Il teatro, Giugiu Di Falco e gli “altri” (con un pizzico di Sciascia, indefettibile come il prezzemolo).
Malgrado tutto, nonostante dovremmo essere classificati fra gli ingrati “altri” – saprofiti di chissà quali ricerche altrui – Giugiu Di Falco, amico antico e vero sin dalla nostra infanzia, ci prodiga delle sue ricerche, queste vere e valide, e del suo costosissimo archivio fotografico. Tutto naturalmente riferito al baraccone di moda, il teatro Regina Margherita di Racalmuto. Divenuto sacro perché Sciascia vi tenne una prolusione quando cominciò a pensare che questo era diventato un paese terribile, sol perché qualcuno osava contraddirlo.
Dicevamo che secondo le insinuazioni di un settario foglio 1locale (plagi sciasciani a parte) noi saremmo tra quelli che avremmo depredato la documentazione di aliene ricerche nei vari archivi statali, provinciali, locali. Ma non è vero il contrario? Non sono stati “altri” quelli che hanno premesso la firma come precipuo autore di un testo che neppure avevano letto? E costoro non sono finiti nel luccichio di un CD comprato già, a dire il vero, dal Comune? E lì non v’era quanto ora a spese sempre del Comune si vuol pubblicare per la terza volta, ed anche molto di più? Ma quando a sindaco la cittadinanza ha voluto il nipote del proprio campiere si può pretendere questo e ben altro; persino con gli osanna del giornaletto di famiglia.
Noi fummo tra quelli che pagammo di tasca nostra viaggi da Roma – e pesantissime bollette telefoniche – per consentire a qualcuno di assolvere ridevoli onorificenze. Sappiamo ora che in cambio un passato sindaco ebbe informazioni sulle carte giacenti in tanti archivi persino stranieri. Ma per questo basta consultare pubblicazioni ponderose ed informatissime, basta che si conoscano. Non fui forse io a guidare nelle ricerche d’archivio? Naturalmente mi servivo di quelle pubblicazioni. Ovviamente il destinatario ora – per quei miracoli della cattiva memoria – finge di ignorarlo.
Scrivevamo un tempo – e ci pare che il sullodato foglio non mancò di ospitarci –:
Si pensi che un ricambio in senso classista Racalmuto l'ha potuto registrare solo ai nostri giorni. Soltanto gli anni ottanta del XX secolo sono propizi ad un rivoluzionario avvento di amministratori con genuine ascendenze locali e d'autentica estrazione popolare.
Ci pensa adesso l’aulico foglio a darcene conferma; ovvio che la voglia di riesumazioni di carcasse storiche ci pare imbecillotta. Dovremmo dunque commuoverci e spingerci a gratitudine eterna perchè un “signorino” venuto dalla città non si poteva mescolare con i locali coetanei essendo cosparsi di infettive malattie “esantematiche” (che cosa erano? I banali “coccia”?). Dovremmo poi esaltarci perché gli amici del signorino erano mezzadri pastori ed affini pronti al sussiego servile. Per fortuna loro, alcuni – anche se non tutti – erano di sufficiente intelligenza – come i soci del circolo unione – capaci persino di discutere per qualche ora su vari argomenti. Vivaddio avevano apprezzabili intelligenza sapienza ed equilibrio.
Tra costoro c’era forse il bisnonno del Sindaco che abbiamo conosciuto stimato ed onorato (anche come autorevole membro della mia plebea famiglia)? Ma quello aveva superiore intelligenza, sagace operosità ed anche ironica marpioneria per non essere capace di abbindolare i figli o meglio i nipoti di signori divenuti tali dopo le peripezie rimaste memorabili per la penna di Eugenio Napoleone Messana.
Pare che tra breve il Comune – che ci ha tartassato elevando l’aliquota ICI al debordante 6 per mille (più di Roma) – abbia voglia di sperperare quel che rimane delle esauste casse municipali in riverenti pubblicazioni, frutto si dice di decennali fatiche. O quanto annaspante è quella penna, o quanto stanca quella fantasia. Tanto rumore per nulla si recita nel teatro che Giugiu di Falco ha osannato con le carte e le foto che ci accingiamo a commentare. Ma quanto denaro per tanto rumore – teatrale e storico-letterario! Paghiamo o cittadini contriti e riverenti, servi e saccenti, attualmente il 6 e poi il 7 e poi l’8 e poi .. dato che dobbiamo mantenere fondazioni ove non arrivano neppure le carte dovute o ove si deve far locupletare stranieri ingordi, e dobbiamo pubblicare tutto anche ciò che è sgangherato ed insenso per compiacenza verso chi magari ci fa causa per non essere stato subissato di denaro dopo un modesto esproprio di terreno marginale occorrente per una bretella salva vite, plebee però. (Ricordate la scritta marmorea sotto la centrale? E’ davvero lontana questa vita racalmutese dalla giustizia e dalla verità, cioè dalla libertà annotava irriverente ma con migliore forma della nostra Leonardo Sciascia).
Dicevamo, dunque, di Giugiu Di Falco. Ci ha rassegnato copia di un suo quaderno dattiloscritto e del corredo fotografico risalente al 1988 A penna, si intitola IL TEATRO COMUNALE REGINA MARGHERITA DI RACALMUTO.
PARTE SECONDA – NOTE IN MARGINE DEL TESTO DI GIUGIU DI FALCO
Iniziamo con … la conclusione del libro del mio amico. Ci vuol notificare che “all’opinione pubblica … ha fatto piacere la collaborazione di un personaggio che nella costruzione di spettacoli teatrali è il massimo a cui si possa aspirare. E’ il noto scrittore, regista e sceneggiatore Andrea Camilleri”. Invero l’ultraricco scrittore empedoclino ci vuol solo far sapere che in risposta a taluna piaggeria interessata lui è disposto a limitarsi solo “a quella che può essere la formazione di un cartellone e l’indicazione dei percorsi artistici”. Anche qui – come per tutto il resto – molto rumore
per nulla come con sapida anche se inconscia autoironia si conclamava nella recita di inaugurazione del “rinascente” teatro Racalmutese, dopo il flop della sala vuota per insipienze burocratiche.
Noi che il nostro amico lo conosciamo – e stimiamo – da una vita pensiamo che quella ingenua sdilinguata non sia frutto del suo sacco. Il lavoro, austero circostanziato leggibile, esordisce ben bene Diligente, rispettosa lettura di carte dell’archivio di Racalmuto consentono al Nostro di notiziare meticolosamente sulle vicende amministrative dell’epoca matroniana nell’avventurarsi in una maniacale e dispendiosissima impresa: quella di farsi un teatro elitario per lor signori, a somiglianza di quello capitolino, della Palermo appena post-borbonica.
Naturalmente il giudizio di valore in negativo è nostro. Giugiu Di Falco ama il teatro, quel teatro; lo considera cosa propria, ed a ragione visto che tutto sommato lui ne è il vero salvatore. Con le sue ricerche, con il suo interessamento, con l’entrature che l’alta carica fiscale allora rivestita gli consentiva, sfruttando magari le accidiose sortite del suo grande compaesano e coetaneo, potè dar inizio al salvataggio che in quest’anno finalmente si dice concluso, sia pure dopo un ventennio di spese improvvide e per noi superflue. Vi era altro a cui pensare a Racalmuto: un paese su cui ricade un’ICI gonfiata, a riflesso pure di una siffatta opera neppure lussuosa, solo pretenziosa.
Sbotta ad un certo punto della sua ricerca il Di Falco che tanti particolari, molte notiziole, certe singolarità ce li può rappresentare perché si è molto adoperato nella investigazione di carte nascoste in locali ad affitto parentale con accesso a noi interdetto. Così per le nostre operazioni di scopertura di tali vicende minuscole del vivere paesano dell’Ottocento ci siamo avvalsi delle solitarie peregrinazioni nell’archivio di stato centrale di Roma o in quello – prima bazzicato solo da Eugenio Napoleone Messana – di Agrigento. Chi ha orecchie da intendere, intenda. Lungi ovviamente da noi la malignità che il Di Falco si sia avvalso per questa sua minuziosa indagine archivistica dell’opera di chi si proclama l’unico e prodigo dispensatore di carte storiche racalmutesi.
Giugiu D Falco ha semmai il nostro identico difetto; con tecnica burocratica tipica del Ministero delle Finanze ci piace investigare, verificare, accertare. Nel momento elaborativo, in solitudine; prima sfruttando le dabbenaggini altrui oppure le voglie esibizionistiche o delatrici degli estranei.
Ma bando alle superfetazioni. Giugiu Di Falco ama il teatro – non solo quello murario ma anche quell’altro recitato – da tempi immemorabili. Rifuggendo dal postumo carro di Tespi di taglio paesano – propenso all’erotismo plurimo secondo natura con l’eccezione di chi vi andava contro – il Di Falco diveniva alla fine degli anni quaranta il pigmalione della filodrammatica parrocchiale. Nel teatrino che l’encomiabile arciprete Casuccio – chi l’avrebbe mai pensato – mise a disposizione ebbero applaudita anche se effimera vita recite come il patetico “Ho ucciso mio figlio” – con straziante preludio della Traviata – o come l’ilare “Pastorale” che mi si dice ora essere di un monaco san biagese.
Certi maligni del Circolo Unione mi ragguagliavano l’altra sera sulla boccaccesca vicenda di tanti arrapati galantuomini – peraltro noiosamente sposati - finiti in blenorragia per non avere resistito alla tentazione di godersi a pagamento le grazie di una prima donna caduta con i compagni in ristrettezze economiche per la latitanza dei locali spettatori dalle recite cui quella compagnia si cimentava nel nostro teatro comunale.
Noi rammentiamo una splendida bionda, che ebbe a turbare peccaminosamente i nostri quasi impuberi sguardi, una Lia Guazzelli, coniugata o compagna di Renato Pinciroli assurto poi a gloria cinematografica e pensiamo a benessere economico. E la ricordiamo intenta a recitare piamente una santa Rita proprio sulle scabre tavole del teatrino parrocchiale, appunto per guadagnare almeno la pagnotta quotidiana.
Giugiu Di Falco, unico allora a disporre di uno stipendio, comprò da mio padre la “musulina” residua per le quinte del teatrino parrocchiale. Non recitava, neppure in minuscole particine. E noi non possiamo nobilitarlo inventandoci regie rapsodiche di chi poi fini scrittore famoso.
Ecco il nostro filodrammatico, nella parte di direttore s’intende. Giovanissimo eppure già grande con i grandi, uno della triade; gli altri: l’austero arciprete Casuccio ed un serioso padre Puma, allora semplice cappellano. E poi, il solito presente-assente Lillo Savatteri, il falso barbuto Guido Picone, ed altri che non ci azzardiamo ad individuare temendo di sbagliare. Come corre il tempo! Lo giuro: eravamo tutti racalmutesi autentici e non avevamo schiviltoserie razziste. Eravamo i migliori.
La troupe eccola tutta qui; assenti quelli in veste talare e presenti mio fratello Giacomo, il regista Gino Caprera (più bravo e soprattutto più efficiente del futuro grande scrittore). Vi notiamo Pino Agrò, attore spumeggiante, Angelo Morreale. Naturalmente il leader Giugiu Di Falco non può mancare.
E siamo sulla scena: quadri radio di lusso, sedie e tavolinetto in vimini (prestati da Ernesto di Naro?). Le parti minori hanno qui eguale risalto, si tratti di un piccolo cameriere o di un telefonista quasi sosia di Amedeo Nazzari. Di nobile portamento Guido Picone ed a Cosimo La Rocca non difetta la mimica singolare. Pino Agrò, il bello della compagnia, disdegna di conferire con un Luigi Giudice, prima degli impegni ministeriali. Ed Angelo Morreale, bifronte: accetto dai pretenziosi virgulti della locale crestomazia – che facevano clan e circolo a parte – e presente tra noi della modesta plebe.
Il lavoro sul teatro comunale resta comunque prezioso fugando imprecisioni storiche false attribuzioni di paternità improprie requisizioni regime. Ci piacerà o meno ma la tela dei Vespri Siciliani (Sciascia precisino li vuole al singolare) non potremo più toglierla a Giuseppe Carta per attribuirla magari ai sigg. Tavelli e Belloni sulla scia dell’impreciso Messana. A Giovanni non dite – mi raccomando – che le varie tesi sull’attribuibilità del telone a vari artisti (e Sciascia ed Aldo Scimè ed altri vi ci sono cimentati) potrebbero integrarsi dato che Carta avrà ricevuto la commissione ma nulla fa pensare che l’abbia integralmente eseguita di suo pugno. Non vi è dubbio che si sia servito di suoi discepoli o aiutanti. Non per nulla non sembra che quello sciatto scenario l’abbia firmato. La vasta dimensione non significa pregio artistico, che invero è più arduo quanto più vasta è la superficie da colorare.
In altri tempi, con altri intenti parleremo del lavoro di Giugiu Di Falco sul teatro Margherita e ci permetteremo qualche licenza critica che qui non sarebbe opportuna. Ci limitiamo a trasmettere alcune foto ad illustrazione del testo descrittivo del nostro grande amico Giugiu Di Falco. Ad malora Giovanni!
Una pinacoteca a Racalmuto dedicata a Pietro d’Asaro
L’associazione racalmutese ECCLESIA (presidente padre PUMA, direttore Calogero TAVERNA) ha organizzato l’inaugurazione della pinacoteca Pietro d’Asaro aprendo i locali della vecchia chiesa di S. Sebastiano (tra S. Anna e S. Giovanni di Dio).
E’ stata una manifestazione di grande rilievo – oltre che per la comunità racalmutese – per l’intera realtà culturale agrigentina e persino regionale, tanto che non è mancato il patrocinio del Comune e della Provincia.
Nei locali di S. Sebastiano – dopo i restauri pubblici più o meno condivisibili – sono già custodite pale d’altare, tutte attribuite a Pietro d’Asaro, ma con disinvoltura critica, visto che solo le pale firmate sono indubitabilmente del pittore racalmutese; le altre attengono, ad avviso di alcuni critici, ad una scuola, non necessariamente racalmutese, cinquecentesca, tutta da studiare anche per la ricognizione della veridica microstoria locale e provinciale.
Comunque, la mostra pittorica si è estesa alla pittura dell’Arciprete, pittore ragguardevole, di notorietà nazionale. Vanta, infatti, varie esposizioni, la più prestigiosa in Piemonte, Altrove, in questo sito, potrà leggersi una critica non convenzionale sul Puma pittore.
L’inaugurazione è stata solennizzata dalle massime autorità religiose della Diocesi, da quelle militari e civili della Provincia. Presente per l’intera giornata il Sindaco Restivo.
In contemporanea, a supporto e ad amplificazione, si è svolta una giornata di studio, a completamento o a rettifica di quella già svoltasi per il V centenario della Saga del Monte. Il fulcro è stato la dottissima prolusione del prof. Mazzarese Fardella, direttore dell’istituto di storia del diritto all’Università di Palermo, che ha esplicato
storia, diritto, araldica e costumi della Sicilia feudale. Non sono mancati perspicui riferimenti alla microstoria racalmutese (avendo il professore degnato di attenzione, naturalmente critica, lo studio di Calogero Taverna sulla “signoria racalmutese dei Del Carretto”); vi sono stati del pari coinvolgenti relativi alla “vinuta di la Bedda Matri di lu Munti”.
Con l’occasione il padre Stefano Pirrera ha dato incarico al Taverna di illustrare la figura del defunto padre Calogero Salvo, personalità poliedrica, sacerdote integerrimo, uomo di fede profonda (forse persino con tocchi giansenistici), studioso perspicuo anche delle nostre cose racalmutesi. Appartiene a quell’olimpo di grandi racalmutesi (pur se in veste talare) che vanno rievocati, apprezzati, onorati e studiati “a futura memoria”. Non possono essere per ignavia dei vivi cacciati nelle gore dell’oblio.
Un vescovo discusso
Mons. Trahina
nell'Agrigento del '600Giudizi discordanti
da Pirri a Camilleri
Un vescovo discusso: il Trahina del ‘600
Malgrado tutto, nonostante dovremmo essere classificati fra gli ingrati “altri” – saprofiti di chissà quali ricerche altrui – Giugiu Di Falco, amico antico e vero sin dalla nostra infanzia, ci prodiga delle sue ricerche, queste vere e valide, e del suo costosissimo archivio fotografico. Tutto naturalmente riferito al baraccone di moda, il teatro Regina Margherita di Racalmuto. Divenuto sacro perché Sciascia vi tenne una prolusione quando cominciò a pensare che questo era diventato un paese terribile, sol perché qualcuno osava contraddirlo.
Dicevamo che secondo le insinuazioni di un settario foglio 1locale (plagi sciasciani a parte) noi saremmo tra quelli che avremmo depredato la documentazione di aliene ricerche nei vari archivi statali, provinciali, locali. Ma non è vero il contrario? Non sono stati “altri” quelli che hanno premesso la firma come precipuo autore di un testo che neppure avevano letto? E costoro non sono finiti nel luccichio di un CD comprato già, a dire il vero, dal Comune? E lì non v’era quanto ora a spese sempre del Comune si vuol pubblicare per la terza volta, ed anche molto di più? Ma quando a sindaco la cittadinanza ha voluto il nipote del proprio campiere si può pretendere questo e ben altro; persino con gli osanna del giornaletto di famiglia.
Noi fummo tra quelli che pagammo di tasca nostra viaggi da Roma – e pesantissime bollette telefoniche – per consentire a qualcuno di assolvere ridevoli onorificenze. Sappiamo ora che in cambio un passato sindaco ebbe informazioni sulle carte giacenti in tanti archivi persino stranieri. Ma per questo basta consultare pubblicazioni ponderose ed informatissime, basta che si conoscano. Non fui forse io a guidare nelle ricerche d’archivio? Naturalmente mi servivo di quelle pubblicazioni. Ovviamente il destinatario ora – per quei miracoli della cattiva memoria – finge di ignorarlo.
Scrivevamo un tempo – e ci pare che il sullodato foglio non mancò di ospitarci –:
Si pensi che un ricambio in senso classista Racalmuto l'ha potuto registrare solo ai nostri giorni. Soltanto gli anni ottanta del XX secolo sono propizi ad un rivoluzionario avvento di amministratori con genuine ascendenze locali e d'autentica estrazione popolare.
Ci pensa adesso l’aulico foglio a darcene conferma; ovvio che la voglia di riesumazioni di carcasse storiche ci pare imbecillotta. Dovremmo dunque commuoverci e spingerci a gratitudine eterna perchè un “signorino” venuto dalla città non si poteva mescolare con i locali coetanei essendo cosparsi di infettive malattie “esantematiche” (che cosa erano? I banali “coccia”?). Dovremmo poi esaltarci perché gli amici del signorino erano mezzadri pastori ed affini pronti al sussiego servile. Per fortuna loro, alcuni – anche se non tutti – erano di sufficiente intelligenza – come i soci del circolo unione – capaci persino di discutere per qualche ora su vari argomenti. Vivaddio avevano apprezzabili intelligenza sapienza ed equilibrio.
Tra costoro c’era forse il bisnonno del Sindaco che abbiamo conosciuto stimato ed onorato (anche come autorevole membro della mia plebea famiglia)? Ma quello aveva superiore intelligenza, sagace operosità ed anche ironica marpioneria per non essere capace di abbindolare i figli o meglio i nipoti di signori divenuti tali dopo le peripezie rimaste memorabili per la penna di Eugenio Napoleone Messana.
Pare che tra breve il Comune – che ci ha tartassato elevando l’aliquota ICI al debordante 6 per mille (più di Roma) – abbia voglia di sperperare quel che rimane delle esauste casse municipali in riverenti pubblicazioni, frutto si dice di decennali fatiche. O quanto annaspante è quella penna, o quanto stanca quella fantasia. Tanto rumore per nulla si recita nel teatro che Giugiu di Falco ha osannato con le carte e le foto che ci accingiamo a commentare. Ma quanto denaro per tanto rumore – teatrale e storico-letterario! Paghiamo o cittadini contriti e riverenti, servi e saccenti, attualmente il 6 e poi il 7 e poi l’8 e poi .. dato che dobbiamo mantenere fondazioni ove non arrivano neppure le carte dovute o ove si deve far locupletare stranieri ingordi, e dobbiamo pubblicare tutto anche ciò che è sgangherato ed insenso per compiacenza verso chi magari ci fa causa per non essere stato subissato di denaro dopo un modesto esproprio di terreno marginale occorrente per una bretella salva vite, plebee però. (Ricordate la scritta marmorea sotto la centrale? E’ davvero lontana questa vita racalmutese dalla giustizia e dalla verità, cioè dalla libertà annotava irriverente ma con migliore forma della nostra Leonardo Sciascia).
Dicevamo, dunque, di Giugiu Di Falco. Ci ha rassegnato copia di un suo quaderno dattiloscritto e del corredo fotografico risalente al 1988 A penna, si intitola IL TEATRO COMUNALE REGINA MARGHERITA DI RACALMUTO.
PARTE SECONDA – NOTE IN MARGINE DEL TESTO DI GIUGIU DI FALCO
Iniziamo con … la conclusione del libro del mio amico. Ci vuol notificare che “all’opinione pubblica … ha fatto piacere la collaborazione di un personaggio che nella costruzione di spettacoli teatrali è il massimo a cui si possa aspirare. E’ il noto scrittore, regista e sceneggiatore Andrea Camilleri”. Invero l’ultraricco scrittore empedoclino ci vuol solo far sapere che in risposta a taluna piaggeria interessata lui è disposto a limitarsi solo “a quella che può essere la formazione di un cartellone e l’indicazione dei percorsi artistici”. Anche qui – come per tutto il resto – molto rumore
per nulla come con sapida anche se inconscia autoironia si conclamava nella recita di inaugurazione del “rinascente” teatro Racalmutese, dopo il flop della sala vuota per insipienze burocratiche.
Noi che il nostro amico lo conosciamo – e stimiamo – da una vita pensiamo che quella ingenua sdilinguata non sia frutto del suo sacco. Il lavoro, austero circostanziato leggibile, esordisce ben bene Diligente, rispettosa lettura di carte dell’archivio di Racalmuto consentono al Nostro di notiziare meticolosamente sulle vicende amministrative dell’epoca matroniana nell’avventurarsi in una maniacale e dispendiosissima impresa: quella di farsi un teatro elitario per lor signori, a somiglianza di quello capitolino, della Palermo appena post-borbonica.
Naturalmente il giudizio di valore in negativo è nostro. Giugiu Di Falco ama il teatro, quel teatro; lo considera cosa propria, ed a ragione visto che tutto sommato lui ne è il vero salvatore. Con le sue ricerche, con il suo interessamento, con l’entrature che l’alta carica fiscale allora rivestita gli consentiva, sfruttando magari le accidiose sortite del suo grande compaesano e coetaneo, potè dar inizio al salvataggio che in quest’anno finalmente si dice concluso, sia pure dopo un ventennio di spese improvvide e per noi superflue. Vi era altro a cui pensare a Racalmuto: un paese su cui ricade un’ICI gonfiata, a riflesso pure di una siffatta opera neppure lussuosa, solo pretenziosa.
Sbotta ad un certo punto della sua ricerca il Di Falco che tanti particolari, molte notiziole, certe singolarità ce li può rappresentare perché si è molto adoperato nella investigazione di carte nascoste in locali ad affitto parentale con accesso a noi interdetto. Così per le nostre operazioni di scopertura di tali vicende minuscole del vivere paesano dell’Ottocento ci siamo avvalsi delle solitarie peregrinazioni nell’archivio di stato centrale di Roma o in quello – prima bazzicato solo da Eugenio Napoleone Messana – di Agrigento. Chi ha orecchie da intendere, intenda. Lungi ovviamente da noi la malignità che il Di Falco si sia avvalso per questa sua minuziosa indagine archivistica dell’opera di chi si proclama l’unico e prodigo dispensatore di carte storiche racalmutesi.
Giugiu D Falco ha semmai il nostro identico difetto; con tecnica burocratica tipica del Ministero delle Finanze ci piace investigare, verificare, accertare. Nel momento elaborativo, in solitudine; prima sfruttando le dabbenaggini altrui oppure le voglie esibizionistiche o delatrici degli estranei.
Ma bando alle superfetazioni. Giugiu Di Falco ama il teatro – non solo quello murario ma anche quell’altro recitato – da tempi immemorabili. Rifuggendo dal postumo carro di Tespi di taglio paesano – propenso all’erotismo plurimo secondo natura con l’eccezione di chi vi andava contro – il Di Falco diveniva alla fine degli anni quaranta il pigmalione della filodrammatica parrocchiale. Nel teatrino che l’encomiabile arciprete Casuccio – chi l’avrebbe mai pensato – mise a disposizione ebbero applaudita anche se effimera vita recite come il patetico “Ho ucciso mio figlio” – con straziante preludio della Traviata – o come l’ilare “Pastorale” che mi si dice ora essere di un monaco san biagese.
Certi maligni del Circolo Unione mi ragguagliavano l’altra sera sulla boccaccesca vicenda di tanti arrapati galantuomini – peraltro noiosamente sposati - finiti in blenorragia per non avere resistito alla tentazione di godersi a pagamento le grazie di una prima donna caduta con i compagni in ristrettezze economiche per la latitanza dei locali spettatori dalle recite cui quella compagnia si cimentava nel nostro teatro comunale.
Noi rammentiamo una splendida bionda, che ebbe a turbare peccaminosamente i nostri quasi impuberi sguardi, una Lia Guazzelli, coniugata o compagna di Renato Pinciroli assurto poi a gloria cinematografica e pensiamo a benessere economico. E la ricordiamo intenta a recitare piamente una santa Rita proprio sulle scabre tavole del teatrino parrocchiale, appunto per guadagnare almeno la pagnotta quotidiana.
Giugiu Di Falco, unico allora a disporre di uno stipendio, comprò da mio padre la “musulina” residua per le quinte del teatrino parrocchiale. Non recitava, neppure in minuscole particine. E noi non possiamo nobilitarlo inventandoci regie rapsodiche di chi poi fini scrittore famoso.
Ecco il nostro filodrammatico, nella parte di direttore s’intende. Giovanissimo eppure già grande con i grandi, uno della triade; gli altri: l’austero arciprete Casuccio ed un serioso padre Puma, allora semplice cappellano. E poi, il solito presente-assente Lillo Savatteri, il falso barbuto Guido Picone, ed altri che non ci azzardiamo ad individuare temendo di sbagliare. Come corre il tempo! Lo giuro: eravamo tutti racalmutesi autentici e non avevamo schiviltoserie razziste. Eravamo i migliori.
La troupe eccola tutta qui; assenti quelli in veste talare e presenti mio fratello Giacomo, il regista Gino Caprera (più bravo e soprattutto più efficiente del futuro grande scrittore). Vi notiamo Pino Agrò, attore spumeggiante, Angelo Morreale. Naturalmente il leader Giugiu Di Falco non può mancare.
E siamo sulla scena: quadri radio di lusso, sedie e tavolinetto in vimini (prestati da Ernesto di Naro?). Le parti minori hanno qui eguale risalto, si tratti di un piccolo cameriere o di un telefonista quasi sosia di Amedeo Nazzari. Di nobile portamento Guido Picone ed a Cosimo La Rocca non difetta la mimica singolare. Pino Agrò, il bello della compagnia, disdegna di conferire con un Luigi Giudice, prima degli impegni ministeriali. Ed Angelo Morreale, bifronte: accetto dai pretenziosi virgulti della locale crestomazia – che facevano clan e circolo a parte – e presente tra noi della modesta plebe.
Il lavoro sul teatro comunale resta comunque prezioso fugando imprecisioni storiche false attribuzioni di paternità improprie requisizioni regime. Ci piacerà o meno ma la tela dei Vespri Siciliani (Sciascia precisino li vuole al singolare) non potremo più toglierla a Giuseppe Carta per attribuirla magari ai sigg. Tavelli e Belloni sulla scia dell’impreciso Messana. A Giovanni non dite – mi raccomando – che le varie tesi sull’attribuibilità del telone a vari artisti (e Sciascia ed Aldo Scimè ed altri vi ci sono cimentati) potrebbero integrarsi dato che Carta avrà ricevuto la commissione ma nulla fa pensare che l’abbia integralmente eseguita di suo pugno. Non vi è dubbio che si sia servito di suoi discepoli o aiutanti. Non per nulla non sembra che quello sciatto scenario l’abbia firmato. La vasta dimensione non significa pregio artistico, che invero è più arduo quanto più vasta è la superficie da colorare.
In altri tempi, con altri intenti parleremo del lavoro di Giugiu Di Falco sul teatro Margherita e ci permetteremo qualche licenza critica che qui non sarebbe opportuna. Ci limitiamo a trasmettere alcune foto ad illustrazione del testo descrittivo del nostro grande amico Giugiu Di Falco. Ad malora Giovanni!
Una pinacoteca a Racalmuto dedicata a Pietro d’Asaro
L’associazione racalmutese ECCLESIA (presidente padre PUMA, direttore Calogero TAVERNA) ha organizzato l’inaugurazione della pinacoteca Pietro d’Asaro aprendo i locali della vecchia chiesa di S. Sebastiano (tra S. Anna e S. Giovanni di Dio).
E’ stata una manifestazione di grande rilievo – oltre che per la comunità racalmutese – per l’intera realtà culturale agrigentina e persino regionale, tanto che non è mancato il patrocinio del Comune e della Provincia.
Nei locali di S. Sebastiano – dopo i restauri pubblici più o meno condivisibili – sono già custodite pale d’altare, tutte attribuite a Pietro d’Asaro, ma con disinvoltura critica, visto che solo le pale firmate sono indubitabilmente del pittore racalmutese; le altre attengono, ad avviso di alcuni critici, ad una scuola, non necessariamente racalmutese, cinquecentesca, tutta da studiare anche per la ricognizione della veridica microstoria locale e provinciale.
Comunque, la mostra pittorica si è estesa alla pittura dell’Arciprete, pittore ragguardevole, di notorietà nazionale. Vanta, infatti, varie esposizioni, la più prestigiosa in Piemonte, Altrove, in questo sito, potrà leggersi una critica non convenzionale sul Puma pittore.
L’inaugurazione è stata solennizzata dalle massime autorità religiose della Diocesi, da quelle militari e civili della Provincia. Presente per l’intera giornata il Sindaco Restivo.
In contemporanea, a supporto e ad amplificazione, si è svolta una giornata di studio, a completamento o a rettifica di quella già svoltasi per il V centenario della Saga del Monte. Il fulcro è stato la dottissima prolusione del prof. Mazzarese Fardella, direttore dell’istituto di storia del diritto all’Università di Palermo, che ha esplicato
storia, diritto, araldica e costumi della Sicilia feudale. Non sono mancati perspicui riferimenti alla microstoria racalmutese (avendo il professore degnato di attenzione, naturalmente critica, lo studio di Calogero Taverna sulla “signoria racalmutese dei Del Carretto”); vi sono stati del pari coinvolgenti relativi alla “vinuta di la Bedda Matri di lu Munti”.
Con l’occasione il padre Stefano Pirrera ha dato incarico al Taverna di illustrare la figura del defunto padre Calogero Salvo, personalità poliedrica, sacerdote integerrimo, uomo di fede profonda (forse persino con tocchi giansenistici), studioso perspicuo anche delle nostre cose racalmutesi. Appartiene a quell’olimpo di grandi racalmutesi (pur se in veste talare) che vanno rievocati, apprezzati, onorati e studiati “a futura memoria”. Non possono essere per ignavia dei vivi cacciati nelle gore dell’oblio.
Un vescovo discusso
Mons. Trahina
nell'Agrigento del '600Giudizi discordanti
da Pirri a Camilleri
Un vescovo discusso: il Trahina del ‘600
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