CIRCOLO UNIONE RACALMUTO
Convegno su Santa Rosalia
[lettura di
una pagina del PIRRI del Presidente Marchese]
Racalmuto 3
settembre 2014
Da molto tempo a Racalmuto si discute sul luogo dove nacque Santa
Rosalia. Chi dice che sia nata a Racalmuto e chi dice che sia nata a Santo
Stefano Quisquina. Altri, ancora, dicono che è nata nel palazzo dei Conti di
Quisquina e delle Rose a Palermo dalla famiglia Sinibaldi. In questa memoria il
socio dottor Calogero Taverna, fine ricercatore e insigne studioso della storia
di Racalmuto, espone la sua tesi documentata.
Spesso, nel passato, è entrato in polemica con
altrri Autori che hanno sostenuto tesi diverse sul luogo di nascita della
Santa, nonchè sulla ubicazione della chiesetta a Racalmuto, perchè secondo Lui,
non supportate da documenti attendibili.
Comunque, un merito al dottore Taverna va dato e
cioè quello di raccontare la storia di Santa Rosalia e il culto del popolo
racalmutese per la Santa, producendo documenti dell'Archivio Segreto Vaticano,
dell'Archivio Centrale di Stato, dell'Archivio di Stato di Palermo e di
Agrigento, dell'Archivio Vescovile di Agrigento e di quello della Matrice di Racalmuto.
Il Circolo Unione, senza voler parteggiaggiare
per alcuna tesi, intende pubblicare queste notizie storiche e portarle a
conoscenza di molti, senza che rimangano ad esclusivo beneficio di alcuno o che
rimangano conservate nei vari archivi.
Noi ci permettiamo di intrometterci in questo dibattito tra aggueriti storici
locali con contrapposte versione dei
fatti relativi a nascita, dimora e successiva erezione delle chiesette a Santa
Rosalia dedicate.
Ci pare che sinora non sia stata data, almeno a
Racalmuto, adeguata attenzione a quel che scrive a pag. 748 in un latino non agevole, l'Abate
Pirri (o Pirro, a seconda delle predilezioni
degli studiosi).
In una nostra traduzione un po' libera, leggiamo:
"Santa Rosalia Vergine palermitana visse
presso le campagne di Bivona da anacoreta. Antichissimo e visitato con grande
devozione vi sorge un tempio. Qui si venerano reliquie della Santa rinvenute a
Palermo, quali sono state qua traslate.
Vi è un quadro di Santa Rosalia dipinto da Tommaso De Vigilia nell'anno 1494
ove sta scritto che Rosalia, ringraziando il Signore, riceve modellate dagli
Angeli, delle corolle d'oro intrecciate di rose, assistita dai principi della
Chiesa Pietro e Paolo. Così pure in un vetusto fercolo si intuisce tra le
pitture e i bassorilievi questo
cartiglio: varia Angelorum in Virginem Rosaliam obsequia, e florum munera
(Santa Rosaliana osannata dagli Angeli e circonfusa da omaggi floreali).
Certamente la Vergine Rosalia, quando stando
nella Corte di Guglielmo I, desiderò di darsi ad una vita più rigorosa, per
volontà divina fuggì nelle terre paterne presso Bivona, sistemandosi,
accompagnata (si crede) da angeli in un eremo, in una grotta a riparo da nemici
stigii.
Ivi condusse per non pochi anni una vita
asperrima. Scolpì con le sue mani questa Epigrafe sui sassi, quasi come un
Sacramento della sua milizia: Io Rosalia Sinibaldi nobile figlia della
Quisquina e delle Rose per amore del
Signore di Gesù Cristo ho deciso di dimorare in quest'antro.
Permaneva la memoria di questa grotta, ma restava
a malapena un ricordo quando furono rinvenuti a Palermo i sacri resti di Santa
Rosalia"
Due punti ci paiono degni di attenzione per noi
racalmutesi. Per il Pirri dunque Santa Rosalia visse sotto il regno di
Guggliemo il Malo (1131-1166). Difficile dunque sostenere che in quel periodo
la nobile famiglia Sinibaldi potesse avere dimora a Racalmuto. Anche perché
Racalmuto comincia a figurare come toponimo solo nel tredicesimo secolo.
Il secondo punto riguarda la ubicazione della
chiesetta racalmutese dedicata a Santa Rosalia. Tutto fa pensare che la prima
chiesetta, ovunque posta, dovesse essere coeva con quella di Bivova e quindi
databile alla fine del quindicesimo secolo. Tale coincidenza si può spiegare con la devozione di Costanza
Chiaramonte che peraltro come da carte testamentaria era l'antenata dei nostri
Conti del Carretto.
Lascio però la parola agli studiosi presenti.
Racalmuto, 3 settembre 2014
Francesco Marchese, Presidente.
---------------
Nota
« Guglielmo I (detto il Malo),
successore di Ruggero, trascorse la maggior parte del suo periodo di regno
in Palermo, e la maggior parte delle sue giornate - come sussurravano le
malelingue - nei giardini e negli harem del suo palazzo. La presenza fisica
del sovrano in Sicilia consentì perciò l'evolversi di un sistema
amministrativo alquanto diverso, impostato su fondamenta ad un tempo arabe e
bizantine »
|
Guglielmo I di Sicilia, detto il Malo (Palermo o Monreale, 1131 – Palermo, 7
maggio 1166), è stato
un sovrano normanno,
discendente degli Altavilla, fu re di
Sicilia dal 1154 al 1166.
---------------------
* * *
CIRCOLO UNIONE RACALMUTO
CALOGERO TAVERNA
Il culto di
Santa Rosalia a Racalmuto
Il culto
di Santa Rosaliaa Racalmuto ha almeno cinque fasi.
1) IL
CULTO AI TEMPI DI COSTANZA CHIARAMONTE;
2) QUELLO IMPOSTO
DA BEATRICE VENTIMIGLIA VEDOVA DI GIROLAMO DEL CARRETTO CHE SECONDO IL CARTIGLIO DELLA TOMBA DEL
CARMELO SAREBBE STATO OCCISUS A SERVO (9
APRILE 1626);
3) QUELLO INTERMEDIO SEMPRE PIU' IN DECLINO SINO
ALLO SBARACCAMENTO DELLA VECCHIA E PER NOI UNICA CHIESETTA CHE SI ERGEVA
NELL'ATTUALE VIA MARCO ANTONIO ALAMIO, DI FRONTE ALLA CASA DELLO STESSO ALAIMO
PRIMA E POI DEI CATALANO E DI ECENTE DEL NOTAIO CINQEMANI. iN QUESTO PERIODO SI CONSOLIDA E DIVENTA
PREMENINENTE LA DEVOZIONE ALLA NOSTRA MADONNA DEL MONTE, CHE DA IMAGO
MIRACOLISSIMA DEL '500 RIFULGE NELLE CORONCINE DEL CATALANOTTO DI META' DEL
'700. EPPURE GIURIDICAMENTE E PER IL CODICE CANONICO SANTA ROSALIA ERA E DOVEVA
ESSERE PATRONA UNICA DI QUESTA NOSTRA TERRA CUM CASTRO ECCLESIAE TERRAE
RACALMUTI:
4)DECLINO DEL CULTO DI SANTA ROSALIA DOPO IL 1793
AVENDO POCA PRESA TRA I FEDELI LA STATUA PAGATA DAL GRILLO C HE ANCORA SI
TROVA IN mATRICE.
5) L'ATTUALE DEVOZIONE RIESUMATA DA PADRE PUMA
UNA DECINA DI ANNI FA.
IL CULTO AI TEMPI DI COSTANZA CHIARAMONTE;
Chi fosse questa Costanza Chiaramonte non è
agevole sapere. Ovvio che non può essere
la Costanza di cui parla Federico Pipitone . Non può che essere la Costanza
Chiaramonte di cui ci ha detto il çPresidente aproposito di BIVONA (fine del
'400)
PIRRI 1636
1608 Ubicazione chiesa
Scendi adrittura
per la casa del quondam Micheli Catalano affaccifrunti della chiesa di
Santa Rosalia alla cantunera delli casi di Antonio Lo Brutto ....
------------------------
1936 incoronazione
PADRE PUMA UNA DIECINA di anni fa. il
sottoscritto, tanto da venire sbeffeggiato in un foglietto dattiloscritto
affisso in Piazzetta e dintorni; . che a sensibilizzare l'arciprete Puma con
carte documenti corrette letture di diplomi e testi manoscritti (questi
dell'arciprete Genco) è stato il dottore Calogero Taverna, prima che
prendessero canso a Racalmuto altre dissertazioni non sempre documentate.
Denis MacK Smith – anglicano miscredente ma amico
di Sciascia – scrive nella sua storia della Sicilia medievale e moderna (vol.
1° pag.258 s,) «Un’altra infezione giunse a Palermo nel 1624 su due navi che
portavano schiavi cristiani riscattati da Tunisi. La vita della città giunse ad
un arresto completo. Le reliquie di s. Cristina e s. Ninfa venivano portate
ininterrottamente in processione per le strade diffondendo così l’infezione.
Molti morirono, compreso il viceré, e Van DycK, che gli stava facendo il
ritratto, fuggì all’esero. Il cardinale Doria condannò a morte un medico greco
accusato di avere deliberatamente diffuso la peste per ottenere onorari
supplementari, ma si scoprì che un rimedio più empirico consisteva nel bruciare
gli oggetti infetti. Fallito ogni altro tentativo, furono rinvenute
miracolosamente le ossa di s. Rosalia in una grotta vicino Palermo; sembra che
il cardinale arcivescovo fosse a tutta prima dubbioso, ma l’opinione pubblica
premeva e dopo sei mesi di caute deliberazioni da parte di dottori e teologi,
egli accettò di retrocedere di grado le sue rivali e di nominare s. Rosalia principale
patrona della città. Palermo fu liberata dalla peste, e d’allora in poi le
elaborate feste di s. Rosalia divennero ogni anno la grande ricorrenza sociale
di Palermo.»
Dopo tale lettura e dopo i miei riscontri nel
Cascini e presso i padri bollandisti cercai di spingere il mio amicissimo padre
Puma a fare avanzare di grado Santa Rosalia a Racalmuto (a dire il vero a farle
riconoscere il grado che aveva dal 1626). Padre Puma era uomo saggio e mica un
vacuo misticheggiante; una piccola vittoria l’ottenni: padre Puma riuscì a
trasformare la melanconica deserta messa che ogni 4 settembre il maestro Pino
Mattina faceva celebrare con ammirevole devozione, in una vera festa con una
processione per le vie Gramsci e Garibaldi con una buona partecipazione di fedeli.
Dopo il Cascini – un gesuita del seicento che a
servizio del Doria cardinale riuscì a mettere assieme oltre seicento pagine di
una santa di perduta memoria, anche se di discreta devozione – a Racalmuto era
stato l’arciprete Genco (tutt’altro che ignoto come vorrebbe un conclamato
storico locale) ad andare a Palermo, consultare quel polveroso grosso volume e
farne una sintesi manoscritta, peraltro in bella calligrafia. Ma a ben vedere
il Tinebra Martorana ancora a fine Ottocento non sapeva nulla di Santa Rosalia,
dopo il nefando mercimonio tra il canonico Mantione e il nobile Grillo
sacerdote dei baroni Grillo, a fine Settecento. Ma un gesuita – sempre loro
–predicava nella chiesa di San Giuseppe che sicuramente S. Rosalia era nata a
Racalmuto. Fonte? Padre Cipolla: documento? Un diploma infiorato custodito in
matrice.
Padre Puma ebbe a mostrarmelo svariati decenni
fa. Cercai di tradurlo. Per uno scettico come me vedere un vicario generale del
Doria (don Franciscus De La Riba) vendere a caro prezzo due frammentini di ossa
di chissà quale cadavere per sante reliquie di Santa Rosalia a dei citrulli
racalmutesi mandati dalla fedifraga vedova Del Carretto, faceva specie. E.N.
Messana ci casca e giù una fandonia di un nobile Savatteri (nome spagnolo per
dire ciabattino) figlio di un tal Scipione del medesimo casato che impavido va
a Palermo tra gli appestati e porta a Racalmuto i frammenti mortuari salvifici:
In premio: la figlia del conte e feudi al Serrone.
Un devosto studioso, il prof. Nalbone
riuscì a solennizzare una storica edicola posta all'angolo dela incrocio tra
Via Garibaldi e via Gramsci. Scrive al riguardo il dotto prof. Nalbone:
"oggi un’antica immagine di Santa Rosalia, dipinta ad olio su legno, è
visibile, nel Corso Garibaldi, in una edicola sul prospetto dell’abitazione
della Famiglia Cutaia."
I tempi dell’interregno di Beatrice del Carretto Ventimiglia.
Non erano passati molti mesi dalla
esecuzione del giovane conte Girolamo II che dei ladri audaci si erano
introdotti nel castello per compiere una vera e propria razzia. L’ordine
pubblico a Racalmuto era oltremodo precario: furti, abigeato, rapine nelle
campagne (fascine di lino, “vaxelli” di api, frumento, buoi “formentini”) sono
ricorrenti. La vedova Facciponti tutrice dei figli ed eredi di Antonino
Facciponti, disperata, non ha altro da fare che invocare le sanzioni spirituali
(una scomunica a tutti gli effetti) per gli incalliti malviventi che la curia
vescovile accorda di buon grado. [1] La curia invia il provvedimento al rev.do
arciprete. Vi leggiamo dati sul feudo di Gibillini, su quello di Laicolia. Sappiamo
di furti alla vedova di “molta quantità di filato, robbi di lana, robbi bianchi
.. denari et altre robbe, stigli di casa et di massaria”. Se da un lato si ha
il disappunto per siffatte malandrinerie, dall’altro c’è la piacevole sorpresa
di venire a sapere che sussisteva uno stato di discreto benessere in diffusi
strati della popolazione racalmutese del
Seicento.
Ma la crisi dell’ordine pubblico, qui,
investe addirittura l’avvenente giovane vedova del conte. Sempre gli archivi
vescovili ci ragguagliano su un’altra scomunica, stavolta comminata ai ladri
del castello. Il 3 settembre 1622 [2] altra missiva al locale arciprete (e qui
è ribadito che non è più don Vincenzo del Carretto, che peraltro è ancora
vivo). “ Semo stati significati da parti di donna Beatrice del Carretto et
Ventimiglia - recita il monitorio vescovile - contissa di detta terra nec non
da parti di don Vincenzo lo Carretto tutori et tutrici de li figli et heredi
del quondam don Ger.mo lo Carretto olim conti di detta terra qualmenti li sonno
stati robbati occupati et defraudati molta quantità di oro, argento, ramo,
stagni et metallo, robbi bianchi, tila, lana, lino, sita, cosi lavorati come
senza, et occupati scritturi publici et privati, derubati debiti et nome di
debitori, rubato vino di li dispensi ... animali grossi et vari stigli con
arnesi, cosi di casa come di fori.” Un disastro dunque.
Don Vincenzo del Carretto riemerge come
tutore dei figli del fratellastro. Affianca la cognata che in quanto donna,
anche se contessa, non ha integra personalità giuridica per l’ordinamento del
tempo. Ella necessita di un “mundualdo”, compito che ben volentieri l’ex
arciprete si accolla. Ed in tale veste lo ritroviamo nei processi d’investitura
del piccolo Giovanni V del Carretto risalenti al 1621 (vedansi gli esordi
dell’investitura n. 4074 del 1621 sotto la data del primo settembre 1621 [3] ).
Ma non è da pensare che la volitiva vedova concedesse troppo spazio al cognato
anche se prete. Nell’anno di vita del conte Girolamo II del Carretto successivo
al bizzarro (almeno per noi che scriviamo a distanza di quasi quattro secoli)
atto espoliativo di donazione universale, il potere di donna Beatrice del
Carretto-Ventimiglia è già esclusivo. Figuriamoci dopo che il poco ingombrante
marito si era fatto uccidere da un servo. La tradizione tutta racalmutese di
corna, di servi amanti, di perdoni adulterini etc. un qualche fondamento ce
l’avrà pure. Indulgervi, però, da parte nostra, sarebbe fuorviante.
La vedova riaffiora dalle ombre del passato
con contorni netti allorché, mietendo la peste vittime desolatamente, si decide
di postulare al potente cardinale Doria una qualche reliquia di Santa Rosalia,
atta a debellare il flagello in paese. Il culto di Santa Rosalia è ben provato
in Racalmuto, sin dal primo decennio del 1600, un quarto di secolo almeno
anteriore alla discutibile invenzione delle spoglie mortali in Monte Pellegrino
al tempo del cardinale Doria. In un appunto manoscritto del 15 ottobre del 1922
rinvenibile in Matrice, si riferisce - credo dall'arciprete Genco - che Santa
Rosalia sarebbe nata a Racalmuto nel natale del 1120. Le prove documentali le
avrebbe avute il canonico Mantione ma le avrebbe distrutte per dispetto al
vescovo riluttante a finanziargli la pubblicazione di un suo libro. Tra
l'altro, in quell’appunto manoscritto leggesi che «fui il 13 ottobre 1921 nella
Biblioteca Nazionale di Palermo ed ebbi il piacere di leggerlo [un libro del
Cascini] per summa capita. » In quel libro si parla di antiche iscrizioni e di
chiese anche fuori Palermo. Viene inclusa "quella di Rahalmuto, della
quale non appare altro millesimo, che questo M.CC. ed il muro è guasto"».
Il testo riportato dall’Arciprete Genco non comprova certo che il 1200 fosse la
data di costruzione di quell'antica chiesa, essendo sicuramente abrase le
successive lettere della data, appunto per quel 'muro guasto'. II mio spirito
laico mi spinge ad essere alquanto scettico sull'attendibilità di tante notizie
contenute nel manoscritto: è certo, comunque, che di esse ebbe ad
avvantaggiarsi il padre gesuita Girolamo Morreale nel suo "Maria SS. del
Monte di Racalmuto" , stando a quel che si legge nelle pagine 23, 24, 69,
97, 98, 99 e 101.
Senza dubbio la fonte storica sulla Chiesa di Santa Rosalia più antica
ed accreditata è quella del Pirri. (A pag. 697 abbiamo un’esauriente notizia).
Il passo, in latino, può venire così tradotto: «A Racalmuto v'era una chiesetta
[aedes] - antichissima - che risaliva all'anno 1400 circa. Fino al 1628 vi si
poteva vedere dipinta un'immagine di santa Rosalia in abito d'eremita e
portante una croce ed un libro tra le mani. Purtroppo, è andata distrutta per
incuria di alcuni, ormai tutti presi
dalla nuova chiesa dedicata alla medesima Vergine, di cui venerano alcune
reliquie, essendosi peraltro costituita una confraternita denominata delle
Anime del Purgatorio. La chiesa ha rendite per 70 once.» Non saprei se la nuova
chiesa di Santa Rosalia sia sorta in altro posto oppure sopra quella vecchia.
Quella vecchia, nel 1608, collocavasi nel mezzo della bisettrice
Carmine-Fontana. Sappiamo che si trovava dalla parte della parrocchia di S.
Giuliano.
Per uno studioso del luogo non vi sono
dubbi: «la chiesa di Santa Rosalia eretta nell’omonimo rione fu sempre la
medesima dal 1593, anno dal quale inizia la documentazione consultabile, sino
al 1793, anno di cessione dell’ “edificio” al sac. Salvatore Maria Grillo.»
Di recente, ricercatrici universitarie
hanno ritenuto un rudere (ampiamente fotografato) nei pressi della Barona
essere l’antica chiesetta di S. Rosalia. E’ tesi che respingiamo: la Santa
Rosalia del 1608 doveva ubicarsi nella parte sud-est di via Marc’Antonio
Alaimo, qualche isolato a ridosso dell’attuale Corso Garibaldi. I documenti
vescovili sembrano non dare adito a dubbi. Certo, c’è da interpretare
l’aggettivo “nuova” usato dal Pirri. Per “nuova” chiesa si deve intendere un
edificio nuovo ubicato altrove o il riadattamento del vecchio stabile? Un
interrogativo, questo, che non ha ancora soluzione certa. Non si sa neppure
dov’era ubicato il rudere venduto al nobile sacerdote Salvatore Maria Grillo, e
dire che siamo nel recente 1793. L’abate Acquista parla nel 1852 di ben quattro
distinti luoghi di culto in vario modo dedicati a Santa Rosalia. Il citato
studioso locale non intende dar credito all’Acquista.
Don Vincenzo del Carretto si fa rilasciare
un nulla osta ecclesiastico dalla curia vescovile agrigentina, costruisce la
chiesetta della Modonna dell’Itria; la dota piuttosto consistentemente. Non gli
porta fortuna: tra il 1624 ed il 1625 scocca il suo ultimo giorno di vita
terrena. Crediamo sia una delle vittime del flagello endemico che in quel
biennio si abbatté a Racalmuto. Il giovane medico Marco Antonio Alaimo -
trasferitosi a Palermo - dava preziosi consigli ai fratelli rimasti in paese.
Non potevano avere - e non avevano - grande efficacia.
Donna Beatrice del Carretto esce indenne
dalla peste del 1624. La troviamo ancora solerte e dispotica nel 1626. Ella ha
deciso che le reliquie di Santa Rosalia, portate a Racalmuto il 31 agosto 1625,
vengano traslate da S. Francesco alla nuova (o rimessa a nuovo) chiesetta di
Santa Rosalia.
Nella nuova chiesa di Santa Rosalia - che
entra sotto la tutela della locale Universitas - il culto della santa è
intenso. Il comune si fa carico di una lampada ad olio perennemente accesa. La
delibera è adottata dai giurati dell’epoca Francesco Fimia, Giacomo Montalto,
Benedetto Troiano e Francesco Lauricella. Ma non varrebbe nulla senza il
benestare della potente vedova. E’ il giorno 18 aprile 1626. “Ad effectum in
dicta ecclesia Sancte Rosalie detinendi lampadam accensam ante magnum altare
ubi est collocata Reliquia sancta dictae dive Rosalie pro sua devotione et
elemosina et non aliter nec alio modo”, sanziona un comma della decisione
comunale. “Praesente ad hec ill.me D. Beatrice del Carretto et Xx.liis
comitissa dictae terre Racalmuti tutrice eius filiorum et affittatrice status
eiusdem terre Racalmuti”, soggiunge il documento. La contessa avalla ed
autorizza l’impegno giurazio: diversamente il tutto sarebbe stato senza
effetto. Va invece bene “quoniam predicta ipsa D. Comitissa sic voluit et vult
et contenta fuit et est”, giacché essa signora Contessa così volle e vuole, fu
contenta ed è contenta.
Per di più “la predetta signora Contessa
per la devozione che nutre verso la suddetta chiesa di Santa Rosalia e la sua
santa reliquia, graziosamente concedette e concede quale tutrice e balia dei
predetti suoi figli, alla venerabile chiesa di Santa Rosalia ed alla
confraternita in essa esistente che si possa celebrare la festività con fiera
in luoghi congrui ed opportunamente benedetti, da scegliersi dai signori
Giurati. E siffatta festività e fiera (festivitas et nundinae) volle e vuole,
nonché ne diede incarico e ne dà essa signora Donna Beatrice Contessa come
sopra acciocché siano franche, libere ed esenti dai diritti di gabella
spettanti al signor Conte della terra di Racalmuto. E l’esenzione vale per otto
giorni cioè a dire da quattro giorni dalla detta festa sino a quattro giorni
dopo». Un editto feudale con tutti i crismi come si vede. Ma è l’ultimo atto
della chiacchierata contessa Beatrice del Carretto Ventimiglia di cui siamo a
conoscenza che testimonia la sua presenza a Racalmuto. Dopo, si sarà trasferita
a Palermo. Il figlio resta sotto la sua tutela sino al diciottesimo anno.
Nell’archivio di Stato di Agrigento sono conservati i documenti del convento
del Carmelo di Racalmuto. Vi si rintraccia una nota comprovante i diritti del
convento a valere sulle doti di paragio di donna Eumilia del Carretto
(argomento in seguito sviluppato). Vi si legge fra l’altro: «Don Joannes del
Carretto comes Racalmuti et Princeps de XX.lijs ... concessit cum auctoritate
donnae Beatricis del Carretto et XXlijs Comitissae Racalmuti et Principissae
XX.lijs eius curatricis seu procuratricis» Era il 7 maggio 1636. [4] E già ad Agrigento imperversava il vescovo
Traina.
Nessun commento:
Posta un commento