RIVOGLIO LE LEGGI RAZZIALI!
Oggi, splendori solatii a Roma; mi alzo con qualche
cupore intimo. Non mi va di stare melanconico a casa.
Con mia moglie decidiamo di sortire.
Domenica scorsa abbiamo mangiato bene da Giggetto.
Accanto una pingue monaca che gioiva ai lazzi clericali di uno stantio rudere, invero
non prete ma pareva uno di quei teologi anglicani che di Cristo e Vangeli ne
sanno più del papa (e a dir vero ci vuol poco).
Vi feci l'orecchio e alla fine manco seguivo più.
Appetitosissimo un piatto di tagliatelle ai carciofi e loro, giudei, quelli
bene li sanno ammannire. Cameriere sud-orientale, baffetti neri birbi, serviva
l'estraneo padrone giudaico. Sarà maomettano ma per i quattrini che credo tanti,
non penso che badasse tanto ai tanti versetti coraneschi.
Oggi ritorno aggirando quel mare di colonne, palazzi,
ruderi, che si dicono di Ottavia. Mi piace mangiare in quel giardinetto, credo
vecchio casolare dirutosi. A fine pranzo arrivano protervi e iattanti i passerotti
e si mettono a beccare sotto il tuo divertito naso anche i residui stizzi di
pan duro.
Arrivo all'una. Tanti tavoli vuoti con quelle tovaglie
bianche e bicchieri pronti all'uso. Credo che possa scegliere e non
finire sotto il fastidioso sole. Invece, sorpresa. Arriva un nuovo cameriere;
questo, un fusto, secco: no, tutto prenotato!
Alla faccia della crisi. mi dico. Da Giggetto non si
scherza, un banale piatto di tagliatelle con un sospetto contorno carciofilo e
giù ti segna euro 14. Vuoi poi un sospetto di baccalà, rivestito per pudore da
panizzo abbrusolito? sono sei euro. Un fiore di zucca ripieno di certi
residuati bufaleschi? Sono tre euro. Pane acqua e un quartino di vino sfuso,
più costosi della manna del cielo.
Il tronfio servitore in nero e cravatta, funereo, sospira:
da qui non si entra, girate. Dico a mia moglie: andiamocene a casa. No, mi
rimbecca, non ho nulla da darti da mangiare. Mi accodo. Arriva una stanga molto
bbona. La seguiamo; davanti ci ondeggia un culo portentoso. A mia moglie non fa
né caldo né freddo. A me manco, per questione di oltrepassati limiti di età.
Quella entra e ci introduce in cunicoli e tetri camminamenti. Ci porta in una,
come dire, catacombe medievale. Gira e rigira. Ma quanto è vasto 'stu cazzo di
sotterraneo ebraico! Controlla un registraccio stropicciato. E la bella signorina
ci affida ad un budello terminale del locale senza fine. Finiamo in un
posticino mezzo dentro l'ultima stanza e mezzo nel corridoietto di accesso. Urbanamente mia
moglie chiede al cameriere se per caso non ci possa servire in un più arioso
posto laggiù in fondo nell’adiacente anfiteatrietto No! – perché? – Là è vuoto
per mancanza di camerieri. Pazienza. A casa non abbiamo nulla da mangiare e già
sono le tredici e trenta.
Appollaiatici dietro quel dischetto da ciabattini come
quelli dei miei tempi d'infanzia ci mettiamo ad aspettare. Io calcolo che siamo
il doppio se non il triplo della normale capienza di quel tanto rinomato Giggetto
tra i ruderi del Portico d'Ottavia.
Succede che mia moglie è refrattaria ai pifferi d’aria.
Allergica. Un perdurare oltre limiti
contrattissimi e giù un gran mal di testa. Passa il cameriere per caso. Mia
moglie lo interpella, gli chiede se per cortesia può almeno spegnere uno di
quei diabolici ventilatori. E sì, ironizza il cameriere, ma non vede quanti
lucernari vi sono? Moriamo di caldo.
Mi chiedo: ma a questi signori qui chi ha dato le dovute
concessioni, autorizzazioni, permessi per trasformare una mimetizzazione dei loro
tanto biasimati forni crematori addirittura a luoghi di pasto di aristocratica
pretesa? Già, io lo so: a ristoro dei danni che i loro antenati hanno subito
con le leggi razziali, con le deportazioni a Dachau e con quei tanti morti
che li hanno afflitti.
Siccome mi picco di essere uno storico vorrei saperne
il numero. Mi inondano di numeri i miei amici semiebbrei romani.
“Mia zia ha avuto sette morti, mio zio ha avuto sette
morti, il fratello di mio zio ha avuto sette mori, la sorella di mia zia ha
avuto sette morti, la cognata di non so chi altri sette morti” e cosi via discorrendo.
Allora faccio la somma e mi accorgo che
sono sempre quei sette morti. Alcuni dei quali poi pare che sono tornati vivi e
si sono beccati per loro e per i loro discendenti gli ancor persistenti vitalizi in pecunia
sonante.
A questo punto mia moglie non ce la fa più; sbuffa, va
dal direttore che naturalmente non c'è. Si aggira irata. Ritorna mogia davanti
a me che fortunatamente gli spifferi persino mi piacciono. Allora canticchiando,
arriva il camerierino. “Ma signora, cosa vuole?”. Mia moglie lamenta già un
gran mal di testa per quegli spifferi là. Il camerierino si trasforma in
Samaritano. “Va bene, venga - Vi do un
tavolino dall'altra parte. Là non arrivano i ventilatori. Vi porto io i
bicchieri, Guardi signora che si è dimenticata la borsa. Gliela porto io”.
Mia moglie finisce in un posticino decente appoggiata
al muro; io invece di fronte a metà dello scalino che introduce ai bagni ove
corrono in continuazione vecchiette sgraziate alle prese con le notorie
incontinenze, quelle che insomma lasciano una scia non proprio olezzante.
Ne è passato di
tempo. Finalmente arrivano quei due piatti di tagliatelle ai carciofi. Il cameriere
ce li butta là. Mia moglie mi dice: ma io avevo chiesto tagliatelle con
carciofi e mi portano brodo di carciofi con tagliatelle”. Il mio piatto è un
po' più asciutto e lo passo per un atto di mia rara cavalleria a mia moglie. Lei
mi passa il suo. Mi costringe a mettermi due tovaglioloni ampi al collo, essendo
io per questioni di epa piuttosto sbrodoloso. Fatti fuori quei pochi filamenti a
forma di tagliatelle mi resta un cichiruni di brodo all'olio con sedimenti carciofeschi.
Mia moglie si alza e chiede al cameriere che almeno mi
portino un cucchiaio. Baldanzoso arriva il cameriere col cucchiaio in mano ed
esordisce: ma mi dica dove sta codesto brodo? sicuro che non ci stesse. Mia
moglie non fa in tempo a contestare che il furbetto si accorge di tutto. e in
fretta e furia lascia il cucchiaio e scappa via.
Ultimo tempo: sgranocchio il magro secondo perché
ordinato e passo contro mia consuetudine alla cassa per pagare subito e
senz'altro. Mia moglie e io all'unisono chiediamo il conto e precisiamo:
abbiamo chiesto due piatti asciutti e ci danno due minestre (a 14 euro l'una).
Impettito e da aitante fusto dietro
la Sinagoga l'ebreone non si scompone: “Nessun problema, i signori non
sono soddisfatti del primo, bene non lo pagano.” E così ci faccio pure la
figura del pitocco che per risparmiare sul pasto se le inventa tutte.
Esco tra l'irato e il faceto. Dico a mia moglie ora a casa
gliela voglio mandare una letterina per ringraziarli della carità cristiana
(loro ebrei) che mi hanno erogata.
Mi chiedo: l'ASL romana ha mai controllato la
salubrità di questi scantinati medievali trasformati a luogo di tortura dei
cristiani? Pagano le tasse? Hanno tutti requisiti di legge? Lo so, sc si permettono
di fare un giusto e doveroso controllo, diventano razzisti, correi di Hitler. antisemiti,
artefici dell'Olocausto sessant'anni dopo.
Divertente questa che mi hanno raccontato. Questi
ebreuzzi figli dei figli dei figi di coloro che dicono che chissà cosa hanno
patito a Dachau riscuotono ancora sussidi e ristori in sonanti euro.
Dovrebbero
essere alla fame. Ma pagano un contributo alla Sinagoga e acquisiscono
privilegi a non finire. Un lunedì mattino all'ufficio delle Entrate si presenta
uno di questi, quasi con cappellaccio nero e la barba lunga. Deve sbrigare un
adempimento per perpetuare quell'elemosina cristiana (ma molto consistente).
L'impiegato ha qualche difficoltà. Quello si arrabbia. Non ho tempo da perdere
devo andare ad aprire il negozio. Il funzionario delle imposte appura che il
negozio c'è e molto redditizio e non avrebbe l'ebreuccio diritto a un bel
nulla. Ma come dichiarazione dei redditi risultava: NULLA.
E poi i colpevoli siamo noi arabi che dobbiamo subire e
non reagire. Che se ci ammazzano in Palestina i bambini dicono che è un loro
sacrosanto diritto perché quelli si mettono a farsi ammazzare a cinque sei anni
per fare da scudo.
Mi diceva un mio fratello arabo in un mio viaggio di
piacere in Giordania: “sono dovuto scappare dalla Cisgiordania per le occupazioni
dei sionisti. Dicono ora che sono ancora proprietario della mia antica casa ma
non posso rientrare. Frattanto la mia casa è stata spalata e vi sono insediati
coloni loro.
Un mio amico
ebreo qui a Roma mi diceva: “certo, lo sappiamo che quella è terra loro
ma noi dobbiamo ospitare ebrei perseguitati in mezzo mondo e non abbiamo spazio.
Israele è grande manco quanto la Lombardia. Abbiamo bisogno della loro terra.
Ci fanno la guerra? e che ci importa? noi siamo più forti, e possiamo resistere
all'infinito. Gli americani sono con noi”.
Certo poi scoppia l'Iraq. Diventiamo feroci, tagliamo le teste e tutti
voi perbenisti e fradici cristiani vi indignate sino al linciaggio. Perché non
cercate di dire ai vostri amici americani e loro alleati: “mandate eserciti;
sfollate quei coloni invasori e restituite la terra ai loro antichi proprietari?”
Certo avete la pelle delicata e se per caso vi buttiamo
giù una vostra piccola chiesetta in capo al mondo voi vorreste buttar giù tutte
le nostre moschee anche quella di Roma che persino Andreotti e Paolo VI consentirono.
Già, i razzisti siamo noi. Voi siete pasta d’angeli.
Scusate se mi viene la nostalgia - e so che è
sbagliato - delle leggi razziali, sono proprio un criminale. Intanto Giggetto
mi ha fottuto e dopo persino mi ha sfottuto. Buona Domenica
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