Carissimo figlio selettivo Alfredo Sole, professore in
filosofia greca, psicologo, sociologo, docente senza cattedra in Opera.
Leggo solo ora la tua ultima lettera ottobrina. Esodo in
Sicilia e settimana febbrile mi hanno
impedito di leggerti prima. Alla tua
lettera impudente e poco rispettosa del’autorità storica paterna rispondo
apertamente da padre cinico ed indignato.
Premessa subito importante: né io né tampoco mia moglie (né
racalmutese, né siciliana, né meridionale abbiamo nulla da “perdonarti”. Ai
miei occhi non sei colpevole di nulla ed
è inutile tornar su questo tasto. Qualunque cosa sia successa tra te e
il marito della prima cugina di mio padre Maria la Fanci mi resta estranea.
Nessuno davvero ne sa nulla. Manco tu. Ti ribalto un vecchio detto inglese: la
coscienza cattiva è figlia di pessima memoria.
Da storico, da superispettore, ma appassionato alle
intricate storie oscure del mio paese so
che al limite (ma proprio al limite) il fatto non costituisce reato. Manca il
dolo di specie.
Non ho letto le tue carte processuali. Mi ci diverterei da
matto a sbriciolarle. E non per scriverne un romanzetto all’acqua di rose tipo
I RAGAZZI DI REGALPETRA o LA CONGIURA DEI LOQUACI ma per farne scempio in un
doveroso processo di revisione.
Tu mi vorresti far credere che eri un bimbo pio e devoto,
religioso ed obbediente, remissivo. Sarà ma come eri a15 anni? Come eri a 18
anni. Come eri in quel tremendo biennio? E chi ti ridusse in simile ribelle stato? O mi
vorresti sostenere che eri rimasto sempre bimbo buono e caro? Non ti credo. E
di chi la colpa? Da microstorico conosco la famiglia Sole sin dal secolo
XV. Lasciamo stare la filosofia, la
psicologia, il determinismo sociologico. Tutti ti ti possono giudicare meno che
te. Ma quello è un uomo morto gridi. E son d’accordo con te. Ma allora come fai
a dirmi che tu ora filosofo e recluso ricordi bene quello che sei stato? I
morti non ricordano. Ma io sono vivo e so che altra è la storia che tu racconti.
Quando manco ti conoscevo, facendo svarioni anche di indole familiare, ho
tentato un abbozzo nel mio mai sufficientemente apprezzato RACALMUTO NEI MILLENNI (vedi pag. 198-199).
Sono ancora fermo a quegli assiomi che sembrano tetragoni colpi di penna? No!
Tanto è cambiato, molto si è rinnovato, tant’altro si è oscurato.
Ove allora staziona la verità, quella non mnemonica sempre
fallace? Non credo nella tradizione. Ognuno se la racconta a suo uso e
beneficio. Ma in una revisione processuale
ci credo. Lo Stato la deve accordare. Il tuo caso pare che addirittura sia
finito nelle parole accorate di Papa Francesco. Così almeno mi pare di capire
da quello che scrive Gaspare Agnello. Ciao. Calogero Taverna
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