lunedì 30 maggio 2016

UNA FAMIGLIA IN ASCESA: I CAVALLARO
Il notaio Angelo Maria Cavallaro

 

 

Nella seconda metà del XVIII secolo si afferma una nuova grande famiglia a Racalmuto, i Cavallaro. Muore giovanissimo, ma in tempo per lasciare ampie tracce di sé Angelo Maria Cavallaro, notaio.

All’archivio di stato di Agrigento diversi tomi di atti notarili lo riguardano ed al contempo forniscono un quadro della vita paesana racalmutese, particolarmente suggestivo.

Era il 1767 e con bella calligrafia viene chiosato l’esordio del repertorio del Cavallaro. «Jesus Maria Joseph – abbiamo nell’intestazione – Nota minutarum mei D. Angeli Mariae Cavallaro Notarii Racalmuti, anni primae inditionis 1767 et 1768 Regnante Serenissimo Invictissimo et Potentissimo D.no Nostro Ferdinando, Dei gratia, inclito Siciliane, Hyerusalem Regi Infante Hispaniarum, Duce Parmae, Placentiae Castri etc. Magno Haereditario, Etruriae Principe etc.» Esposto dei soci del Mutuo Soccorso di Racalmuto, del 31 maggio 1875


 

Al Signor Prefetto della Provincia di

Girgenti

 

Signore

 

I sottoscritti componenti il Consiglio direttivo della Società del Mutuo Soccorso degli Operai di Racalmuto, rassegnano alla S.V. Ill.ma quanto siegue.

La detta Società tende ad affratellare la classe lavoratrice pel migliotamento  morale e materiale della classe stessa; fondata sin dal Gennaro 1873 con l'ausilio  dei Signori fratelli Gaspare e Napoleone Matrona, il primo attualmente Sindaco di questa Comune, ed il secondo fu quegli che il giorno dell'impianto della società pubblicò gli articolati dello statuto per approvarsi, e diresse il tutto.

La Società, dopo un poco elasso di tempo, eleggeva a socii onorario i predetti Signori Matrona, i quali ne significarono con lettera la loro accettazione. Le relazioni tra il Signor Sindaco e la Società divennero or mai più strette, tanto vero, che in tutte le feste Nazionali e religiose, ove assisteva il Municipio, la Società era sempre invitata per assistere parimenti a quelle solennità.

Lo mentre la Società era ligia ai voleri del Sindaco e volentieri obbediva a tutti gli inviti dello stesso; la Società era progressista e tendente all'ordine; onesti e liberali erano tutti coloro che la componevano; se ne encomiava la condotta; si plaudivano tutte le sue operazioni, tutto era armonia e serenità.. Quando, giorni sono, l'inaspettato scoppio di un fulmine in ciel sereno, venne a spezzare le relazioni tra il Sindaco e la Società, a disturbare l'armonia che li univa e ad abbuiare lo splendore che rischiarava il tanto bene che si operava dalla stessa. La si fu l'arrivo di un numero del Giornale intitolato Don Bucefalo, che conteneva un articolo a carico del ridetto Sindaco, che la Società dietro di aver udito la lettura in pubblica assemblea ( per come suole usarsi di tutti i giornali diretti alla Società) l'assemblea medesima non sen incaricò e passò a trattare delle faccende proprie.

Il Sindaco non si acquetò a codesto diportamento indifferente della Società, volea tirare bracia alla sua pasta con le mani attrici, e fece sentire a certi socii a lui dipendenti, che proponessero ed invogliassero la Società a rispondere in contrario a quanto diceva il giornale. I Socii che si ebbero questo incarico fecero noto all'assemblea, che era piacere del Sindaco, che la Società si incaricasse dell'articolo in di lui carico e che si accingesse a smentirlo; al che la Società peritosa sul da fare, adottò la norma che la stessa siegue tutte le volte che un socio viene accusato nella condotta; e cioè d'invitare il Socio accusato per legitimarsi in faccia della Società infra un termine, sotto pena di venire cancellato, e così fece. Deliberò che il Sig.r Gaspare Matrona come socio venisse a legitimarsi infra sessanta giorni del carico che l'articolo gli addebita.= Cotesto deliberato fece montare nelle furie il detto Signor Matrona, e concepì in cuor suo il disegno di vendicarsi a qualunque costo e di fare sciogliere la Società. Ed in effetti non indugiò tanto a far vedere i preludii; la sera del 28 spirante Maggio, quando il consiglio era riunito, il Signor Napoleone Matrona si portò nell'ufficio della Società, ed appena giunto si fece lecito bistrattare con ingiuriose parole pronunziate con indicibile acrimonia contra gli assembrati, tanto che quei buoni operai riuniti rimasero di sasso; chiese conto dell'operato alla Società in riguardo all'articolo di cui è parola, e letto una proposta fatta da un socio in proposito, che invitava l'assemblea a prendere in considerazione quell'articolo a carico del Socio Gaspare Matrona, disse altre obbrobriose parole per la società, ed invitando il consiglio a cancellarlo di socio unitamente al di lui fratello Sig.r Gaspare, si appaltò.= Poco dopo di questa scena, si videro presentare il Delegato di sicurezza pubblica accompagnato da due reali carabinieri, chidendo la consegna del pezzo di carta ove era scritta la predetta proposta. Gli assembrati gliela esibirono immantinenti, ed il delegato se la portò con se.

Le diatribe e garralità che si sparsero, l'indomani, contro la Società, sono indicibili Onorevole Sig.r Prefetto. Essa viene dipinta come una associazione d'internazionalisti, come una banda di briganti; composta da gente di galera e simili, tanto che han messo in allarme le famiglie dei socii; ognuno crede arrivata l'ora di venire arrestato; di essere mandato in esilio o a domicilio coatto; insomma si crede essere in quei tempi del medio evo, che fece esclamare dal divino Alighieri.

O fortunati! E ciascuna era certa

della sua sepoltura.

Ecco Signor Prefetto, perché i supplicanti si rivolgono alla di Lei giustizia, onde non dare credito a tutto quanto Le potranno esporre avverso detta Società; mentre il fatto genuino è quanto si espone, e potrà informarsi da onesti cittadini del Paese.

Racalmuto lì 31 maggio 1875.

Falletta Calogero - Romano Calogero

Salvatore Scimè - Lumia Gaetano

Agrò Rosario - Rossello Giovanni

Giuseppe Romano.

 

PREFETTURA DI GIRGENTI

 

REGNO D'ITALIA

MINISTERO dell'INTERNO

SEGRETARIATO GENERALE

DIV. 2^ SEZ. Gabinetto

N. 3296

oggetto: Circolare della Società di mutuo soccorso di Racalmuto.

Signor Prefetto di Girgenti

/ n. 418 gab. 10/7/75 al Sig. Delegato S.P. di Racalmuto/

 

Roma, addi 7 Luglio 1985

Dalla Società si mutuo soccorso di Racalmuto è stata diramata la circolare di cui trasmetto copia alla S.a V.a per le necessarie disposizioni di vigilanza, e per quei provvedimenti che riterrete opportuno  di adottare.

p IL MINISTRO.

(firma illeggibile)

/nella stessa lettera del Ministro, viene aggiunto di pugno del prefetto per il delegato di S.P. di Racalmuto questo codicillo:

"Vorrà poi manifestarmi il motivo per cui ha omesso di informarmi della diramazione di tale circolare, e della trasmissione di una copia della medesima"./

In allegato la copia che così recita:

 

Società Mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto - provincia di Girgenti.

CIRCOLARE

Soci Onorari

Maurizio Quadrio

SAFFI Aurelio

Campanella Federico

 Presidente Onorario

GARIBALDI

----------------

RECALMUTO

 

PREFETTURA DI GIRGENTI - N. 419 LUGLIO - Girgenti 13\5\76 - riservata  minuta Oggetto: Reclamo della Società degli Operai di Racalmuto.

 

Girgenti 13 maggio 1976

 Signor Delegato di P.S.

Racalmuto.

 

La Presidenza della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto ha diretto a S.E. il Ministro dello Interno l'unito memoria le contenente addebiti contro codesto Municipio e specialmente contro il Sindaco il quale, si dice, osteggi ed attraversi in tutti i modi quella Società.

Io trasmetto il reclamo a V. S. affinché assuma le più accurate informazioni sulla verità dei fatti esposti e me ne riferisca categoricamente e imparzialmente il risultato insieme alla restituzione del comunicato dovendo farlo obietto di un rapporto al Ministro.

IL PREFETTO

(firma illeggibile)

 

 

R. PREFETTURA DI GIRGENTI - Div. Gabinetto - n. 419 - Urgente -  Oggetto: Sollecitazioni per affari in ritardo - Al Signor Delegato P.S. di RACALMUTO

 

Girgenti 9 giugno 1876

 

Prego la S.V. trasmettere con tutta sollecitudine al mio foglio del 13 n. ° 1° maggio numero pari alla presente insieme al quale trasmettere un ricorso del Presidente di codesta Società di mutuo soccorso rivolto al Ministero Interni. IL PREFETTO.

DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N.  157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 9 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al ricorso della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.

Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgdenti.

 

Racalmuto addì 11 giugno 1876.

 

In riscontro alla riverita nota a margine citata, colla quale mi si sollecitano le informazioni sul ricorso in oggetto indicato, mi faccio un dovere significare alla S.V. Ill.ma, che non più tardi di giovedì prossimo, 15 corrente mese, Le farò pervenire le suddette informazioni col ritorno del ricorso di cui si tratta, non potendolo far prima mancandomi ancora qualche notizia. - IL DELEGATO (A. COPPETELLI).

 

 

 

DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N.  157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 13 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al reclamo della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.

Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgdenti.

 

Racalmuto addì 14 giugno 1876.

 

Prima ch'io imprenda ad informare la S.V. Ill.ma sulle cose esposte nel reclamo della Società, in oggetto indicata, non sarà inutile lo accennare alle fasi, che subirono i partiti Minicipali, in Racalmuto, a datare dall'anno 1860 a tutt'oggi.

Anteriormente alla rivoluzione dell'anno 1860, primeggiava in Racalmuto la famiglia Farrauto, e pel prestigio, che esercitava su questa popolazione detta famiglia, sebbene di principii alquanto retrogradi, continuò pure ad avere ogni ingerenza in questa Amministrazione Comunale, fino all'anno 1862.

Man mano che la famiglia Farrauto, dall'anno 1860 all'anno 1862, era andata perdendo di prestigio per l'opposizione, che le veniva facendo la famiglia Matrona, in allora composta di sette fratelli, la quale conoscendo che vi sarebbe stato il suo tornaconto a secondare il governo nazionale già instaurato anche in queste provincie, cercava di entrare a far parte di questa Amministrazione Comunale. E da quì incominciarono i rancori e gli odii tra le dette due famiglie.

Il territorio del Comune di Racalmuto, come in tutti gli altri territorii dei Comuni di Sicilia, nell'anno 1862, era scorazzato dalle bande dei renitenti e dei disertori delle due classi di leva militare degli anni 1860 e 1861, ed a queste unitisi i latitanti per reati comuni, nel settembre 1862, invasero questo paese commettendo atti vandalici, che non è mestieri ch'io rammenti alla S.V. Ill.ma.

 

Non potrei dire con certezza, se per quella influenza, che ancora esercitava la famiglia Farrauto o per qual altra ragione, il Comandante della truppa, che venne spedito in Racalmuto, per quella circostanza, fece eseguire l'arresto dei fratelli Matrona, come ritenuti complici nei fatti del Settembre 1862.- Ma chiarita presto la loro innocenza, vennero quasi subito lasciati liberi. In proseguo poi vennero arrestati taluni della famiglia Farrauto, e qualche aderente di quella, per lo stesso titolo pel quale furono arrestati i Matrona. Anche questi ultimi arrestati, dopo un lungo tempo, vennero ridonati a libertà, perchè quanto loro si attribuiva, non potè essere provato nelle vie giudiziarie.

In appresso le due famiglie Matrona e Ferrauto vennero tra loro a conciliazione, e per tal modo, ben presto riuscirono ad acquistare, in Racalmuto una certa supremazia, da riuscire cosa facile l'entrare a far parte di questa Amministrazione Comunale insieme ad altri loro aderenti, ciò che continuò ad essere fino a tutt'oggi, e fino a tutto l'anno 1874 senza incontrare ostacolo di sorta, se si eccettuano le guerricciole e gli screzii, che si andavano manifestando tra il partito Matrona, che così chiameremo sin d'ora, e l'altro che andava accentuandosi, capitanato dal Barone Sig.r Luigi Tulumello, giovine di qualche ingegno, e ricco per censo, ma di poca esperienza nelle vicende dei partiti sì politici, che amministrativi.

Questi screzi si andavano manifestando per la ragione, che in paese si facevano serpeggiare dei lamenti contro l'Amministrazione Comunale, per la gravezza delle imposte comunali.

Le cose andiedero prendendo più vaste proporzioni, nei primi mesi dell'anno 1875, ed allorquando per altre piccole differenze sorte tra i socii dell'unico Casino di Compagnia, di cui facevano parte quasi tutti i civili di Racalmuto, senza distinzione di colore tanto politico, quanto amministrativo, una porzione di detti socii, aderenti al partito del Tulumello, tra i quali il Sig.r Giuseppe Matrona fratello dell'attuale Sindaco, si staccarono da detto Casino di Compagnia, e ne fondarono un'altro, che ora conta una quantità abbastanza rilevante di socii.- Quì le ire e gli odii tra questi due partiti si accrebbero e ne nacque una completa rottura.

Intanto si avvicinavano le elezioni parziali amministrative dell'anno 1875, ed ognuno dei due partiti si adoperava per riportare la vittoria a proprio favore.

In questo stato di cose, oltrecché gli animi erano esacerbati; un proclama datato da Racalmuto, e pubblicato nel giornale, che viene in luce a Palermo, L'Amico del Popolo, venne ad aggiungere fiamma a fiamma. Perchè poi la S.V.Ill.ma ossa apprezzare la sostanza di quel proclama, sebbene io sia persuaso, che non le giungerà nuovo, pure quì unito glielo trasmetto contenuto nel suddetto Giornale, come pure unisco altri due giornali nei quali trovansi le repliche a quel proclama.

Le Elezioni Amministrative ebbero il loro compimento, e riuscirono in senso favorevole al partito del Matrona.

Questo proclama ebbe per conseguenza una sfida a duello, sfida che faceva l'attuale Sindaco Sig.r Cavalier Gaspare Matrona al Barone Sig.r Luigi Tulumello, creduto dapprima autore di quel proclama. Quel duello poi non ebbe il suo effetto, poichè rimase sospeso dopo essersi ricorso allo espediente di un giurì d'onore, di cui io non conosco il vero tenore, non essendomi riuscito di trovarne un'esemplare.

In quella circostanza il Sindaco Sig.r Matrona, a mezzo dei suoi aderenti, fece sentire alla Società di mutuo soccorso degli Operai in Racalmuto, che sarebbe stato suo compito smentire per le stampe le cose contenute in quel proclama a carico dello stesso Sindaco e dell'intera Rappresentanza Comunale. Detta Società anziché aderire a quella proposta, fece come suo quel proclama, e quindi la Società stessa invitò il Sig.r Sindaco Matrona, come socio onorario a giustificarsi delle accuse, che gli erano state fatte per quel proclama.

Questo procedere della Società Operaia diede luogo ad una scena, che in seno alla Società stessa fece il Sig.r Matrona Napoleone altro fratello del lodato Sig. Sindaco. La scena fu questa: il medesimo Sig.r Napoleone Matrona recatosi alla sede della Società ov'erano radunati i socii, o furono fatti radunare a bella posta, e colà appostrofò con termini non troppo convenienti i socii, che vi si trovavano, facendoli aspra rampogna di quanto avevano operato verso il fratello di lui Gaspare Matrona.

E quì non sarà fuor di proposito lo accennare al nascere e allo sviluppo, che ebbe la Società Operaja in Racalmuto, e qual è al presente.

Istituita detta Società nell'anno 1873, e messo fuori il suo programma, buona parte di questa cittadinanza vi si associò, tal che il numero dei socii, in breve tempo, divenne abbastanza rilevante. Però dopo il fatto sovra esposto, molti socii del partito del Matrona non vollero più appartenere a detta Società, ed in quella vece vi entrarono parecchi soggetti, che per la loro moralità e tristi precedenti, come si dirà in appresso, non le fa troppo onore, tal che al presente la Società non conta, che il meschino numero di ottatre socii, compresi i socii onorari.

Intanto il partito del Tulumello colse questa favorevole circostanza per maggiormente far la guerra all'attuale Amministrazione Comunale, incoraggiando la Società  Operaia ad agire anche col mezzo della stampa per raggiungere lo scopo qual era ed è di abbattere detta Amministrazione.

I socii onorari Piccone Ignazio, Picone Giuseppe, e parecchi altri furono quelli che stigmatizzarono la Società Operaja nel suo nascere, propalando in paese, che chi vi associava era scomunicato; che la Società Operaja era una istituzione detestabile, e che non era opera di buon cittadino lo appartenervi.

Dicevasi questo perchè, allorchè fu istituita detta Società, questa era sotto gli auspicii del Municipio; ma in contrario di quanto dicevano allora, ora appartengono alla stessa Società per far guerra al Municipio.

Tolti Garibaldi, Campanella, Saffi e Floretta che nulla sanno dello scopo e del personale della Società, e tolti pure Savatteri Calogero, Romano Salvatore, Tulumello Luigi, Picone Marco, Mendola Calogero, Travale Antonino, Presti Giuseppe e Tinebra Salvatore, che trovansi nella Società, chi per solo spirito di opposizione, e chi per idee più o meno spinte, pel resto però detta Società, in sè, ha degli elementi non troppo buoni, come facilmente si desume dai cenni biografici di quattordici di coloro che ne fanno parte, e sono i seguenti:

1° S c i b e t t a  Salvatore è autore dell'assassinio commesso a danno di Sicorella Salvatore, e sotto tale imputazione fu per molto tempo in carcere; e poscia per la sua scaltrezza venne prosciolto da quella imputazione denunziando altri, e facendosi chiamare come testimonio. E questi è il Presidente della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto.

2° R o s s e l l o  Giovanni, fu imputato di omicidio mancato, in danno di Calogero Scimè; e non saprei dire con certezza se ne riportò condanna.

3° M a r c h e s e   Giuseppe Primo, è uomo di carattere, irrequieto, ed abitualmente ubriaco.

4° L u m i a   Gaetano,è persona che gode pesima fama in Racalmuto; ma però non si conoscono precedenti, che stiano a suo carico.

5° G r i l l o   Giuseppe figura nel novero degli ammoniti di questo Comune.

6° F a r r a u t o   Angelo riportò condanna per omicidio mancato in danno di Rocca Calogero.

7° G i a r d i n a  Pietro, ammonitofu imputato di tentata estorsione di denaro mediante lettera minatoria diretta a Pinò Nicolò.

8° B e l l a v i a  Elia, vecchio camorrista, e molto tempo indietro fu anche sorvegliato.

9° L i c a t a  Nicolò, è persona ritenuta capace di commettere furti di destrezza.

10° S c i m è Salvatore, nel 1860, in Bonpensieri con altri compagni disarmarono molti cittadini, appropriandosi le armi, e nel 1861 fu uno dei presunti autori dell'assassinio in persona di Santo Cino Chillici.

11° F e r r a u t o   Vincenzo ha delle imputazioni, di cui ancora non si conosce l'esito.

12 G i a n c a n i Luigi è stato più volte carcerato per varie imputazioni dalle quali riuscì ad essere prosciolto.

13 P a l u m b o Angelo viene ritenuto un tristissimo soggetto, ma non si conoscono precedenti, che stiano a suo carico.

14 P a l u m b o   Antonino, come al N. 13.

Tutti gli altri socii, salve pochissime eccezioni, appartengono all'infima classe dei zolfataj, oltrecché non godano veruna fiducia in paese.

Questa Società però, almeno pel tempo in cui io mitrovo in Racalmuto, non ha dato luogo a verun rilievo sul conto suo; avendo dovuto soltanto osservare che, con quella pacatezza e disinvoltura accompagnata da un certo sussiego, con cui nel giorno 10 ultimo scorso Maggio si recò al Cimitero Comunale per rendere osservanza alla memoria di Giuseppe Mazzini, del pari il giovedì santo di quest'anno si portò alla visita dei Santi Sepolcri nelle varie chiese di Racalmuto, con alla testa la banda musicale e la bandiera della Società.

Tutto ciò premesso, ora imprenderò a riferire intorno agli adebiti, che si fanno nel reclamo della Società Operaja di Racalmuto, a carico dell'attuale Amministrazione Comunale.

Quel reclamo incomincia dal dire, che questo Municipio fa ogni sforzo per disperdere la Società Operaja. A questo proposito io non ho potuto rilevare altro, se non, che l'attuale Amministrazione Comunale, non è amica della Società Operaia, del resto poi non si conoscono fatti, che per parte di questo Municipio si faccia ogni sforzo per disperdere, come dice il ricorso, detta Società.

Sullo stesso proposito, in altro punto di quel reclamo si accenna all'aver dovuto chiamare l'attuale Sindaco a discolparsi come socio onorario. In questo punto il ricorso vuole riferirsi su quanto ha relazione al proclama di cui ho riferito di sopra, cioè quando la Società venne invitata a combattere quel proclama, ed invece se lo fece suo. Dopo questo fatto, sussiste che il partito del Matrona cercò ed ottenne di far ritirare molti socii da detta Società, altri però si fecero cancellare di propria iniziativa. Ma però inutilmente ebbi a far pratiche per appurare, che si fossero posti in opera i mezzi a cui accenna il reclamo per far ritirare dalla Società i detti socii.

Ciò che sussiste in realtà, si è che il Delegato Sig. Macaluso si recò alla sede della Società, non saprei precisare con qual pretesto, e dagli atti ivi esistenti, sottrasse tutte le carte, che si riferivano alla vertenza passata tra il Sig.r Sindaco Cavalier Matrona, come socio onorario, e la Società stessa.

Continua quel reclamo sempre allo stesso proposito, e dice, che dallo stesso Municipio si tentò per varie volte e per mendicati pretesti di sfrattare la Società dalla Sala, che  dallo stesso Municipio gratuitamente gli fu concessa per le ordinarie riunioni. A quanto mi è risultato, il Municipio, su questo particolare, altro non fece, se non invitare per iscritto il mio predecessore a chiamare il Presidente della Società operaja per esortarlo a consegnare la chiave della detta Sala, perché il Municipio abbisognava di quel locale per collocarvi il Distaccamento di Fanteria, ma il medesimo Presidente essensodi rifiutato di ciò fare, le cose restarono quali erano, e più non se ne parlò.

Finalmente in quel ricorso è detto, e sempre a proposito che il Municipio cerca di disperdere quella Società, che si negano le licenze di porto d'armi ad integerimi cittadini, che appartengono alla Società Operaja, e che i relativi incarti giaciono polverosi sugli scaffali municipali. Questo molti lovanno ripetendo, ma è tale un fatto da non potersi credere, poiché gli aventi interesse, se non vogliono ricorrere alla Superiorità per conseguire il permesso di porto d'armi, o almeno perché la relativa pratica avesse il suo corso, io sono certo che avrebbero già ricorso per ottenere la restituzione del vaglia postale, che insieme ai documenti presentati vi si dovrebbe trovare il vaglia postale per l'ammontare della tassa stabilita in £. 6=60, per ogni permesso di porto d'armi.

Aggiungerò poi, che tutte le investigazioni  fatte in proposito riuscirono in senso affatto negativo.

Inoltre in detto ricorso si accenna alle violenze che si esercitano alla vigilia delle Elezioni Amministrative. Su questo particolare a quanto ho potuto appurare, mi è risultato, che il partito Matrona ha in tali circostanze cercato di riuscire nel suo intento, valendosi snche di quella influenza, che ha sempre costantemente esercitata in paese, ma non mi è riuscito di trovare un'elettore, che dichiari di aver subite violenze, ciò che il partito contrario è andato e va dicendo tuttora, e come si è esposto nel reclamo del quale si tratta.

Il medesimo ricorso accenna poi ad opere di lusso fatte dal Municipio da dilapidare le ricche entrate del paese. Intorno a questo punto tutti sanno, che l'Amministrazione Comunale spese forti somme per la costruzione della Casa Comunale, per l'annessa Caserma dei Carabinieri Reali, e per il teatro, ove tuttora si lavora per il compimento dell'opera muraria, e che richiederà non poca spesa per condurlo a compimento.

Ma a che vale ora lamentare un fatto, che può dirsi totalmente compiuto, e che riportò la sanzione del Consiglio Comunale, e quella Superiore? Certo però si è che tali opere si potevano fare con meno sfarzo, ciò che sarebbe ridondato a vantaggio di questi amministrati, poiché molte migliaia di lire si sarebbero rsparmiate.

Lo stesso si dica circa ai lamenti, che fa quel ricorso intorno alla costruzione della strada obbligatoria intercomunale Racalmuto Favara, essendo anche questo ormai un fatto compiuto ed autorizzato a forma di legge; ma che però non manca di essere gravoso a questi Amministrati, ciò che vanno ripetendo anche alcuni amici del partito Matrona, osservando che contemporaneamente  si sta costruendo altra strada pure obbligatoria tra Racalmuto e Montedoro, ciò che se è vantaggioso dal lato di veder sviluppata, e presto, la viabilità intercomunale, non è men vero, che costruendosene due ad un tempo, ciò viene ad aggravare, e non poco, il Bilancio Comunale, e per esso questi Amministrati; e perciò non mancano coloro che vanno lamentandosi della gravezza delle tasse Comunali. E da ciò che in detto ricorso si grida all'arbitrio nelle deliberazioni di questo Consiglio Comunale, ed alle flagranti violazioni della legge.

Quel reclamo finalmente accenna alla mafia nell'avvenimento del 27 Agosto 1875, come lo si chiama in detto reclamo, e segue quindi a dire, che la Società Operaja, e che la pubblica opinione e l'Autorità giudiziaria seppero rendere èpina giustizia.

In riguardo a ciò le cose passarono come appresso.

Dopo, che il novello partito del Tolumello si era più scopertamente manifestato l'anno scorso, massime per varii articoli pubblicati per i giornali, e dopo la fondazione del nuovo Casino di Compagnia, come sopra si è accennato, e finalmente dopo tutti gli altri fatti superiormente accennati che precedettero, accompagnarono e susseguirono le Elezioni Amministrative di detto anno, i componenti la Società Operaja, sembrava a quanto aseriscono gli avversari di questa e del partito del Tulumello, che facesse mostra d'imporsi all'altro partito, ciò che si volle desumere dal vedersi alcuni socii di quella Società passeggiare innanzi il vecchio Casino di Compagnia, in modo alquanto burbanzoso. Per contrapporsi a questo fatto, il partito del Matrona valendosi di un nucleo di persone dipendenti ed affezionate al partito stesso, la sera del 27 Agosto 1875, detto nucleo di persone si mise a passeggiare avanti il nuovo Casino di Compagnia, in modo di motteggiare e quasi provocare i socii di detto Casino, che colà trovavansi raunati. Di questo fatto se ne portò lamento a questo Delegato di P.a S.a Sig.r Macaluso, ma al dire di coloro che portarono tali lagnanze a quel funzionario, questi non ne avrebbe fatto verun conto, contegno questo del Delegato Sig.r Macalsuo, che si vorrebbe attribuire a troppa deferenza verso il Sindaco Sig.r Matrona Cavalier Gaspare. E siccome il fatto anzidetto sembrava essere stato stabilito doversi rinnovare la successiva sera del 28 detto mese, perciò alcuni socii del nuovo Casino, per evitare quell'inconveniente, che avrebbe potuto avere delle triste conseguenze, questa volta anziché rivolgersi al delegato di P.a S.a, si presentarono al locale Pretore, e questi fattone parola al Delegato ed al Comandante la Stazione dei Carabinieri Reali, perché cercassero di prevenire ed impedire al caso, che si rinnovasse quell'inconveniente, che avrebbe potuto compremettere l'ordine pubblico, ciò valse a scongiurare, che un tal fatto si rinnovasse la sera del 28 di detto mese.

Ed è per questo, che in quel reclamo è detto, che l'Autorità giudiziaria, e la pubblica opinione seppedro rendere piena giustizia.

Tutto quanto sopra ho esposto, non è che il risultato delle informazioni che ho potuto procurarmi da persone, che possono meritare qualche fiducia, e dico qualche fiducia, poiché è cosa assai difficile, trovare in un paese qual è Racalmuto, persone totalmente indipendenti da poter avere notizie esatte e spassionate, diviso, com'è, in due partiti, che sono formati dal ceto ristretto delle persone civili, in confronto della massa ignorante dei campagnoli e dei zolfataj, che compone la popolazione di questo Comune.

Da ultimo aggiungerò che le cose esposte nel ricorso, che quì unito ritorno alla S.V. Ill.ma, non fanno che riprodurre i sentimenti, da cui è animato il partito del Tulumello, partito, che cerca tutti i mezzi, onde vedere sciolto l'attuale Consiglio Comunale, sperando con questo mezzo di rompere l'attuale maggioranza del Consiglio stesso, senza far questione sulla scelta del Sindaco, con la veduta, come tutto giorno va ripetendo detto partito, di far economie sul Bilancio Comunale, e senza essere alieni, a queste condizioni di riconciliarsi col partito contrario, conciliazione, a parer mio, che potrebbe realizzarsi, quando a mezzo di persone autorevoli, potesse ottenersi una sincera ripacificazione tra il Sig.r Giuseppe Matrona ed i suoi fratelli; poiché una volta, che il Sig.r Giuseppe Matrona si staccasse dal suo partito, sarebbe cosa facilissima far scomparire le divisioni, che affliggono questo paese, poiché il ripetuto Sig.r Giuseppe Matrona può ritenersi il capo del partito a cui appartiene, tanto più, che il Tulumello è da parecchi mesi, che ha preso stanza in Palermo insieme alla sua famiglia, e non si sa, almeno per ora, che abbia intenzione di ritornare in Racalmuto. Certa cosa poi si è, che una più attenta e ben ordinata Amministrazione, esclusa ogni idea di personalità e di partito, potrebbe vantaggiare di molto la finanza comunale, ciò che non andrebbe disgiunto dall'utilità, che ne risentirebbero questi Amministrati, e tutto ciò non toglierebbe al Sig.r Sindaco cavalier Gaspare Matrona, tutto quel merito, che ha nell'aver rialzato le condizioni morali di questo paese, nell'aver non poco contribuito, col concorso di tutto il ceto civile, a vantaggiare le condizioni della pubblica sicurezza in questo Comune, messe in confronto, coi tempi, che precedettero la sua ingerenza nell'Amministrazione Comunale, e finalmente coll'aver cercato di rendere lustro e decoro al paese col compiere varie opere pubbliche, che i suoi predecessori avevano iniziate.

Il Delegato

A. Coppetelli

 

 

Prefettura di Girgenti - Gabinetto - n. 419 sub

minuta

 

A S. E. il

Ministro dell'interno

             Roma

OGGETTO: Ricorso della Societa' Operaja di Racalmuto contro quel Municipio.

 

Anche a questa Prefettura la Società Operaja di Racalmuto fece pervenire in addietro vari ricorsi contro quel Municipio lagnandosi di essere da esso osteggiata.

Però non si è potuto prendere dei provvedimenti perché le querimonie furono sempre generiche non imputando ai reggitori di quel comune fatti pei quali potesse l'Autorità legittimamente intervenire.

E' una verità che il Sindaco Cav. Gaspare Matrona, la sua famiglia influentissima e i suoi amici e partitanti vedano di cattivo occhio quella Società, mentre nel 1873 contribuirono invece a darle vita e sostegno; ma la ragione non istà minimamente nel proposito di osteggiare le idee liberali né precludere la via alle libere associazioni, ma sibbene trova la sua spiegazione naturale nel fatto che la Società stessa ha disertato dal partito dei Matrona per militare sotto le bandiere del loro antagonista Barone Luigi Tulumello il quale se ne vale come di strumento per creare imbarazzo all'attuale Amministrazione alla quale vorrebbe subentrare.

Messi così in chiaro i rapporti esistenti fra la Società ed il Comune si ha la spiegazione del movente del generico ricorso che si restituisce.

IL PREFETTO.   

CIRCOLO UNIONE

 

Frammenti

1° gennaio 1974

 

zolfatai

 

1)  E vannu a la matina e li viditi

parinu di li muorti accumpagnati

vistiti di scuru ca li cumpunniti

‘mmiezzu lu scuru di li vaddunati

 

scinninu a la pirrera e ‘mmanu

portano la so lumera pi la via

ca no’ pi iddi pi l’erbi di lu chianu

luci lu suli biunnu a la campia.

 

2)  Lu munnu è tradituri e ‘nganna genti

prumitti cuntintizzi e duna chianti

 

3)  Buttana di tò mà, ngalera sugnu

senza fari na macula di dannu

 

4)  Sì comu lu cannuolu di la chiazza

cu arriva, arriva, la quartara appuzza.

 

5)  Cu dici ca lu carzuru è galera

 a mia mi pari na villeggiatura

 

[zolfatai]

6)  Mamma nun mi mannati a la pirrera

ca notti e jurnu mi pigliu turrura

scinnu na scala di cientu scaluna

cu scinni vuvu muortu s’innacchiana

 

7)  Mamma nun mi mannati a l’acqua sula

lu vientu mi fa vulari la tuvagliola

e c’è un picciuttieddu ca mi vuliva

 e mi vinni appriessu a li cannola

 

8)  Puttani quantu trappuli sa’ fari

mancu nna forgia fa tanti faiddi

 

9)  Sutta lu to palazzu c’è un jardinu

ci su chiantati arangi e pumadoru

e ni lu miezzu c’è cunzatu un nidu

ancidduzzi ci sunnu a primu vuolu.

 

Cala Rusidda e s’inni piglia unu

 e si lu minti ‘nni la caggia d’oru.

La caggia siti vu timpa d’amuru

lu cardiddu sugnu iu ca canta e vuolu.

 

10) Dicci a to mamma ca nun si piglia pena

la robba ci ristà ‘nni li casciuna.

 

11) La donna c’avi lu maritu viecchiu

lu guarda e lu talia di maluocchiu

 

12) Di quinnici anni vi puozzu assicurari

un’ura di cuietu nun puozzu aviri

e m’haiu misu tuttu bieddu a cantari

darrieri la porta di l’amanti mia;

di ‘nna picciotta mi sientu chiamari:

trasi ca t’arrifriddi armuzza mia.

Iu ci lu dissi: nun vi stati a ‘ncumudari

lassatimi addivertiri cu l’amici mia.

 

13) Cartanissetta è’ncapu na rocca

chiunu di buttani e scarsu d’acqua.

 

14) E comu t’aiu a vidiri arridutta

a lu burdellu di Cartanissetta.

 

 

 

15) Primu tamava e ti tiniva stritta

Eratu lorda e mi parivatu netta

Ora ti vitti né ‘ncapu né sutta

 e sì na buttana netta netta

 

16) Quann’era picciliddu nicu, nicu,

l’amuri cu li donni iu faciva

tutti li schetti mi pigliavanu ‘mbrazza

e ‘nni li vradduzza so m’addummisciva

 

Ci nni fu una ca mi piglià mbrazza

e mi dissi: vo’ minna amrmuzza mia?

P’essiri ‘nnamuratu di li donni

ristavu curtu e mancu spuntu fici.

 

17) M’addisiddassi scursuni di chiusa

quantu m’inni issi ‘nni la tò casa

a to maritu lu mannassimu a fusa

 e n’antri du guardassimu la casa

 e ni mintissimu cu la porta chiusa

e a lu scuru cu si vasa, vasa.

Quannu vinissi lu crastu di fusa

la truvassi carricata la cirasa.

 

18) Arsira mi arricuglivu notti, notti;

mi misi a cuntrastari cu du schetti;

una mi li ittava li strammotti

l’antra m’arriscidiva li sacchetti.

Quannu mi vitti li sacchetti asciutti:

Vattinni picciuttieddu ca è notti!

Iu mi misi a gridari a vuci forti:

cu havi dinari è amatu di tutti!

 

19) L’omu ca è ‘ngalera è miezzu muotu

l’omu ca nun havi dinari è muortu tuttu.

 

20) L’amuri s’arridducu a malatia,

veni e finisci comu uogliu santu;

iu curuzzu pi amari a vui

sugnu ‘mmiezzu quattru miedici malatu;

unu di li quattru m’arrispusi:

vo’ stari bbuonu? Nun l’amari cchiuni!

Iu di lu liettu ci arrispusi:

l’amari di cori, o muoru o campu.

 

21) L’amuri è cu lu lassa e piglia

comu lu fierru ‘mpisu a la tinaglia.

 

 

 

22) M’addividdassi gaddu di innaru

quantu cantassi la notti a lu scuru

e mi mintissi supra un campanaru,

e mi mintissi a ricitari sulu:

Domanna la me amanti di luntanu:

Chi hai gadduzzu ca reciti sulu?

 Iu cci arrispunnivu di luntanu:

persi la puddastra e sugnu sulu!

 

23) Passu e spassu di la tò vanedda

‘nni la cammara tò luci ‘nna stidda

quantu po’ essiri currivusa e bedda

ca lu ma cori si fici pi idda

 

Oh Diu chi fussi cun na vannachedda

ca m’appinnissi a lu cudduzzu d’idda

quantu nni patu iu p’amari na bedda

idda mori pi mia ed iu pi idda.

 

24) Amuri, amuri pampina di canna

quantu sparaci fa la sparacogna

 

25) Arsira passavu di na banna

e vitti  la ma amanti ca durmiva

era curcata ‘ntru un liettu di Parma

pi capizzieddu la mani ci aviva

nun l’addivigliati ca si spagna

ca l’addivigliu cu li muodi mia;

ti fazzu li carizzi di tò mamma:

ddivigliati, ddivigliati, armuzza mia.

 

26) Cori di canna, cori di cannitu

truiazza ca lu cori canniatu

lu facisti ammazzari a to maritu

pi dari agustu a lu tò nnamuratu;

ora nun hai né garzu né maritu

sì comu un casalinu allavancatu;

lu va a truvari a tò marito

darrieri di San Giorgiu truvicatu.

 

27) Stritta la cigna e larga la cudera

l’omu ca è minchiuni pari allura.

 

 

28) Ti lu facisti lu ippuni russu

nun lu vidi ca to patri scarsu

ti lu facisti lu jppuni a la moda

ti lu facisti a la garibaldina

 

29) Cummari sugnu muortu di la pena

c’aiu un mulinieddu e nun macina

mprustatimi lu vuostru pe na simana

vi lu martieddu e vi lu mintu ‘n farina

Aiu lu mulinieddu a la rumana

lu tiegnu ni li canzi di la tila

aiu un mulinieddu a la rumana

pi sta picciotta ca si chiama Nina.

 

30) O Mariuzza chiàmati sti cani

nun li teniri cchiù mmiezzu la via

ca mi strazzaru un paru di stivali

lu miegliu vistitieddu ca tiniva

e lu purtavu a lu mastru a cunzari

e lu pagavu di sacchetta mia;

mariuzza si mi vo’ pagari

spogliati e curcati cu mia.

 

31) Si Diu voli la mula camina

ci ammu arrivari a la missa a Ragona.

32) Carzaru a Vicaria quantu si duci

ca cu ti fabbricà beddu ti fici.

 

 

 

33) Amaru ca m’avera a maritari

presti lu siminavu lu lavuri

quannu fu ura di zappuliari

l’erba mi cummiglia lu zappidduni

poi vinni lu metiri e lu pisari

e mancu potti pagari lu patruni;

ora curuzzu si mi vo aspittari

d’auannu nun si po’, l’antra stagiuni.

34) Primu t’amava e ti tiniva stritta

eratu lorda e mi parivatu netta._

Ora nun ti vitti né ncapu né sutta

e si na liccatura netta netta

‘m Palermu ti sunaru la trummetta

cu si piglia a tia gran chiantu scutta.

Un jurnu t’aiu a vidiri arridutta

 né maritata, né zita, né schetta

un jornu t’aiu a vidiri arridutta

 a lu burdellu di Cartanissetta

 

35) Travagliu e nun travagliu, nun aiu casa

megliu ca quannu stancu m’arripuosu.

 

36) Lu sa chi dissi lu dutturi Vespa

cu havi lu chiuritu si lu raspa.

 

37) Lu puddicinu dissi ni la nassa

quannu maggiuri c’è minuri cessa.

 

38) Lu maritu ci dissi a la muglieri

la vesta cu la fa, l’av’a pagari.

 

39) La muglieri ci dissi a lu maritu

ad Agustu pari cu va carzaratu.

40) Lu suli si nni va dumani veni

si mi nni vaiu iu nun torna cchiuni.

 

41) Chiddu chi voli Diu la notti a gregni

lu jurnu a racinidda ni li vigni

 

42) Chiddu chi voli Diu dissi Guaglianu

la notti chiovi e lu juornu fa bbuonu

43)  Vitti lu mari, vitti la marina

vitti l’amanti mia ca navicava

 

44) Comu aiu a fari cu sta ma vicina

c’avi lu meli mpiettu e nun mi nni duna.

 

45) M’aiu a maritari nun passa ouannu

pi campari muglieri nun mi cumpunnu

46) M’avera a maritari senza doti

chi sugnu foddi ca fazzu sta cosa

47) Dicci a tò mamma ca nun si piglia pena

la robba ci ristà ni li casciuna.

48) Si piccilidda e vatinni a la scola

ca quannu ti crisci m’è pigliari a tia.

49) Si piccilidda e ha lu cori ngratu,

mi vidi muortu e nun mi duni aiutu

quannu vidi affacciari lu tabbutu

tannu mi cierchi di darimi aiutu.

50) Si piccilidda e fa cosi di granni

pensa quannu ti criscinu sti minni

51) Quantavi chi studiu sta canzuna,

pi mpararimilla sta simana

52) L’aiu avutu na donna taliana

ca la so facci era na vera luna

nni lu piettu porta na cullana

si vuogliu lu so cori mi lu duna.

53) Vieni  stasira ca mi truovi sula

l’ura è arrivata di la tò fortuna.

54) La carta di la leva a mia vinni

m’accumanciaru a viniri li malanni.

55)  Partu e nun partu, comu vurria fari,

bedda sugnu custrittu di partiri

sugnu custrittu di lassari a tia

e quannu pienzu ca t’aiu a lassari

la vucca di feli s’amaria.

Lu vaiu diciennu nun ni puottimu amari

si nun muoru cca muoru addavia.

56)  Mamma priparatimi un maritu

ca sutta lu fallarieddu c’aiu lu fuocu

Sutta lu fallarieddu c’aiu lu fuocu

dintra lu russu e fora è sbampatu

sutta lu fallarieddu ci hai lu meli

sugnu picciottu e lu vuogliu tastari

Sugnu picciottu e mi nni vaiu priannu

schiettu mi l’haiu a godiri lu munnu.

 

57) Vidi chi fannu fari li dinari

fannu spartiri a du filici cori

Ti pigliasti ad una ca nun sapi parlari

tutta pirciata e china di valori;

mancu a la chiazza cchiù la po’ purtari

vidi li beddi e lu cori ti mori.

 

Affaccia amuri e sientimi cantari

ca t’è fari pruvari comu si mori.

58) quannu ti viu lu me cori abballa

 comu lu fuoco ni la furnacella,

quannu ti viu lu me cori abballa

comu lu vinu russu nni la  buttiglia 

59) Lu sabbutu si chiama allegra cori

mmiatu cu avi bedda la muglieri

cu l’avi ladia ci mori lu cori

e prega ca lu sabbatu nun veni.

60) Comu ci finì a lu gaddu di Sciacca

pizzuliatuddu di la sciocca.

 

[Pasqua 74]

 

 

61) Veru ca la mintissi la scummissa

cu si marita lu fuocu ci passa

62) L’omu ca si marita è ammunitu

la muglieri ci fa da diligatu

63) Hann’a passari sti vintinov’anni

unnici misi e vintinovi jorni

64)  E li minneddi tò sciauru fannu

sunnu viglianti e mi cala lu suonnu

65) Chiddu chi voli Diu dissi Marotta

quannu si vitti lu fuocu di sutta.

[variante oscena e beffarda]

quannu si vitti la soru di sutta.

 

66) Chiddu chi voli Diu dissi Guaglianu

la notti chiovi e lu jornu fa bbuonu

67)  M’arridducivu di tali manera

ca comu un picciliddu chiacchiaria

Persi lu sali e persi la salera

e persi l’amicizia cu tia.

68) L’omu chiettu nun nni chiudi vucca

si si marita diventa na rocca

69) L’omu schiettu nun aviennu muglieri

mmiezzu li maritati avi addubbari

70) Comu na varca a mari mi currieggiu

ni lu liettu nun puozzu stari saggiu

71) M’agghiri a maritari a Rivinusa

ca mi muglieri m’è pigliari na rosa

72) Sugnu arriddutu di tagliarimilla

tantu pi tantu pierdita mi duna

73) Ci vuonnu quattru mastri cu la serra

e quattru fimmineddi cu la falla

quattru fimmineddi cu la falla

pi lu sanguzzu nun arrivari ‘n terra

74) Bedda p’amari a tia persi lu sceccu

persi la tabbacchera e lu tabaccu

75) Bedda p’amari a tia persi lu sceccu

ora dicimi tu a cu minchia accravaccu

76) Curnutu ca ha’li corca in tri maneri

luonghi e pizzuti cumu li zabbari

77) Li corca ti li fici tò muglieri

cu un picciuttu ca sapi cantari.

78) La tarantula annaca e nun sapi a cui

stenni l’aritu e nun lu cogli mai

passa la musca e ni l’aritu ‘ngaglia

e ci patisci nni ddi eterni guai

la tarantula ngrata siti vui

la musca sugnu iu ca c’ingagliavu

quantu aiu piersu pi amari a vui

sugnu a lu ‘mpiernu e nun nni niesciu mai.

79) L’amuri è cu lu lassa e piglia

comu lu fierru ‘mpizzu a la tinaglia

80) Cu dici ca pi donni nun si pila

a tutti l’impiccassi pi la gula.

81) Quan’eratu malata dunci amuri

pi uocchiu di la genti nun ci viniva

quannu vidia passari lu Signuri

pigliavu lu mantu e ci viniva

e m’assittava ‘ncapu li scaluna

tu stavatu muriennu e iu chianciva

ora ca stasti bbona dunci amuri

finieru l’uocchi mia di lacrimari.

 

82) Ora ancidduzzi calati, calati

a la cima di l’arburi e ci viditi

quannu nni la caggia intrati

comu di la pena nun muriti;

amicuzzi vi priegu ‘n caritati

amicizia cu li donni nun aviti;

iu persi la mia libirtati

na donna m’ingaglià cu li so ariti.

83) Di quinnici anni vi puozzu assicurari

n’ura di cuietu nun aiu pututu aviri

ca m’aiu misu tuttu a cantari

‘ndarrieri la porta di l’amanti mia

di na picciuttedda m’intisi chiamari

trasi ca t’arrifriddi armuzza mia

iu cci lu dissi: nun vi stati a ‘ncumudari

lassatimi addivertiri cu l’amici mia.

 

84) Lu gaddu cci dissi a li gaddini

ca lu tiempu si piglia comu veni

85) Chi ti giova sta maritatina

ottu jorna malata e un jornu bona

86) ladia, pupa nivura, untata d’uogliu

tu va diciennu ma muoru pi tia

cci sunnu tanti bieddi ca mi vuonnu

comu mi vuogliu tingiri nni tia

vattinni a mari a glittariti a scuogliu

oppuri a mmuoddu mmiezzu a la liscia..

87) Mina lu vientu e lu massaru spaglia

c’è lu currieri ca cunta li miglia

lu cacciaturi assicuta  la quaglia

e l’assicuta finu ca la piglia;

l’arburu s’ha sirratu cu la serra,

e lu stufatieddu s’agusta cu l’aglia

Ora ca la vincivu la battaglia

si mi curcu cu tua nun è meraviglia.

88)  La turturidda quannu si scumpagna

si parti e si nni va a so virdi luogu

vidi l’acqua e lu pizzu si vagna

e di la pena si nni vivi un puocu

e poi si minti ncapu na muntagna

 jetta suspira e lacrimi di fuocu:

amaru cu perdi la prima cumpagna,

perdi li piacira, lu spassu e lu juocu.

89) All’armi, all’armi: la campana sona

li turchi sunnu junti a la marina.

90) Ah! Quantu è mpami l’arti di lu surfararu

ca notti e jornu travaglia a lu scuru

piglia la lumera e fa un puocu di lustru

quannu scinni jusu cu lu so capumastru

 

91) La schetta si nni prega di li minni

la maritata di li figli ranni

92) Niesciu la sira comu lu nigliu

Viersu la matina m’arricogliu.

93) Si ni pigliamu colari muriemmu

e vincitoria a li mpamuna dammu.

94) Cci vò viniri dda banna Riesi

unni ci su pagliara comu casi;

cci sunnu tri picciotti comu rosi

una di chiddi tri mi dissi trasi;

trasi ca t’aiu a dari li beddi cosi:

puma, pumidda, maremi e cirasi.

Iu ci lu dissi: nun vuogliu sti cosi,

vuogliu la zita, la robba e li casi.

95) Biedda, li tò biddizzi iu li pritiegnu

siddu li duni a l’antri, iu m’allagnu.

96) Ora ca ti criscieru sti lattuchi,

tutta ti gnucculii, tutta t’annachi.

97) Ci pienzi bedda quannu iammu a Naru

ca la muntata ti paria pinninu?

98) Bedda, ci vò viniri a San Bilasi,

 n’addivirtiemmu ca siemmu carusi?

99) Aiu cantatu pi sbariarimi la menti

oppuramenti la malincunia.

100) Comu vo fari fa, si la patruna

basta ca truovu la pignata china.

101) Buttana ca cu mia tu fa la santa,

cu li cani e li gatti tieni munta.

A mezzannotti cu scippa e cu chianta,

la tò matruzza li cuorpi ti cunta.

Quantu grana vusca sta figliuzza santa,

ci voli lu nutaro ca li cunta.

102) la fimmina ca è sutta va cantannu

l’omu ca sta supra sta suffriennu

103) Cu avi dinari assà, sempri cunta

cu avi muglieri bedda sempri canta.

104) So matri mi lu dissi: va, travaglia,

nun mi la fari patiri a ma figlia.

105) Cu dici ca li favi sunnu nenti,

sunnu cumpuortu di panza vacanti.

106) L’omu c’ha piersu la ragiuni

la giustizia si fa cu li so mani

107) Pi tantu tiempu la furtuna aiuta,

arriva un tiempu ca cangia la rota.

108) Tu t’inni prieghi ca ti resta chiusa,

iu mi nni priegu ca mi resta tisa.

109) Si ogni cani c’abbaia, na pitrata,

nun restanu né vrazza e macu vita.

110) San Pietru ci dissi a S. Giuvanni

di li singaliati, guardatinni.

111) Santa lagnusia, nun m’abbannunari,

ca mancu spieru abbannunari a tia.

112) Quantu su bieddi li carmelitani,

ca vannu a la missa cu la mantillina.

113) A tia piaci la miennula dunci,

prima ti la manci e ora chianci.

114) Cu sta spranza e la pignata minti,

ma va pìarriminari e nun trova nenti.

115) Cu scecchi caccia e a fimmini cridi

faccia di paradisu nun nni vidi.

116) Pensa la cosa prima ca la fani

ca la cosa pinzata è bedda assani.

117) Sparaci, babbaluci e fungi

spienni dinari assà e nenti mangi.

118) Unni viditi niespuli, chianciti:

sunnu l’urtimi frutti di l’estati.

119) Comu amma a fari, la muglieri?

dumani agghiurnammu senza pani.

120) Quannu la sorti nun ti dici,

jettati nterra e cuogli babbaluci.

121) Cu fa amicizia cu li sbirri,

c’appizza lu vinu e li sicarri.

122) Di ‘nviernu nun ni vuogliu ca fa friddu,

mancu la stagiuni ca fa callu.

123) Cummari vi lu dicu allieggiu, allieggiu,

vostru maritu si iucà lu ‘llorgiu.

124) La padedda cci dissi a la gradiglia:

iu pisci frittu mangiu e no fradaglia.

125) Lu surci cci dissi a lu scravagliu:

quannu tu fa beni scordatillu.

126) Lu saziu nun cridi a lu diunu,

comu lu riccu nun cridi a lu mischinu.

127) Cci finì comu li nuci di Cianciana,

cientu vacanti ed una china.

128) Chi facisti o mastru Giuvanni,

scippasti la vigna e cci chiantasti li canni.

129) Abrili fa li sciuri e li biddizzi,

n’avi lu lasu lu misi di maiu.

130) Lu piruraru grida: all’erba, all’erba;

ca si la po’ sarbari si la sarba.

131) Sugnu comu na tavula di liettu,

dicu ca nun viu nenti e viu tuttu.

132) Ficuru paci li cani e li lupi,

poviri piecuri e svinturati crapi.

133) Di li cappiedda e di lu malu passu

dinni beni e stanni arrassu.

134) L’afflittulidda ca si curca sula

si vonta e svonta mmiezzu a li linzola.

135) Mi vivu lu vinu miu, armenu sacciu cca è vinu guastatu.

136) A quannu a quannu lu pupu j a ligna

cu ddu cippidda cci fici nna sarma;

nni la muntata si lassà la cigna,

va iti nni lu pupu ca si danna.

137) L’arti di lu muraturi, è arti gintili,

‘nn’accidenti a cu nni parla mali.

138) A vvu commari chiamativi la gatta,

sannò vi veni cu l’ancuzza torta.

139) P’amari li donni cci voli la sorti,

ma ancu ‘ngegnu , giudiziu e arti.

140) Lu zuccu nun po’ teniri du viti

e mancu la fimmina du ‘nnamurati.

141) L’acqua di lu Raffu e mmiezzu vinu,

curriti schetti di San Giulianu.

142) L’acqua di li malati è vinu sanu,

curriti schetti di San Giuliano.

143) Pi nun pagari du grana di varbieri,

si fa li capiddi scali, scali.

144) Quannu mina lu vientu narisi,

guardativi la peddi, guaddarusi.

145) Sugnu comu lu cunigliu ni la tana,

firriatu di sbirri e di ‘mpamuna.

146) Si m’arrinesci mi chiamu don Cola,

si nun m’arrinesci Cola comu prima.

147) Lu jardinaru ca chianta cipuddi

cci vannu appriessu li picciotti bieddi.

148) Nun cci vaiu cchiù a Santa Chiara

ca la Batissa mi voli ‘ngalera,

mi dissi ca ci ruppi la campana

e lu battagliu miu ristà com’era.

 

149) Chissa è la vera pena ca si senti,

sugnu luntano e nun viu l’amanti.

150) Amuri amuri, quantu sì luntanu,

cu mi lu cuonza lu liettu stasira,

cu mi lu cuonza, mi lu cuonza malu,

e malatieddu agghiuornu a lu matinu.

151) Vinni a cantari ca n’aiu ragiuni,

pi mmia nun ci fu camuliari,

tutti mangiaru carni e maccarruna

e iu, l’amaru, mancu aviri pani.

152) Chi avi stu sceccu ca raglia?

avi la corda longa e s’impiguglia.

153) Lu munnu lu truvasti a lu riviersu

ca puntasti a re vinni arsu.

154) La morti lha d’incuoddu e nun ti ‘nnadduni

l’ha scritta nni li chianti di li mani.

155) Lu carciri di Sciacca è muntuatu;

pi fierri lu vinci Santu Vitu.

156) Cu va a lu carciri di Santu Vitu,

trasi cu la parola e nesci mutu.

157) Ma matri mi vuliva fari parrinu,

e pi l’amuri tò, sugnu viddanu.

158) Da stivaletti si junta a tappina,

sicca la vucca mia si nun sì buttana.

159)  La schetta si canusci a lu caminu,

la maritata supra lu turrenu.

160) Vuogliu muriri cu l’uocchi apierti

pi nun dari vincitoria a la morti.

161) L’acqua si nni va a lu pinninu,

l’amuri ranni senti lu richiamu.

162) Cu va a sparaci mangia ligna,

cu va a babbaluci  mangia corna.

163) Nun sugnu muortu, no, sù vivu ancora,

uogliu ci nn’è a la lampa, mentri dura.

164) Lu tò vinu nun lu mintu nni lu me jascu

li tò guai cu li mia nun l’ammiscu.

165) Ora curuzzu  vò essri amatu

a fari di geniu lu curnutu.

166) Vitti lu mari, vitti la marina,

vitti l’amanti tò ca navigava.

 

167) Bedda tu la pirdisti la russura

mi isti a ‘ccusari a li carrabbunera

168) Ti maritasti cu viertuli musci

lu capumastru di balata liscia

nun ti putisti abbuttari di minestra.

169) Larga la cigna e stritta la cudera

l’omu ca è minchiuni pari allura.

170) Ti maritasti facci di vilenu

ti lu scurdasti cu t’amava prima.

171)  Lu scieccu zuoppu si godi la via

la miegliu giuvintù sta a la Vicaria.

172) Quannu nascisti tu bidduzzi, pronti

lu suli arrialzà l’antri du tanti

ti vattiaru ni du chiari fonti

mmiezzu d’argintaria, musica e canti.

173) Funtana di biddizzi e pasta d’angili

cu trasi a  la tò casa li fa ‘mpinciri

e li pittura si misuru a chiangiri,

ca bedda comu tia nun puottiru dipingiri.

Acchiana ‘ncielu e và, parla cu l’angili

li muorti sutta terra li fa spingiri.

174) Cu la casa d’antru pratica

la so è povera e minnica.

175) Sinn’j, sinn’j, sapiddu unni

e a tia lassà mmiezzu a st’affanni

Senza di tia sugnu cunzumatu

la vita mia cu tia si ‘nn’ajjutu

176) La tò facciuzza è comu na rosa

bianca e russa comu na cirasa

177) Amaru cu di li donni s’incatina

scinni a lu ‘mpiernu e acchiana tri scaluna.

178) Ora ca li facisti quinnici anni

piglia la truscitedda e jamuninni.

179) Lu suonnu di la notti m’arrubasti

ti lu portasti a dormiri cu tia.

180) Lu cuccu ci dissi a li cuccuotti

a lu chiarchiaru ci vidiemmu tutti.

181) Lu carzuru pi mia è l’urtima notti

stasira ci scuru dumani si parti.

182) Eratu intra e ti ‘nni isti fora

di tunnu la pirdisti la russura.

183) Comu cci finì a lu liamaru

nun potti fari un jppuni a la suoru.

184) Comu cci finì a lu gaddu di Sciacca

si fici accravaccari di la jocca.

185) Ti priegu bedda di farimi un cintu

ca veni maiu e canzuni cantu

mi l’hai a fari galanti e distintu

lu tò nomu c’ha a mintiri ogni tantu

cu m’addumanna cu fici stu cintu

lu fici Dichinedda a lu cummentu.

186) Tò matri mi lu dissi: mangia e bbivi

nun ti curari si ma figlia mori

si mori idda ti mariti arrieri,

cchiù grana e cchiu arriccizzi po’ accanzari.

187) Dicci a tò mà ca nun si piglia pena

la robba c’arristà ni li casciuna;

comu t’abbidiri arridutta

né maritata, né zita né schetta.

Comu t’abbidiri arridutta

a lu burdellu di Cartanissetta

Cartanissetta ‘ncapu nna rocca

ricca di buttani e scarsa d’acqua.

188) Vaiu diciennu: cu avi caniglia?

ca m’ha finutu l’uoriu e la paglia.

189) Ti cridi ca era mulu di la rota

pi pigliarimi a tia disonorata?

190) Quantu amici avia quannu era fora

ora l’amici mia su quattru mura.

191) vampa di lana e nuozzulu di nuci

nun dunanu né cinniri né luci.

192) La mantillina cangiasti pi lu sciallu

ora a chistu tò maritu cangiatillu.

193) Buttana quantu trappuli sa fari

mancu na forgia fa tanti faiddi.

194) Assira m’arricuglivu notti, notti

mi misi a cuntrastari cu du schetti

una mi li jttava li strammuotti

l’antra m’arriscidiva li sacchetti,

quannu mi vittiru li sacchetti asciutti:

vatinni picciuttieddu ca è notti.

195) comu aiu a fari, sugnu cunzumatu

na vecchia nun mi vonzi pi maritu.

196) Di vintinovi siemmu junti a trenta

comu veni la pena si cunta.

197) Quant’aiu persu d’amari a tia

li miegli jorna di la vita mia.

198) Cu lu canusci l’amicu Burrasca

simina tumminia e arricogli ciusca.

199) A chi mi servi amariti tantu

ca zappa a l’acqua e simina a lu vientu.

200) Quannu si minti lu picciulu cu lu granni

li viertuli a mala banna appenni.

201) Cummari ca l’aviti e nun mi lu dati

chi nna t’ha fari vui quannu muriti.

202) Curnuti va’, firriati la vigna

unni mancanu zucca, chianta corna.

203) Cu li tò corna po’ fari un ponti

di la Matrici arrivari a lu Munti.

204) La sciccaredda cci dissi a lu mulu

siemmu fatti pi dari lu culu.

205) Cu di lu mulu voli fari un cavaddu

li primi pidati sili piglia iddu.

206) Carritteri lu vuogliu e no viddanu

ca di sita mi lu fa lu fallarinu.

207) Comu è fari cu sta licatisa

ca idda voli a mia, iu vuogliu a Rosa!

208) Iu ti salutu e mi nni vaiu nni Rosa

Dumani nni ‘ncuntrammu chiusa chiusa.

209) Annutula ca t’allisci e fa’ cannola,

stu santu è di marmaru e nun suda.

210) Ti maritasti e fu la tò ruvina

sei jorna malata e un jornu bona.

211) Buttana di tò mà quantu carduna

cu cci li simina mmiezzu sta via?

212) Vidi ca fa friddu e nun lu capisci,

è la forza di l’amuri quannu nasci.

213) Comu aiu fari cu sta ma vicina

c’avi lu meli ‘mpiettu e nun lu duna?

214) L’amici ti purtaru a la ruvina

tò matri ca ti ama si nn’adduna.

215) Aviva un gaddu e lu fici a capuni

lu sbrigu cci livavu a li gaddini.

216) Quannu era sana la tò pignatedda

lu primu fuvu iu ca cucinavu,

ora ca ti la ruppi la scutedda:

mangiati amici mia ca mi sazziavu.

217) Bedda p’amari a tia persi lu suonnu

ca è la cosa cchiù bedda di lu munnu.

218) Bedda p’amari a tia di notti viegnu

e nun mi curu si chiovi e mi vagnu.

219) Ludia brutta facciazza di mulu

tu va diciennu ca t’ha’ mmaritari,

nun n’ha né robba nemmenu dinari,

 cu è ddu sceccu c’havi a pigliari?

220) Bedda ca di li beddi la bedda siti

ca di li beddi bannera purtati.

221) Bedda ca sì rappa di racina

lu cori ti mangiassi a muzzicuna.

222) Quannu nascisti tu nascì na rosa

lu suli si firmà a la tò casa.

223) Bedda ca di sì m’aviatu dittu

nun c’arrivasti a cunzari lu liettu.

224) Si sì vera fimmina di nasu

m’ha’ a diri unni sta lu vientu appisu.

225) Matri ivu a perdiri la testa

pi nna truiuzza, ‘mpami e tosta.

226) Di nnomu ti cangiasti traditura

di zappa ti chiamasti matacona.

227) La cosa è già bedda e caputa,

lu sceccu nin si pungi a la muntata.

228) Lu sienti ca sona la campana

la pesti è junta a li mulina.

229) Aviti la facciuzza comu un piriddu

e la vuccuzza n’anidduzzu

siti ‘mpastata di zuccheru e meli

mmiatu l’omu ca spusa a vui.

230) Quannu arrivu dda bbanna, scrivu cara

ricordati di mia na vota l’ura.

231)  Quantu è intrinsicu st’amuri

cu nun lu cridi lu pozza pruvari.

232) Nun lu fazzu cchiù lu lassa e piglia

p’amari na picciotta si travaglia.

233) Comu è fari cu sta ma vicina

ca notti e jornu colari mi duna?

234) Curuzzu nun aviri no lagnanza

si vò accuminciari a chiangiri accumenza

curuzzu nun aviri cchiù lagnanza

ca cu t’amava cchiù mancu ti penza,

curuzzu mi vò diri chi ti fici

ca quannu vidi a mmia ti fa’ la cruci.

235) Ti mannavu nna littra cu du essi

risposta nun n’appi cchiù, chi fici morsi?

236) Chista è la vera pena ca si senti,

iri surdatu e lassari l’amanti.

237) Nun aiu pena ca vaiu surdatu

la pena aiu ca lassu a tia.

238) Sì comu nna fussetta di Natali

cu prima arriva si mitti a iucari.

239) Li donni sunnu comu li mulina

ca fannu li vutati di la luna.

240) Li donni sunnu comu li mulina

tuorti come la vruca e li gadduna.

241) Amaru cu di li donni si ’nnamura

ca squaglia comu l’uogliu a la cannila.

242) Lu vuò sapiri pirchi nun ti vuogliu?

eratu schetta e accattasti un figliu!

243) Aiu piersu la canna di la pipa

forsi l’asciasti tu bedda pupa.

244) Li cuorna ti parinu ornamientu,

t’annachi tutti e ti nni fa’ un vantu.

245) Curcutu, sta’ attentu t’impidugli

cu li piedi li tò corna ‘ngagli.

246) La robba si nni va comu lu vientu

ma di nna bedda ti nni prieghi tantu.

247) A don Cicciddu lu vitti lu vitti

ntra un punticieddu ca sucava latti.

248) Quantu è cani, cani stu patruni

ca iddu mangia pani e nantri fami,

vinti quattr’uri di stari a buccuni,

li rini si li mangianu li cani,

lu vinu si lu vivi a l’ammucciuni

e nantri passa l’acqua di gadduni

unni mitti a muoddu li liami.

249) Cori di canna, cori di cannitu

truiazza ca ha’ lu cori canniatu,

lu facisti ammazzari a tò maritu

 pi dari gustu a lu tò ‘nnamuratu.

250) Curnuti nun cci vannu n’ paradisu

San Pietro l’assicuta pi lu nasu.

251) Lu suli è russu e vui lucenti siti,

lustru faciti quannu v’affacciati.

252) Quannu la mamma fa lu figliu fissa

sempri ci avi a cummattiri cu passa.

253) Sapiti chi successi all’acqua nova

un punci assicutà na lavannera.

254) A vu cummari, ca siti sutta stu ficu

o mi chiamati o viegnu dduocu.

255) O Pippinedda cuocciu di granatu,

unni lu truvasti stu bieddu maritu?

256) Sapiti chi rimediu c’è pi unu ca mori?

Ca mori e si nni va a lu cimiteriu.

257) Lu suonnu di la notti m’arrubasti

ti lu portasti a dormiri cu tia.

258) Affacciami bedda e pisciami tra un occhiu

quantu ti viu lu parrapapacchiu.

259) Comu aiu a fari cu la ma vicina,

avi la figlia schetta e nun mi la duna.

260) La donna c’avi lu maritu viecchiu,

lu guarda e lu talia di mal’uocchiu.

261) Curnutu ca ha’ li corna ‘n tri maneri,

luonghi e pizzuti comu li zabbari.

262) Curnutu ti prisienti arridi, arridi.

li corna t’arrivanu a li piedi.

263) Lu carzaratu la notti si sonna:

penza la libirtà, mori e si danna.

264) Cu dici ca lu carzaru è galera,

a mia mi pari ‘na villeggiatura.

265) Lu carciari pi mia è paradisu,

unni truvavu l’abbientu e lu ripuosu.

266) Carzari Vicaria quantu si duci,

cu ti fabbricà, bieddu ti fici.

267) Amuri di luntanu nun è filici;

amuri di vicinu, carizzi e baci.

268) Ha’ la vuccuzza comu lu curaddu

piensu ca ancora nun ha vasatu a nuddu.

269) Ha’ li capiddi nivuri ‘na pici,

ti li taliu e nun truovu paci.

270) Pienzi ca stu munnu è chianu, chianu,

nun vidi la muntata e lu pinninu?

271) Tu matri t’addivà cu pani e latti,

ora dariti a mia ci pari forti.

272) Ni sta vanedda ci abita ‘na quaglia,

tutti la vuonnu e nuddu si la piglia.

273) Ni stu quartieri ci sta ‘na picciuttedda,

idda mori pi mia e iu pi idda.

274) Bedda, ci pienzi quannu jammu fori,

ca ti purtavu sutta li ficari,

ti detti du pumidda e du zalori,

di tannu t’affirravu a ‘nguliari.

275) Mi nn’aiu a gghiri di stu paisazzu

cu li ‘mpami e li sbirri nun ci la puozzu.

276) Mi ‘nnaiu a gghiri a Cartanissetta,

unni ca fannu giustizia torta.

277) Cu avi grana la libirtà s’aspetta,

cu grana nun avi lu zainu porta.

278) Pedi di zorba e pedi di zurbara

cu è ca ti chiantà mmiezzu la via,

e li zorbi ca fa su tanti amari

amari e allappusi comu a tia.

279) Stidda lucenti, lucenti

chi c’aiu fattu a la me cara amanti?

Quannu passu di ccà nun mi dici nenti,

si cridi ca truvavu ‘n’ antra amanti.

280) Siddu sapissi di la tò vinuta,

d’oru e d’argentu faria la me intrata.

281) Vaiu a lu liettu e ripuosu nun aiu,

priegu ca l’arba fa, quantu ti viu.

282) Affaccia bedda di sta finestredda,

lu sientilu tò amuri quantu arraggia?

Vasari ti vurria, quantu sì bedda,

mmientri chi tieni l’uocchi a pampinedda.

283) Quannu nascisti tu fici un gran sfuorzu,

parsi ca ti purtà un carcarazzu.

284) Buttana di tò mà, lorda buttana;

nun è amicu tò si nun ti la duna.

Dda amicu ti la riì la suttana

e tu lu mangi a muzzicuna.

Tò mà è ‘na pezza di buttana,

ca sapi tutti cosi e nun dici nenti.

285) Chi mi nn’importa ca sugnu curnutu,

basta ca mangiu e bivu e vaiu vistutu.

286)  A idda vuogliu, a idda m’ata addari,

idda mi trasì ‘nni lu ma cori.

287) Di schetta nun t’appi

e di maritata t’appi;

abbasta ca t’appi

e comu t’appi, t’appi.

 

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Strambotti di microstoria racalmutese.

 

Donna Aldonza del Carretto

288) Cu li biddizzi ma senza pitazzu

sanu cci arristà lu pirripipazzu.

 

Girolamo e Giovanni del Carretto

289) Quannu arriva lu conti Giluormu

cu gran prescia lèvati di tuornu;

ma s’arriva lu baruni Giuvanni

allura sì ca sunnu guai ranni.

I Magnifici

290) Cu Tudiscu e Piamuntisi

si piersiru sina li maisi.

Beatrice Del Carretto Ventimiglia.

291) Cci arrubbaru a donna Biatrici,

e nantri tutti siemmu beddi e filici.

 

Arciprete Vincenzo del Carretto.

292) Cu l’arcipresti di lu Carrettu

cci appizzammu sinu a lu liettu.

L’aggressione licatese sotto Matteo del Carretto.

293) Di la Licata vinniru li lanzichinecchi

a ccà nastri ristammu propriu becchi.

 

Il conte Girolamo del Carretto

294) A Paliermu don Giluormu lu ranni,

cu tanti onzi conti divinni;

ma a marchisi nun arrivà

e a nantri viddani nni cunzumà.

 

Maestranze locali

 

295) Lu mastru Picuni, lu farmacista Pistuni,

lu miedicu Alajmu, la famiglia Pirainu:

C’era Zagarricu, c’era Mastrarrigu;

nun siemmu tutti ricchi, nun siemmu tutti bieddi,

ma siemmu tutti di ccà e chistu a nantri nn’abbastà.

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Epiloghi.

296) Onestà cumanna a donna

cchiù cci nn’è, cchiù nn’abbisogna.

297) Arangi, arangi

cu avi li guai si li chiangi.

298) Addalalò addalaliddu;

so mà sì tu, so pà sopiddu.

299) Calati Giona a mari,

ca passa la timpesta.

 

 

 

300) PREGHIERA DELLA SERA

 

Iu chiuiu la porta mia

cu lu mantu di Maria

lu vastunieddu di S. Simuni

'un nna  nn'aviri né forza né malia

comu li petri di 'mmezzu la via.

 

 

301) Tutti l’aucelli mi cacanu ‘n testa

sina a lu attassatu ciciruni.

[variante]

sinu a li attassatu pipituni.

 

APPUNTI VARI

 

1868: Notaio Calogero Savatteri di Gaetano

1°/11/1852 Atto di Angelo Gambuto del fu Notarr D: Giuseppe Regio Notaro residente in questo Comune di Racalmuto, Circondario della stessa Provincia di Girgenti, collo studio nella strada di Sant’Anna ... si  trovò in Casa di D. Aurelio Alaimo del fu Michelangelo sita in questo quartiere di San Giuliano ... e Nicolò Restivo Caponcello del fu Giuseppe contadino [qui] dimorante quartiere di San Giuliano. Raccomando l’anima mia al sommo immortale Iddio ... seguta la mia morte si prendessero tre bolle di composizione in discarico di mia coscienza per una sola volta allo luoghi Santi di Gerusalemme tarì due da pagarsi seguita sarà la mia morte ... e propriamente in casa di D. Aurelio Alaimo sita in questo comune quartiere di San Giuliano, in una camera a piano superiore che si ave luce da una porta a mezzogiorno, alla continua presenza di d. Calogero Vinci del fu d. Giuseppe, civile, di d. Giuseppe Calamera  del fu d. Pietro civile, di d. Giuseppe Santino del fu Rosario, scriba, e di mastro Gaspare Agrò del fu Baldassare ferraro, domiciliato in questo comune....

 

 

Atto Girolamo Cavallaro - 27/2/1846: dò e lego all’Opera di Maria Santissima del Suffraggio onze due per essere ascritta come sorella della stessa per godere tutti quei benefizii annessi a detta Opera per una sola volta. In tutto il resto dei miei beni mobili, immobili, crediti, denaro ed altro nella metà parte disponibile instituisco eredi a Salvatore Agrò mio figlio nato, e procreato da me testatrice, e da Salvatore Agrò mio primo marito, e nella metà parte indisponibile instituisco eredi del detto Salvatore Agrò , a Calogero, e Maria Domenica Rizzo miei figli nati e procreati da me testatrice e da Calogero Rizzo mio secondo marito ... alla presenza di Giovanni Piazza fu Francesco beccaio, di maestro Giuseppe Picone del fu Giovanni Marammiere, di mastro Giovanni di Falco di Giuseppe marammiere e di maestro Salvadore Martorana, Nicolò barbieri domiciliati in questo Comune e quartiere il primo di Santa Croce, il secondo di S. Giovanni di Dio, il terzo del Monte, e l’ultimo di S. Giuliano.

 

Sponsali 1751-66 - Mastro Vincenzo Sciascia sch. F. l. e n.le di mastro Giovanni con Anna Scibetta di questa terra e per qualche tempo abitatore delli Grotti con Maria Fantauzzo di Mastro Antonino e Catarina Fantauzzo jug. Delli Grotti.  1759 7^ Agosto 10 - 12 - 15 (solo pubblicazioni).

 

=== Nel 1855/12 di giugno Rosa Ciccotto levatrice di anni 55 - un maschio nato da Anna Cutaia di anni 22 e da Salvatore Rizzo di anni 24 di professione contadino di dare al medesimo il nome di Giuseppe

Atto del 31 ottobre 1855 della prefettura: “copia conforme che si rilascia ad uso di matrimonio”.

 

 

Importante perché rettifica dati aliunde disponibili.

 

 

Archivio Vescovile Agrigento - Atti Vescovi - Registro 1649-1650 (pag. 262) - Racalmuto - Benefizio dell’Itria assegnato all’arciprete Pitruzzella dopo la morte di Giuseppe Grillo -

 

 

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Fogli sparsi Matrimonii - dopo 1670 primo novembre annatoato il passo del canto gregoriano Osanna (scritto: osâna)

 

 

 

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Importante

Morti del 1622

 

“ dicto (maji 1622)

Il Ill.mo Gero(nimo) del Carretto fu morto e sepp.[ellito] nella ecclesia di S.to Francesco per lo clero [n.° 17]

 

 

T U F U L I (dalla fabbrica) 11.12.1658 per acqua tt. 3.2. a 28. d. a tre mastri e sei manuali -/ 1.10. per acqua tt. 3.9. per un mastro et quattro manuali tt. 15. ad un'homo per ammazzare li tufuli  dello gisso cernuto tt. 2.12. per acqua g.a 15. per havere comprato dui imbrici  per metterli

 

 

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Qui Dorme

nella pace del Signore

Donna Maria Grillo in Savatteri fù Francesco Paolo nata a Racalmuto e quivi morì di anni 52 l’alba del 20 Marzo 1862, col maledetto aneurisma.

Pietosa, caritatevole, devota assai prudente.

Obbiediente figlia, consorte fedele, amorosa madre.

Della famiglia l’angelo, la pace l’allegria

Chè sua scomparsa eternamente cancellò:

allo sposo ai figli.

Deh! Adorabile madre accogliete questo duraturo monumento che vostro figlio Calogero vi eregge di lagrime bagnato.

In segno di sentita devozione

Beneditelo.

 

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Savatteri Calogero nato il 15/6/1833 morto il 5/6/1878, sposato Santa Picone, nato nel 1840 e morta nel 1920.

Savatteri Leonardo (fratello di Calogero) - Francesco Paolo (quello del libro) e padre di Gaetano Maria. Gioacchino fratello ; Salvatore fratello. Rosalia sorella sposa Messana Eugenio Napoleone (nonno di Genio) e Vincenza sorella..

 

 

Figli di Gaetano (sindaco a cavallo dell’Unità) e di Grillo Maria Antonia Cavallaro (quella della lapide). Gaetano nato nel 1812 e muore il 19/9/1876.

Figlio di Leonardo e Vincenza Tirone

Figlio di Gaspare e Angelica Gambuto:

Gaspare figlio (?) di Francesco.

 

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I precedenti appunti mi sono stati forniti oggi 27 gennaio 1998, a casa mia dal giornalista Gaetano Savatteri, figlio del prof. Lillo Savatteri. Altre notizie importanti fornitemi riguardano il circolo del mutuo soccorso. In particolare mi ha esibito lo statuto con tessera d’iscrizione del notaio Calogero Savatteri. Là figura come il n.° 5 dei soci onorari ed vi fa parte nell’agosto del 1873 - dopo, dunque, le vicende del maggio di quel Circolo. Presidente effettivo risulta Scibetta Salvatore. Il Savatteri è quindi perché - penso - i primi quattro soci onorari erano Giuseppe Garibaldi Presidente onorario e Maurizio Quadrio, Aurelio Saffi e Federico Campanella (vedasi Gabinetto Girgenti 10/7/1875).. Gaetano Savatteri mi ha fatto vedere anche la bozza della lettera che il notaio Calogero Savatteri mandò al circolo nell’agosto di quell’anno per aderirvi. Non fu dunque socio della prima società inaugurata il 6 gennaio 1873. Palesemente vi aderisce per polemizzare con i Matrona ed anche, indirettamente, con il fratello Gioacchino.Mi Pare che lo statuto - datato 6/1/1873 reca la firma di un presidente, se non ricordo male Romano, e del segretario Orcel.Tutti questi dati vanno però ricontrollati. Il Messana ne parla ma a modo suo. )Vedere il trafiletto del Giornale di Sicilia).

Gaetano Savatteri mi ha fatto vedere la bozza di un proclama su carta intestastata del Mutuo Soccorso risalente alla data della morte del notaio Calogero Savatteri, ove viene tagliata una frase d’attacco contro il sindaco (Gioacchino Savatteri) - onta oltre la morte, mi pare - sindaco che avrebbe negato il gonfalone del Comune ai funerali del fratello Calogero Savatteri.Una bega di famiglia continuata, a quanto pare, dopo. Morto - per infarto, dice il Messana - Gioacchino Savatteri, senza figli, i suoi beni furono rapinati (ma c’erano ancora?) degli eredi diretti (il fretello Francesco Paolo e quella Rosalia che sposa Eugenio Napoleone Messa. Poco finì al figlio di Calogero - Gaetano - caduto nelle grinfie di un tutore poco benevolo. Cause a non finire! Ma per motivi d’eredità che non interessano lo storico. La causa per peculato delle famose settemila lire e rotte contro il Sindaco Gioacchino Savatteri si protrasse a lungo fino alle soglie di questo secolo.

Da notare che il timbro sul libretto-tessera-statuto dato al Savatteri reca i classici simboli della massoneria.

 

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Trafiletto del Giornale di Sicilia   del gennaio (attorno al 18) 1998. Firmato Sapi cioè Salvatore Petrotto - l’attuale sindaco di Racalmuto.

Racalmuto, “Mutuo Soccorso” festeggia i suoi primi 25 (sic) anni.

 

RACALMUTO. (sapi) Il sei gennaio nei locali del circolo “Mutuo soccorso” di Racalmuto è stata inaugurata una lapide in ricordo dei 125 anni dalla nascita della società. Dopo il saluto del vice sindaco Pippo Di Falco  e del presidente Stefano Matteliano, è intervenuto Gigi Restivo, che ha letto alcuni passi dello statuto ed ha illustrato la storia del circolo fondato da Giuseppe Romano, Vincenzo Tinebra, Natale Viola, Federico Campanella, Calogero Savatteri e Lorenzo Viviani nel 1873.

 

 

 

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fianco sinistro di chi entra della stessa cappella:

 

Notaro Pietro Cavallaro/ di gentil lignaggio, di Santa Fè cultore/ cultore/per lustri molti/ da chiragra e podagra oppresso/ostile funereo vel/ finì mondo quasi, a sue luci appose/ storia, filosofia, onestà rimaste/ patrocinar l’oppresso/ fugar l’intrigo/invida parca, infin, suo fil recise/ Egidio Tulumello/ desioso goder il nonno/ ratto al ciel volò/ Passeggier dai requie al grande/ ammira il paraninfo il bimbo/ detta conforti a genitori amati/ che su pietra e ne’ cuor/ cadauno incise/

Il 20 giugno 1860. Il 5 febbraro 1863.

 

DA CASINO DI NOBILI A CIRCOLO UNIONE

di Calogero Taverna

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Il circolo Unione l’anno venturo, nel 1999, compie 160 anni: è il più vecchio circolo di Racalmuto, il più glorioso, quello maggiormente emblematico di una classe media con aspirazioni nobiliari. Oggi è di certo meno pretenzioso, più riservato, amante del pettegolezzo d’alto bordo - tra il politico, il sociale, l’irriverente, il caustico, il miscredente. A sera pochi soci ormai cercano di perpetuare il cicaleccio arrogante, impietoso ed ilare dei personaggi passati alla storia (letteraria) per la penna di Leonardo Sciascia. Ma di don Ferdinando Trupia, di Martinez, di Lascuda, di don Carmelo Mormino, del dott. La Ferla, di don Antonio Marino ormai neppure l’ombra. I loro eredi - quasi tutti professionisti affermati in Continente o a Palermo - hanno ritenuto di potere sbeffeggiare il circolo dei loro sbeffeggiati (da Sciascia) antenati facendosi espellere per morosità da una deputazione post-sessantotto, di estrazione non nobile e talora persino proletaria. La fuoriuscita dei virgulti degli antichi galantuomini  vorremmo dire è persino fisiologica.

A sera, ora, tocca alla facondia suadente e beffarda di Guglielmo S. mantenere viva la conversazione al circolo: gli fa eco il tranchant assiomatismo di Calogero S.; sorride con intelligente silenzio Gioacchino F.; fino a qualche anno fa scoppiava l’ira funesta dell’avv. Salvatore C.; al dott. Gioacchino T. il compito del divertito spettatore; Ignazio P. ascolta silente, ma si arrabbia se gli toccano la sua Democrazia; il Presidente non è faceto: se occorre stigmatizza; Salvatore S. arriva tardi, in tempo per un paio di sorrisi se Guglielmo S. è in vena nelle sue sforbicianti allusioni. Quando vado a Racalmuto, partecipo anch’io a tali dibattiti serotini: nessuno ha voglia di prendermi sul serio: provoco, sono provocato, insolentisco, vengo insolentito: la serata passa piacevole: val la pena di pagare quel piccolo contributo quale socio con “dimora precaria”.

Di tanto in tanto arrivano poesie in vernacolo: sono composizioni miserande, cattive, senza gusto: sono intollerabili. I soci però sembrano divertirsi lo stesso.

Leonardo Sciascia trasse motivi ed argomenti per il suo iconoclasto deridere i poveri galantuomini di Racalmuto. Vi era associato; lo eleggevano deputato e persino cassiere. Ma amava stroncare quei figuri nati effettivamente per lasciare “un’affossatura nelle poltrene del circolo”. Ebbe il cattivo gusto di morire lasciando in sospeso il pagamento dei “buoni” associativi: inflessibili i membri della deputazione non mancarono di verbalizzare nel 1992 la circostanza.

Lo scrittore è disinvolto nell’accennare alle gloriose origini del circolo: «Il circolo della concordia - annota quasi con prosa burocratica [4] - prima denominato dei nobili, poi della concordia poi dopolavoro 3 gennaio, sotto l’AMG sede della Democrazia Sociale (il primo partito apparso in questa zona della Sicilia all’arrivo degli americani e dagli americani protetto) e infine ribattezzato della concordia, pare sia stato fondato prima del 66, se appunto nel 66 la popolazione infuriata contro le sabaude leve, istintivamente trovando un certo rapporto tra la leva che toglieva i figli e i nobili che se ne stavano al circolo molto volenterosamente vi appiccò il fuoco; ma pare ne ricevessero danno soltanto i mobili, le persone si erano squagliate al primo avviso, le sale restarono superficialmente sconciate.»  

Quanto a storia locale ci reputiamo più fortunati di Sciascia e siamo in grado di retrodatare di almeno un trentennio la fondazione dello storico circolo. Se si spulcia l’Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale, Polizia vol. 412, si rinviene il “Notamento dei Così detti Caffè e luoghi di riunione esistenti nei vari Comuni di questa Provincia ..., Girgenti, 26 agosto 1839.” Sotto tale data abbiamo dunque la consacrazione ufficiale del nostro circolo o se si vuole il riconoscimento giuridico. Scrive Carmelo Vetro  [5] «In provincia i sodalizi si registrano a Licata (due circoli), Palma, Racalmuto, Ravanusa, Bivona, Villafranca, S. Giovanni, Santa Margherita, Montevago, Sciacca, Naro, Canicattì, Alessandria, Campobello, Cammarata, Caltabellotta, Menfi, Sambuca, Burgio ed Aragona: tutti con i loro bravi regolamenti, autorizzati dalle autorità di polizia, ... E’ da dire che molti di questi circoli erano favoriti dall’autorità locale che in tal modo poteva registrare gli umori politici e gli orientamenti prevalenti. Non a caso parecchi sodalizi nascono negli anni Trenta dell’Ottocento dopo la tempesta politica del 1820-21 ed il tentativo borbonico di riavvicinarsi agli intellettuali e borghesi.» Siamo pressoché certi che il circolo sorgesse in piazza su un marciapiede “sopraelevato rispetto al resto della piazza, ove era vietato, per inveterata consuetudine, passeggiare alla ‘gente comune’ ... Si aveva così un effetto quasi grottesco, che sottolineava la gerarchia feudale, essendo i notabili una ‘spanna’ più alti degli altri”. Il Vetro soggiunge: «Un rigido cerimoniale regolava l’ammissione dei nuovi soci ai vari circoli.... si poteva essere ammessi riportando la maggioranza di “voti segreti per bussoli”, nell’assemblea dei soci. Ogni due anni venivano eletti quattro deputati, il più giovane dei quali faceva da segretario. Nelle assemblee avevano diritto di voto i soli contribuenti. Ai deputati erano affidati la “polizia interna” e il “buon ordine della conversazione. Nelle sere di gala la conversazione era illuminata “a cera”. Al circolo erano ammessi solo “gli associati, le loro mogli, i figli e le figlie nubili e fratelli conviventi nella stessa casa”. Infine gli ospiti non si  dovevano “permettere di discorrere e discutere di cose” che si allontanavano “dallo scopo di una onesta conversazione”. Parimenti vietata era la lettura di fogli, giornali, libri o stampe non autorizzati dalla polizia. ... I contribuenti avevano la facoltà di presentare alla conversazione “forestieri distinti e di loro conoscenza, chiesta il permesso ai Deputati, salvo alla deputazione di deliberare in seguito l’esclusione se non li avesse riconosciuti “meritevoli”.  ... Il circolo era provvisto dei “fogli officiali”   di Palermo e di qualche altro giornale letterario. Un cameriere ed un “bigliardiere” si occupavano di servire i soci con un vestito decente e a testa scoperta”. Un puntuale tariffario  stabiliva le quote da versare per i diritti di gioco. Le illuminazioni “a cera” erano ordinariamente previste nella sera di gala ed in talune ricorrenze. ... Leonardo Sciascia ci introduce nello spazio dorato, quasi senza tempo del Circolo della concordia di Regalpetra, dove vecchi e nuovi notabili vengono a celebrare il rito della fedeltà al passato ed alimentare inutili sogni di difesa dei propri privilegi. Il circolo è situato nella parte centrale dei corso: “Consiste di una grande sala di conversazione, con tappezzeria di color pesco e poltrone di cuoio scuto, una sala di lettura, tre sale da gioco”. I soci del circolo non sono, ormai, più i ricchi: “I ricchi si trovano nel circolo del mutuo soccorso, una società operaia che è venuta trasformandosi ...; il più ricco dei “don” non possiede più di dieci salme di terra” ma i soci del circolo della Concordia “continuano ad essere il sale della terra”. Anche qua si discute di politica “scienza di cui molti soci del circolo si sentono al vertice e fanno previsioni che, verificandosi poi fatti esattamente opposti, si possono considerare attendibilissime.” Dopo la politica, le donne. E allora “le mani si muovono a plasmare nell’aria grandi corpi di donne, donne si gonfiano nell’aria come mongolfiere. Non è più uno scherzo ora, tutti ci sono dentro, lo studente ascolta le confidenze del giudice di corte d’appello in pensione”. Nella rappresentazione letteraria la ritualità della “conversazione”, che autogratifica con la sua immobilità l’Olimpo paesano, dà quasi un senso alla stessa esistenza: ci si sente, allora, “lievi e giustificati, d’aver vissuto tutta la giornata soltanto per attendere, come una novità, come una grazia insolita e particolare, quest’ora che compendia le ragioni ideali del mondo, che chiarifica e motiva finalmente l’esistenza, rianima l’immoto flusso dei giorni, riattacca la morta gora dell’abitudine al canale della continuità”. Una continuità che nell’illusione di molti esercita, ancor oggi, come un fossile vivente, esercita il fascinoso richiamo di un’elitaria società che più non esiste.»

 

FONDAZIONE DEL SODALIZIO

 

Il circolo Unione sorge dunque poco prima del 1839 con un nome ben diverso: Casino di Compagnia. Leonardo Sciascia è sapido e sfottente sul termine “casino”: deliziosa la sua verve ironica in Occhio di Capra. «CASINU. Casino. Casino di compagnia. - annota a pag. 43 - Ma non tutti i circoli erano così denominati. Il casino per (non per modo di dire) eccellenza era quello dei ‘galantuomini’ cui il fascismo, impadronendosene, diede nome di “dopolavoro delle forze civili”. Raccoglieva proprietari terrieri, professionisti, funzionari dello Stato, maestri delle scuole elementari; e vi si entrava se approvati, per votazione a palle nere e bianche, dai due terzi dei soci. La non approvazione - piuttosto frequente - era un fatto mortificante e non privo di conseguenze morali, sociali. Una macchia. Paradossalmente, fu il fascismo a democratizzare l’ammissione al casino: bastava appartenere alle “forze civili” (e cioè alla categoria popolarmente detta dei “sucanchiostru”, dei succhia-inchiostro, della burocrazia anche infima) per essere, dietro domanda, ammessi. Ma caduto il fascismo, si tornò al vecchio statuto. [...] In tutti [i circoli] prevalente attività era il gioco di carte: a passatempo durante l’anno, d’azzardo durante il periodo natalizio. Nel frattempo (negli anni Cinquanta) scompariva nell’accezione di circolo la parola casino, ormai d’uso generale nel significato - derivante da casino = casa di prostituzione - di confusione, tumultuazione, chiasso.

«Il casino = casa di prostituzione non esisteva nel paese; e le case di prostituzione dei grossi paesi vicini erano semplicemente bordelli. Qualcosa di simile alla casa di prostituzione pare fosse esistita, non in regola con la legge, alla fine dell’Ottocento in un quartiere chiamato Santa Croce: e ne rimase memoria nel dire “santacruci” come sinonimo di licenziosità, di puttanesimo. Curiosamente, è con l’abolizione delle case di prostituzione che cade l’interdetto sulla parola casino, e per il fatto che ormai tutti sapevano che cosa fosse stato un casino. Per cui casino, incasinare, incasinato, far casino, sono espressioni che soltanto i giovani, fra di loro, usano. La pruderie dei racalmutesi si può senz’altro dire di tipo vittoriano. Ancora oggi c’è chi chiama “biancu” (bianco) il petto di pollo; chi evita di dare precisa denominazione a quella pera cerea e succosa detta “coscia” o - peggio - “coscia di monaca”; chi, azzardandosi a parlare di prostitute, ricorre all’eufemismo di “donne che fanno qualche favore” ...»

Il 1839 seguiva di poco a Racalmuto il temendo cataclisma che era stata la peste del 1837. Un fraticello del Convento di S. Francesco ci ha lasciato questa tremenda testimonianza [6]: «Nell’anno 1837: mese di agosto vi fù il colera e in questa di Racalmuto morirono circa mille persone e furono sepolte nella sepoltura di Santo Alberto al Carmine, all’Anima Santa del Caliato, in Santa Maria di Gesù e porzione in San Francesco; Monte San Giuseppe e in altre chiese, cioè persone perticolari; poi nella nostra sepoltura grande vi è sepolto il paroco don Antonino Grillo, che morì a 25 agosto 1827 ed altre persone riguardevoli.»

In quel torno di tempo si era dunque nella solita euforia esistenziale che segue ai grandi sconvolgimenti demografici: voglia di vivere, di procreare, di lavorare, di arricchirsi, di consociarsi, di amare e di divertirsi. Il Casino nasce per conversare, giocare, ma soprattutto per scambiarsi idee, per saggiare il terreno delle opportunità commerciali. Racalmuto era stato invaso dalla febbre dell’oro giallo, dello zolfo che le viscere delle sterili terre del nord contenevano a profusione. Nel quadriennio 1834-1837 erano state attivate  a Racalmuto 35 solfare su un totale di 332 in Sicilia: il prodotto medio annuo era stato di 34.696 cantari su una produzione intera della Sicilia calcolata in 1.478.254 cantari. [7] Presso il circolo di conversazione si radunavano quindi i maggiori proprietari di solfare; s’informavano reciprocamente su quelli che erano gli umori del mercato; sulle prospettive, sulla faccenda complicata del monopolio solfifero accordato dai Borboni allaTaix, Aycard e C. (con decreto reale del 5 luglio 1838). La compagnia si obbligava a comprare ogni anno 600 mila cantari di zolfo prodotto in Sicilia “avendo la sperienza comprovata eccedente e di gravi danni produttrice ogni maggior produzione” . La produzione doveva quindi autodisciplinarsi. Non saranno stati grandi ingegni quei nostri proprietari terrieri, trasformatisi all’improvviso in imprenditori minerari, ma il bisogno dovette acuirne l’ingegno; al circolo era possibile, magari sotto forma di feroce dibattito e di reciproche contumelie, avere modo di giungere ad un qualche chiarimento, ad un orientamento delle proprie scelte produttive. Erano i problemi della nuova società borghese ed anche i ‘civili’ racalmutesi ne venivano inghiottiti. Sono aspetti per ora in nessun modo indagati dalla storiografia, ancora anchilosata da ideologismi e prevenzioni intellettualistiche  oscuranti la ricerca del vero evolversi sociale di quel tempo.

Il circolo era tutt’altro che il punto d’incontro di neghittosi nobilotti di paese, alle prese con il problema del molto tempo libero da occupare in qualche modo. V’era spirito imprenditoriale: vi accedevano, se non i gabellotti  arricchiti, freschi di studi universitari. La stampa cominciava a farvi capolino. Il circolo è dunque più di un’occasione per attizzare una certa vivacità culturale. E la cultura cambia in paese: esso non è più la contea alle prese con i problemi del terraggio e del terraggiolo; anche il nuovo barone Tulumello - un prete suo antenato aveva acquistato per due terzi il feudo di Gibillini il cui titolo doveva essere assegnato a persona da nominare - deve ora accontentarsi solo del vacuo trofeo di un blasone nobiliare che deve condividere con il barone Girolamo Grillo. In quel torno di tempo ben 3 personaggi racalmutesi si arrogavano quell’altisonante fregio. Eccoli secondo le annotazioni di un rivelo coevo:

GRILLO
GIROLAMO
BARONE
TULUMELLO
LUIGI
BARONE
TULUMELLO B.NE
GIUSEPPE SAVERIO
BARONE DON

 

Furono sicuramente tra i promotori del circolo quali nobili per eccellenza; dovettero però convivere con gli emergenti, con i nuovi ricchi  e soprattutto con i nuovi notabili ormai senza più cordoni ombelicali con i settecenteschi potentati feudali. Sindaco di Racalmuto è don Nicolò Mattina Calello che “don”  lo è di recente: nel seicento la sua famiglia era notabile solo per qualche prete come don Federico Mattina, nato un ventennio prima di fra Diego La Matina, che però era di diverso ceppo ed era un Randazzo per parte di madre. I La Mattina Calello affiorano qua e la come notabili ma sempre marginalmente sino a tutto il Settecento: poi il salto di qualità nella gerarchia degli ottimati locali, sino ai nostri giorni. Gli eredi sono tuttora i più cospicui elementi dell’attuale Circolo Unione.

Scottante era in quel tempo la questione delle Decime da pagare alla mensa vescovile di Agrigento: tutto il territorio di Racalmuto vi era assoggettato. Sciascia è piuttosto disinvolto quando riduce a poca cosa la vicenda del passaggio dal feudalesimo all’economia libera. Scrive, nelle sue Parrocchie di Regalpetra (pag. 20 ed. 1982): «Nel 1819 ... Regalpetra [alias Racalmuto] è considerata ex feudo: la riforma di Sant’Elia era già stata attuata, ma buona parte del territorio era in mano dei preti.» Naturalmente non era vero. Ed ancora oggi è da chiarire cosa abbia inteso il grande scrittore siciliano nel compendiare così la riforma di Sant’Elia (ibidem, pag. 19): Cessata la famiglia del Carretto, «l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque, litigiosa e feroce;  ...». A noi pare essere questa della riforma una grande topica storica: i Sant’Elia non fecero alcuna riforma, subirono gli effetti dell’abolizione del feudalesimo, si trovarono ad essere solo titolari di alcuni diritti dominicali, i censi appunto. Ma fu la Chiesa agrigentina che pretese - ed ottenne - le decime su tutte le terre racalmutesi in forza di un falso diploma del 1093 che sarebbe stato rilasciato dal conte Ruggero al vescovo Gerlando appena prescelto a capo della Chiesa di Girgenti. Su ciò una pubblicistica smisurata ([8]).  E proprio nel 1839, il 25 febbraio vi è una seduta straordinaria presediuta dal sindaco don Nicolò Mattina. Il suo o.d.g. contiene la «nomina della terna per le decime del 1839 dei periti agronomi: Eletti: 1° Don Aurelio Alaimo; 2° Don Nicolò Grillo Macaluso; 3° don Giuseppe Capitano. - Firmato: Nicolò Mattina, sindaco; Giuseppe Tulumello; Michelangelo Alfano; Girolamo Grillo ecc.» [9]

Verranno incisi ben n.° 1281 proprietari terrieri: Tal Taverna Calogero (mio antenato) per tre tumoli di terra deve corrispondere tarì 2 e grana 1. Il totale delle terre soggette alle decime venne dalla triade di agronomi stimata in salme 441, tumoli 8 e mondello 1. Il gettito sarà stato di oltre 235 onze ( qualcosa come 130 milioni di lire attuali): una bazzecola per i ricchi signori; una dannazione per i minuscoli coltivatori diretti. I tre agronomi erano tutti “don”: tutti quindi con diritto di accedere al neo casino della conversazione. Di loro si vociferò di sicuro male quando assenti; con sussiegoso encomio quando presente. Come oggi, il sindaco Mattino dovette subire il tagliente dileggio specie dei più vetusti galantuomini. Se Sciascia avesse scritto un romanzo alla Gattopardo,  avrebbe così rievocato quelle affabulazioni del ‘casino’: «Ma raramente il segretario della Dc dà modo di fare esaurire gli sfoghi contro il suo partito e il governo, una sorta di sesto senso possiede, un fiuto sempre quando un discorso sulla Dc ribolle lui vi piomba dentro, arriva sempre in tempo, lo sente nell’aria se il discorso cade o si mimetizza. Il domatore che entra nella gabbia delle belve e giù uno schiocco di frusta, l’immagine è vecchia ed indecorosa: ma come rendere il ringhio di don Carmelo Mormino che rientra nel guscio della poltrona?, l’improvviso mutar discorso del dott. La Ferla?, il “però” che sulle labbra di don Antonio Marino affiora dall’invettiva e apre un solleticante elogio della Dc?. Il segretario, che senza la viltà del mondo che lo circonda sarebbe certamente un uomo migliore e un più accorto dirigente, comincia a snocciolare tutte le opere pubbliche avviate e progettate, racconta i suoi incontri con deputati e gerarchi del suo partito, quel che gli hanno promesso, i provvedimenti che saranno varati. Quasi tutti approvano, dicono - questa ci voleva, bene, mi compiaccio - poi quando il segretario si allontana respirano di sollievo, il discorso contro la Dc violentemente divampa.» [10]

Il sindaco don Nicolò Mattina del 1839 come il segretario Dc degli anni Cinquanta di questo secolo? Molto verosimilmente. Il casino di conversazione come il circolo della concodia di Sciasca? Senza dubbio.

Il panorama politico racalmutese del 1839 dovette essere variegato reagendo in diverso modo alla riforma tributaria borbonica: inferociti i proprietari terrieri ed i nuovi proprietari di miniere; entusiasticamente filoborbonici il popolo minuto, come si diceva allora. Nel ‘casino della conversazione’ l’ondata protestaria covava sotto le ceneri della formale fedeltà ai borboni.

Nel 1837 v’era stata nelle grandi città dell’Isola una sorta di ribellione per il colera. L’anno successivo il re Ferdinando II fece un giro della Sicilia e si convinse che l’irrequietudine popolare nasceva principalmente dalla mancata applicazione delle leggi esistenti. Corse subito ai ripari: tra l’altro, ridusse l’imposta del macinato e compensò il deficit aumentando l’imposta fondiaria e imponendo un tributo ai proprietari di miniere.

Eugenio Napoleone Messana visita quei tempi: fornisce dati di cronaca molto succosi. Invitiamo a leggere le pagine 190-198 della sua storia di Racalmuto. Stralciamo questo passaggio (pag. 194): «Gli amori clandestini pullulavano, le leggi morali probabilmente erano rilasciate [sic, forse per rilassate, n.d.r.] abbastanza ed una costumanza, per nulla affine alle norme etiche della più semplice e civile vita associata, era diventata preoccupante. I nati da amori illeciti venivano facilmente abbandonati o  comunque elusi dalla registrazione negli elenchi anagrafici, se non erano soppressi da morte violenta o naturale, dovuta quest’ultima sovente a fame. Ciò lo prova [sic] le numerose domande che giacciono nell’archivio di stato di Agrigento, nei carteggi dello stato civile attorno al 1848 e posteriori, presentate da giovani che non potevano contrarre matrimonio per mancanza di registrazione della loro nascita allo stato civile. Il sindaco Mattina appena insediato promosse l’erezione della ruota dei proietti e diede incarico ai due deputati comunali, primo e secondo eletto, di indagare e riferire. Poscia, in seguito alla relazione degli incaricati, riunì il decurionato, precisamente il 13 gennaio 1838, ne propose la costruzione e fu approvata ad unanimità per una spesa di onze 1, tarì 9 e grani 12 per legname, magistero, gesso e fuso di ferro. La ruota era un congegno semplice molto in uso nel passato nei monasteri, oggi limitato alle clausure. [..] Dalle firme in calce di  quella deliberazione si rileva che i decurioni di Racalmuto, nel triennio 1838-1841 erano: Nicolò Mattina, sindaco, Girolamo Grillo e Martorana, Gaetano Savatteri, Nicolò Grillo e Macaluso, mastro Gaetano Di Rosa, Aurelio Alaimo, Nicolò Troisi, Michelangelo Alfano, Gaetano Grillo e Scibetta, Biagio Messana, mastro Calogero Mattina, Giuseppe Matrona, Baldassare Curto, Giacomo Giudice sottofirmato dal segretario perché analfabeta.»

Il sindacato passò quindi - dal 1841 al 1845 - a don Giuseppe Farrauto. Non tutti questi personaggi erano ‘civili’, ma molti di loro sì e questi ultimi in frotta ebbero ad iscriversi nell’appena sorto casino della conversazione: una conversazione di cui si sono perse le tracce per una malaugurata perdita dei verbali sociali.

Il grande trambusto del 1848 coinvolse di certo anche Racalmuto: E.N. Messana ebbe a trovare dei carteggi che mettevano in risalto un membro della sua famiglia, Biagio Messana. Non si trattiene più, pagine e pagine per esaltarne le imprese. Noi non abbiamo elementi per contraddirlo: siamo però scettici sulla fibra rivoluzionaria racalmutese, a qualunque classe si appartenga. Un’occasione vi fu per sperare di ribaltare lo strapotere di alcuni ottimati locali; il giudice supplente don Biagio Messana -  che poi era discendente di un un borghesuccio arricchitosi con il commercio dello zolfo, Luigi Messana - crede che sia giunto il suo momento. Sa di una bandiera tricolore da mettere al posto a quella candida dei Borboni, sale su un balcone, fa una concione, il popolo - incuriosito - l’ascolta. Si sparla del re, si osa irriderlo sia pure con versi sgangherati in vernacolo:

Comu lu chhiù perversu Firdinannu

Di li nazioni scannalu ed orruri

Di li figli cannibali e tirannu

Di liggi e sacri diritti usurpaturi.

Già Ferdinando aveva osato tassare le miniere! Aveva toccato le tasche dei Messana, prodighi di parole, parchi negli esborsi. Ad una commissione agrigentina si chiede la persecuzione di odiati antagonisti. Ne fanno le spese  Gli Alfano. Don Calogero Alfano, il notaro don Giuseppe Alfano, don Nicolò, don Filippo, don Alfonso, don Giuseppe e don Giuseppe di don Giuseppe Alfano dovettero prendere la via dell’esilio. Sicuramente erano soci del circolo: di materia di conversazione ve ne fu all’improvviso tanta.

Soprattutto si ebbero a commentare le efferate vicende dell’uccisione di Calogero Rizzo Inzalata, dell’incidente mortale occorso a Damiamo Tulumello, e della giustizia sommaria in cui perì Rosario Agrò. In specie l’atroce dubbio che si ebbe sulla partecipazione all’esecuzione dell’Agrò da parte addirittura dello stesso giudice supplente don Biagio Messana.

Con i moti del 1848, il giudice supplente Biagio Messana organizza un Comitato sovversivo: si autoelegge Presidente del Comitato dell’Annona e Vice Presidente del Comitato generale. Nomina il fratello Serafino, Presidente del Comitato di Finanza. Ama comunque continuare a fare il giudice, stavolta a pieno titolo.

Il 30 gennaio del 1848, i fratelli Messana - ormai padroni del paese - rimuovano una guardia, liberano carcerati ed ergastolani, riabilatano i sorvegliati speciali. Ne fanno addirittura una personale guardia civile. Gli Alfano - evidentemente avversari politici dei Messana - vengono costretti all’esilio. Oggetto dell’aggressione era soprattutto don Calogero Alfano, Capo urbano dei Borboni. Ciò avviene per l’appoggio che inopinatamente fornisce al Messana il clero locale, evidentemente stizzito per qualche riforma del Borbone che l. aveva colpito nel portafoglio.  Tra i firmatari, fiancheggiatori del Messana, troviamo l’arciprete Salvatore Puma ed il vicario foraneo sac. Carmelo Troisi. Ma non mancano le firme di ben altri 14 preti e religiosi locali, ivi compreso don Giuseppe Cavallaro, “parroco di Bompensiere”. Della combriccola fanno parte i Picataggi, i Busuito, i Cavallaro, i Farrauto, Michelangelo Scimé e Vincenzo Tinebra, i ricchissimi Savatteri, un La Mantia, Angelo Presti e Gioacchino Lo Brutto, i Picone, tal Calogero di Giglia, Nicolò La Tona, Giuseppe Mattina, Vincenzo Saldì, Salvatore Argento, Carmelo Romano, Ferdinando Martino - quello dell’ospedale -, Francesco Vinci, Gaetano e Francesco Grillo, Carmelo Pomo ed altri. Non tutti sono “don”, anzi la maggior parte sono burgisi, mastri e gabellotti: un rigurgito di contestazione borghese; una rivolta di industriali dello zolfo contro l’imposizione borbonica; una reazione clericale avversa alle tentate riforme della manomorta ecclesiastica.

I nobili - quelli veri alla Tulumello, alla Matrona, alla Grillo Borghese o alla Grillo Belmonte etc. - sono assenti. Assenti per ovvie ragioni i grandi burocrati borbonici quali gli Spinola, i Gambuto, gli Amella, i Baeri.

Sono comunque 68 i firmatari dell’eversivo proclama di Biagio Messana:

 

 

29
1848
Giuseppe mastro
Agulino
mastro
48
1848
Giuseppe fra
Alfano
frate
43
1848
Salvatore
Argento
 
17
1848
Luigi
Bartolotta
sacerdote
52
1848
Vincenzo sac.
Biondi
sacerdote
26
1848
Alfonso fu Giovanni di Giubertino Priore
Botera
 
5
1848
Giuseppe
Busuito
 
63
1848
Nicolò sac.
Cacciatore
sacerdote
61
1848
Bernardo sac.
Cavallaro
sacerdote
3
1848
Felice
Cavallaro
 
35
1848
Giuseppe
Cavallaro
Parroco di Bompensiere
60
1848
Ignazio sac.
Cavallaro
sacerdote
6
1848
Luigi
Cavallaro
 
64
1848
Calogero sac.
Curto
sacerdote
9
1848
Luigi D.
De Caro
 
37
1848
Calogero
Di Giglia
 
23
1848
Salvatore
Di Naro
 
18
1848
Alfonso
Farrauto
 
58
1848
Gaspare
Farrauto
 
57
1848
Giuseppe D.
Farrauto
 
7
1848
Santo
Florio
 
15
1848
Giuseppe
Franco
sacerdote
16
1848
Carmine
Giancani
sacerdote
1
1848
Antonio
Grillo
 
51
1848
Gaetano
Grillo
 
67
1848
Raffaele
Grillo
 
49
1848
Antonio
Grillo Cavallaro
 
34
1848
Calogero
Gueli
 
25
1848
Calogero
La Mantia
 




[1] ) Archivio di Stato di Agrigento – Distretto Notarile – Notaio Angelo Maria Cavallaro – Inventario n. 6 – n° 10632.
[2] ) Archivio di Stato di Agrigento – Atti Notarili – notaio Angelo Maria Cavallaro – inv. N° 6  - fasc. 10632, f. 165 ss.
[3] ) ARCHIVIO VESCOVILE DI AGRIGENTO - REGISTRO 1798.99 (PAG. 304-305)
 
 
[4] ) Leonardo Sciascia: Le parrocchie di Regalpetra - Morte dell’Inquisitore, Bari 1982, pag. 51.
[5] ) Carmelo Vetro - L’associazionismo borghese nella Sicilia dell’800: le case di compagnia - in Il Risorgimento, anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994, pag. 301
[6] ) Archivio di Stato di Agrigento - Convento de’Minori sotto Titolo di S. Francesco d’Assisi - Inventario n.° 46 fascicolo n.° 531 - “Libro vestiario”
[7] ) da “Giornale di Statistica”  del 1838 vol. III, fasc. VIII - Appendice sulle solfare in Sicilia.
[8] ) Per chi avesse voglia di dilettarvisi citiamo per tutti: GIUSEPPE SALVIOLI - LE DECIME DI SICILIA  E SPECIALMENTE QUELLE DI GIRGENTI - RICERCHE STORICO-GIURIDICHE - PALERMO ALBERTO REBER - 1901
[9] ) Archivio di Stato di Agrigento - Atti dell’Intendenza - Decime - Inventario n.° 4 anno 1834-1860 - Serie Ravanusa Racalmuto n.° 813-814.
[10] ) Leonardo Sciascia: Le parrocchie di Regalpetra - Morte dell’Inquisitore, Bari 1982, pag. 61

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