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QUASI UNA PROFEZIA
Leggendo questa
relazione di sintesi sulla geologia e geotecnica dell'autostrada PA-CT, scritta
dal geologo di chiara fama prof. S. Motta, e pubblicata sul n. 2, giugno 1970,
della rivista SiciliaTempo, risulta chiaro che chi la costruì aveva una
documentazione attendibile della situazione dei suoli, li conosceva molto bene
e mise in atto una progettazione adeguata, con un'esecuzione all'altezza dei
problemi: le opere hanno resistito per 45 anni, praticamente prive di
manutenzione.
In questo passo della
relazione - circa la metà del testo completo - c'è anche la chiara
testimonianza che l'alta franosità dei versanti lungo il viadotto Imera era ben
nota già da tempo. Un fatto che sarebbe dovuto constare obbligatoriamente a
qualunque responsabile e funzionario, a qualunque livello, della Protezione
Civile e dell'ANAS, come suo patrimonio di conoscenza e come suo compito
d'ufficio. Un fatto che invece è stato lasciato a se stesso, nonostante le
segnalazioni puntuali e ripetute nel tempo, fino al disastro. L'autore di
questo testo, prof. Motta, descrive con molta precisione ciò che sarebbe potuto
succedere e che, per incuria degli uomini, purtroppo, dopo 45 anni, è davvero
successo.
Il testo completo
della relazione apparirà sul prossimo numero di E.JOURNAL/palermo architettura.
Ringrazio la titolare
dei diritti di riproduzione, signora G. Maugeri, per averne generosamente
concesso la pubblicazione.
Nota: il brano alla
fine del testo è qui riportato in maiuscolo per sottolinearne il valore di
avviso e "profezia".
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UN TRACCIATO ARDITO
SU TERRENI IN FRANA
Il parere del prof.
Motta, geologo di chiara fama, sulla natura dei territori attraversati
Di solito, parlando di un tracciato stradale o ferroviario,
si è soliti dire ch'esso è ardito quando, lungo il suo corso, raggiunge altezze
eccezionali sul livello del mare e la mente corre subito a certe strade o
strade ferrate delle nostre Alpi.
Dovere attribuire
l'epiteto di ardito al tracciato autostradale della Palermo-Catania, che
scorre, si direbbe pigramente, in banalissimi fondi-valle, sembrerebbe perciò,
a primo acchito, improprio o certamente eccessivo.
Eppure
quest'Autostrada merita una qualifica del genere se si considerano le
caratteristiche così esasperantemente sfavorevoli dei terreni, su cui, con
artifizi di ogni genere, essa è stata o sarà stesa.
In tal senso i primi
due tratti eseguiti, e ormai quasi da un lustro già in esercizio, Palermo-S.
Nicola Arena, da una parte, e Catania-Stazione F.S. Motta S. Anastasia,
dall'altra, avrebbero potuto ben trarre in inganno iI profano circa la facilità
di portare a termine, un giorno, l'opera autostradale di cui ci stiamo
occupando.
Il primo di tali
tratti è infatti steso sulle formazioni, stabili e indenni da frane,
sabbioso-calcarenitiche del Pliocene-Quaternario, in cui è compreso il
“piano" Siciliano, famoso per la sua straordinaria ricchezza di fossili,
che dal golfo di Palermo si estende fino alla baia di Sòlanto.
Il tratto invece da
Catania a Staz. F. S. Motta S. Anastasia si svolge ai margini delle “terre
forti", basse colline costituite in gran parte da con-glomerati sciolti,
ottimi allo stesso tempo come area di sedime della strada e come terreno di
riporto.
Ma già le prime
avvisaglie sulle difficoltà da affrontare si ebbero quando, ripresa la
costruzione dell'Autostrada da S. Nicola Arena a Scillato, si trattò d'incidere
il cosiddetto “ginolfo”, ubiquitario nella fascia di terreno che accompagna la
costa settentrionale della Sicilia, da Bagheria a Termini Imerese ed oltre.
È questo ginolfo un
complesso prevalentemente argilloso, di età terziaria, spesso dall'aspetto
varicolore, ma sempre e dovunque profondamente tettonizzato, ridotto a minute
scagliette e pronto a scatenare collassi franosi ad ogni più piccola
alterazione del labile naturale equilibrio del terreno.
I nostri antenati, in
tutta l'indicata fascia di terreno, hanno abilmente e pazientemente sistemato
tale ginolfo a terrazzi, che, in virtù delle abbondanti acque qui disponibili,
sono poi diventati preziosi “giardini” di aranci, mandarini, nespoli, ecc. Ma
chi potrà sufficientemente illustrare le pene per trovare la giusta e, a volte,
molto sofisticata soluzione per effettuare i necessari tagli in questi terreni
così sensibili!
E lo stesso quando si
tratta di passarvi sopra ad una certa quota: gran parte dei rilevati, anche
modesti, si sono dovuti trasformare in viadotti, spesso striscianti sul
terreno, come nella discesa di Brocato, ad ovest di Termini, allo scopo di
poter trasferire, con l'appoggio su pali, nelle profondità più salde del
terreno, i carichi della sede autostradale, incompatibili con la parte più
superficiale del terreno stesso.
Ardito, in ogni
senso, è poi il passaggio del Vallone S. Leonardo, tra sponde subverticali o anche
strapiombanti di “calcare rupestre” che a luoghi aggetta dai fiancheggianti o
sottostanti "scisti silicei”.
Enormi tagli hanno potuto qui mettere in piena luce, sia
nella zona alta in destra che in sinistra di questo vallone, una magnifica
serie continua di termini geologici, che vanno dalle dolomie de Mesozoico
antico alle brecciole nummulitiche dell'Eocene, quale un geologo non potrebbe
meglio augurarsi in una sua campagna d'indagini.
Allontanandosi dalla
costa e penetrando verso l'interno dell'isola, lungo l'alveo dell'Imera
Settentrionale, l'Autostrada si può dire che non ha più alcun contatto diretto
con termini mesozoici.
Dopo un lungo tratto
che si sviluppa al margine delle piane alluvionali di detto fiume, l'Autostrada
incontra un robusto sperone di conglomerati ed arenarie rubefatte, tortoniani,
che è stato necessario superare con una breve galleria. La strada scorre quindi
ai piedi dell'abitato di Scillato, ove il solito ginolfo ha posto, anche qui,
problemi non indifferenti, e penetra nella parte più montana dell'asta
dell'lmera, passando tra due caratteristiche strutture geologiche ad abside,
costituite in gran parte da terreni mesozoici: su una di esse è ubicato
l'abitato di Caltavuturo, mentre l'altra, che culmina nel M. Fanusi, costituisce
l'angolo più occidentale delle Madonie, ai cui piedi emergono le fresche acque
della più famosa delle sorgenti che alimentano la metropoli palermitana.
Ma, come già detto,
l'Autostrada non viene a contatto con detti lembi di Mesozoico. Stando sul
fondo valle del fiume essa deve procurarsi la sua sede strisciando cautamente
sui terreni che affiancano il fondo valle stesso: TALI TERRENI SONO IN GRAN
PARTE COSTITUITI DA ARGILLE SCAGLIOSE, NON MOLTO DISSIMILI DAL GINOLFO, MA QUI
FRANOSISSIME.
IN EFFETTI I VERSANTI
DI QUESTA VALLE SONO PROFONDAMENTE AGGREDITI DA FRANE VERAMENTE APOCALITTICHE,
CHE NON SOLO RENDONO DIFFICILE IL PIAZZAMENTO DELLA SEDE AUTOSTRADALE, MA CHE
DESTANO PREOCCUPAZIONI CIRCA LA QUOTA A CUI SISTEMARLA, PERCHÉ MAI NON AVVENGA
CHE, A SEGUITO DI UN RIATTIZZARSI DI DETTI MOVIMENTI, LA STRADA STESSA, IN
TOTO, POSSA RIMANERE INGHIOTTITA.
Comunque per superare
queste frane e per affrancare da esse l'Autostrada, specialmente da quelle che
scendono dal versante in destra, si sono dovute ideare strutture portanti
originali, che hanno richiesto appoggi di grandi dimensioni, inseriti bensì
nella massa dei terreni argillosi, ma ad una profondità tale, al di sotto
dell'alveo, da escludere ogni loro possibilità di dissesto.
È dunque con tecniche
molto specializzate che viene risalito l'Imera Settentrionale, che prima di
raggiungere la linea di spartiacque, a Tre Monzelli, cambia nome, per assumere
quello di Vallone Fichera.
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