì dimenticato che nello
stesso periodo in cui si verificava la crisi delle aziende del citato Gruppo,
maturavano situazioni di estrema difficoltà di altri rilevanti Gruppi nazionali
con rischi per il sistema creditizio di varie migliaia di miliardi» (pagg.
9-10).
Circa le censure di cui al rilievo n.° 3, efficace è senza
dubbio questo passo (pag. 12) delle controdeduzioni: «Premesso che non è
accettabile la generalizzazione, che leggesi nella costatazione, in particolare
su di un argomento così delicato [quello appunto del fido al gruppo Casillo], e
che la Società di revisione Arthur Andersen, nel certificare il bilancio, ha
mostrato di condividere le valutazioni effettuate dal Consiglio di
Amministrazione, la posizione Casillo è stata oggetto di esame approfondito
nelle riunioni dedicate all’approvazione del bilancio ‘93 e sono state assunte
determinazioni responsabili confortate anche dal parere di noti giuristi (cfr.
allegati N. 3.1 e 3.2). La soluzione adottata di costituire accantonamenti per
complessive Lire 109,2 miliardi (non Lire 106,7 miliardi come scritto nella
costatazione) a presidio di eventuali perdite sui crediti è stata assunta
analogamente a quanto praticato da altre Banche, mentre presso l’ABI si sperimentavano
da parte del sistema creditizio e di rappresentanti del Gruppo Casillo
tentativi per la ristrutturazione dell’intera debitoria, tentativi portati a
conoscenza dell’Organo di Vigilanza da parte dell’ABI stessa. Le riferite
circostanze evidenziavano come fosse legittimo e concreto sperare nella
capacità di ripresa del Gruppo e come, in tale situazione, non potesse che
escludersi, coerentemente, ogni ipotesi di insolvenza e/o di perdita certa
anche in considerazione delle gravose conseguenze (azioni revocatorie,
violazione della par condicio creditorum, concorso in bancarotta, bancarotta
preferenziale) in cui i creditori impegnati nelle trattative di rinegoziazione
del debito sarebbero potuti incorrere ove tali prospettive non fossero andate a
buon fine. Per altro verso è da tenere presente che, in ogni operazione di
ristrutturazione del credito, così come in ogni situazione di “incaglio”, è
presente il rischio, l’eventualità, che si verifichino, o meno, fatti che
portano a rivedere e riconsiderare le valutazioni fino a quel momento
effettuate: della possibilità di accadimento di tali fatti il legislatore ha
voluto si tenesse conto in sede di costituzione di un fondo rischi eventuali al
passivo dello stato patrimoniale, fondo che rappresenta una novità rilevante
introdotta dal D. lgs. n. 87/1992. La relazione di certificazione rilasciata
dalla Società Arthur Andersen si sofferma (pag. 1 e 2) sulla costituzione del
“fondo rischi su crediti - voce 90” a fronte di crediti in ristrutturazione e
sottolinea in particolare la difficoltà di valutazione di tali crediti in
presenza di un piano non ancora definito e di una normativa del tutto nuova,
che non consente agevolmente la definizione della categoria dei rischi soltanto
eventuali. La Società conclude ritenendo il fondo in questione “congruo a
fronteggiare le perdite complessive che dovessero emergere dai crediti iscritti
all’attivo”, dopo aver sottolineato che tale fondo “correttamente non (è)
considerato componente il patrimonio netto”. Per tutto quanto si è fin qui
esposto, è da escludere in via assoluta - stante la legittima ed appropriata,
oltre che estremamente chiara e trasparente, scelta valutativa da parte del
Consiglio di Amministrazione - “l’improprio accrescimento delle componenti
patrimoniali” di cui è parola nella parte finale della costatazione. D’altra
parte, il Consiglio dopo le opportune consultazioni, ha evidenziato nella
“Relazione sulla gestione” (cfr. all. 3.3) con assoluta chiarezza e linearità
ogni valutazione e le decisioni adottate sono frutto di analisi sviluppatesi in
tre sedute: 29-3-94, 7-9-94 e 13-4-94 (cfr. all. 3.4).»
Circa l’appunto - incidentale - contenuto nel rilievo n.° 7,
la banca replica che dalla disciplina delle competenze per l’erogazione del
credito - sempre comunque rispettosa delle norme di Vigilanza e, in ogni caso,
rientrante, nell’autonomia dell’impresa - è abnorme far derivare «conseguenze
negative in ordine alla posizione del Gruppo Casillo» (pag. 21).
Il rilievo n. 9 viene - per la parte che qui interessa - così
ribattuto: «agli interventi presidenziali si fa risalire l’origine della
pretesa elevata rischiosità dell’attivo della Banca, richiamando sempre e
ripetutamente i casi Casillo e FISVI. All’osservazione [...] può agevolmente
replicarsi che i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 27, ultima alinea,
dello Statuto, riguardano affidamenti già deliberati dal Consiglio e dal
Comitato Esecutivo (i quali negli anni 1991, 1992 e 1993 sono intervenuti sul
caso Casillo con 68 deliberazioni [...],
come si evidenzia dal prospetto all. sub 9.1).»
Quanto al rilievo n.° 28, si lamenta il fatto che vengono
chiamate in causa «le posizioni, sempre le stesse più volte citate dal gruppo
ispettivo, concernenti i gruppi “Casillo”» ed altri cinque: questi ultimi,
comunque, «non sono affatto connotate da “elementi di pesante immobilizzo”».
Per il gruppo Casillo è, per altro verso, la stessa banca a considerarlo “in
crisi”, non omettendo la dovuta trasparenza e le cautele del caso.
Quanto al basilare rilievo n.° 32, le controdeduzioni della
parte sono ampie ed esaustive: «Replicare - si premette (v. pag. 82) - su
relazioni creditizie che hanno avuto esiti negativi può apparire vano ed
inconcludente. Del senno del poi son piene le fosse. Tuttavia come in ogni
operazione creditizia finita con perdite per il sistema creditizio è fuori
dubbio che sono intervenute evoluzioni negative, rischi questi che fanno
comunque parte dell’attività dell’imprenditore bancario. Buona parte del
sistema creditizio nazionale, era esposto per L. 1.000 miliardi ca. Il Gruppo è
comunque incappato in una crisi valutaria che ha inciso sull’intera situazione
finanziaria del Paese. Quanto, in particolare, allo sconto di effetti, ritenuti
dal gruppo ispettivo di comodo, per Lit. 2 miliardi, si fa presente che il Sig.
Gnudi Pietro, all’epoca di effettuazione dell’operazione era il maggiore
esponente della società Calcistica Bologna Calcio, partecipante al Campionato
Nazionale di Calcio serie B. In ordine allo sconto di effetti all’Adriatica
Ionica di Costruzioni si fa rimando a quanto si dirà, cfr. sub cost. 43,
sull’emittente gli effetti stessi. Relativamente al finvaluta di L. 7,6
miliardi al Foggia Calcio si fa presente quanto segue:
-
nell’anno 1991 la Società ha fatto registrare sul proprio conto corrente movimenti
dare per complessive Lit. 26,1 miliardi e movimenti avere per complessive Lit.
25,6 miliardi, con saldo liquido massimo avere di Lit. 1,6 miliardi e massimo
dare di Lit. 2 miliardi ca;
-
nel corso del 1992 ha fatto registrare movimenti dare e movimenti avere per
Lit. 40 miliardi ca. per colonna;
-
nel corso del ‘92 e sino al 31-3-93 ha depositato somme fino a Lit. 1.541
milioni.
Non risponde a realtà l’osservazione secondo la quale
l’erogazione alla Società di nuova finanza si fondava su garanzie rivelatesi
inesistenti: il finanziamento di Lit. 7,6 miliardi è stato accordato
originariamente a fronte di procura all’incasso per crediti verso la Lega
Nazionale Calcio relativi alla campagna acquisti 92/93; la Lega con nota del 27
- 1 - 93 confermava i crediti in Lit. 5,8 miliardi. La Lega, a seguito di
richiesta Mediterranea del 21.1.94, ha ribadito che l’anzidetta procura doveva
intendersi limitata alla stagione calcistica 92/93, non a quella 93/94. Ciò
nonostante la Mediterranea ha ottenuto ulteriori cessioni di crediti in data
25-8-94 registrando i primi conseguenti incassi per Lit. 853 milioni in data
8-9-94, portate a deconto dell’esposizione verso il “Foggia Calcio”. Il merito
creditizio della Società trova riscontro nel bilancio al 30-6-93. Cfr. su tutto
quanto precede all. 32.1. Della circostanza richiamata per il pegno di azioni
della Banca Popolare dell’Irpinia, la Banca è rimasta vittima di un
comportamento fraudolento della Casillo Grani s.n.c.»
Circa il rilievo n.° 40, nel contraddittorio la banca non
reputa di scendere nel dettaglio dell’operazione Casillo, facendo notare: «In
via incidentale, per quanto possa occorrere si sottolinea che secondo la
giurisprudenza consolidata le operazioni non comportano violazione diretta od
indiretta della disciplina in materia di azioni (all. 40.1)».
* * *
Non è irrilevante il fatto che dei sette rilievi riguardanti
specificatamente il caso Casillo, la Banca d’Italia non ne abbia ritenuto
alcuno passibile di sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 145 T.U. in
materia bancaria e creditizia (cfr. Contestazione formale della Filiale di
Potenza del 16/9/94). Quanto al coinvolgimento incidentale di cui al rilievo
n.° 43 ed all. 3/B, la Mediterranea ha già proceduto ad una contestazione
riccamente articolata ed oltremodo convincente, come più diffusamente si dirà
appresso.
Quel che è certo è che la Banca d’Italia conosceva
perfettamente la questione Casillo, non foss’altro che per i riferimenti che
l’intero sistema creditizio coinvolto ebbe a fornire anche tramite l’ABI (ed in
proposito esaustiva ci sembra la cennata controdeduzione della banca).
Escluso quindi che vi sia stato nel caso occultamento di
condizioni economiche o ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza,
quel che si può temere in via di mera ipotesi è che si possa pensare ad una
fraudolenta esposizione di fatti non rispondenti al vero in sede di bilancio
1993. Va innanzitutto rimarcato che per quell’esercizio nessun utile è stato
distribuito, ed anzi appare ufficialmente una perdita di Lit. 62.633.378.006,
peraltro correttamente fronteggiata. Siffatto disvalore tra costi e ricavi - è
bene sottolinearlo - viene determinato, non certo per il verificarsi di fatti
gestionali connaturantisi in valori numerari certi o assimilati, sibbene per il
processo meramente estimativo e prudenziale di accantonamenti stimati a
copertura di temute ma eventuali spese future per perdite su crediti. Se
analizziamo il Conto Economico, riscontriamo le seguenti voci di oneri passivi
al 31/12/1993:
Voci
|
Denominazione
|
importo
|
90
|
Rettifiche di valore su
immobilizazzioni immateriali e materiali
|
11.549.462.907
|
100
|
Accantonamenti per rischi ed oneri
|
8.544.066.793
|
140
|
Accantonamenti ai fondi rischi su crediti
|
106.763.898.373
|
150
|
Rettifiche di valore su immobilizzazioni finanziarie
|
5.931.848.192
|
TOTALE COMPLESSIVO
|
132789276265
|
Bastava dunque essere meno ragionevoli (ed era possibile),
per contrarre siffatti valori di mera stima (realtà soltanto pensate, direbbe
l’Onida) ed avere risultati di gestione favorevoli. Ma per prudenza gli
esponenti aziendali se ne sono astenuti. Ovviamente, avendo dichiarato una
perdita, hanno avuto la necessità di ben spiegare ai propri soci quanto si era
verificato nella loro azienda. In definitiva, sol perché era entrato in crisi
il coacervo di imprese Casillo si era dovuto fare quell’accantonamento
‘prudenziale’ di Lit. 106.763.898.373 eccedente di Lit. 51.957 milioni la
perdita dichiarata (82,95%).
In più sedi e con esaurienti informazioni, la banca ha
ponderato i fatti gestionali negativi e ne ha ragguagliato i soci, ben oltre il
dovuto.
A tutto concedere ad eventuali censori, rimarca il fatto che
l’elemento psicologico della fraudolenza è non solo in alcun modo non
documentato né documentabile ma obiettivamente del tutto assente: circostanza
questa, sì, abbondantemente acclarabile.
Soprattutto, non v’è dato o accenno nelle dispersive carte
ispettive che possa in qualche modo suffragare una siffatta fraudolenza.
Per converso, in varie e pertinenti sedi vengono illustrate
le traversie del Gruppo Casillo. Ai fini del ragionevole apprezzamento dei
crediti vantati dalla banca, si tiene conto di quello che si è verificato tra
la chiusura dell’esercizio 1993 e la data di approvazione del bilancio (aprile
1994). Non si tiene certo conto, perché nessuno è profeta, di quello che si è
verificato dopo. Ciò, correttamente, viene acquisito con coerenza
nell’esercizio di pertinenza, cioè in quello successivo del 1994. Senza
indugio, quindi. Quanto viene contestato dagli ispettori poggia, e per di più
solo in parte, su sviluppi negativi verificatisi tra l’aprile e la data di
chiusura della verifica di Vigilanza, ovverosia quando il bilancio bancario del
1993 era definitivamente chiuso e non più modificabile. Ridotto all’essenza, il
dissidio tra ispettori e banca sul caso Casillo si riduce al formale aspetto se
il pesante sviluppo post 1993 era prevedibile nella sua interezza in sede di
approvazione del bilancio di quell’esercizio o era prevedibile solo parzialmente
(come ebbe a fare la banca). Per converso nel bilancio successivo del 1994, la
questione non sorge più essendosi proceduto alla totale espunzione dall’attivo
dei crediti verso il Gruppo Casillo a seguito della crisi divenuta
irreversibile solo nella secondo metà del 1994. Per il principio della
‘competenza’ e della ’autonomia’ di ogni singolo esercizio, l’operato bancario
è tecnicamente ineccepibile e per niente censurabile, specie sotto il profilo
sanzionatorio in materia di società.
Atti e documenti invocabili a supporto di una tale difesa
sono sovrabbondanti. Ci limitiamo qui a richiamarne solo alcuni di grossa
valenza probatoria ed esplicativa.
Se, come sembra, sono stati acquisiti di recente il verbale
del consiglio di amministrazione della Banca del 29.3.1994 ed il verbale di
assemblea del 30.41994, vi si possono cogliere sottolineature difensive che investono gli aspetti che qui si
richiamano.
Le pagine 301-333 del verbale del Consiglio di
Amministrazione del 29 marzo 1994 documentano il travaglio degli esponenti
aziendali in ordine alla vexata quaestio
della valutazione dei crediti, delle rettifiche occorrenti, delle modalità di
esposizione in bilancio ed, in particolare e diffusamente, del valore dei
crediti col grande gruppo Casillo appalesatosi nel frattempo in crisi.
L’arrovellato dibattito, schietto e persino eccessivo, dimostra l’assenza di
ogni intento fraudolento.
Il presidente invita il Direttore Generale a relazionare in
merito alla “valutazione dei crediti” e questi si dilunga richiamando
l’attenzione del Consiglio sulla complessità e novità della nuova disciplina di
settore (pag. 301). E’ la base per una dialettica coinvolgente i singoli
componenti l’organo collegiale, portatori come noto di vari e spesso
contrapposti interessi; è il segno che il presidente si guarda bene dal
monopolizzare l’informativa su questioni tanto scottanti; è un elemento di
prova che siamo lontani da atteggiamenti di monocratismo.
Il Direttore generale si avvale del parere di un qualificato
esperto per rendere edotti tutti i membri del Consiglio di amministrazione su:
*
i criteri di
valutazione nella nuova disciplina dei bilanci bancari;
*
i criteri di
valutazione in generale;
*
i criteri di
valutazione dei crediti;
*
il fondo rischi
su crediti e le problematiche connesse alla nozione di “perdita” su crediti.
(pagg. 302-315).
Da riportare il seguente passo per lo stretto riferimento al
caso del Gruppo Casillo:
«Quando si tratti poi, in particolare, di crediti verso
grandi imprese in difficoltà per i quali siano in corso di elaborazione piani
di ristrutturazione (nel caso di codesta Banca, si tratta dell’esposizione
verso il Gruppo Casillo), detto apprezzamento offre profili di particolare
complessità e delicatezza. Per un verso non appare a mio avviso sufficiente
fare riferimento esclusivamente a schemi tradizionali (indicati ad es. da
Giordano, op. cit., pag. 278 e ss.), ma bisogna tener conto del fatto che sia o
meno intervenuto un accordo che sancisca in via (ragionevolmente) definitiva la
perdita (nel caso Casillo, ciò non è avvenuto); occorre poi effettuare un
apprezzamento generalizzato delle varie proposte di ristrutturazione del
credito, delle prospettive che le stesse vadano a buon fine, dell’impossibilità
obiettiva di prevedere e quantificare oggi possibili perdite anche con
riferimento ad eventuali proposte di tramutamento del credito in assunzione di
partecipazioni, e di altre eventuali circostanze ritenute rilevanti. Per altro
verso, non può trascurarsi di tener presente che una valutazione avventata ed
unilaterale potrebbe innescare una reazione a catena tale da determinare la
crisi dell’impresa affidata, venendo ad incidere essa (e non viceversa) sulla
recuperabilità del credito. Qualunque sia la scelta degli amministratori, della
relativa motivazione andrebbe lasciata traccia certa. In particolare, qualora
gli amministratori, nell’esercizio della loro particolare prudenza, ritengano
ragionevole costituire un accantonamento a “fondo rischi su crediti” perché si
tratta di rischio soltanto eventuale (ovvero optino per la combinazione tra la
svalutazione parziale diretta del credito e l’accantonamento per la restante
parte, ritenendo che ricorrano le condizioni per tale scelta), va tenuto
presente che non sembra sia configurabile un obbligo specifico di motivazione
nella nota integrativa al punto dove si descrive la voce “90”, essendo
richiesto che ivi si indichino soltanto le motivazioni.. [..]» (pagg. 313-315).
Non è da addebitare un’assenza di dialettica in seno al
Consiglio: «sulla base delle [predette] osservazioni - si legge a pag. 315 - si
sviluppa un ampio dibattito; vengono formulati quesiti di ordine
tecnico-giuridico e fiscale, ai quali il Direttore Generale fornisce puntuali
precisazioni.»
Lo stato dei crediti viene quindi sviscerato (pagg. 315-329)
per addivenire alla seguente delibera (pag. 329):
fare propri i
metodi di valutazione dei crediti aziendali proposti ed i risultati di dubbio
esito che ne derivino;
consentire le
appostazioni contabili con rettifica diretta dell’attivo patrimoniale per
102.554 milioni (comprensivo delle quote già registrate e rettificate delle
sofferenze in precedente delibera);
consentire
l’iscrizione al passivo di apposito “fondo per rischi ed oneri” ove riportare
le poste relative a svalutazione impegni di firma 2.328 mln.;
consentire la
iscrizione al passivo di apposito fondo Rischi su crediti per lit. 61.574/mln.
a presidio di eventuali deterioramenti dell’attivo patrimoniale (del totale
impieghi);
delegare il
Direttore Generale all’esecuzione del deliberato apportando le eventuali
modifiche di imputazione contabile che si dovessero rendere necessarie.
Al n.° 7 (pag.320 e pag. 324) risulta sottoposta ad analisi
analitica l’esposizione verso il Gruppo Casillo: in proposito testualmente si
annota (pag. 320):
«Le esposizioni complessive
per cassa sommano a Lit. 145.534/milioni. Al riguardo si osserva che
sono in corso di elaborazione piani di ristrutturazione e di cessione ad
imprenditori dotati dei necessari mezzi. Per siffatte partite, a prescindere da
una rideterminazione del tasso applicato tendente a porre gli affidati in più
favorevoli condizioni finanziarie, non è stato possibile escludere
l’eventualità di perdite future, né d’altra parte è stata raggiunta la
ragionevole certezza della perdita, atteso che al riguardo non sono stati
ancora raggiunti accordi definitivi. Si è riscontrata, quindi, l’impossibilità
obiettiva di prevedere e quantificare perdite certe o presumibili anche con
riferimento a possibili proposte di tramutamento del credito in assunzioni di
partecipazioni. E’ stato altresì necessario tener presente che una valutazione
avventata ed unilaterale avrebbe potuto innescare una reazione a catena tale da
determinare la crisi definitiva del prenditore del credito. Per una quota pari
a Lit. 3.940.933.340 di interessi maturati sulle posizioni Casillo, ricorda
inoltre il Direttore Generale, si è avuta imputazione di rettifica al conto
economico.»
Non resta occulto o riservato il ponderato processo interno
della valutazione dei crediti. Nel verbale assembleare del 30 aprile 1994, la
questione è resa pubblica con esaustive esplicitazioni e con puntualizzazione
delle ragioni operative. Mette qui conto richiamarne i punti chiave:
«Negli incagli - avverte il C.d’A. - sono presenti crediti
verso grandi imprese in difficoltà per le quali sono in corso di elaborazione
piani di ristrutturazione e di cessione ad imprenditori dotati dei mezzi
necessari. Per siffatte partite, a prescindere da una rideterminazione del
tasso applicato tendente a porre gli affidati in più favorevoli condizioni
finanziarie, non è stato possibile escludere l’eventualità di perdite future,
né d’altra parte è stata raggiunta la ragionevole certezza della perdita,
atteso che anche al riguardo non sono stati ancora raggiunti accordi definitivi.
Si è riscontrata quindi l’impossibilità obiettiva di prevedere e quantificare
perdite certe anche con riferimento a possibili proposte di tramutamento del
credito in assunzioni di partecipazioni. E’ stato altresì necessario tener
presente che una valutazione avventata ed unilaterale avrebbe potuto innescare
una reazione a catena tale da determinare la crisi definitiva del prenditore
del credito, venendo essa (e non viceversa) ad incidere sul piano della
recuperabilità del credito. In siffatta situazione di incertezza, acuita dalla
circostanza che quella da applicare al settore bancario è certamente una
normativa nuova, nel senso che le norme in materia di bilancio bancario
costituiscono un’organica disciplina di settore prima inesistente e che con la
stessa si è operato un ampio adeguamento del diritto interno all’ordinamento
europeo mediante il recepimento di principi e regole (in parte) diversi da
quelli propri della prassi e tradizione giuridica del nostro Paese, gli
Amministratori hanno ritenuto prudente, anche al fine di salvaguardare in modo
inequivocabile la stabilità e la solidità della Vostra Azienda, di procedere
all’accantonamento a “fondo rischi su crediti” di un importo di lit. 109
miliardi. La dimensione dell’accantonamento deve essere, allo stato considerata
prudente e comunque opportuna per un’Azienda di credito, in considerazione del
fatto che la sua stabilità è affidata anche alla fiducia riscossa presso i
risparmiatori, fiducia che deve trovare un radicamento soprattutto nei mezzi
patrimoniali dell’intermediario creditizio stesso. Ulteriore accantonamento di
Lit. 2.328 milioni al “fondo rischi su crediti” è stato effettuato in relazione
alla circostanza che non è stato possibile escludere l’eventualità di perdita
nei c.d. crediti di firma.»
Nel bilancio a stampa vien quindi ribadito:
«Il valore dei crediti in bilancio, comprensivo
dell’ammontare degli interessi contrattuali e di mora maturati, coincide con
quello del loro presumibile realizzo. Tale valore è ottenuto deducendo
dall’ammontare complessivamente erogato le stime di perdita in linea capitale e
per interessi, definite sulla base di specifiche analisi dei crediti in
sofferenza ed incagliati, nonché del rischio forfettario di perdite che
potrebbero manifestarsi in futuro sugli altri crediti.» (pag. 10).
«Fondi rischi su
crediti. I fondi rappresentano gli stanziamenti, effettuati nell’esercizio
ed in esercizi precedenti destinati a fronteggiare le perdite eventuali che
possono emergere dal comparto crediti e che non presentano caratteristiche tali
da comportare la svalutazione diretta del credito nell’attivo.» (pag. 12).
A pag. 20 viene incluso nella partite incagliate un “grande
gruppo in crisi” con una esposizione per Lit.145.534 milioni” [alias: Gruppo
Casillo] e dopo si specifica che «i crediti verso grandi gruppi in crisi sono
quelli vantati nei confronti di società appartenenti a grandi gruppi
industriali e finanziari anch’essi in situazione di difficoltà.»
A pag. 21 si è quindi inequivocabilmente chiari:
«I crediti nei confronti dei grandi gruppi in crisi sono
stati valutati analiticamente, definendo per ciascuna posizione l’entità della
perdita attesa sia in linea capitale che in linea interessi, sulla base delle
informazioni disponibili. [...] Il processo di valutazione dei crediti vantati
dalla Banca verso la clientela, sopra descritto, si è sviluppato secondo
criteri di prudenza che hanno tenuto conto della ragionevole certezza della
perdita al fine di adeguare il valore contabile al valore di presumibile
realizzo dei crediti stessi per capitali ed interessi. Peraltro dal comparto
crediti non è possibile escludere l’eventualità di ulteriori perdite future per
le quali ad oggi non è stata raggiunta la ragionevole certezza della perdita
stessa. Si è riscontrata quindi l’impossibilità obiettiva di prevedere e
quantificare al momento perdite certe e presumibili per tener conto del
particolare momento dell’economia, ancor più accentuato in termini negativi,
nelle nostre aree meridionali ed anche con riferimento a possibili proposte di tramutamento
di alcuni crediti in assunzioni di partecipazioni ed a gruppi che manifestano
sintomi di difficoltà. E’ stato altresì necessario tener presente che una
valutazione avventata ed unilaterale potrebbe innescare una reazione a catena
tale da determinare la crisi definitiva dei prenditori di credito, venendo essa
(e non viceversa) ad incidere sul piano della recuperabilità del credito. In
tale situazione la Banca ritiene che i presidi costituiti in bilancio,
rappresentati dai fondi rischi su crediti a voce 90 del passivo (Lit. 109.242
milioni) e dai benefici fiscali futuri connessi con l’eventuale utilizzo dei
fondi rischi tassati, presenti sia alla voce 90 (lire 61.575 milioni) che
associati con le rettifiche di valore operate sui crediti all’attivo, che non
hanno ancora le caratteristiche di deducibilità fiscale (lire 25.157 milioni),
siano congrui a fronteggiare le perdite solo eventuali che dovessero emergere
dal comparto crediti e che non presentano oggi caratteristiche tali da
comportare la svalutazione diretta del credito all’attivo.»
A pag. 46 viene ritualizzato il prospetto de: «il capitale,
le riserve, il fondo per rischi bancari e le passività subordinate” con
esclusione dei “fondi rischi su crediti” in qualche modo impegnati. L’allegato
2 “prospetto riserve ed altri fondi” è ancora più esplicito in proposito.
Il laborioso processo della redazione del bilancio 1993 ha
avuto il qualificato avallo della autorevole società di revisione “Arthur
Andersen”. Quel bilancio è stato assoggettato a revisione contabile e
certificato. Nella nota del 31 maggio 1994 può leggersi:
«A nostro giudizio, il soprammenzionato bilancio nel suo
complesso è stato redatto con chiarezza e rappresenta in modo veritiero e
corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico
della Banca Mediterranea S.p.A: per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 1993
[..];
«Per una migliore comprensione del bilancio d’esercizio, di
seguito richiamiamo l’informativa rilevante già fornita dagli Amministratori
nella nota integrativa:
*
a carico del
conto economico 1993 la Banca ha effettuato un accantonamento di lire 106.763
milioni, di cui Lire 61.575 milioni tassati, con contropartita contabile alla
voce 90 “Fondi rischi su crediti”. L’ammontare complessivamente iscritto a tale
voce, pari a Lire 109.242 milioni al 31 dicembre 1993, intende fronteggiare
rischi eventuali connessi alle esposizioni creditizie in ristrutturazione e/o
in transitorie difficoltà finanziarie. In particolare, la valutazione dei
rischi effettivi insiti nei crediti in parola ha presentato notevoli difficoltà
anche perché il relativo piano di ristrutturazione non è stato ancora definito.
A motivo di tale difficoltà e tenuto conto delle incertezze interpretative
della normativa vigente circa la definizione dei rischi solo eventuali, sentiti
qualificati consulenti legali, la Banca ha ritenuto di non portare il fondo
così costituito a diretta decurtazione del valore dei crediti bensì di esporre
il medesimo alla voce 90 del passivo quale fondo a copertura di rischi solo
eventuali e di darne informativa nella nota integrativa. Tale fondo rischi su
crediti, correttamente non considerato componente il patrimonio netto,
unitamente ai benefici fiscali futuri connessi con l’eventuale utilizzo degli
accantonamenti e rettifiche di valore già assoggettati a tassazione, è ritenuto
congruo a fronteggiare le perdite complessive che dovessero emergere dai
crediti iscritti nell’attivo. Una diversa classificazione contabile del fondo
rischi su crediti iscritto nel passivo non avrebbe, comunque, prodotto effetti
sul risultato d’esercizio e sul patrimonio netto al 31 dicembre 1993.»
In sede di certificazione di bilancio, nessun rilievo viene
dunque mosso, in particolare per quanto attiene alla valutazione dei crediti
verso il gruppo Casillo.
La negativa evoluzione del Gruppo Casillo, quale si è
fattualmente registrata nella seconda metà del 1994, viene - ripetesi - senza
indugio fronteggiata dalla Banca. A riprova valga il seguente passo di pag. 50
del bilancio a stampa al 31.12.1994:
«A seguito della visita ispettiva la Banca ha ceduto alla
controllata General Factor S.p.A: una parte del credito nei confronti del
Gruppo Casillo, pari a Lit. 72 miliardi circa, ed al valore simbolico di Lit.
9. La posizione è stata ulteriormente ammortizzata per circa Lit. 23 miliardi.
A fronte di tale cessione e passaggio a perdite la Banca ha utilizzato
contestualmente il fondo rischi su crediti - voce 90 - preesistente; l’utilizzo
è risultato pari a Lit. 95 miliardi. La posizione stessa ha subito ulteriori
rettifiche di valore e accantonamenti (voce 80) per Lit. 35,4 miliardi.» Si
perviene ad un valore complessivo di Lit. 130,4 miliardi collimante, nella
sostanza, con le catastrofiche previsioni ispettive di cui all’allegato 3/B.
Inoltre, (cfr. ibidem) «ulteriori rettifiche di valore ed accantonamenti (voce
80) per Lit. 44 miliardi circa hanno interessato esposizioni verso gruppi
“incagliati” o “in sofferenza”.» Alla data di chiusura del bilancio 1993, pur
considerando i quattro mesi disponibili prima dell’approvazione, la valutazione
della Mediterranea era ragionevole allo stato dei fatti. I rilievi ispettivi,
resi noti a fine giugno, non erano condivisibili, ma sono stati seriamente e
responsabilmente presi in considerazione. Il comportamento della banca è
consequenziale e rispettoso persino del catastrofismo valutativo cui indulge,
in sede di soggettiva e non giuspubblicistica discrezionalità tecnica, il
gruppo ispettivo. Solo a bilancio approvato, la Banca acquisisce gli elementi
di valutazione del gruppo ispettivo. Solo il successivo bilancio del 1994 è
quello “di competenza” per le rettifiche suggerite dal gruppo ispettivo. E nel
bilancio 1994, ciò viene puntualmente recepito. Nessuna irragionevolezza
valutativa dunque, nessuna scorrettezza, nessuno occultamento di fatti, neppure
colposo, figuriamoci doloso.
Va rimarcato che gli appunti critici degli ispettori avverso
l’esposizione Casillo, pur diluiti in sette rilievi, non aggrediscono la
sostanza delle cose. Trattasi di aspetti marginali, di anomalie scarsamente
significative e comunque di risalto solo tecnico, di sottolineature fattuali
risultate non rispondenti al vero, di opinabilissime valutazioni poggianti su
una dilatazione degli alvei della discrezionalità tecnica, di assunti non condivisibili.
In dettaglio, si può controbattere (andando oltre le valide
osservazioni della banca):
quanto al rilievo n. 1:
si ammette che informative vengono di volta in volta rese in
ordine alle difficoltà del “gruppo Casillo”, ma non si precisa la data d’inizio
di tali difficoltà (da altre fonti sappiamo che essa era recente e risaliva al
settembre del 1993). Nella sostanza, l’appunto viene rivolto al Consiglio di
Amministrazione è quello di limitarsi a “prendere atto”. Ma scattate le
difficoltà - che sappiamo essere dovute ad un fatto incontrollabile ed
imprevedibile come lo sconquasso del mercato dei cambi - non si comprende quale
“apprezzamento in merito alla congruenza degli interventi di sostegno proposti
e alle reali possibilità di recupero” l’organo consiliare “fosse in grado di
esprimere”. Non c’è comunque alcun anomalo comportamento, nessun atto dovuto
che venga pretermesso; solo una pretesa ispettiva di sovrumana saggezza. Ad impossibilia nemo tenetur. Nessuna
portata censoria ha dunque l’appunto, ne può averla. Non vi è culpa in vigilando. Il rilievo si riduce
ad un generico invito ad essere più espliciti e formali nelle ponderazioni
demandate all’organo consiliare. In merito, la Banca d’Italia non ha attivato
nessuna procedura sanzionatoria.
Quanto al rilievo n. 3:
non è vero che «non si fosse ritenuto di effettuare alcuna
svalutazione dei crediti vantati nei confronti del Gruppo Casillo»: quanto
precede smentisce pienamente tale addebito. Si persegue, per inoppugnabili
ragioni, una via equipollente ma molto più consona alla natura di “perdite
eventuali” che a quel tempo era possibile presupporre per l’esposizione
creditizia de qua. La sconfessione
matura nell’ambito dello stesso rilievo quando subito dopo si afferma: «la
soluzione prescelta di costituire accantonamenti per complessive L. 106,7
miliardi a presidio di eventuali perdite sui crediti dava luogo ad un improprio
accrescimento delle componenti patrimoniali.» E nello smentire se stesso,
l’ispettore incappa in una vistosa topica. Gli atti ufficiali di bilancio - che
prima sono stati citati - escludono tale posta “dalle componenti patrimoniali”.
Ciò non sfugge ai certificatori di bilancio dell’Arthur Andersen (v. sopra).
Soprassiede la Banca d’Italia tanto è vero che nessun provvedimento viene adottato
(che sarebbe stato ineludibile, se l’ispettore avesse avuto ragione).
Quanto al rilievo n.° 7:
il richiamo del tutto incidentale - «oltre al citato “gruppo
Casillo” » - solleva palesemente dall’onere di una qualche controdeduzione. Ma
tutto può dirsi, non certo che «fosse mancata trasparenza .. nel processo di
valutazione del merito creditizio, con effetti pregiudizievoli sul controllo
dell’andamento dei rischi», almeno nel caso Casillo. Basterebbe acquisire la
voluminosissima documentazione istruttoria disponibile presso la banca per
dimostrare il contrario. Pertinentemente la banca fa notare nelle sue
controdeduzioni che tale rapporto creditizio venne sottoposto al vaglio dei
massimi organi collegiali per n. 68 volte (a pag. 26 si annota infatti: il
Consiglio ed il Comitato esecutivo «negli anni 1991, 1992 e 1993 sono
intervenuti sul caso Casillo con 68 deliberazioni ..»).
Quanto al rilievo n. 9:
le posizioni facenti
capo al gruppo Casillo non discendono certo dalla mancanza di “qualsiasi
confronto dialettico” fra presidenza e
organi collegiali. Che cosa poi sia questo preteso “confronto
dialettico” è arduo definire sotto un profilo fattuale, impossibile
concretizzare ai fini di una fondata censura. Nel caso siamo dunque in presenza
di una mera raccomandazione che lascia il tempo che trova.
Quanto al rilievo n.° 28:
siamo qui in presenza di una singolare “contestazione”. Il
Gruppo Casillo viene aggregato ad altri n.° 6 rapporti sol perché tutti
“rilevano per l’elevatezza dei rischi assunti”. Ma questo era stato detto
ufficialmente dalla Banca in sede di bilancio. Di per sé l’elevatezza del
rischio non dà adito a censure. Altra cosa sono gli “elementi di pesante
immobilizzo e le gravi anomalie nella
gestione dei singoli rapporti”. Per saperne qualcosa in proposito dobbiamo però
attendere, per il Gruppo Casillo, il rilievo n.° 32, che, come vedremo, non
contiene alcunché di probante in ordine alle preannunciate censure ispettive.
Quanto al rilievo n.° 32:
la sua articolazione va decriptata. Nella sostanza e nel
dettaglio, tutte le affermazioni ispettive vengono documentatamente contestate
dalla banca nelle sue già citate controdeduzioni, cui qua si fa rinvio. Quanto
alla genericità ed incongruenza del rilievo, si può ora notare che in
definitiva gli appunti attengono alle seguenti circostanze che nulla hanno di
quel “pesante immobilizzo” e di quelle
“gravi anomalie” preannunciate nel rilievo n.° 28. Ecco in sintesi gli aspetti
messi in luce dagli ispettori:
*
nei rapporti
con due società del gruppo si erano manifestate inadeguatezze di fido - in
tempi in cui la crisi dell’intero gruppo Casillo non si era ancora verificata -
palesatesi con debordi degli utilizzi; la banca, correttamente e nell’ambito
delle competenze statutarie, vi aveva provveduto, in un caso con un mutuo
chirografario (con forma tecnica cioè molto più sicura patrimonialmente di un
C/C e, comunque, non suscettibile di debordi nell’utilizzo), e nell’altro
caso con un conto corrente “temporaneo”,
legato dunque ad effettive esigenze di liquidità;
*
si afferma, ma
non si precisa neppure in termini generici, che ipotesi di rientro non
trovavano supporto su documentate analisi istruttorie. Un fugace sguardo alla
ponderosa documentazione dimostra l’esatto contrario. S’intende in modo
realistico e non secondo le scolastiche visioni ispettive;
*
il fatto che L.
18 miliardi (l’11,39% dell’intera esposizione Casillo) dimorassero nelle
“partite transitorie” ha poco rilievo se non se ne precisano le eventuali
anomalie. L’intensa attività, anche di natura finanziaria e commerciale, del
gruppo in questione ben legittima il verificarsi di ‘sospesi’, ‘ritorni’,
‘richiami’, ‘partite in attesa di imputazione’ e simili. Ciò è del tutto
fisiologico nella prassi bancaria ed, in ispecie, nell’articolata assistenza ai
grandi gruppi.
*
gli effetti di
comodo (limitati comunque a Lit. 2 miliardi, pari all’1,26 dell’esposizione
totale) lamentati riguardano il signor Gnudi Pietro, chissà perché definito
dagli ispettori “nominativo sconosciuto”, mentre trattasi di personalità
notoria del mondo del calcio, come puntualmente emerge dalle controdeduzioni
della banca;
*
l’operazione
per Lit. 3,1 (pari all’1,97% c.s.) in favore dell’Investind riguarda la
rispondenza patrimoniale della “Adriatica Ionica di Costruzioni” appartenente
all’estraneo Gruppo Marroccoli, come annotato dagli stessi ispettori, e
trattasi di impresa in ordine alla quale neppure il catastrofico pessimismo
ispettivo ha da muovere appunti circa la totale recuperabilità dell’esposizione
bancaria (Lit. 22.582/milioni con previsione di perdite 0, secondo l’all. 3/B);
*
la pretesa
inesistenza di garanzie a sostegno del ‘finvaluta’ al “Foggia Calcio” - una
società di serie A all’epoca in notoria condizione di forma - si riduce, in
ultima analisi, come documentato dalle controdeduzioni della banca, in un
qualche disguido con la Lega, non pregiudizievole patrimonialmente;
*
quanto al pegno
di azioni della Banca Popolare dell’Irpinia - riguardante un finanziamento di
appena 1,5 miliardi (0,9% c.s.) alla “Casillo Grani snc” - l’anomalia non
investe di certo l’operato della Mediterranea, che semmai - come ben
puntualizzato nelle controdeduzioni - è stata l’incolpevole vittima.
Per quantità e per qualità, gli appunti ispettivi, dunque,
non sono tali da inficiare, nella globalità, l’assistenza creditizia al Gruppo
Casillo: se alla fine del 1993 ed a seguito di eventi straordinari,
imprevedibili e sostanzialmente estranei alla gestione imprenditoriale, non
fosse sopravvenuta la crisi, nessuna nota critica avrebbe avuto senso. Scattata
la crisi, il comportamento della Mediterranea è stato congruo e corretto.
Pertinente e convincente, risulta la relativa rappresentazione in bilancio.
Inconsistenti, limitati e marginali appaiono, in tale contesto, le note
critiche degli ispettori. Nessun rilievo extra-ispettivo vi si confà.
GRUPPO
FISVI
Sotto l’impropria denominazione di “gruppo” vengono dagli
ispettori affastellate società, imprese ed enti economici del settore
cooperativistico e consortile del potentino. Troviamo aggrovigliati in un unico
coacervo azionarie, società cooperative a r.l., società a r.l., istituti
finanziari, unioni cooperativistiche, cooperative di produzioni e cooperative
alimentari, etc., i cui blandi legami fra loro non vengono neppure additati dal
gruppo ispettivo e non sempre è facile coglierli. Apoditticamente, venti nuclei
operativi cooperativistici vengono considerati in crisi economica, ma per due
di questi gli ispettori non riescono ad andare al di là di una generica
situazione di incaglio. Per l’esposizione di questi due affidati e di altri due
rapporti, gli ispettori non prevedono alcuna perdita.
Stando al generico allegato 3/B, abbiamo questo quadro
sinottico:
GRUPPO CONFCOOP./FISVI
N.°
posizioni
|
crediti cassa
|
crediti
firma
|
totale
|
previsione
perdita banca
|
previsione
ispettiva di perdita
|
n.° 20
|
L.105.659 mln
|
L. 28.319 mln
|
L.133.978 mln
|
==
|
L.73.992 mln
|
Anche qui non viene indicata quale parte di perdita attiene
ai crediti di firma, questione già sollevata per il caso Casillo, cui si
rinvia.
A ben vedere, il nucleo contestativo della Banca d’Italia
poggia su questo innaturale raggruppamento, oltre a quello facente capo a
Casillo. Solo che qui emerge un incomprensibile atteggiamento censorio verso il
mondo della cooperazione. In sede ufficiale, la Banca d’Italia (cfr. nota
citata n:° 4626) rimprovera la Mediterranea di “fondare su eventi futuri ed
incerti” “le prospettive di recupero” riguardanti il “gruppo FISVI”. Agevole
sarà (e in verità lo è stato nelle controdeduzioni) dimostrare funditus l’assoluta arbitrarietà di
siffatto assunto della Banca d’Italia, a meno che non si voglia un
atteggiamento persecutorio da parte del sistema bancario avverso il movimento
cooperativistico.
In sede ispettiva i rapporti FISVI vengono considerati nei
seguenti rilievi:
* Rilievo n. 1: La “FISVI” rientra negli esempi
“di rilevante ammontare e oltretutto riguardanti nominativi legati alla banca
da vincoli partecipativi” nei cui confronti non “risultava effettuato alcun
approfondimento sul merito degli
interventi svolti che avevano comportato una crescita delle esposizioni ..”;
* Rilievo n.° 7: «si fa riferimento in
particolare alle posizioni del gruppo “FISVI spa”, oggetto di ricorrenti
manovre di consolidamento e di ristrutturazione, tutte classificate tra gli
incagli o in sofferenza con previsioni di perdita di considerevole ammontare.»;
* Rilievo n.° 9: richiamo al menzionato gruppo
“Fisvi” in relazione alla “mancanza di qualsiasi confronto dialettico”;
* Rilievo n.° 28: si ritorna sulla elevatezza
dei rischi assunti di talune posizioni fra le quali quella del gruppo “FISVI”;
* Rilievi nn. 29 e 30: sono quelli centrali
nell’impianto accusatorio. A tali rilievi si fa qui rinvio. In sintesi emergono
questi aspetti:
le
erogazioni disposte dagli organi aziendali non trovavano sostegno in un’analisi
delle condizioni economico-patrimoniali dei richiedenti;
vi erano state
proroghe di finanziamenti scaduti;
non risultavano
acquisite valide garanzie;
prestiti in
valuta erano serviti per sottoscrivere l’aumento di capitale dei consorzi
“Ortofrutta” e “Corime”, che a loro volta avevano destinato quell’afflusso di
capitali a deconto delle “proprie consistenti posizioni debitorie nei confronti
della banca”;
alcune
posizioni «lievitate per effetto sia dell’addebito degli interessi, sia del
peggioramento delle ragioni di cambio, venivano estinte nel febbraio 1994, con
parte dei fondi rivenienti dal già menzionato finanziamento di L. 15 miliardi
concesso alla “Fisvi spa” nel precedente mese di gennaio.»
*
Rilievo n.° 31: si censurano due finanziamenti alla
“unione Regionale delle Cooperative della Basilicata” risalenti al 1991 quando
la banca concedente era una popolare e pur dovendosi ammettere che l’organo
deliberante era stato il Consiglio di amministrazione di allora; a parte la
nota sull’utilizzo finale delle disponibilità (mancando un vincolo di
destinazione, ciò è ininfluente), quel che in definitiva rileva è “il
peggioramento del tasso di cambio”, evento straordinario ed imprevedibile. Nel
marzo del 1994, il rapporto viene regolarizzato con un “mutuo ipotecario di
Lit. 25,5 miliardi. Il valore novativo e adeguatamente cautelativo
dell’intervento viene contestato con argomentazioni formali e pretestuose;
*
Rilievo n.° 45:
addebito di una questione di forma ex legge 197/1991 (censimento a nome diverso
da quello dell’effettivo presentatore di un accredito di Lit. 1.067 milioni
registrato in data 22 settembre 1992 sul conto n. 14961 intestato alla Fisvi
spa): la lontana ed ininfluente operazione (ai fini della rispondenza
patrimoniale) risulta poi essere stata una svista di un dipendente, peraltro
adeguatamente perseguito con procedimento disciplinare.
Puntuali le controdeduzioni della Banca che qui, ad ogni buon
fine, si richiamano.
Rilievo n. 1
«Per i crediti di rilevante ammontare, riguardanti i
nominativi legati alla Banca da relazioni partecipative - si scrive a pag. 10 -
(cfr. ad es. “Fisvi” ...), la valutazione degli Organi è stata puntuale e
responsabile, sia sulla base di esami della situazione patrimoniale e
finanziaria degli affidati, che in virtù anche della conoscenza personale dei
singoli imprenditori, nonché sulla base di pareri forniti da noti giuristi; ed
è stata successivamente confortata dall’evoluzione fatta registrare, [...];siffatta evoluzione è evidenziata dai
prospetti acclusi alle osservazioni sub cost. 43. Detti nominativi, allo stato,
vengono giudicati ottimi clienti non solo dalla Mediterranea - nei confronti
della quale le debitorie sono nella maggior parte rientrate o si sono
notevolmente ridotte -, ma anche dalle altre istituzioni creditizie. Sulla
situazione degli stessi si è già riferito all’Organo di Vigilanza mediante la
trasmissione delle delibere consiliari del 20 e 29 luglio e 24 agosto c.a.
contenenti le specifiche ricostruzioni dei rimborsi intervenuti (cfr. all. 1.4)
e si dirà con maggior precisione e con dovizia di dati in altra parte di queste
“controdeduzioni” (Costatazione N. 43).»
Rilievo n.° 7
«... sugli affidamenti al Gruppo “FISVI” - sui quali come si
è già detto (cfr. all. 1.4) e si dirà in seguito (cfr. infra Cost. nn. 28, 29,
30, 31, 32, 43) - non vengono da questa Azienda formulate previsioni di
perdita. [...] I rischi di sovrapposizione [tra gli organi amministrativi] sono
stati in concreto inesistenti.».
Rilievo n.° 28
Le posizioni Fisvi «non sono [..] affatto connotate “da
elementi di pesante immobilizzo, oltre che da gravi anomalie nella gestione dei
singoli rapporti”, neppure presso altre istituzioni creditizie. Quanto alle
dimensioni delle medesime si osserva che queste non hanno mai superato il
limite di fido previsto dalla normativa vigente. Circa le gravi anomalie nella
gestione dei rapporti si rinvia a quanto si dirà infra in replica alle
successive costatazioni.» (V. pagg.73-74)
Rilievo n.° 29
«Non si ritiene di poter accettare l’affermazione secondo la
quale “le erogazioni degli Organi Aziendali” non trovano sostegno in un’analisi
delle condizioni economico-patrimoniali dei richiedenti, né in un preventivo
vaglio degli scopi dei finanziamenti e delle prospettive di rimborso” per le
seguenti ragioni. Innanzitutto va fatto presente che la “S.p.A. FISVI ed il
gruppo dei Consorzi e delle cooperative ad essa facenti capo” - si tratta di
n.° 3 Società per azioni, di n.° 3 società a r.l. e di n.° 37 cooperative,
costituite da n.° 17.277 agricoltori - oltre ad un indotto che occupa circa
5.000 unità - sono seguiti ed assistiti dalla Banca sin dalla fine degli anni
‘70, vuoi per ragioni connesse alla comune natura cooperativistica - a quel
tempo e sino al ‘92 la Banca era una popolare - vuoi perché i predetti soggetti
rappresentano e costituiscono la spina dorsale dell’intera agricoltura lucana,
localizzata nella zona del Melfese, di Val d’Agri e nel Metapontino. Si
osserva, altresì, che l’assistenza creditizia si è concretizzata, oltre che in
aperture di credito in conto corrente e finanziamenti in valuta, anche, per una
quota rilevante, in anticipazione su crediti (erogazione di contributi CEE e
Ministero Risorse Agricole - crediti IVA - crediti garantiti da fideiussioni
bancarie) e in anticipazione su merci. Più in dettaglio si precisa:
- la proroga
di finanziamenti scaduti è connessa ai ritardi con cui gli Enti Pubblici
provvedono alla liquidazione dei contributi concessi; il finanziamento
“Unioncoop” deliberato dal Comitato Esecutivo il 13.11.92 e prorogato dallo
stesso Organo il 14.9.93 fino al 31.12.93 è rientrato il 10.1.94 ed il relativo
conto risultava a credito, alla data dell’11 marzo ‘94, per Lit. 2.235.934.977
(cfr. all. 20.1);
- lo stesso
conto evidenziava accrediti per Lit. 4.607.100.000 l’11.1.93, che hanno fra
l’altro determinato il rientro del finanziamento di Lit. 1.800.000.000
approvato con delibera di Consiglio del 7.7.92 (cfr. all. 29.1);
- i
finanziamenti erogati con delibere del Presidente del 22 e 25 novembre e 3
dicembre 1993 alla FISVI S.p.A, rispettivamente, di Lit. 400 milioni, di Lit.
250 milioni e di Lit. 1.100 milioni sono rientrati in data 14.10.1994, cfr.
all. 29.1 bis;
- il
finanziamento di Lit. 1/miliardo deliberato dal Comitato Esecutivo il 3.11.93 è
rientrato il 14.10.1994, cfr. all. 29.1 bis;
- quanto alle
garanzie acquisite a presidio delle ragioni creditorie della Banca, si osserva
che alcune erano connesse alla forma tecnica del sostegno erogato
(finanziamenti Ortofrutta: Lit. 3.560.000.000 - procura all’incasso contributi
Ministero Agricoltura e Foreste, ora Risorse Agricole, del 7.8.92; procura
all’incasso credito I.V.A. di Lit. 1.050.000.000 del 20.3.92; cessione di
credito del 9.9.93 di Lit. 4.734.000.000, più interessi, assistito da
fidejussione della Popolare di Milano, riconosciuta a favore Mediterranea dalla
stessa Popolare, su tutto cfr. all. 29.2; finanziamenti Agrigel: Lit.
8.183.000.000, più interessi, cessione di credito garantito del 9.9.93
assistito come sopra dalla Popolare di Milano; mandato irrevocabile all’incasso
di credito I.V.A. di Lit. 857.118.000 del 22.5.92; su tutto cfr. all. 29.3;
finanziamenti Società Produzioni Agroalimentari Italiane S.p.A. - SPAI:
delegazione di crediti derivanti da forniture e Conserve Italia per Lit. 3 miliardi
del 13.8.93; procura irrevocabile all’incasso per Lit. 4.450.000.000 di credito
I.V.A. del 29.4.94, cfr. all. 29.4; CORAC: procure irrevocabili all’incasso di
credito Ministero Agricoltura e Foreste, ora Risorse Agricole, di Lit.
1.400.000.000 del 30.5.91, di Lit. 7.800.000.000 dell’11.8.92, di Lit.
2.700.000.000 del 18.12.91, quest’ultimo incassato il 29.3.94; procura
all’incasso di credito I.V.A. di Lit. 760.000.000 del 19.3.92; custodia ed
amministrazione con diritto di ritenzione a pegno a favore della Banca di
azioni SPAI per nominali Lit. 12.000.000.000, l’operazione garantita di Lit.
4.800.000.000 è stata estinta il 12.10.1994, cfr. all. 29.5); finanziamenti a
Coop. Sementi: anticipazione su q.li 48 mila di grano duro prod. ’93 di Lit.
1.400.000.000 del 12.8.93, ridotta a Lit. 1.150.000.000 al 10.10.94, cfr. all.
29.6; Coop. Agric. Fortuna: anticipazioni su q.li 22 mila di grano duro - prod.
‘93 di Lit. 660.000.000, estinta con versamenti del 10, 11 e 19 maggio 1994,
cfr. all. 29.7; Coop. Il Granaio dell’Alto Bradano: anticipazione su q.li
30.510 di grano duro - prod. ‘93 di Lit. 915.318.000, estinta in data 8.7.94,
cfr. all. 29.8.
«E’ improprio e non pertinente, quindi, quanto rilevato
dagli ispettori in ordine alle proroghe, all’adeguamento dell’accordato, agli
utilizzi ed alla valutazione delle garanzie, trattandosi di una complessa
assistenza creditizia ad un movimento cooperativo che innerva l’intera economia
agricola di una regione; se la stessa Comunità Europea, lo stesso Ministero
delle Risorse Agricole e la Regione Basilicata ritengono di intervenire con la concessione di
contributi e con operazioni di riequilibrio finanziario, nonché con apporti
diretti al capitale di rischio (cfr. L. 140/92 e L. Reg. Basilicata 26/92, cfr.
all. 29.9), vuol dire che si è in presenza di operatori la cui situazione
finanziaria non può essere valutata alla stregua di un normale prenditore di
credito; bisogna conoscere le
ragioni, anche sociali, politiche ed economiche generali, che ne hanno
determinato la nascita e ne postulano l’esistenza ed il continuo operare, così
come avviene del resto per altre benemerite realtà industriali del nostro Paese
e dell’Europa in generale. Queste considerazioni, tenuto conto di quanto, in
fatto, significato in precedenza sono solo aggiuntive in ordine al complessivo
discorso tecnico. Quanto, infine, alla fidejussione (non finanziamento) di Lit.
1,7 miliardi deliberata dal Consiglio di Amministrazione il 24 gennaio 1994,
assistita da pegno su libretto di deposito di pari importo, si precisa che lo
stesso non ha determinato un sostanziale incremento dell’esposizione e ,
comunque, il libretto suddetto è stato compensato a deconto dell’esposizione
FISVI il 1°-8-94 (cfr. all. 29.10).»
Rilievo n.° 30
«Le operazioni di cui al “menzionato gruppo FISVI”,
“autonomamente” - rectius ai sensi dell’art. 27 dello Statuto - deliberate dal
Presidente vanno effettivamente inquadrate in un disegno di completo riassetto
del Gruppo stesso. In particolare, sono parte integrante del rafforzamento patrimoniale
e finanziario di due Consorzi, Corime nel settore distillazione vini e
Ortofrutta nel settore conservazione e surgelazione di prodotti ortofrutticoli,
nella logica della creazione di un polo agro-alimentare meridionale. I
finanziamenti di originarie complessive Lit. 17,3 miliardi - realizzatosi
l’intero disegno - sono completamente rientrati (cfr. all. 30.1). A ciò
aggiungasi che è intervenuta anche la legge 140/92, della cui prossima
emanazione si aveva già certezza nel 1991, che ha provveduto ad ulteriormente
consolidare l’equilibrio finanziario di Corime ed Ortofrutta. Il finanziamento
di Lit. 15 miliardi concesso alla FISVI S.p.A. ha trovato un primo parziale
rientro, Lit. 4 miliardi, in data 14.10.94, grazie alla vendita alla
Cirio-Polenghi-De Rica di azioni SPAI per un ctv. di Lit. 15,4 miliardi, che
verranno utilizzate anche a rientro di altri finanziamenti goduti dal Gruppo,
di cui sub cost. n. 29, cfr. all. 30.2)»
Rilievo n.° 31
«L’operazione oggetto di critica va collocata nell’ambito di
una generale riorganizzazione e ristrutturazione finanziaria e rafforzamento
dei mezzi propri dell’intero movimento cooperativistico lucano; l’Unione
Regionale delle Cooperative di Basilicata era considerata uno snodo rilevante
nell’intero progetto. Ad ogni buon conto, l’operazione è rientrata mediante
accollo alla “Unioncoop”, giusta note fra le parti del 19 e 22 novembre e 2
dicembre 1993. L’accollo si è realizzato attraverso la concessione all’
“Unioncoop” di un mutuo ipotecario di Lit. 25,5 miliardi, per il quale il
beneficiario ha chiesto l’assistenza del Fondo Interbancario di Garanzia,
assistenza per la quale la Regione ha ritenuto che “ricorrevano le condizioni
previste dall’art. 36 della Legge 454/61”. Quanto alle garanzie, tutte reali,
sono costituite da ipoteche su beni immobili, da pegno su azioni SPAI per
nominali complessive Lit. 11.877.500.000 e su quote Vini d’Europa s.c.r.l. per
nominali Lit. 6.583.000.000. In ordine alla valutazione dei beni ipotecati si
precisa che la stessa si basa su perizia redatta da organi tecnici regionali in
data 9.5.89, 11.5.89 e 18.3.94; la delibera di concessione del mutuo in parola
è del 31.3.94. Per l’immobile di maggior valore sono state acquisite ben tre
perizie, redatte sempre in epoca antecedente alla citata riunione di Consiglio,
cfr. all. 31.1. In ordine al merito creditizio della Unioncoop, si fa presente
che alla stessa è stata assegnata la realizzazione di un progetto CEE che
prevede investimenti per Lit. 75 miliardi, i cui flussi verranno accreditati su
questa Banca, che i consorzi interessati hanno deliberato di procedere alla
creazione, attraverso la loro fusione, di un unico centro agroalimentare
meridionale, che, nel mese di marzo ‘94 il conto corrente Unioncoop è risultato
costantemente a credito, cfr. all. 31.2»
Rilievo n.° 45
«Versamento di Lit. 1.067.264.440 sul conto FISVI. L’assegno
versato, tratto da I.T.C. & P. su M.P.S. - Roma, è a favore di CORAC srl -
Non trasferibile. Nell’A.V.I. informatico, l’operazione appare essere stata
eseguita da Lamiranda Saverio Carlo per conto FISVI. Sulla distinta, la firma è
di un soggetto diverso da Lamiranda. Per l’accaduto è stato sottoposto a
procedimento disciplinare l’operatore di sportello disattento.»
* * *
Il raggruppamento cooperativistico viene dunque censurato
solo per una sorta di pregiudiziale mercantilistica che ripugna ad una corretta
visione dell’assistenza bancaria a siffatte realtà economiche: queste, senza
dubbio non potenti sotto il profilo della consistenza capitalistica, hanno
altre potenzialità economiche che fanno “affidamento”. Le agevolazioni
tributarie, il supporto pubblico, le sovvenzioni comunitarie, la preminenza del
fattore lavoro, il quadro normativo di favore e - trattandosi del Sud - tutte
le previdenze che per il comparto approntano gli enti dello sviluppo hanno
valenza suppletiva e spesso moltiplicativa della semplice rispondenza
patrimoniale. Sorprende davvero che gli ispettori non ne abbiano tenuto conto.
Hanno, per contraccolpo, un modo di valutare burocratico, irrealistico,
punitivo e dispersivo del meritorio ruolo del mondo della cooperazione in
generale e del suo imprenscindibile impulso in seno alla depressa economia del
Mezzogiorno. Si fosse trattato di enti di comodo, decotti, inoperosi, fragili,
illiquidi, senza mercato, privi di spazi nel campo delle agevolazioni
meridionali, nazionali e comunitarie, si poteva pure ammettere un timore di
stampo meramente economicistico in funzionari della Banca d’Italia, che pur son
sempre pubblici e chiamati quindi a visioni di pubblico interesse, come
recitava una volta la vecchia legge bancaria. E vigendo questa, sono stati
allacciati i contestati rapporti con le cooperative, e per di più da una
popolare. Allora sono nati gli istituzionali rapporti partecipativi; allora
sono sorti gli affidamenti creditizi, in un quadro di massima trasparenza e di
complementarità operativa. Le controdeduzioni della Banca sono al riguardo
perspicue e sicuramente demolitive delle singolari pretestuosità ispettive. Un
vero infortunio, non v’è dubbio. Se la Banca avesse seguito i dettami
irresponsabili degli ispettori, avrebbe colpevolmente, forse peggio,
disintegrato un settore vivo e vitale della fragile economia lucana. Non l’ha
fatto encomiabilmente, e non l’ha fatto neppure la subentrata Banca di Roma.
Non aveva questa legami né visioni cooperativistici; aveva ed ha preclusivi
interessi imprenditoriali: eppure ha mantenuto i rapporti con le cooperative
proprio perché erano rapporti validi, proficui, economicamente sani, appetibili
bancariamente. Un avallo autorevole per l’operato dei precedenti esponenti; una
esemplare smentita delle infondate previsioni burocratiche di emanazione Banca
d’Italia.
Ancor
più che per il caso Casillo, i tanti rilievi, la loro prolissità, la loro
evanescenza non spiegano perché nel complesso i venti organismi raggruppati
sotto la denominazione “FISVI”, sono soggetti non affidabili bancariamente,
perché sono da ritenere indesiderabili (marchiati con il connotato della
“sofferenza”) o in predecozione (si parla di “incagli”) e perché sarebbero ormai caduchi economicamente e
patrimonialmente (tanto che per gli ispettori è prevedibile una perdita del 70%
dei crediti per cassa). Le controdeduzioni diradano incontrovertibilmente tali
irragionevoli paure. Rientri già avvenuti, massicci sostegni finanziari
pubblici, veri crediti tributari, mercati in sviluppo, irrobustimenti societari
per qualificanti partecipazioni da parte di colossi nel settore agroalimentare
e tanti altri aspetti che la Banca ha messo in luce, dimostrano a iosa che
siamo in presenza di realtà valide, operanti, dalle effettive prospettive di
crescita. Taluni contraccolpi di natura valutaria, per il noto trambusto del
mercato dei cambi, possono avere determinato un qualche momentaneo disguido che
rendeva necessari ritocchi negli affidamenti, peraltro legittimi, anzi
meritori. Poca cosa rispetto a quanto è avvenuto per il terremoto valutario in
campo nazionale e presso le grandi industrie, con i noti riflessi presso
l’intero sistema bancario, grandi banche del Nord comprese. C’è allora proprio
da credere che per gli ispettori della Vigilanza, le banche devono ritirare
l’ombrello prestato al primo apparire di alcune gocce di pioggia, come irride
il noto paradosso?
La Banca Mediterranea non l’ha fatto, non ha iniquamente distrutto
il prospero mondo cooperativistico, non ha perso nulla, ha avuto fonti di
reddito e le ha consentite; la subentrata Banca di Roma ha proseguito sulla via
tracciata dai banchieri del Sud ed il suo ultimo bilancio conferma appieno la
bontà delle scelte, quelle dei predecessori e quelle degli attuali
amministratori.
Tralasciando i rilievi nn.° 1; 7; 28 e 45), ove il Gruppo
FISVI è pretestuosamente additato, gli appunti di cui ai rilievi 29; 30 e 31
non vanno al di là di aspetti formali, marginali, e giammai di portata generale
da inficiare i rapporti creditizi delle ben 20 società ed enti intruppati sotto
un unico gruppo.
Si afferma che le erogazioni creditizie mancavano di analisi.
Basterebbe acquisire le pratiche di fido per provare il contrario. La realtà
cooperativistica del luogo poteva (ed era) conosciuta dai locali esponenti
bancari, certamente molto di più di quello che ispettori romani sono in grado
di valutare. Dove e quando, poi, fosse mancata quella analisi non è detto. Che
quella assenza di analisi fosse stata pregiudizievole secondo un principio di
causa ed effetto - allora sì censurabile - non è argomentato, precisato né
tampoco provato. Il rilievo è assiomatico ed apodittico.
Vengono censurate, in modo generico, proroghe di finanzianti scaduti. Al momento
di precisare, il tutto si limita al rapporto con la “Unioncoop” le cui
peculiarità vengono, invece, illustrate nelle controdeduzioni in termini tali
da invalidare ogni sospetto di anomalia, nonché ad alcune agevolazioni del
Presidente nel 1993 in favore della FISVI S.p.A cui nulla si può eccepire se
non il fatto che i conti erano in precedenza sottodimensionati. Al limite una
questione di inopportunità, inopportunità che tale appare solo agli occhi
(irresponsabili) degli ispettori esterni.
E’ mera astuzia espositiva quella di voler far credere che
“in tal modo veniva procrastinato nel tempo l’emergere delle condizioni di
pesante immobilizzo della complessiva creditoria, ammontante ad oltre 150
miliardi al 28 febbraio 1994”. Ci si astiene dal specificare a che cosa si
allude con quella “complessiva creditoria”. Postergando il riferimento al 28
febbraio 1994, non soccorre neppure la stringatissima elencazione di cui
all’Allegato 3/B ex rilievo n. 43, che riguarda i dati di bilancio 1993. La
“complessiva creditoria” dovrebbe comunque riguardare le autonome e variamente
garantite esposizioni di tutte le 20 cooperative messe sotto tiro; dovrebbe
includere e crediti per cassa e quelli di firma; coinvolgere posizioni
d’incaglio con quelli in sofferenza (secondo il distinguo ispettivo; per la
banca trattasi sempre di posizioni normali), includere indifferenziatamente
crediti per i quali gli ispettori non prevedono perdite o ne prevedono in
misura limitata. Scatta una confusione che di per sé rende risibile l’assunto.,
in nessun altro modo specificato e provato. Emblematica la circostanza che
l’analisi era limitata ai soli rapporti FISVI S.P.A. e Unioncoop che al
31.12.1994 erano esposte per Lit. 39,7
miliardi per effettivi crediti di cassa.
Si critica che un libretto di deposito acquisito in pegno per l’importo
di Lit.1,7 miliardi si potesse collegare con un finanziamento di complessive
L.15 miliardi, erogato dalla banca: Trattasi di disponibilità che potevano
venire spese dall’affidato e rendere più rischiosa l’esposizione: avendo invece
l’affidato, con legittimi negozi giuridici, vincolato quelle disponibilità
affluite in un titolo quale il deposito a garanzia di un mero credito di firma
ha fornito alla banca un valido supporto cautelativo. Ha proprio ragione la
Banca quando annota: «si precisa che il libretto non ha determinato un
sostanziale incremento dell’esposizione e, comunque, il libretto suddetto è
stato compensato a deconto dell’esposizione FISVI il 1°-8-94.» Emerge ad
evidenza che in ogni caso trattasi di episodio insignificante, privo di ogni
sostanziale anomalia.
Quanto diffusamente scritto al rilievo n.° 30 non ha alcun
valore contestativo. Si constata soltanto che «l’operazione si risolveva in un
riassetto della complessiva debitoria del “gruppo”, senza che ne conseguissero
concreti benefici in termini di contenimento del rischio e di smobilizzo delle
posizioni». Ma il riassetto è già di per sé un valore. Gli ispettori si
arrogano il diritto di stabilire quando i benefici sono ‘concreti’ e quando no:
ciò però è demandato alla valutazione degli amministratori, nell’ambito
dell’autonomia imprenditoriale su cui notoriamente la Banca d’Italia non
intende influire. Sotto il profilo censorio, il documento tecnico ispettivo è
espressione di un avviso soggettivo, irrilevante per quanto ha riguardo alla legittimità.
Sul peggioramento delle ragioni del cambio, si è avuto modo
di controdedurre in precedenza.
L’operazione censurata al rilievo n.° 31 viene ricondotta al
suo vero alveo di regolarità nelle apposite controdeduzioni della Banca. Viene
anche qui contestata la validità sotto il profilo dell’opportunità di una
scelta gestionale che rientra appieno nell’autonomia imprenditoriale delle
banche, dichiarate dalla nuova legge bancaria imprese a tutti gli effetti (Art.
10 DL 1.9.1993 n. 385). E’ lo stesso ispettore che ammette che vi era stato un
“peggioramento del tasso di cambio”. Necessitava un riassetto e la banca si è
premurata di propiziarlo. Encomiabilmente.
Tra la visione tecnica degli ispettori di acquisire e
valutare garanzie reali e quella (ancorata alla realtà ed alle specificità
della zona) vi è diversità. Le argomentazioni addotte dalla Banca (cfr. pag. 81
e 82) invero non possono che essere considerate valide e preminenti. L’aspetto,
comunque, ha una tale marginalità che non dimostra per nulla l’assunto
ispettivo che aveva annunciato la prova di esiziali anomalie. Siamo solo al
livello delle mere raccomandazioni, di cui ogni banca deve tener conto (ma dopo
che ne ha avuto notifica) ed a cui non è giuridicamente vincolata.
Emerge un divario tra l’impianto delle costatazioni ispettive
- fragili ed evanescenti - ed il dato assiomatico di cui al prospetto sub All.
3/B al ril. n.° 43.
In termini di assoluta imponderabilità, gli ispettori prevedono
una perdita complessiva di L.73.992 mln e la contrappongono alla prudente e
ragionevole valutazione della Banca. E’ “fatto” rilevante ai fini della
redazione del bilancio 1993?
La risposta è negativa in radice. A tutto ammettere - e
condizioni di fatto e di diritto sono di diverso segno - l’apodittica
affermazione ispettiva viene rappresentata alla fine di giugno 1993, quando il
bilancio del 1993 era già stato chiuso, discusso, certificato ed approvato
dall’assemblea dei soci proprio al limite dei tempi d’obbligo. L’imprevedibile
e non condivisibile apprezzamento degli ispettori è dunque “fatto ignoto” nei
tempi utili per le rettifiche di bilancio.
Le disposizioni di settore e quelle civilistiche saranno pur
cambiate, ma resta pur sempre valido il nucleo centrale delle concezioni della
più autorevole dottrina italiana in materia di valutazione di crediti. Specie
sotto un profilo penale (art. 2621 cod. civ.) bisogna pur intendersi su che
cosa significhi la locuzione “fatti non rispondenti al vero”. Sin dai primordi
del diritto commerciale, quando si parlava di fatti falsi, nasceva la questione
sulla portata delle valutazioni. Non si vuole arrivare all’assunto
(ragioneristicamente ancor oggi non del tutto infondato) che “ogni valutazione
è un apprezzamento e non un fatto”. (Alfredo De Gregorio: i Bilanci delle
società anonime, Milano 1938, pag. 164). Col De Gregorio si può concordare che
siamo in presenza di un ‘apprezzamento’, ma questo presuppone una serie di
elementi di fatto dai quali esso possa dedursi, sia pure con la maggiore
larghezza di criteri, senza arrivare a confondere tale larghezza con qualsiasi
cervellotico arbitrio. Certo in questo campo le linee di demarcazione sono
difficilissime; ma il buon senso aiuterà molto spesso ad escludere certe
giustificazioni più o meno speciose: così non potrà, ragionevolmente, essere
giustificato quell’amministratore che, conoscendo l’insolvenza dei debitori
della società, porti per intero i relativi crediti..».
Nel nostro caso, gli ispettori della Banca d’Italia -
dall’esterno - temono perdite là dove
non v’è insolvenza dei debitori, né questa è paventabile. Quale fatto v’è
dunque? Nessuno. Ad adottare siffatti criteri ultraprudenziali (cervellotici)
si finirebbe con il costituire delle riserve occulte di bilancio che davvero
potrebbero dare adito a pesanti censure. Sono definitivamente tramontati i
tempi in cui Azzariti (in Annali di diritto e procedura penale, 1932, fasc. I
(pag. 12 dell’estratto) sosteneva. «La correttezza della riserva occulta
mediante svalutazioni delle attività sociali, purché rimanga entro certi
limiti, può essere ammessa senza esitazioni. Né qui in realtà si può parlare di
esposizione di fatti falsi. Si tratterà, se mai, di criteri di valutazione non
rispondenti alla realtà, criteri che l’assemblea dei soci potrà eventualmente
non approvare, ma che non costituiscono esposizione di fatti falsi che la legge
soltanto punisce. I giudizi, le opinioni o gli apprezzamenti non sono colpiti
dalla sanzione penale.» La parte finale del teorema Azzariti deve far meditare.
In definitiva, se la Banca avesse adottato - ammesso che fosse stata in tempo -
le ultraprudenziali valorizzazioni dei crediti fatte dagli ispettori, senza
ancoraggi fattuali, cerebralmente, con preconcetti, con dispregio della realtà
cooperativistica ed infondatamente e men che meno documentatamente, davvero
sarebbe incorsa in “criteri di
valutazione non rispondenti al vero”; davvero avrebbe sottovalutato
indebitamente l’attivo; davvero avrebbe costituito censurabili riserve occulte;
davvero avrebbe esposto “apprezzamenti non rispondenti al vero”. V’è poi un
altro limite di legge che va pure contemplato, almeno da parte degli
amministratori: sotto il profilo fiscale siffatte amputazioni dei crediti, in
presenza di debitori solvibili, non sono deducibili. Oltre al danno delle
supersvalutazioni, si avrebbe un aggravio di oneri tributari che vanno
corrisposti a dichiarazione presentata. Ciò determina un ulteriore peso perché
a fronte di oneri solo temuti e quindi non riconosciuti dal Fisco, scatta un
esborso in contanti con riflessi onerosi sulla gestione di liquidità. Il denaro
costa, anche e particolarmente alle banche. Gli ispettori di Vigilanza per
costume ignorano i problemi dell’impostazione di bilancio sotto l’aspetto
fiscale. Gli amministratori non possono esimersene e le complicazioni sono ben
note agli addetti ai lavori. Il contemperamento delle opposte esigenze (e
purtroppo delle opposte leggi) è demandato ai responsabili bancari. Il loro
operato può venire censurato dagli ispettori solo in presenza di effettive
anomalie, non per diversità di criteri nell’ambito della discrezionalità
tecnica di diversi punti di vista
(interni quelli degli amministratori; esterni quelli degli ispettori).
L’argomento conclusivo che rasserena è, comunque, la
circostanza che il gruppo di esposizioni verso il mondo cooperativistico è
stato mantenuto dalla subentrante Banca di Roma, che ha ritenuto vivi e vitali
quei crediti. A distanza di tempo, non solo non si è verificata alcuna
pessimistica previsione, non solo quelli che la Banca d’Italia aveva ritenuti
“eventi futuri ed incerti” si sono tutti verificati in senso positivo per il
riflesso patrimoniale della Mediterranea, ma la valutazione è stata mantenuta
sugli standard della precedente gestione e tale viene rappresentata anche in
sede dell’ultimo bilancio 1995, a dimostrazione dell’assoluta correttezza,
attendibilità e ragionevolezza dei criteri adottati nel passato, in ispecie nel
considerato bilancio 1993.
Pretese agevolazioni a specifici soggetti, sottoscrittori di azioni
della Mediterranea
Nella lettera di contestazione della Banca d’Italia (pag. 2)
notasi una pesante insinuazione : «La crescita dei volumi è [..] affidata in
misura non corrispondente alle effettive potenzialità economico-patrimoniali;
in particolare, al fine di rafforzare i legami con l’azionariato di codesta
“Mediterranea”, è stato offerto un ampio ed incondizionato supporto finanziario
ai detentori delle più significative quote del capitale sociale dell’ente.
Emblematiche a tal riguardo sono le
operazioni effettuate in occasione dell’ultimo aumento di capitale, deliberato
dall’Assemblea straordinaria nel febbraio 1993: dalle verifiche effettuate è
emerso che una parte delle azioni collocate è stata sottoscritta utilizzando
fondi messi a disposizione dalla stessa Azienda.»
I rilievi ispettivi che pare siano chiamati in causa
sarebbero:
Rilievo n.° 28: «Ampio
ed incondizionato è risultato il sostegno creditizio fornito a clientela
detentrice di quote significative del capitale della banca. Rilevavano, per
l’elevatezza dei rischi assunti, le posizioni concernenti i gruppi “Casillo”,
“Pafi-Icla”, “Fisvi”, “Mediofin” (ora Mediotermine Italiana srl), “Spezzati,
“Dibattista” e “Russillo”.»
I rilievi nn.° 17, 18, 19, 20 e 21 che costituiscono l’ordito
dell’intera parte del rapporto intitolata (allusivamente) Operazioni sul Capitale.
Quanto al rilievo n.° 28 , nell’aspetto messo in risalto si
finge di ignorare che trattasi di ex soci della popolare e di operazioni
creditizie risalenti ad antica data, sicuramente di gran lunga precedenti i
tempi d’attuazione dell’aumento del capitale sociale del febbraio 1993.
Che una popolare possa assistere i propri soci è cosa notoria
e non censurabile. Nella legge istitutiva delle banche sotto tal forma è
esplicitamente previsto all’art. 9: «La società può accordare anticipazioni ai
soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo
cui per legge è demandata la vigilanza sulle Aziende di credito, limiti che non
potranno in alcun caso eccedere il 40 per cento delle riserve legali.» Per di
più, sussiste l’usbergo dell’art. 2522 c.c.
L’ex banca popolare non ha mai subito sanzioni di sorta per
inottemperanza di siffatti limiti. Non si può far ricadere sulla Mediterranea
l’obbligo di estinguere tutti i rapporti creditizi ereditati dalla fusione di
una popolare, se volti a pro’ dei soci provenienti dall’assorbito assetto
societario cooperativistico. Insostenibile sarebbe la tesi che volesse limitare
la capacità di indebitamento bancario presso la propria banca a chi è stato
socio della popolare d’origine.
A ben vedere, come fanno notare le controdeduzioni, la
generica contestazione del sostegno creditizio a clientela socia va ridotta ai
cinque casi del capitolo “operazioni sul capitale” e cioè alle operazioni di a)
Mediofin (ril. 17); b) “Spezzati” (ril. 18); c) Parmalat Spa (ril. 19); d)
“Russillo”(ril. 20); “Pafi spa” (ril. 21).
Le controdeduzioni (cfr. pagg. 38-48) della Mediterranea sono
sicuramente esaustive e più che giustificative dell’operato bancario.
Comprovati sono i seguenti assunti:
L’aumento del capitale sociale del febbraio 1993 (da Lit.
138,5 miliardi a Lit. 207 miliardi) si è accompagnato al fatto che «la raccolta
diretta dell’Azienda nel periodo di esecuzione dell’aumento di capitale è
diminuita di circa Lit. 220 miliardi, utilizzate in buona parte per la
sottoscrizione in parola».
«L’operazione di aumento in parola è stata successivamente
chiusa con il capitale sociale a Lit. 190.768.480.000, cioè per un importo inferiore
di nominali Lit. 17.093.720.000. Se la Banca avesse avuto l’intenzione di
operare così come si sostiene nella costatazione, avrebbe potuto facilmente
coprire l’intero aumento deliberato.»
Vengono quindi demolite le accuse specifiche:
Operazione “Mediofin”:
A sottoscrivere le azioni è MEDIOFIN in data 25 giugno 1963
con fondi rivenienti dalla Cassa di Risparmio di Puglia. Il fatto qui è solare:
nessun prestito viene accordato per acquisto o sottoscrizione delle azioni. Gli
ispettori - osserva pertinentemente la Banca - ricostruiscono «un complesso
giro di fondi fra Società del Gruppo Degennaro
che ha come momento terminale la concessione da parte della Mediterranea di un
finanziamento in valuta di Lit. 14,9 miliardi alla s.r.l. “BARIALTO”, altra società
del Gruppo.» E’ arbitrario però collegare, specie se si vuol far credere che vi
sia un nesso di causa ed effetto, questo finanziamento in valuta con la
sottoscrizione di azioni della Mediterranea. La banca controdeduce: «Si precisa
che il finanziamento in valuta alla s.r.l. BARIALTO viene deliberato, nel
febbraio ‘93, come una partecipazione, con una quota di Lit. 15 miliardi, ad un
finanziamento in pool, capofila Cassa di Risparmio di Puglia, per complessive
Lit. 70 miliardi, durata quinquennale, garanzie ipotecarie. L’operazione
finanzia la costruzione di n.ro 850 ville bifamiliari [..] La Mediterranea
aderisce al pool con una quota di Lit. 15 miliardi con delibera del Consiglio
di Amministrazione del 5.3.93. La BARIALTO s.r.l. con nota del 17.5.93 rinunzia
all’operazione in quanto ha reperito, a condizioni migliori, fondi presso
l’ISVEIMER. Successivamente, considerato che il finanziamento ISVEIMER viene
erogato su S.A.L., la BARIALTO chiede nuovamente alla Mediterranea
l’affidamento di Lit. 15 miliardi di cui sopra è cenno. Il rientro è previsto
in cinque anni. Vengono rilasciate a garanzia fideiussione di Mediofin S.p.A.,
Viterbi Giacoma e Degennaro Giuseppe, titolari dell’intero gruppo e di ingenti
proprietà immobiliari. L’operazione viene accolta dal Consiglio di
Amministrazione Mediterranea con delibera del 5 luglio per sopperire alle
necessità finanziarie connesse agli investimenti dell’affidata. Nel luglio ‘93
il gruppo Degennaro ha presso il sistema creditizio provvista e titoli per
complessive Lit. 90 miliardi, al 30.12.93 per Lit. 63,8 miliardi.»
Operazione “Spezzati”
Gli ispettori tendono a censurare tre diverse operazioni di
sottoscrizione di azioni da parte di tre soggetti diversi (Immobiliare Spezzati
srl, Gemelli srl e Spezzati Salvatore) considerato come un unico gruppo. La
provvista viene dall’estranea Banca Popolare dell’Etruria. La data della
sottoscrizione - chissà perché - viene taciuta. La regolarità della
cointeressenza la si vuole revocare in dubbio sol perché il 22 luglio erano stati
accordati “finanziamenti per complessive L. 15,5 miliardi ... dalla Mediterranea ai nominativi
sopraindicati”. La Banca controbatte: «In realtà, come gli stessi ispettori
rilevano, la sottoscrizione è avvenuta a mezzo di assegni tratti sulla Filiale
di Pescara della Banca Popolare dell’Etruria.» Circa le finalità dei
finanziamenti, escluso ogni intento di prestito finalizzato all’acquisto di
azioni della stessa Mediterranea, resta evidente che essi furono concessi «per
sovvenire alle esigenze finanziarie dell’intero Gruppo Immobiliare, come emerge
dalle relative delibere del Consiglio di Amministrazione (cfr. all. 18.1). Nel
giugno ‘94 il Gruppo Spezzati aveva disponibilità depositate presso la Banca
Mediterranea per circa 2,5 miliardi. La gestione della tesoreria del Gruppo è
di diretta pertinenza del suo titolare. Le relazioni bancarie con il Gruppo
Spezzati hanno avuto origine nel 1987 e si sono via via incrementate con
affidamenti di rilevante importo in connessione all’aumento dell’attività del Gruppo.»
Operazione Parmalat
Il colosso dell’imprenditore parmigiano Calisto Tanzi si
sarebbe prestato - a dire degli ispettori - ad un fittizio sostegno nei
confronti della Mediterranea. La tesi, evidentemente bislacca, poggia sul fatto
che dopo la regolare sottoscrizione di azioni della Mediterranea, con fondi
provenienti da banche diverse e di rilevanza nazionale, la medesima
Mediterranea, in data successiva e per importo non coincidente, ebbe ad accordare un finanziamento di Lit. 15
miliardi in favore della (sola) ITC. Si
controdeduce da parte della banca (pagg. 42-44): «Il pacchetto azionario è
stato sottoscritto mediante versamento di assegni COMIT, Banca Roma, Monte
Parma e Piacenza, Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza di Collecchio (Parma),
nonché di assegni di Bancoper, Banca Toscana e Banca di Roma di Roma. La
tesoreria del gruppo, che ha una dimensione internazionale e quindi con
problematiche non controllabili da parte della Banca Mediterranea, né da parte
di altre Banche, viene gestita a Collecchio (Parma). I fidi concessi dalla
Mediterranea al Gruppo Parmalat sono connessi agli investimenti dallo stesso
effettuati nel Sud. Gli affidamenti vengono utilizzati nei limiti
dell’accordato ed il conto corrente della Capogruppo Parmalat ha un indice di
rotazione molto elevato, con saldi anche creditori.»
Operazione “Rossillo-Di Battista”
Per gli ispettori “gli acquisti di azione da parte degli
imprenditori Carmine Russillo e Dibattista Domenico risultavano effettuati con
fondi approntati dalla Mediterranea”. Si soggiunge che entrambe le posizioni
sono state giudicate in sofferenza con previsioni di perdita. Per la banca
(pag. 44) «sia la posizione Russillo che quella Di Battista devono considerarsi
normali: si rinvia al riguardo a quanto si è detto sub. const. n. 3, e a quanto
si dirà infra in replica alle cost. nn. 35 e 43.»
In merito all’ operazione “Russillo”, la banca precisa: «la
sottoscrizione .. è avvenuta con versamento di assegno Monte Paschi - Pz - in
data 25-5-93», mentre il finanziamento in valuta, cui forzatamente gli
ispettori collegano l’operazione di sottoscrizione da parte della persona
fisica Carmine Russillo, era stato accordato alla società di capitali “Impresa
Russillo srl Tecnologia e Costruzioni” ed era stato deliberato da un organo
collegiale della banca, il Comitato esecutivo, non contestualmente, ma ben otto
giorni prima. «Il finanziamento in valuta - precisa la Mediterranea - di Lit. 1
miliardo concesso il 17 maggio 1993 alla impresa Russillo S.r.l. - Tecnologie e
Costruzioni, assegnataria di appalti da Enti pubblici e privati per complessive
Lit. 92 miliardi, di cui ancora da eseguire circa Lit. 24 miliardi, sovviene
alle esigenze finanziarie connesse all’esecuzione di detti lavori. L’affidata
viene assistita dalla Banca sin dal 1982 e vanta crediti per circa Lit. 7
miliardi a fronte di lavori già eseguiti. L’esposizione della Mediterranea al
30-9-94 è pari a Lit. 4.850 mln, mentre a dicembre ‘93 era pari a Lit. 6.081
mln.»
Quanto alla sottoscrizione di azioni da parte del Dibattista,
gli spunti critici pare si debbano desumere dal fatto che la sottoscrizione da
parte di costui era stata regolata ”mediante il versamento di un assegno di
Lit. 8,5 miliardi tratto su di un conto intrattenuto dalla società “Dibattista
Costruzioni srl” presso la filiale di Gravina della Cassa di Risparmio di
Puglia il 30 luglio 1993”. Ma cosa può avere di anomalo siffatto giro, non è
detto. Francamente nulla, a meno che non si voglia indagare sui fatti interni
del Gruppo Di Battista, fatti interni comunque né indagabili né conoscibili né,
tampoco, censurabili da parte degli amministratori della Mediterranea e,
comunque, irrilevanti ai fini della responsabilità ex art. 2630 c.c. degli
organi amministrativi della Banca. In data 6 agosto, e cioè sei giorni dopo la
sottoscrizione, avvengono fatti extra banca Mediterranea così sintetizzati dal
gruppo ispettivo (ril. 20): «.. risultavano effettuati bonifici di importo pari
a Lit. 8,3 miliardi su diverse banche delle piazze di Gravina e di Bari
disposti dalla medesima società a debito del proprio conto corrente in essere
presso la “Mediterranea”, sul quale erano state create le relative
disponibilità con la concessione di un affidamento per scoperto di conto
corrente di Lit. 10 miliardi, deliberato
dal Consiglio di amministrazione il precedente giorno 5 agosto.» Se nel
successivo mese di febbraio 1994 ed in quello di maggio 1995 (a distanza di
oltre sei mesi per il primo caso e di oltre 10 mesi nel secondo) il Di Battista
può cedere, regolarmente e legittimamente, parte delle sue azioni e lucrarci
sopra una plusvalenza di Lit. 1000 ad azione (Lit. 600 milioni in totale), beh!
non si vede che cosa possa esservi di censurabile in ciò, e quale rilievo possa
avere ai fini di una fattispecie come quella vagamente sospettata di omesso
rispetto da parte degli amministratori della Mediterranea delle disposizioni ex
art. 2358 c.c.
Chiarisce, ad ogni
buon fine la Banca: «Anche la sottoscrizione Di Battista è avvenuta con assegno
di altra Banca, Caripuglia - Gravina di Lit. 8,5 miliardi. Il finanziamento di
Lit. 10 miliardi concesso nell’agosto del ‘93 era destinato a fronteggiare
necessità finanziarie nelle more di incassi per crediti ammontanti a circa Lit.
30 miliardi nei confronti di Enti Pubblici. L’esposizione del gruppo al 30.9.94
si ragguaglia a complessive Lit. 7.137
milioni, rispetto ad un utilizzo di Lit. 15.101 milioni al 31.12.93. Il Gruppo
Di Battista, assegnatario di appalti per complessive Lit. 99 miliardi circa da
Enti Pubblici, è ritenuto nel mercato creditizio Meridionale fra i più
efficienti e patrimonialmente solidi del settore edile. Anche per il Gruppo in
esame vale la considerazione che i movimenti intergruppo sono ispirati da
esigenze di tesoreria e non possono farsi risalire alla responsabilità delle
banche erogatrici.».
Operazione “Pafi spa”
Le “modalità anomale” - affermazione palesemente
sproporzionata rispetto alle circostanze di fatto che si additano - si riducono
in definitiva a non condivisibili appunti circa la procedura di negoziazione di
assegni. A tutto ammettere, balza però evidente che le pretese “modalità
anomale” non comportano alcuna ipotesi di “prestiti accordati per acquisto o
sottoscrizione di azioni”. Ogni forma creditizia non è neppure lontanamente
ipotizzata. La successiva costituzione in pegno avviene presso l’estranea e non
sospettabile - specie a quel tempo - Banca di Roma.
«L’acquisto da parte della Banca, - si precisa più che controdedurre a pag. 64
- in data 16.7.93, delle n.° 759.117 azioni è avvenuta a seguito di istanza
del cedente PA.FI S.p.A: motivata dalla necessità di provvista da immettere nei
conti intrattenuti con il sistema creditizio. Ritardi nella realizzazione di
incassi a fronte di lavori eseguiti avrebbero diversamente prodotto oneri
finanziari ingenti alla predetta PA.FI-. Parte (Lit. 920 milioni) del
corrispettivo (Lit. 11,4 miliardi) è stata versata nel conto ICLA S.p.A
intrattenuto presso la Mediterranea. Successivamente (20/7), realizzati gli
incassi di cui sopra (cfr. all. 21.1) e creatasi sufficiente disponibilità nei
conti intrattenuti presso altre banche del sistema, la cliente ha sottoscritto
nuovamente azioni Mediterranea e per un numero superiore (n.° 1.288.514) a
quello prima ceduto. Inoltre, l’operazione rientra nell’azione svolta dalla Banca
al fine di creare sul proprio titolo un vivace mercato: nel 1993 sono state
effettuate n.° 123 operazioni di acquisto relativamente a n.° 3.568.779 azioni
e n.° 1.940 vendite che hanno interessato n.° 2.364.970 titoli. Le modalità
tecniche di realizzazione di quanto sopra non pare abbiano impedito al gruppo
ispettivo di risalire agli effettivi soggetti operanti. Quanto alla
negoziazione per cassa dell’assegno di Lit. 18,3 miliardi tratto sulla Banca di
Roma di Potenza, essa è avvenuta previa intesa realizzata sulla stessa piazza
fra Banca Mediterranea e Banca di Roma e cioè seguendo le modalità d’uso e con
le dovute cautele. Fra l’altro i titoli azionari sottoscritti e liberati non
sono stati consegnati al titolare e neanche erano stati stampati a quella data!
E’ motivo di soddisfazione per la Banca Mediterranea rilevare, poi, che la
Banca di Roma ritiene valida garanzia il pegno su titoli Mediterranea.»
* * *
Le locuzioni usate dalla Banca d’Italia sono purtroppo tanto
allusive quanto incongrue rispetto ad effettive fattispecie di “prestito” o
“garanzia” per (al diretto fine,
dunque) “acquisto o sottoscrizione di azioni proprie”. Si parla di
“utilizzazione di somme messe a disposizione dalla stessa banca” (ril. 17); di
“analoghe modalità” (rilevo 18); di “acquisto di azioni con fondi forniti dalla
stessa banca” (ril. 19); di “acquisti di
azioni .. effettuati con fondi apprestati dalla Mediterranea” (ril. 20);
“sottoscrizione delle azioni .. con modalità anomale” (ril. n. 21).
Scendendo dalle premesse alle circostanze di fatto, non
emerge alcuna operazione in cui un prestito (fido, apercredito, anticipazione o
prestito su proprie azioni) sia stato accordato al dichiarato fine di
supportare o agevolare l’acquisto o la sottoscrizione di azioni della Mediterranea.
Gli ispettori, in 5 casi su sei (il sesto, quello della PAFI è del tutto
estraneo alla fattispecie che qui ci occupa), credono che vi sia un risalto
anomalo nella circostanza che prestiti paralleli possano essere confluiti nella
costituzione dei fondi utilizzati per la sottoscrizione di azioni. Sotto un
profilo tecnico è, invece, dimostrabile che ciò non è sostenibile o non è
sostenibile che vi sia stata un’attività del Consiglio di Amministrazione della
Banca volta a simulare un prestito diretto alla sottoscrizione di azioni della
stessa banca.
Non v’è mai una contestualità quantitativa e temporale; non
v’è mai una confusione soggettiva; non vi è mai un’inottemperanza dei doveri di
diligenza amministrativa ed esecutiva. Le operazioni che ad avviso degli
ispettori possono essere compensative, o al limite simulate, avvengono tutte
fuori della Banca, presso altri istituti di credito. Gli ispettori sono magari
in grado di conoscerle perché hanno accesso agli inviolabili segreti bancari
esterni alla Mediterranea: gli amministratori e gli operatori di questa mai e
poi mai possono avervi accesso e men che meno possono interferirvi.
L’estraneità è tanto ovvia che sarebbe veramente ozioso volervi intravedere
elementi di responsabilità o culpae in
vigilando. Nelle controdeduzioni della Banca questo aspetto è messo in luce
con ricchezza di elementi e con pertinenti argomentazioni, nonché con
sottolineature delle improprie valutazioni ispettive circa quella che è la
gestione di tesoreria dei soggetti affidati. Forse non va dimenticato che per i
prestiti bancari non v’è un vincolo di destinazione che postuli un controllo
attivo della banca affidante sull’effettiva utilizzazione dei fondi da parte
dei prenditori di essi.
La preoccupazione, l’assillo di impedire che i prenditori di
fondi li utilizzino per sottoscrivere azioni della banca affidante è tale da
spingere gli operatori della Banca a non accettare mai titoli tratti su propri
conti affidati in occasione di sottoscrizioni o acquisto di azioni di diretta
pertinenza. E a nostro avviso, una volta che il fido non viene concesso “per
acquisto o sottoscrizione delle proprie azioni”, nulla impedirebbe di
utilizzare le disponibilità conseguite legalmente per sottoscrivere o
acquistare azioni della banca.
Il tuziorismo bancario è tale che si costringono i propri
clienti a fare e utilizzare fondi presso banche terze per accedere alla
partecipazione bancaria. Tali operazioni non possono considerarsi giammai né
simulate né di comodo: osta se non altro il fatto che sono tutte operazioni
onerose (e quanto onerose sa chi utilizza servizi bancari), vere e reali,
legittime e con causa valida. E gli oneri non ricadono sulla banca che mette
sul mercato azioni proprie, ma sui sottoscrittori. Non vi è dunque nessuna
interposizione soggettiva di comodo. Non si vede, infatti, perché terzi debbano
favorire una banca quando a pagare il salace conto della provvista presso altre
banche sono solo loro.
In dettaglio abbiamo che:
nel caso sub n.° 17, la sottoscrizione di azioni Mediterranea
avviene con assegni di un diverso ente creditizio, Cassa di Risparmio di
Puglia, per natura giuridica e per effettività operativa, ben distinto e per
nulla strumentalizzabile per operazioni di comodo o simulate della concorrente
banca azionaria;
nel caso sub 18, i titoli di pagamento provengono dalla Banca
Popolare dell’Etruria della lontana Pescara;
nel caso sub 19, il sovrastante colosso della Parmalat fa
pervenire i fondi da grandi banche quali la Banca di Roma, la Banca Nazionale
del Lavoro, la Comit, o da lontane ed
estranee casse e monti di credito quali il Monte di Parma e Piacenza e la Cassa
di Risparmio di Parma e Piacenza;
nei casi sub 20, il pagamento avveniva con assegni del Monte
dei Paschi di Siena (caso Russillo) o della Cassa di Risparmio di Puglia (caso
Dibattista).
La questione Pafi (ril. 21) non rileva qui, in alcun modo.
A ben vedere non vi è neppure nessuna esatta corrispondenza
quantitativa tra le operazioni infondatamente messe in collegamento dagli
ispettori.
Nel caso sub 17 si collega una sottoscrizione per Lit. 13,3
miliardi con un finanziamento in valuta (a soggetto ed in tempi diversi) di
Lit. 14,8 miliardi, peraltro nell’ambito di «consistente “giro” di fondi per L. 122,9 miliardi » (pari al 924% della
sottoscrizione di azioni).
Nel caso sub 18, tre sottoscrizioni di tre soggetti diversi
per complessive Lit. 14 miliardi vengono collegate con finanziamenti per
complessive Lit. 15,5 miliardi.
Nel caso sub 19, la sottoscrizione da parte della Parmalat
per Lit. 8 miliardi viene messa a confronto con un (successivo) finanziamento
di Lit. 30 miliardi. La collegabile sottoscrizione da parte della ITC per Lit.
5 miliardi avrebbe punti in comune con un finanziamento di Lit. 15 miliardi.
Nei casi sub 20, la
sottoscrizione per Lit. 954,5 milioni viene collegato con “un accredito di Lit.
998 milioni riveniente da un finanziamento in valuta concesso alla società dal
Comitato esecutivo”. Gli ispettori non ne precisano l’importo. Sappiamo dalle
controdeduzioni che trattasi di un finanziamento in valuta di Lit. 1 miliardo
concesso a soggetto diverso assegnatario di appalti da Enti pubblici e privati
per complessive Lit. 92 miliardi, di cui ancora da eseguire circa Lit. 24
miliardi. La sottoscrizione da parte del Dibattista per L.8,5 miliardi viene riferito,
con evidente forzatura, ad un postumo “affidamento per scoperto di conto
corrente di Lit. 10 miliardi, deliberato dal Consiglio di amministrazione il ..
giorno 5 agosto”.
Quel che, poi, ancor più rileva è che nessuna contestualità
temporale si riscontra nelle cennate operazioni di sottoscrizione.
Nel caso sub 17, la sottoscrizione avviene il 25.6.93;
l’affidamento chiamato in causa il 5 luglio 1993. Nel caso sub 18, la
sottoscrizione è del 30 luglio 1993; il collegamento vien fatto con un fido
concesso il 22 luglio 1993. Nel caso sub 19, una sottoscrizione è dell’8 luglio
1993, mentre il fido risulta “erogato” il 13 luglio 1993; l’altra operazione è
del 12 luglio 1993, mentre il fido viene “deliberato” il 19 luglio 1993. Nei
casi sub 20, la sottoscrizione del 25 maggio 1993 viene arbitrariamente
collegata con un fido deliberato il 17 maggio; quella del 30 luglio con uno
scoperto in C/c deciso il 5 agosto.
Quel che è grave nell’ordito del rapporto ispettivo è
l’intreccio tra fatti emergenti presso la banca e fatti verificatisi in aziende creditizie estranee. Questi ultimi
fatti non vengono tenuti distinti né precisati. Si ha l’impressione - falsa -
che possa trattarsi di circostanze note agli esponenti aziendali. Invero i
fatti di altre banche sono coperti dal rigido segreto bancario. Non sono dunque
in alcun modo conoscibili da parte degli amministratori della Mediterranea. Gli
ispettori li hanno potuto appurare avvalendosi di parallele ispezioni o in
forza della loro funzione pubblica, cui non si può opporre il segreto bancario.
Era doveroso pertanto distinguere fatti a conoscenza degli amministratori e
fatti verificatisi all’esterno della banca, di cui gli stessi amministratori
non hanno né possono avere consapevolezza e, comunque, responsabilità alcuna.
Le anomalie che si reputa di riscontrare nelle “operazioni sul capitale” devono
essere contemplate nell’ambito delle responsabilità degli amministratori ex
art. 2630 c.c. Non si può far ricadere l’ombra del dubbio sul comportamento
degli amministratori intrecciando indistintamente circostanze che possono farsi
risalire alla loro responsabilità e vicende del tutto estranee alla loro sfera
di conoscenza e di influenza.
Specificando, gli amministratori ignoravano del tutto quel
che si dice nel rilievo n.° 17, laddove si descrive che «i fondi per la
copertura di quest’ultimo assegno [quello di Lit. 14 miliardi “compensato da
Caripuglia”] erano apprestati con il ricorso ad una complessa operazione di
scambio incrociato di assegni posta in essere il medesimo 9 luglio e che aveva
interessato, oltre il conto “Mediofin”, i conti intestati ad altre società
dello stesso “gruppo” (Vallerro, Spec, Larouge, Barialto, Barialto Service e
Italcostruzioni); il menzionato “giro”, consistente in registrazioni di
addebito e di accredito per importo esattamente corrispondente (Lit. 122,9
miliardi), era servito a far affluire sul conto “Mediofin” disponibilità per
complessive L. 14,8 miliardi provenienti da “Barialto”...». Gli ispettori non
precisano a quali conti ci si riferisce e principalmente se questi erano tutti
conti della Mediterranea o, come solo agli svezzati occhi degli addetti ai
lavori appare, investivano conti di altre banche, in ispecie della Caripuglia.
In estrema sintesi, si deve riconoscere che il giro di assegni viene
ricostruito presso Caripuglia. Ciò è possibile agli ispettori: è interdetto
agli amministratori della Mediterranea. Orbene se ciò è vero, quale
responsabilità può farsi ricadere su questi ultimi? E’ un giro che avviene
fuori della loro banca, che ignorano, che non possono investigare per i limiti
del segreto bancario, di cui non sono assolutamente responsabili. E se tanto è
da dire sul “giro”, il nesso causale tra prestito e utilizzo dei fondi per
sottoscrizione di azioni crolla incontrovertibilmente.
Nel caso sub 18, alla Mediterranea al massimo può risultare
che propri assegni sono stati negoziati presso la Banca Popolare dell’Etruria;
gli amministratori non sono assolutamente in grado di sapere che il netto
ricavo era affluito proprio in quel conto dell’estranea popolare su cui poi
vengono tratti gli assegni per la sottoscrizione di azioni. Anche qui, gli
ispettori contestano fatti che non si sono verificati presso la Mediterranea,
fatti non conoscibili dagli amministratori. Senza tale collegamento ogni
responsabilità dei medesimi amministratori è assolutamente insostenibile.
Nel caso sub 19, “la prima parte del rilievo si impernia sul
fatto che erano stati “disposti in favore delle suddette [ma diverse dalla
Mediterranea] banche bonifici di corrispondente ammontare a valere sulle
disponibilità rivenienti dai finanziamenti”. Solo che nulla consentiva agli
amministratori di sapere (e impedire) che quei bonifici venivano destinati a
loro volta a costituire quelle disponibilità presso banche nazionali che erano
servite alla sottoscrizione di azioni. Fatti del tutto esterni e per di più
intervallati da un congruo lasso di tempo. Altrettanto può dirsi per la seconda
parte del rilievo, dove di sfuggita e senza rappresentarne la portata, si parla
di “assegni negoziati presso le filiali di Roma della Banca Toscana e del Monte
dei Paschi di Siena”. Che cosa potevano sapere al riguardo gli amministratori
della Mediterranea? quale responsabilità è a loro ascrivibile? Tacciono gli
ispettori. Nessuna si può affermare, in sede tecnica.
Anche i casi sub rilievo n.° 20 poggiano su circostanze
verificatesi presso aziende bancarie esterne, al di fuori della portata degli
amministratori della Mediterranea. In un caso trattasi di una negoziazione di
un assegno presso l’insospettabile Monte dei Paschi di Siena; nell’altro caso
trattasi di “bonifici di importo pari a Lit. 8,3 miliardi su diverse banche
delle piazze di Gravina e di Bari disposti dalla medesima società a debito del
proprio conto corrente in essere presso la Mediterranea.”. Gli amministratori
di questa al massimo potevano avere sentore di tali bonifici, avvenuti peraltro
sei giorni dopo la sottoscrizione delle azioni in questione; giammai erano in
grado di conoscerne la destinazione che era avvenuta presso le diverse banche
di Gravina e Bari. Fatti esterni, in nessun modo addebitabili agli
amministratori della Mediterranea.
* * *
Quale visione abbiano gli ispettori della Banca d’Italia in
tema di anomale operazioni di prestito sulle proprie azioni ex art. 2358 non è
agevole intuire. Non è neppure chiaro se intendano riferirvisi nei cennati
rilievi. Certo, presso una normale azionaria, un prestito a propri
sottoscrittori di azioni emerge di primo acchito. Ma presso una banca, che ha
il suo scopo societario nell’attività creditizia, i prestiti a propri
sottoscrittori debbono avere connotati di anomalia marcati e finalizzati perché
possa scattare la fattispecie vietata dall’art. 2350 c.c. Se bastasse una
semplice agevolazione creditizia, in linea con le rigorose procedure
dell’ordinamento di settore, per ipotizzarsi operazioni censurabili, tutto il
sistema creditizio in forma azionaria verrebbe chiamato in causa. Un
affidamento antecedente, contestuale o successivo potrebbe senza particolari
sforzi venire collegato con una sottoscrizione o acquisto di azioni della
medesima banca affidante. Non risulta che una siffatta linea estremista sia
stata recepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
In definitiva quel che viene vietato è un indebito
annacquamento del capitale sociale. Ciò si ha di sicuro quando una fittizia
attività viene contrapposta, in modo diretto e senza vantaggi di sorta per il
conto economico, agli incrementi che si registrano alla voce: “capitale
sociale”. Quando, cioè, la stessa partita va ad aumentare i crediti,
all’attivo, ed il “capitale” (che per i ragionieri, almeno, è pur sempre una
voce del ‘passivo’ dello stato patrimoniale). L’operazione contabile si riduce,
in tal caso, a questa semplice variazione dell’attivo e del passivo, per lo
stesso importo:
data
|
crediti
|
a
|
capitale
sociale
|
Lit. XXX
|
Forse la disposizione di cui
all’art. 9 della già citata legge sulle popolari, chiarisce qualcosa.
Quell’articolo rappresenta un’eccezione rispetto all’art. 2358 c.c. e
l’eccezione è limitata alla possibilità di accordare anticipazioni sulle
proprie azioni, purché entro il limite del 40 per cento delle riserve legali.
Per le banche sotto forma di spa, per converso, neppure entro quel limite si
possono accordare fidi garantiti da proprie azioni, specie se sottoscrivende.
Tanto non è da escludere che sia avvenuto nel passato, non sappiamo con quali
conseguenze penali. Escluse le anticipazioni sulle azioni oltre i limiti ai
soci, nulla sembra ostare alle popolari di accordare altre facilitazioni
creditizie alla propria clientela
rientrante anche nella propria
compagine societaria. Per le aziende ordinarie, dovrebbe del pari essere
ammessa la normale attività creditizia a chi per avventura è socio ed
interdetta in assoluto quella sotto forma di anticipi su proprie azioni.
Del pari, un affidamento che venga istruito e dichiarato come
prestito per la sottoscrizione o l’acquisto di azioni della banca affidante,
può dar adito a censure. Del pari, s’intende, operazioni creditizie
inusitatamente gratuite o a soggetti di comodo, senza alcuna rispondenza
patrimoniale collegabili all’aumento del capitale sociale della banca sarebbero
egualmente perseguibili. Ma al di fuori di ciò, l’area dell’anomalia deve
essere congruamente ed in modo circostanziato comprovata.
Nelle vicende della Mediterranea, nulla di quanto sopra è
emerso; niente viene provato; vaga, defatigatoria e con circostanze non
corrispondenti al vero è l’allusione che qua e là è rinvenibile nel rapporto
ispettivo.
E sempre a tutto concedere, scatta poi la questione della
responsabilità degli amministratori che mai è indicata, in nessun caso provata,
sempre inesistente, come diffusamente si è sopra argomentato.
Le incidenze economiche lamentate da piccoli azionisti, adusi ad
un’opposizione preconcetta, in ordine
alla contrazione di valore delle azioni della Mediterranea.
La Banca d’Italia sembra, in linea di massima, lamentare che
«il Consiglio di amministrazione non ha ispirato a criteri di ragionevole
prudenza le scelte adottate in materia di valutazione dei crediti, realizzando,
tra l’altro, un improprio accrescimento del Patrimonio di Vigilanza;
nell’occasione, l’atteggiamento della Banca è sembrato infatti teso a
privilegiare ancora una volta la ricerca del consenso della base sociale,
esigenza questa che, negli ultimi anni, ha originato sia gli elevati dividendi
corrisposti ai soci, sia la fissazione, in sede di acquisto di azioni proprie,
di prezzi unitari altamente remunerativi.» (Cfr. pag. 4 nota n.° 4626)
Da rimarcare che l’eventuale carenza di “ragionevole
prudenza” riguarderebbe soltanto il Patrimonio a fini di Vigilanza, e non certo
il bilancio ufficiale. L’atteggiamento della Banca non poteva, nel bilancio
1993, avere nessun effetto positivo nella “ricerca del consenso della base
sociale”, visto che l’esercizio chiudeva in perdita, senza distribuzione alcuna
di utili. Circa gli “elevati dividendi” dei precedenti anni, nulla prova che
fossero indebiti. Anzi! La “fissazione dei prezzi unitari altamente
remunerativi” vale nel doppio senso degli acquisti e delle vendite, con effetti
sostanzialmente compensativi. Trattasi comunque di valori liberamente
negoziabili, che rispondono alla logica della domanda e dell’offerta, rimessi,
dunque, al gioco del libero mercato.
La costatazione della Banca d’Italia, in definitiva,
radicalizza, il rilievo n. 4 del rapporto ispettivo. Qui si annota: «La
soluzione descritta [quella di accantonare al passivo Lit. 106.7 miliardi a
presidio di eventuali perdite su crediti, sulla quale si è diffusamente scritto
prima] consentiva di mantenere elevato il prezzo delle azioni sociali cui
commisurare gli interventi a carico dell’apposito fondo. A tale riguardo
sintomatica della scarsa trasparenza decisionale risultava la circostanza che i
prezzi proposti all’assemblea fossero stati determinati (cfr. verbale
consiliare del 29.3.1994) ancor prima di procedere all’approvazione del
progetto di bilancio e senza che dagli atti consiliari emergessero elementi per
giustificare il valore dell’azione nelle misure deliberate (da un minimo di
Lit. 14.000 ad un massimo di Lit. 16.000). Solo in data 28 aprile 1994 veniva
acquisito il parere di un consulente esterno che, pur confermando nella
sostanza il valore del titolo in una misura (L. 15.800) compresa tra i prezzi
minimo e massimo proposti dal Consiglio ed approvati dall’assemblea dei soci il
30.4.1994, ne subordinava la effettività alla “adeguatezza” degli stanziamenti
di bilancio destinati alla copertura delle perdite su crediti e alla
inesistenza di ulteriori perdite nel comparto delle partecipazioni.»
Replica la Banca (pag. 15 e ss. delle controdeduzioni):
«Ribadito che quanto rilevato nella “costatazione” 3 non incide né sulla
esattezza né sulla chiarezza delle rappresentazioni, non si riesce comunque a
capire in che modo l’atteggiamento tenuto in sede di redazione del bilancio
abbia potuto consentire “di mantenere elevato il prezzo delle azioni sociali
cui commisurare gli interventi a carico dell’apposito fondo”, atteso che
l’importo di Lit. 109,2 miliardi, accantonato alla voce “fondo rischi crediti -
voce 90”, non è stato tenuto in considerazione - per la semplicissima ragione
che le norme vigenti non lo consentono - nella ricostruzione del patrimonio
netto rettificato che è stata la seguente:
- capitale sociale
|
Lit. 189.772 mln
|
- sovrapprezzo azioni
|
Lit. 106.185 mln
|
- riserve (inc. rivalutazioni)
|
Lit. 140.506 mln
|
- fondo rischi bancari generali
|
Lit. 11.705 mln
|
meno Perdita d’esercizio
|
Lit. 62.633 mln
|
Totale patrimonio netto contabile
|
Lit. 385.535 mln
|
- plusvalenza immobili
|
Lit. 28.775 mln
|
- plusvalenza titoli
|
Lit. 16.636 mln
|
- ammortamento avviamento residuo (meno)
|
Lit. 882 mln
|
- benefici fiscali futuri
|
Lit. 35.624 mln
|
- oneri fiscali futuri (meno)
|
Lit. 12.537 mln
|
Totale patrimonio netto rettificato
|
Lit. 453.151 mln
|
«Vedasi sul punto anche la già richiamata relazione di
certificazione della Società Arthur Andersen nella quale è scritto
espressamente (cfr. anche quanto detto in replica alla cost. 3) che il fondo
rischi su crediti “correttamente non (è) considerato componente il patrimonio
netto”. Non è vero, quindi, che l’atteggiamento tenuto dal Consiglio mirasse a
mantenere elevato il prezzo delle azioni; le proposte al riguardo presentate
all’Assemblea sono state una prima volta, 29.3.94, formulate conoscendo, nella
sostanza, le risultanze del bilancio 1993 e, successivamente, 28.4.94,
definitivamente approvate sulla scorta anche di un parere fornite da un
tecnico, Prof. Potito (cfr. all. 4.1); le copie delle delibere richiamate (cfr.
all. 4.2) fanno fede dell’anzi cennata ricostruzione. Evidentemente, quindi,
l’affermazione che leggesi nella “costatazione” è frutto di svista del gruppo
ispettivo”.»
Incorrendo in una ingiustificabile topica, gli ispettori
gonfiano insignificanti appunti al seguente passo della delibera consiliare del
23.9.1994: «Il Presidente passa a trattare il terzo punto all’ordine del
giorno: 3) Autorizzazione al Consiglio di Amministrazione per la compravendita
di azioni proprie ex art. 2357 C.C.; conseguente conferimento poteri;
convocazione assemblea ordinaria dei soci. Il Presidente informa il Consiglio
di Amministrazione che l’autorizzazione all’acquisto ed alla successiva
cessione di azioni proprie mediante l’utilizzo dell’apposito fondo iscritto in
bilancio per Lit. 24.000.000/m - oggi ridotto a Lit. 10.199.707/m per effetto
delle operazioni di compravendita effettuate durante l’anno 1993 - scade con la
prossima assemblea ordinaria. Conseguentemente occorre che, ai sensi dell’art.
2357 ter C.C., il Consiglio di Amministrazione chieda ed ottenga dall’Assemblea
autorizzazione ad operare anche per l’esercizio 1994 nel senso sopra indicato.
E’ necessario perciò, conclude il Dr. Somma, sottoporre all’Assemblea la
questione. Il Consiglio di Amministrazione, ascoltata e fatta propria la
relazione del Presidente, all’unanimità e con il parere favorevole del Collegio
Sindacale, delibera:
1) - di richiedere alla convocanda Assemblea dei Soci
per l’approvazione del Bilancio 1993 le autorizzazioni al Consiglio di
Amministrazione all’acquisto di azioni proprie ai sensi dell’art. 2357 C.C. ed
alla vendita ai sensi dell’art. 2357 ter;
2) - che la concessione della autorizzazione abbia
durata fino all’approvazione, da parte dell’Organo assembleare del Bilancio
della Banca al 31 dicembre 1994;
3) - che venga quantificato il corrispettivo minimo ed
il corrispettivo massimo rispettivamente nella misura di Lit. 14.000 e Lit.
16.000.»
L’esaustività e la legittimità di ciò che al momento è solo
una proposta da sottoporre all’approvazione dell’organo competente, l’Assemblea
dei soci, sono di tutta evidenza. E’ solo pretestuoso volere intravedere in
tale formalità (cui non si collega alcuna operatività sulle proprie azioni,
operatività che partirà a bilancio approvato) sintomi di “scarsa trasparenza
decisionale”. Se non si era ancora approvato il progetto di bilancio, era ben
conosciuta dall’organo consiliare la situazione della loro banca. Non si vede
perché bisognava attendere la canonizzazione ufficiale dei già noti risultati
di gestione per preordinare una semplice proposta di autorizzazione. Si
soggiunge che “solo in data 28 aprile 1994 veniva acquisito il parere di un
consulente esterno”. E qui si incappa - ci si sforza di pensare in buona fede -
in una svista macroscopica: non ci si accorge che il Consiglio di
Amministrazione è ritornato sull’argomento con delibera del 29.4.1994 in cui
leggesi: «2) Comunicazioni del Presidente - Informative - Determinazione prezzo azioni proprie ai
sensi dell’art. 2357 C.C. - Il Direttore generale, su invito del Presidente, fa
presente al Consiglio di Amministrazione che al fine di determinare il
corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo di cui all’art. 2357 c.c. per
l’acquisto e la vendita delle azioni proprie in portafoglio si è ritenuto di
chiedere un parere al Prof. Dr. Lucio Potito - Ordinario di Ragioneria
nell’Università di Napoli. Il Prof. Potito ha fornito il seguente parere [segue
l’articolato, ultratecnico e fondato parere del prof. Potito che arriva ai
seguenti risultati conclusivi:]
Patrimonio + Raccolta Lit. 692
( - ) Rettifica reddituale Lit. 94
VALORE DELL’AZIENDA Lit. 598 mld.
Ne deriva un valore per azione di Lit. 15.756
(598:37.954.498), che si arrotonda a Lit. 15.800.
«[..] Il Consiglio di Amministrazione all’unanimità e con il
parere favorevole del Collegio Sindacale, dopo ampia ed approfondita
discussione, sulla scorta anche delle valutazioni prodotte del Prof. Potito
- delibera - di fissare il corrispettivo
minimo per l’acquisto e la vendita delle suddette azioni in Lit. 15.000 ed il
massimo in Lit. 16.500.»
Come si vede viene rettificata la precedente delibera e si
decide di “proporre” all’Assemblea nuovi e leggermente maggiori valori rispetto
a quanto pensato nella riunione del 29.3.94. Ciò avviene sulla scorta delle
puntualizzazioni del tecnico esterno e dopo che il progetto di bilancio aveva
avuto l’occorrente approvazione consiliare. Con riguardo alla delibera del 29
aprile 1994, gli spunti critici - ammesso che avessero valenza - degli ispettori naufragano miseramente. E’ lo
stesso rapporto ispettivo che ci assicura che solo l’ultima proposta è stata
approvata dall’assemblea dei soci il 30.4.1994. Ma ove si volesse comunque
dubitarne, ecco lo stralcio della delibera assembleare del 30.4.1994: «4)
Autorizzazione al Consiglio di Amministrazione alla compravendita di azioni
proprie ex art. 2357 C.C.; conferimento poteri. Il Presidente:
- informa l’Assemblea che l’autorizzazione all’acquisto di
azioni proprie mediante utilizzo dell’apposito fondo iscritto in bilancio scade
con l’odierna Assemblea Ordinaria;
- invita, pertanto l’Assemblea a rinnovare tale
autorizzazione ai sensi dell’art. 2357 C.C..;
ciò in quanto occorre
che, ai sensi dell’art. 2357 C.C., il Consiglio di Amministrazione venga,
dall’Assemblea, autorizzato ad acquistare le azioni in parola e a disporre
delle stesse ai sensi dell’art. 2357 ter C.C.-.
Il Presidente conclude sottolineando la necessità che, al
Consiglio di Amministrazione, le necessarie autorizzazioni vengano concesse con
i dettami previsti dagli articoli innanzi citati per le rispettive previsioni.
Informa che, a tal fine, si è ritenuto opportuno richiedere una stima tecnica
al Prof. Lucio Potito - Ordinario di Ragioneria nell’Università di Napoli -
sull’intorno di prezzo attribuibile alle azioni proprie da acquistare o da
cedere sulla base dei dati di Bilancio al 31-12-1993. Da tale stima è emerso un
valore medio per azione di Lit. 15.800. Sulla base delle valutazioni effettuate
dal Prof. Potito, propone di fissare il corrispettivo minimo per l’acquisto e
la vendita delle azioni in Lit. 15.000 cad. ed il massimo in Lit. 16.500
cadauna. Il Prof. Antonio Lanza, a nome del Collegio Sindacale, esprime parere
favorevole in ordine alla proposta di cui innanzi. Nessuno avendo chiesto la
parola - l’assemblea - udita la proposta del Consiglio di Amministrazione,
preso atto del parere favorevole del Collegio Sindacale, all’unanimità di voti
espressi per alzata di mano, con verifica, sempre per alzata di mano, di - voti
contrari: nessuno - astenuti: nessuno; - delibera
1) di autorizzare ai sensi dell’art. 2357 C.C. il
Consiglio di Amministrazione a procedere all’acquisto delle azioni proprie
entro un massimale rotativo di n.° 1.600.000 azioni e ad un prezzo unitario
fissato fra un minimo di Lit. 15.000 ed un massimo di Lit. 16.500. La presente
autorizzazione è accordata con durata fino all’Assemblea Ordinaria per
l’approvazione del bilancio esercizio 1994;
2) di autorizzare il Consiglio di Amministrazione, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 2357 ter C.C., a vendere a propria discrezione, anche ai non Soci, le azioni
proprie acquistate o da acquistare alle migliori condizioni e comunque ad un
prezzo non inferiore alla media aritmetica dei prezzi di acquisto di dette
azioni;
3) di delegare al Consiglio di Amministrazione
l’esecuzione della presente delibera, conferendo all’indicato Organo le
occorrenti facoltà.»
Il polverone ispettivo s’infrange, dunque, contro la
correttezza, prudenza e trasparenza della delibera assembleare. Avvedutezza
operativa e chiarezza di esposizione sono documentate nell’atto decisorio
definitivo e presso l’organo competente. Gli atti preparatori del Presidente e
del Consiglio di Amministrazione, a formazione progressiva, confluiscono nella
delibera del 30 aprile 1994 senza forzature, senza infingimenti; con
ripensamenti, magari, ma questi rassodano la serietà del processo formativo e
non meritano le frettolose riserve del gruppo ispettivo.
Se gli amministratori
avessero voluto dilatare i “prezzi unitari delle azioni alla ricerca del
consenso della base sociale”- come sembra sospettare la Banca d’Italia - ben
potevano espandere il valore dei propri titoli. Bastava adottare un metro più
generoso per la valutazione del “goodwill”: il prof. Potito si limita ad un
saggio dell’8% dei mezzi fiduciari, quando sul mercato quello medio è del 10%
ed il tasso tradizionale ascende al 12%; il prof. Potito prende a base di
calcolo della “raccolta diretta” una
media molto prudente: gli approdi consolidati erano di gran lunga superiori. A
fronte delle Lit. 239 miliardi del calcolo Potito (raccolta media
dell’anno:2988 x 0.08 = 239), era ancora ammissibile una valutazione superiore
(mezzi fiduciari conseguiti Lit. 3500 x 0,10 = 350). Niente obbligava a considerare
la componente negativa per “rettifica reddituale”. La perdita eccezionale
dell’esercizio non riguardava la parte corrente, ma era dovuta a stime di
probabili oneri futuri. Si poteva recuperare parte del fondo rischi
(accantonamenti decisamente prudenziali). La plusvalenza sugli immobili è
obiettivamente più consistente rispetto a quella desumibile dalle prudenti
perizie all’epoca disponibili. E via di seguito.
Gli esponenti bancari hanno, invece, voluto mantenersi entro
un ambito di responsabile prudenza in ordine alla stima di un imponderabile valore di mercato delle
azioni della banca amministrata: hanno proposto
di adottare ne valori punitivi delle possidenze azionarie, né valori
propiziatori di lucri speculativi. Si è visto come un giusto e contenuto
guadagno (quello del gruppo Dibattista di cui al ril. n.° 20) ha subito destato
l’astiosa attenzione degli ispettori. Gli esponenti aziendali si sono attenuti
- correggendo precedenti loro valutazioni - all’equa ed obiettiva stima del
qualificato tecnico esterno.
Quanto alla riserva contenuta nella parte finale del rilievo
sub 4) e cioè al fatto che quel tecnico avrebbe subordinato «la effettività
all’ “adeguatezza” degli stanziamenti di bilancio destinati alla copertura
delle perdite su crediti e alla inesistenza di ulteriori perdite nel comparto
delle partecipazioni», è da osservare quanto segue:
vi è una palese distorsione del senso delle “considerazioni
finali” del tecnico in parola.
Il prof. Lucio Potito
in effetti fa presente di avere “avuto a disposizione ... un periodo
limitato a soli dieci giorni”. Ciò ha determinato che «come concordato, non si
è preceduto a determinare il valore corrente delle partecipazioni». Tanto
solarmente non significa che si temano “ulteriori perdite”, visto che nessuna
perdita era stata calcolata: significa, come espressamente dichiarato al punto
1) della perizia che «naturalmente a causa dei tempi ristretti, per le
partecipazioni non si procederà alla determinazione del capitale economico
delle partecipate.» L’arbitrio interpretativo e deviante del gruppo ispettivo
va qui ulteriormente sottolineato.
Il Potito, visto che il bilancio non è ancora approvato ed è
ancora in corso la certificazione, si limita a cautelarsi affermando che «le
conclusioni raggiunte sono subordinate al fatto che gli stanziamenti di
bilancio destinati alla copertura di perdite su crediti, soprattutto quelli di
carattere straordinario, risultino adeguati, anche alla luce di recenti fatti
che hanno interessato il Gruppo Casillo.» Nel mentre la banca, come si è visto,
costituisce accantonamenti al fondo rischi tali da determinare un ribaltamento
del risultato di gestione. Il Gruppo Casillo viene sviscerato - come si è
potuto sopra costatare - e per quello che allora era maturato l’incremento
della posta rettificativa del passivo era più che congruo. Ad ogni buon fine,
il bilancio viene poi certificato. Nessuna fraudolenza emerge. I fatti veri e
reali sono adeguatamente rappresentati e contabilizzati. La cautela del prof.
Potito ha dunque prudente ed accorta risposta da parte degli amministratori ed
in sede di approvazione del bilancio tutte le attese del prof. Potito vengono
adeguatamente contemplate e fronteggiate. La strumentalizzazione ispettiva è
degna di miglior causa. Resta in ogni caso rimarcabile che gli accantonamenti
al fondo rischi vengono scartati dal Prof. Potito nel suo calcolo del valore
delle azioni che è al netto dunque degli “stanziamenti di bilancio destinati
alla copertura di perdite su crediti ... anche alla luce dei recenti fatti che
avevano interessato il Gruppo Casillo.»
Nella valutazione non si tiene solo conto di ciò che era -
fino al 30 aprile 1994 - inconoscibile, imprevedibile, impensabile: il
catastrofismo previsionale degli ispettori di Vigilanza. Tale peregrina
dilatazione della discrezionalità tecnica degli ispettori viene rappresentata
agli esponenti aziendali a fine giugno 1994 a bilancio approvato. Per quello
che c’è di vero in siffatti valutazioni, trattasi di sopravvenienze passive con
prontezza fronteggiate nel bilancio di competenza. Per quello - ed è tanto -
che c’è di non vero, non prudente, non ragionevole, nessun addebito può farsi
agli amministratori della banca, specie in occasione di una semplice delibera
di proposta concernente il presumibile valore di mercato dei titoli azionari
dell’azienda di credito amministrata. Che neppure la Banca d’Italia abbia dato
peso alle libere ed assiomatiche previsioni ispettive, si desume dal fatto che
a seguito dell’ispezione nessun provvedimento per perdite più o meno gravi (art.
70 o art. 80 della nuova legge bancaria) è stato postulato.
* * *
C’è da pensare che in sede giudiziaria si possa indagare
sull’operazione di aumento di capitale del 1993.
Nel corso dell’Assemblea dei soci del 6/2/1993 il Presidente
«dà lettura della relazione predisposta ed approvata dal Consiglio di
Amministrazione nella riunione dell’11 gennaio 1993: “ Signori Soci, sono
maturi i tempi per procedere ad un consistente aumento del capitale sociale:
operazione anticipata e discussa nella passata assemblea ordinaria del 28
novembre 1992 quale punto qualificante di un progetto di consolidamento e
crescita della Banca nata dalla recente fusione. Con soddisfazione va preso
atto che nel frattempo l’Organo di Vigilanza ha facoltizzato l’Azienda ad aprire
undici nuove filiali sulle seguenti piazze: Napoli - Termoli (CB) - Corato e
Spinazola (BA) - Lecce - S. Severo (FG) - Benevento - Capaccio e Colliano (SA)
- Trecchina e Vaglio di Basilicata (PZ). Gli sportelli di cui disporrà
l’Azienda entro il breve volgere di qualche mese saranno dunque n.° 84. [..] Il Comitato interministeriale per il
credito ed il risparmio, dal canto suo, ha deliberato favorevolmente
sull’istanza avanzata dalla Banca per essere autorizzata ad emettere
direttamente assegni circolari [..]. Quanto al prezzo delle nuove azioni, va
subito rilevato che le valutazioni della Società di Revisione trovano pieno
riscontro nei dati contabili della Società, assunti finanche con criteri
prudenziali. Il prezzo delle azioni, però, non potrà corrispondere
pedissequamente ai valori di stima, dovendo tener conto anche delle condizioni
del mercato azionario, che negli ultimi tempi ha manifestato serie difficoltà
per le note vicende monetarie, e della entità dell’operazione. Riteniamo quindi
congruo, ai fini che interessano, fissare un prezzo di emissione delle nuove
azioni pari a Lit. 16.000, comprensive del valore nominale e del sovrapprezzo.
In tale ambito, va tenuto conto delle aspettative di Voi Soci, che ci avete da
sempre appoggiati e sostenuti, e perciò appare opportuno praticare una qualche
agevolazione sul valore delle nuove azioni, per dare una risposta concreta alla
Vostra costante fiducia. Ci sembra, pertanto, equo operare, esclusivamente ai
Soci, una riduzione sul sovrapprezzo di Lit. 2.000 per azione, portandone il
prezzo a Lit. 14.000 cadauna. Conseguentemente, riteniamo di poter proporre
alla Vostra approvazione il seguente schema di aumento del capitale della Banca
Mediterranea S.p.A.:
1°) aumento del
capitale sociale da Lit. 138.574.800.000 a Lit. 207.862.200.000, mediante
l’emissione di n.° 13.857.480 azioni del valore nominale di Lit. 5.000 cadauna.
2°) le azioni
di nuova emissione verranno offerte in opzione ai Soci, ai sensi del I comma
dell’art. 2441 c.c., in ragione di una ogni due possedute, al prezzo di Lit.
14.000 ognuna, quale valore nominale e lit. 9.000 per sovrapprezzo ridotto per
i soci. [..]
3°) L’opzione
dovrà essere esercitata entro novanta giorni dalla pubblicazione sul BUSARL ai
sensi dell’art. 2441 c.c.-. L’intero prezzo delle azioni (valore nominale e
sovrapprezzo) deve essere pagato al momento della sottoscrizione
[..]
5°) Le azioni
non optate, né sottoscritte nell’esercizio della prelazione, verranno offerte
al libero mercato al valore di Lit. 16.000 (valore nominale di Lit. 5.000 più
intero sovrapprezzo. [...]»
La proposta viene approvata dall’assemblea, senza modifica
alcuna. Trasparenza, completezza d’informazione, ineccepibilità tecnica
emergono dalla lineare procedura. Il valore delle azioni a quel tempo è
indubitabilmente quello stabilito in sede consiliare prima ed assembleare dopo.
Le certificazioni della Società di Revisione fugano ogni dubbio. Siamo ancora
ben lontani dall’imprevedibile crisi del Gruppo Casillo. Nella proposta di
ristrutturazione di detto Gruppo del 9 aprile 1994 a tutti gli istituti di
credito ed enti sovventori del Gruppo, si attesta - e non si hanno motivi di
dubitarne - che si è «a distanza di otto mesi dall’insorgere della crisi..»
Questa dunque insorge ai primi di agosto del 1993. L’aumento del capitale
sociale della banca è invece del gennaio-febbraio 1993, otto mesi prima.
La banca è nel pieno del suo vigore operativo. Gode - ad onta
del ripensamento successivo - del favore della Banca d’Italia, che consente
l’ardita operazione di fusione, con trasformazione, di una popolare con
un’azionaria, che accorda l’autorizzazione per nuovi e ghiotti sportelli
bancari, che consente l’autorizzazione ad emettere assegni circolari propri,
per tacere di altri indubitabili segni di benevolenza e di apprezzamento.
L’aumento del capitale sociale è funzionale allo sviluppo che l’ampio processo
di fusione ha propiziato.
La delibera di aumento di capitale sociale ha il suo crisma
di legalità con l’omologazione in data 11/3/1993 e trascrizione presso la
Cancelleria di Melfi al n.° 130 del registro d’ordine e n.° 2061 R.S. a rogito
del Notaio Antonio Polosa di Potenza Rep. n. 40275/7796.
Il massiccio incremento del capitale sociale risulta
sottoscritto in data 20 Agosto 1993, in tempi dunque di totale serenità in
ordine agli affidamenti verso i grandi gruppi..
Nell’Assemblea straordinaria del 25 settembre 1993, ritorna
la questione dell’aumento di capitale sociale. La compagine societaria viene
convocata in via straordinaria «per discutere e deliberare sul seguente O.d.G:
Modifica della deliberazione di assemblea straordinaria del 6 febbraio 1993 di
aumento di capitale sociale da Lit. 138.574.800.000 a Lit. 207.862.200.000 per
ciò che concerne il collocamento delle azioni emesse a fronte dell’aumento deliberato,
per offerta ai soci delle azioni non collocate entro il termine assegnato con
la delibera suddetta.»
Viene data lettura della relazione predisposta ed approvata
dal Consiglio di Amministrazione nella riunione del 5 agosto 1993. Vengono
richiamati i punti basilari della precedente delibera assembleare. Quindi il
Presidente chiarisce gli aspetti della nuova proposta.
«Allo spirare del termine fissato per l’esercizio del diritto
di opzione - fa presente - e della prelazione da parte dei soci sono risultate
sottoscritte n. 10.222.242 azioni sulle 13.857.480 da emettere, per cui
risultano ancora disponibili n. 3.635.238 azioni. Nel corso dei 90 giorni
suddetti e anche successivamente, fino ad oggi, la Banca ha registrato numerose
richieste da parte di soci che vorrebbero sottoscrivere le azioni ancora non
collocate oltre il termine in precedenza fissato per l’esercizio dell’opzione,
potendo solo allora disporre dei mezzi finanziari necessari. [..] Il Consiglio, tenuto conto della
particolare situazione determinatasi, ritiene che le istanze provenienti dai
soci - oltre a confermare che le condizioni dell’aumento deliberato sono
assolutamente convenienti per essi e mostrano il successo dell’operazione -
forniscono la ragionevole certezza che le n.° 3.635.238 azioni non optate di
cui sopra potranno agevolmente essere sottoscritte dai soci medesimi alle
condizioni già previste dalla delibera di assemblea straordinaria del 6.2.1993
aggiornate per effetto delle sottoscrizioni già intervenute.»
Esplicate le condizioni ed avuto il parere favorevole del
Collegio Sindacale, «l’assemblea, ascoltata e fatta propria la relazione del Presidente, chiamata a
deliberare sull’ordine del giorno, alla unanimità di voti espressi» delibera,
tra l’altro, «l’offerta delle predette n. 3.635.238 azioni in opzione a tutti i
soci, in ragione di 1 azione per ogni 10 possedute, al prezzo di Lit. 14.000
ognuna, di cui L. 5.000 quale valore nominale e Lit. 9.000 per sovrapprezzo
ridotto per i soci.»
La delibera è fuor di dubbio scevra di anomalie o indebiti di
sorta.
* * *
Nei primissimi mesi del 1994, la Mediterranea percepisce un
cambiamento di umori nell’Organo di Vigilanza. Dopo tante autorizzazioni, segno
di fiducia, ecco che inopinatamente e quando ancora non è trascorso neppure il
primo biennio di un progetto di ristrutturazione aziendale quinquennale che le
ardue fusioni postulavano, giunge una nuova ispezione (ad appena tre anni da
un’altra tutt’altro che formale). E’ un’ispezione che si preannuncia subito
corriva ed ostile.
Gli esponenti aziendali hanno immediato il sentore che si
vuole la confluenza in un grosso organismo bancario non meridionale. Inizia
così la trattativa con la Banca di Roma.
In data 11 marzo 1994, l’istituto creditizio romano scrive
(Prot. n. 167):
«Si fa seguito ai colloqui intercorsi per puntualizzare il
progetto relativo all’acquisizione da parte della scrivente Banca di una
partecipazione del 30% del capitale di codesta Banca rappresentato da azioni
aventi diritto di voto.
1. Questa Banca è
disponibile ad acquistare immediatamente le n. 1.568.816= azioni attualmente
nel portafoglio di codesta Banca (“le Azioni”). L’acquisto delle Azioni avverrà
ad un prezzo provvisoriamente determinato in lire 15.000= (“il Prezzo di
Acquisto”). L’acquisto sarà condizionato risolutivamente a ciascuno dei
seguenti due eventi:
a) mancata
realizzazione, per qualunque motivo, dell’aumento di capitale di cui al
successivo punto 2;
b) determinazione del prezzo di emissione delle azioni
di cui al predetto aumento di capitale (“il Prezzo di Emissione”) in una misura
inferiore a lire 15.000=; peraltro, in questa ipotesi codesta Banca potrà
evitare la risoluzione facendo in modo che l’Assemblea ordinaria deliberi,
prima o contestualmente alla deliberazione relativa all’aumento di capitale di
cui al punto 2, l’autorizzazione a ridurre il prezzo delle Azioni ad una misura
pari al Prezzo di Emissione. Nell’ipotesi che si verifichi la condizione
risolutiva, questa Banca ritrasferirà le Azioni a codesta Banca e codesta Banca
restituirà a questa Banca il Prezzo di Acquisto maggiorato degli interessi
calcolati al “prime rate”.
2. Questa Banca è
disponibile a sottoscrivere integralmente un aumento di capitale che codesta
Banca delibererà in misura tale che, per effetto di detta sottoscrizione e
tenuto conto delle Azioni acquistate ai sensi del precedente punto 1, questa
Banca acquisisca una partecipazione dell’ordine del 30% del capitale
rappresentato da azioni aventi diritto di voto. La deliberazione di aumento di
capitale dovrà essere adottata non appena sarà stata completata la valutazione
di cui appresso e verrà eseguita non appena essa sarà divenuta efficace. Il
Prezzo di Emissione sarà determinato, nel rispetto dell’art. 2441 cod. civ.,
sulla base di una valutazione che verrà effettuata da un primario Istituto
prescelto di comune accordo.
3. [..]
4.[...]
5.[...]
6. Tutto quanto sopra
è naturalmente subordinato all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni.»
Il 19 aprile 1994 viene fra le due banche siglato un
“protocollo di intesa” di larga massima. In effetti, giusta quanto si legge nel
verbale del Consiglio di Amministrazione del 18.11.1994, «veniva perfezionato
l’acquisto del 4,22% della Banca Mediterranea in data 31-3-1994» Si soggiunge:
«Le parti, conformemente alle intese, in data 28.6.1994 affidavano a Mediobanca
l’incarico per la determinazione del prezzo di emissione delle azioni della
Banca Mediterranea, destinate alla Banca di Roma. La valutazione demandata a
Mediobanca subiva un certo ritardo, dovuto all’opportunità di attendere i
risultati degli accertamenti ispettivi nel frattempo disposti dalla Banca
d’Italia nei confronti della Mediterranea. Detta ispezione si è conclusa il
23.6.1994 con l’accertamento di rilevanti posizioni in sofferenza e incagliate,
sicché l’Organo di Vigilanza ha invitato la Mediterranea a riconsiderare nei
tempi più rapidi i termini dell’accordo a suo tempo concluso con la Banca di
Roma, per meglio adeguarlo alle esigenze riscontrate in sede ispettiva. A
parere di Mediobanca il prezzo di emissione delle azioni dovrebbe aggirarsi
intorno alle 8.000 lire (Allegato n. 1). Per la determinazione di questo valore
sono stati tenuti in considerazione, tra l’altro, lo stato del patrimonio, la
raccolta diretta e indiretta. Per quanto riguarda i fondi rischi su crediti, la
base di valutazione della loro congruità è costituita dal risultato della
suddetta ispezione della Banca d’Italia condotta sulla base dei risultati della
Banca Mediterranea al 31.12.1993. Le
conclusioni di detta ispezione sono state rettificate per tenere conto degli
accantonamenti a fondi rischi e svalutazione crediti effettuati nel primo
semestre 1994. Sulla base dei
suggerimenti della Banca d’Italia e della suddetta valutazione di Mediobanca
sono state portate avanti le trattative con la Banca di Roma. A seguito di tali
trattative si è giunti al seguente accordo:
- superamento di tutti gli accordi in precedenza raggiunti;
- determinazione del prezzo di emissione delle azioni in lit.
8.000;
- sottoscrizione da parte della Banca di Roma di 35.000.000
azioni del valore nominale di lire 5.000 al prezzo di lire 8.000 (e quindi con
un sovrapprezzo di lire 3.000) per un controvalore complessivo di lire 280
miliardi;
- attribuzione gratuita a tutti gli azionisti della
Mediterranea, quali risulteranno dopo l’esecuzione del predetto aumento di
capitale, di un warrant per ogni
azione posseduta, da esercitarsi nel termine di 3 anni dalla predetta data di
esecuzione, per la sottoscrizione di una nuova azione per ogni azione
posseduta: il prezzo di esercizio verrebbe fissato in lire 8.000 per i vecchi
soci e in lire 9.000 per la Banca di Roma, pertanto la medesima assemblea
straordinaria delibererebbe un secondo aumento di capitale al servizio dei warrants in questione.»
Una più che esaustiva informazione era stata fornita dal
Presidente in sede di assemblea societaria, in data 30.4.1994.
L’assemblea straordinaria di cui è cenno si svolge il 22
dicembre 1994. Stralciamo i punti salienti:
«ORDINE DEL GIORNO - parte ordinaria - 1) Artt. 2357 e 2357
ter C.C.: disciplina delle proprie azioni - modificazione delibera assembleare
30 aprile 1994, concernente il prezzo di acquisto e cessione delle azioni
proprie [...]
«- parte
straordinaria
- aumento
capitale sociale da lit. 190.768.480.000 a lit. 365.768.480.000 riservato alla
Banca di Roma S.p.A., ai sensi dell’art. 2441 C.C., commi 5° e 6° ;
- ulteriore
aumento capitale sociale da lit. 365.768.480.000 a lit. 731.536.960.000
con contestuale emissione di n.°
73.153.696 warrants per la sottoscrizione dello stesso.»
«1) artt. 2357 e 2357 ter c. c. .. modificazione delibera
assembleare 30 aprile 1994. concernente il prezzo do acquisto e cessione delle
azioni proprie. Il Presidente dà lettura della relazione predisposta ed
approvata dal Consiglio di Amministrazione in occasione della riunione
consiliare del 18 novembre 1994:
“ Signori Azionisti, nell’ultima assemblea ordinaria del 30
aprile 1994 - nel corso della quale il Consiglio di Amministrazione ebbe modo
di illustrarvi il bilancio ‘93, i criteri di valutazione adottati e le
decisioni assunte in materia di valutazione dei crediti e di politiche di
bilancio - gli Amministratori sottoposero alla Vs. attenzione anche l’accordo
stipulato con la Banca di Roma per un suo ingresso nella nostra compagine
azionaria. In quella occasione il Presidente, nella sua consueta relazione
annuale ebbe modo di illustrarvi le ragioni che avevano determinato l’intesa
con l’Istituto romano[...] [Nella relazione era stato tra l’altro detto:] “Noi
abbiamo tempestivamente agito stipulando accordi e stabili intese partecipative
[con la Banca di Roma]. L’operazione conclusa nel marzo scorso con la Banca di
Roma - che porterà l’istituto romano a detenere una quota del 30% del capitale
della nostra azienda - ha questi punti fondamentali: [rafforzamento e sviluppo
della Mediterranea e accordo
commerciale con la Banca di Roma per
rete di servizi creditizi, finanziari ed assicurativi].”
«L’accordo a suo tempo stipulato prevedeva l’ingresso della
Banca di Roma nel capitale della Mediterranea con una quota dell’ordine del 30%
delle azioni aventi diritto di voto mediante acquisto - effettuato al prezzo
unitario di Lit. 15.000 - dalla nostra Banca di n.° 1.600.000 azioni allora nel
nostro portafoglio e mediante sottoscrizione di un aumento di capitale
riservato all’Istituto romano. Il prezzo di emissione e quello definitivo [corsivo ns.] dell’acquisto delle suindicate
1.600.000 azioni sarebbe stato determinato a seguito di valutazione della
Mediterranea da parte di un advisor all’uopo designato. Poi individuato nella
Mediobanca - Banca di Credito Finanziario S.p.A. - Milano. [...]
«A meno di un terzo della realizzazione del [Progetto
Industriale], prevista come si è detto in un quinquennio, l’Azienda è stata
nuovamente sottoposta a visita ispettiva dal 23-2-94 al 23-6-94. I risultati
dell’ispezione, sul piano organizzativo, non potevano che essere quelli che si
riscontrano quando si eseguono accertamenti nel corso della realizzazione,
neppure tanto avanzata, di complessi progetti di ristrutturazione. Sul piano
dell’apprezzamento dell’attivo della Banca, le valutazioni ispettive sono state
invece dirompenti. Queste divergono in modo significativo da quelle effettuate,
a seguito di indagini analitiche e secondo gli schemi tracciati nei pareri di due
noti legali (cfr. all. B), richiesti in relazione all’entrata in vigore della
nuova normativa sui bilanci, dagli Organi Amministrativi competenti della Banca
e da Voi poi approvate a seguito di una seduta assembleare protrattasi per
varie ore e nel corso della quale sono state chieste e fornite delucidazioni.
In concreto gli ispettori di Vigilanza hanno ritenuto che nell’attivo della
Banca Mediterranea vi fossero al 31-12-93, perdite sugli impieghi per
complessive Lit. 508 miliardi, rivenienti da posizioni di rischio facenti capo
a soggetti ed imprese operanti nella zona di competenza della Mediterranea,
ritenuti, e non solo da questa istituzione creditizia, clienti affidabili e
patrimonialmente solidi. Il negativo momento congiunturale attraversato dal Paese
e la fase recessiva più stringente per l’economia meridionale hanno potuto
creare qualche transitoria crisi di liquidità o finanziaria di molti
imprenditori. Tali situazioni sono state previste e responsabilmente affrontate
dagli organi amministrativi della Vostra Banca e sono ormai, grazie anche alla
prudenza impiegata dall’Azienda, in via di soluzione. Solo per il Gruppo
Casillo non è stato possibile, nonostante ogni sforzo compiuto anche in sede
ABI, ottenere risultati positivi; eppure la situazione dell’affidato non era
sostanzialmente diversa da quella di altri Gruppi nazionali in crisi.
«E tuttavia la Banca Mediterranea ha assorbito, grazie agli
appositi fondi accantonati i contraccolpi negativi dell’intero Gruppo “Casillo”
che, in passato, non pochi utili peraltro ha procurato al conto economico
aziendale e a quello di gran parte del sistema creditizio nazionale che allo
stesso Gruppo aveva concesso fidi per circa mille miliardi.
«Alle conclusioni ispettive la Banca ha replicato con atti
formali - tre pronunciati dal Consiglio di Amministrazione ed apposite
controdeduzioni - supportati da dovizia di dati e di documentazione probatoria,
per dimostrare che le valutazioni effettuate in sede di formazione del Bilancio
1993 erano e sono puntuali e trovano ampio riscontro nell’evoluzione
dell’attivo aziendale. Doveri di riservatezza del banchiere nei confronti degli
affidati e della Banca amministrata impediscono, in questa sede, di effettuare
analisi dettagliate e documentate; tuttavia è bene a questo proposito
precisare:
- che impieghi considerati “incagliati” per Lit. 146 miliardi
hanno fatto registrare rientri per Lit. 56 miliardi;
- che gli affidamenti dell’erogato al 30-6, al 30-9 ed al 30-10-94 hanno fatto registrare sulla
gran parte delle posizioni oggetto della indagine ispettiva rientri di circa il
30% dell’utilizzo rispetto al 31-12-93;
- che le garanzie acquisite a maggior tutela delle ragioni
creditorie dell’azienda sono di tale valore e di tale scarto rispetto al
credito erogato da non far sorgere, al momento, alcun dubbio sul buon fine dei
crediti concessi.
«A seguito di analisi puntuali e sulla base di ampia
documentazione giustificativa il Consiglio di Amministrazione nella riunione
del 15-10-94, ha quindi ribadito all’Organo di Vigilanza le valutazioni
effettuate in sede di redazione del bilancio 1993, tenuto conto “che i dubbi
esiti da considerare ai fini del calcolo dei mezzi patrimoniali non possono
essere superiori alla complessiva cifra di Lit. 278,8 miliardi, da cui vanno
detratte Lit. 102,6 miliardi per svalutazioni dirette effettuate in sede di
bilancio al 31-12-93, nonché Lit. 73,7 miliardi per l’ammortamento di pari
importo della posizione Casillo effettuato il 30-6-94 con utilizzo parziale del
fondo rischi creditizi voce 90”. Al detto fondo residuano ancora Lit. 10
miliardi circa, utili a fronteggiare eventuali, ulteriori perdite.
«Nonostante quanto sopra esposto, Mediobanca ha ritenuto che
il prezzo di emissione delle azioni da riservare alla Banca di Roma dovrebbe
aggirarsi intorno alle 8.000 lire (cfr. allegato C). L’advisor [...] per quanto
riguarda i fondi rischi su crediti [..] ha preso a base di valutazione della
loro congruità il risultato della suddetta ispezione della Banca d’Italia
condotta sulla base dei risultati della Banca Mediterranea al 31-12-93. Le
conclusioni di detta ispezione sono state rettificate per tenere conto degli
accantonamenti a fondi rischi e svalutazioni crediti effettuati nel primo
semestre 1994. Siffatto quadro di riferimento ha determinato i Vostri amministratori
- fatta salva ogni valutazione sull’attivo aziendale di competenza del
Consiglio di Amministrazione nell’ambito delle attività di formazione del
bilancio - ad approvare [nei termini prima specificati] l’accordo per
l’ingresso della Banca di Roma nel capitale della Banca Mediterranea. [...]
«L’accordo come sopra raggiunto non esclude la correttezza
delle posizioni sostenute dal vostro consiglio di amministrazione, corroborate
dalla certificazione della Società Arthur Andersen, la quale, in seguito, ha
potuto altresì constatare che l’analisi di alcune posizioni di credito milita a
favore di conclusioni meno severe rispetto a quelle ipotizzate dalla Banca
d’Italia, e che si sono verificati al 30-6-94 rientri sostanziali rispetto alle
esposizioni al 31-12-93, in linea con le controdeduzioni innanzi richiamate.
[...]».
Viene, quindi, riportata la delibera del Collegio Sindacale
di pieno appoggio al Consiglio. Scoppia un trambusto. Non è questa la sede per
analizzare le inconcludenti osservazioni di pochi soci di minoranza, specie lo
Zotta. L’Assemblea approva con voti contrari relativi a n.° 81.220 azioni per
un valore nominale di Lit. 406.100.000 pari al 2,12% del capitale sociale (ben
lungi dal quinto ex art. 2393 c.c.) Gli astenuti ascendono a n. 27.000
azioni/voto.
La delibera è del tutto conforme alla proposta del Consiglio
di Amministrazione e accoglie in pieno gli accordi con la Banca di Roma.
Passando ai punti della parte straordinaria, abbiamo:
Vengono reiterate le argomentazioni prima sunteggiate. per
concludere: «il Consiglio di Amministrazione chiede all’Assemblea straordinaria
di assumere le seguenti delibere, che devono intendersi elementi essenziali ed
inscindibili dell’intera operazione di ingresso della Banca di Roma S.p.A. nel
capitale della Banca Mediterranea. L’Assemblea Straordinaria della Banca
Mediterranea S.p.A: ascoltata la relazione del Consiglio di Amministrazione e
valutatane ogni implicazione, considerato che l’interesse della società esige
di procedere all’aumento del capitale da Lit. 190.768.480.000 a Lit.
365.768.480.000, aumento da riservare interamente alla Banca di Roma per le
ragioni indicate nella relazione del Consiglio di Amministrazione, delibera
[del tutto conformemente alla proposta ed in piena aderenza con gli accordi con
l’istituto romano.]»
Le contestazioni assembleari - minoritarie ed inconferenti,
quando non pertinenti - non possono inficiare la totale correttezza e
legittimità dell’operato bancario.
Acquisita la valutazione Mediobanca - in ordine alla quale
invero possono sollevarsi dubbi di obiettività e forse sussistono motivi di
doglianza quanto ad approfondimento e completezza tecnica - agli amministratori
non restava che accogliere la riformulazione degli accordi che la Banca di Roma
si premurava di rappresentare con nota 29 novembre 1994 (Prot. 6910), ove si
esordiva: «Si fa seguito alle intese intercorse per puntualizzare il nuovo
progetto relativo all’acquisizione da parte della scrivente Banca di una
partecipazione nel capitale sociale di codesta Banca, che è stato necessario
elaborare in sostituzione di quello oggetto dello scambio di lettere in data 11
marzo u.s. a seguito della valutazione effettuata da Mediobanca ai sensi del
punto 2 del citato accordo e della evoluzione della situazione di codesta
Banca.»
In data 23-11-1994, la Presidenza della Mediterranea aveva
preliminarmente informato la Banca d’Italia (prot. n. 318/94), ragguagliando
dettagliatamente sulle nuove e non favorevoli condizioni della Banca di Roma.
La Banca d’Italia prende puntualmente atto dei termini del nuovo accordo
(Lettera Filiale Potenza - n. 6364-20/12/94) e «in relazione a ciò, [..]
comunica che questo Istituto nulla ha da obiettare in ordine alla realizzazione
dell’aumento di capitale e delle modifiche statutarie nei termini prospettati.»
In altri termini viene accordato «il benestare [della Banca d’Italia] ai sensi
dell’art. 56 del D.Lgs. n. 385/93» che la Mediterranea aveva chiesto.
Pregnante l’esordio della nota B.I.:«Accordo con la Banca di
Roma. Alla luce dello sfavorevole esito degli accertamenti ispettivi condotti
presso codesta Banca nel periodo febbraio-giugno 1994, con nota n. 4626 del 16
settembre 1994 l’Organo di Vigilanza aveva rappresentato a codesto ente
l’esigenza di imporre con ogni sollecitudine una decisa svolta nella conduzione
aziendale, da realizzare attraverso l’apporto di nuovi fondi patrimoniali e
risorse tecniche e manageriali da parte di un organismo di elevato standing,
cui affidare la gestione. In relazione a ciò, codesto ente era stato invitato a
riconsiderare gli accordi stipulati nel mese di marzo u.s. con la Banca di
Roma, che prevedevano l’acquisizione da parte di quest’ultima di
un’interessenza del 30% nel capitale di codesta azienda. Tale invito è stato
ribadito nella nota n. 5486 del 24 ottobre u.s., con la quale codesta Banca
veniva sollecitata a perfezionare l’intesa nel più breve tempo possibile.»
Nella cennata nota n. 5486, senza mezzi termini, la Banca
d’Italia scriveva a proposito delle “trattative con la Banca di Roma” «con
lettera n. 4626 del 16 settembre u.s., concernente le risultanze degli
accertamenti ispettivi di recente effettuati è stato posto a codesta Banca un
termine di 30 giorni per assumere le necessarie determinazioni circa la
definizione degli accordi a suo tempo stipulati con la Banca di Roma, attese le
esigenze di ripatrimonializzazione e le problematiche gestionali evidenziate
dall’ispezione.
«In proposito, con lettera del 12.10.1944, il Presidente [..]
ha chiesto di prorogare sino al 15 novembre p.v. il termine sopra
citato. Al riguardo, nel prendere atto dell’impegno assunto di stipulare
sollecitamente l’intesa con la Banca di Roma, si ribadisce fermamente a codesta
Azienda che le gravi problematiche della situazione aziendale richiedono che
l’accordo in parola sia perfezionato nel più breve tempo possibile.»
Assillante, dunque, la Banca d’Italia. In tali condizioni un
ripensamento, una controproposta sarebbe apparso atteggiamento dilatorio ed
erano da temere provvedimenti di rigore esiziali per la sopravvivenza dell’organismo
bancario e totalmente dispersive delle partecipazioni dei tantissimi soci della
Mediterranea. Se non in stato di necessità, certamente sotto pressione hanno
dovuto agire gli amministratori. Con trasparenza, persino eccessiva, hanno reso
consapevoli i loro soci che alla quasi unanimità hanno capito i termini della
questione ed hanno deciso, responsabilmente e con saggezza, in sintonia con i
loro rappresentanti. Non censurabili, dunque.
Credito accordato alla defunta signora Maria Rosa Scozzi
L’operazione di fido nei confronti della signora Maria Rosa
Scozzi di Bari - un’esposizione di Lit. 1.138 mln considerata in sofferenza dagli ispettori con
previsione di perdita totale - trova eccessiva enfasi nel rapporto ispettivo,
dove viene articolato tutto un rilievo
in proposito (ril n.° 41). Annotano gli
ispettori: «Una rilevante esposizione non giustificata da reali esigenze di
natura creditizia si registrava nei confronti di tale Scozzi Maria Rosa,
impossidente e titolare di modesti redditi da pensione; i conti alla stessa
intestati, affidati per L. 900 milioni ed utilizzati al 31.12.1993 per L. 1,3
miliardi, avevano fatto registrare nel 1993 e nei primi quattro mesi del 1994
una intensa movimentazione rappresentata da assegni, per importi complessivamente
ammontanti ad oltre L. 14 miliardi. Siffatta posizione è stata classificata in
sofferenza con previsione di perdita totale.»
Controdeduce la Banca (pag. 129): «La posizione Scozzi Maria
fa parte del gruppo Giorgio già esaminato con delibera del Consiglio di
Amministrazione del 24-8-94. [..] »
Qui si legge: «Le esposizioni in parola sono garantite da
fidejussioni personali dei Sigg. Giorgio, titolari di un patrimonio immobiliare
valutato circa Lit. 10/miliardi. Agli stessi la Mediterranea ha concesso di
ripianare le anzidette esposizioni [in complesso Lit. 2.604 mln al 31.12.93,
ridottesi al 24.8.1994 a Lit. 2.419 mln. L’esposizione al nome della Scozzi
era, nell’ambito della totale esposizione, di Lit. 1.138 mln.] con piani di
ammortamento che prevedono sostanziali decrementi nei prossimi tre mesi e
comunque il rientro totale entro gennaio 1995. Le previsioni, pertanto, vanno
classificate ad incagli alla luce di quanto sopra precisato. Gli impegni
personali dei Sigg. Giorgio nei confronti della Mediterranea fanno escludere
previsione di perdita. I movimenti negli ultimi sei mesi confortano le
previsioni aziendali.»
Appare singolare che pur consapevoli che si trattava di un
gruppo riconducibile all’impresa familiare dei sigg. Giorgio di Bari - come ad
evidenza si evince dall’allegato sub 3/B - gli ispettori abbiano taciuto nel
rilievo siffatta importante circostanza e si siano spinti ad affermazioni che
non trovano riscontro nella realtà. Regolare o non regolare che fosse, il fido
sorge “da reali esigenze di natura creditizia” e si inquadra nella - magari non
del tutto ortodossa - gestione familiare dei sigg. Giorgio. Nelle pratiche di
fido poteva agevolmente leggersi, proprio in relazione alla richiesta
creditizia della sig.a Scozzi, che lo scopo del «fido in c/c per elasticità di
cassa» era quello di fronteggiare «eventuali necessità di cassa relative a
particolari operazioni commerciali effettuate dai due cugini Giorgio Pietro
(del 7/2/34) e Giorgio Pietro (del 1/11/37) soci della F.lli Giorgio & C. Spa il cui fatturato si aggira
attorno ai 12 miliardi.». Altrove leggesi che la sig.a Scozzi è suocera del
sig. Giorgio Pietro fu Luigi. E’ dunque un gruppo familiare che possiede un
ingente patrimonio immobiliare, senza carichi ipotecari, puntigliosamente descritto nell’istruttoria.
Il fido al nome dell’affine sig.ra Scozzi non è senza garanzie: sostegni
fidejussori dei cugini Giorgio lo riconducono nell’alveo patrimoniale di
costoro. Nessuna incauta erogazione creditizia, dunque.
Le allusive circonlocuzioni ispettive occultano, invero,
l’imbarazzo di avere letto nelle pratiche di fido frasi (un po’ incaute) come
queste:
«La richiesta viene avanzata a scopi meramente fiscali, per
far transitare su detto conto operazioni commerciali.»
«La richiesta di aumento dell’affidamento scaturisce dalla
scelta caduta sul ns. Istituto, dove i due Giorgio intendono canalizzare tutto
il lavoro prodotto personalmente, al fine di poterlo seguire con maggiore
tranquillità e discrezionalità.»
Se si fossero approfondite le indagini, sarebbe emerso che,
in definitiva, trattasi di incasso di assegni post-datati, fattispecie di
nessun rilievo penale dopo l’abrogazione dell’art. 116 della legge sull’assegno
bancario - R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, (cfr. art. 12 della L. 15 dicembre
1990, n. 386.) Qualche preoccupazione per quanto riguarda la legge sul bollo,
non è in ogni caso di indole penale. Altre fattispecie andrebbero provate e
riguarderebbero comunque il privato comportamento degli imprenditori, in cui la
banca non è coinvolgibile.
Sembra che in sede inquirente vi sia stato il sospetto che
possa essersi trattato di usura. L’ampia documentazione disponibile presso la
banca comprova l’infondatezza di tale congettura. Quello che può emergere fuori
della banca non è qui ipotizzabile. Si può, però, concludere che nessuna
responsabilità è ascrivibile ai dirigenti bancari, che proficuamente assistono
quello che opportunamente gli stessi ispettori definiscono il “Gruppo Giorgio”
molto tempo prima del maggio 1990.
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