Inizio conversazione in chat
28 luglio 16.24.49
Un lungo discorso che debbo correggere essendomi scappati tanti errori per la mia solita imperizie informatica, insinuando una mia proposta. Racalmuto è la patria di Sciascia, una Fondazione si erge a suo nome. Mi piacerebbe che Lei potesse presiedere un incontro per la chiarificazione del ruolo e se vi sono delle colpe del compaesano racalmutese Ettore Messana, magari per stabilire se gli deve dedicare una strada in commemorazione oppure no, per comprovata indegnità. E mi PIACEREBBE CHE NELLA fondazione DI SI ISTITUISSE UNA SORTA DI SEMINARIO PER RICERCHE STORICHE NON PRECONCETTE DA LEI PRESIEDUTO. PENSO A GIOVANI CHE POTREBBERO ANDARE A STUDIARE LE CARTE ELLA nara quali lei meritevolmente illustra nel suo LUPARA NERA (e credo altrove). E non mi dispiacerebbe che vi partecipasse anche la Cernigoi, sempreché desista dalle non provate accuse contro il Messana.
28 luglio 21.34.10
Nel caso tagli prima di leggere. Ma questo è un mio post pubblico che in qualche modo intendo segnalarle:
E’ la seconda volta che mi capita nella mia ormai purtroppo lunga vita. La prima volta avvenne nel lontano ultimo quarto degli anni Settanta. Tra il luglio e il settembre del 1974 fui inviato dalla Banca d’Italia a giubilare la Banca Privata Finanziaria che tutti ancora si ostinano a chiamare la banca di Sindona. Falso. La Privata, contro tutti e contro tutto, invocando le dieci righe l’art. 6 della vecchia legge bancaria, riuscii a giubilarla. Nonostante Andreotti Macchiarella il Banco di Roma tutta la finanza meneghina e mettiamoci per contorno l’arcivescovo Marcinkus, l’orso americano del mio Soldi Truccati. Ma Sindona era ancora in auge nonostante profugo negli USA di Cosa Nostra. Scrisse e tutta la stampa pubblicò: “pare che un certo Calogero Taverna le abbia chiarito le cose”. Si rivolgeva allo scattoso Guido Carli. Il Baffi mi sbeffeggiò in un convivio aziendale quale un quivis de polulo . Ora è la Cernigoi che fa il bis. Le avevo scritto: 6 giugno 18.17.40 lei dovrebbe essere l'autrice di foglietti infamanti il dottore Ettore Messana già ispettore generale di pubblica sicurezza. In contatto con la nipote di tanto grande personaggio della storia di Italia ho fatto e continuo a fare ricerche che la smentiscono in pieno Non so se reputa di procedere ad una sorta di resipiscenza operosa. Sappia che la signora Giovanna Messana non è persona da oppiare. Certo non ha avuto tempo per inseguire e perseguire codesti sedicenti storici fabbricanti di calunnie nei confronti del suo grande avo. Ma ora ha deciso. Le avevo scritto molto riservatamente e a ben vedere in termini molto educati, ad onta del mio caratteraccio. Ma la Cernigoi sfacciatamente, in pubblico, dopo 14 giorni così osa irridermi (e contraddirmi): La Nuova Alabarda 20 giugno • APPUNTI SU ETTORE MESSANA. Ho ricevuto negli ultimi tempi alcuni messaggi da tale Lillo Taverna, che mi "accusa" di "essere l'autrice di foglietti infamanti il dottore Ettore Messana", del quale Taverna starebbe ricostruendo una biografia. In effetti ho avuto modo di scrivere alcune note su questa persona, denunciata come criminale di guerra alle Nazioni unite, basandomi su documenti ufficiali dei quali ho indicato anche la collocazione archivistica. Pertanto ritengo opportuno rinfrescare la memoria su questa persona. Com’è noto, il 6/4/41 l’Italia fascista invase la Jugoslavia, in perfetto accordo con l’esercito di Hitler, creando la “Provincia italiana di Lubiana” e mettendo ai posti di comando dei propri funzionari. Così, a dirigere la questura di Lubiana fu posto il commissario Ettore Messana, che resse l’incarico fino a giugno 1942, e successivamente fu a Trieste fino a giugno 1943. Il nome di Messana risulta nell’elenco dei criminali di guerra denunciati dalla Jugoslavia alla Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra (United Nations War Crimes Commission). Il rapporto di denuncia, redatto in lingua inglese ed inviato dalla Commissione statale jugoslava in data 14/7/45 (Copia del rapporto originale in lingua inglese si trova nell’Archivio di Stato di Lubiana, AS 1551 Zbirka Kopij, škatla 98, pp. 1502-1505), lo accusa (sulla base di documentazione che era stata trovata in possesso della Divisione “Isonzo” dell’Esercito italiano di occupazione) di crimini vari: “assassinio e massacri; terrorismo sistematico; torture ai civili; violenza carnale; deportazioni di civili; detenzione di civili in condizioni disumane; tentativo di denazionalizzare gli abitanti dei territori occupati; violazione degli articoli 4, 5, 45 e 46 della Convenzione dell’Aja del 1907 e dell’articolo 13 del Codice militare jugoslavo del 1944”. Nello specifico viene addebitata a Messana (in concorso con il commissario di PS Pellegrino e col giudice del Tribunale militare di Lubiana dottor Macis) la costruzione di false prove che servirono a condannare diversi imputati (tra i quali Anton Tomsič alla pena capitale, eseguita in data 21/5/42) per dei reati che non avevano commesso. La responsabilità di Messana e Pellegrino in questo fatto è confermata da documenti dell’archivio della questura di Lubiana (oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Lubiana, AS 1796, III, 6, 11), che fanno riferimento ad una “operazione di polizia politica” condotte dal vicequestore Mario Ferrante e dal vicecommissario Antonio Pellegrino sotto la direzione personale di Messana, contro una “cellula sovversiva di Lubiana” della quale facevano parte, oltre al Tomsič prima citato, anche Michele Marinko (condannato a 30 anni di reclusione), Vida Bernot (a 25 anni), Giuseppina Maček (a 18 anni) ed altri tre che furono condannati a pene minori. Messana e gli altri furono anche accusati di avere creato false prove nel corso di una indagine da loro condotta, in conseguenza della quale 16 persone innocenti furono fucilate dopo la condanna comminata dal giudice Macis. Si tratta dell’indagine per l’attentato al ponte ferroviario di Prešerje del 15/12/41, per la quale indagine, come risulta da altri documenti della questura di Lubiana dell’epoca, Messana, il suo vice Ferrante, l’ufficiale dei Carabinieri Raffaele Lombardi ed altri agenti e militi furono proposti per onorificenze e premi in denaro per la buona riuscita delle indagini relative: Messana ricevette come riconoscimento per il suo operato la “commenda dell’Ordine di S. Maurizio e Lazzaro”. Il 21/9/45 l’Alto Commissario Aggiunto per l’Epurazione di Roma inviò una nota al Prefetto di Trieste nella quale era segnalato il nome di Ettore Messana. Il Prefetto richiese un’indagine alla Polizia Civile del GMA (ricordiamo che all’epoca Trieste era amministrata da un Governo Militare Alleato e la polizia era organizzata sul modello anglosassone), il cui risultato è contenuto in una relazione datata 6/10/45 e firmata dall’ispettore Feliciano Ricciardelli della Divisione Criminale Investigativa, dalla quale citiamo alcuni passaggi. “Il Messana era preceduto da pessima fama per le sue malefatte quale Questore di Lubiana. Si vociferava infatti che in quella città aveva infierito contro i perseguitati politici permettendo di usare dei mezzi brutali e inumani nei confronti di essi per indurli a fare delle rivelazioni (…) vi era anche (la voce, n.d.a.) che ordinava arresti di persone facoltose contro cui venivano mossi addebiti infondati al solo scopo di conseguire profitti personali. Difatti si diceva che tali detenuti venivano poi avvicinati in carcere da un poliziotto sloveno, compare del Messana, che prometteva loro la liberazione mediante il pagamento di ingenti importi di denaro. Inoltre gli si faceva carico che a Lubiana si era dedicato al commercio in pellami da cui aveva ricavato lauti profitti. Durante la sua permanenza a Trieste, ove rimase fino al giugno 1943, per la creazione in questa città del famigerato e tristemente noto Ispettorato Speciale di polizia diretto dal comm. Giuseppe Gueli, amico del Messana, costui non riuscì ad effettuare operazioni di polizia politica degne di particolare rilievo. Ma anche qui, così come a Lubiana, egli si volle distinguere per la mancanza assoluta di ogni senso di umanità e di giustizia, che dimostrò chiaramente nella trattazione di pratiche relative a perseguitati politici (…)”. Questa relazione è conservata in Archivio di Stato di Trieste, fondo Prefettura gabinetto, b. 18. L’Ispettore Ricciardelli aveva già svolto servizio in polizia sotto il passato regime fascista ed era stato internato in Germania sotto l’accusato di favoreggiamento nei confronti di ebrei che sarebbero stati da lui aiutati a scappare. A fronte di tutto ciò ci si aspetterebbe che Messana sia stato, se non condannato per quanto commesso sotto il fascismo, quantomeno “epurato” dalla Pubblica Sicurezza. Invece lo ritroviamo nell’immediato dopoguerra nella natia Sicilia, a dirigere, alle dipendenze dell’ex funzionario dell’OVRA a Zagabria, Ciro Verdiani, un “Ispettorato generale di PS per la Sicilia”, un “organo creato per la repressione della delinquenza associata, e specificamente per la repressione del banditismo che faceva capo a Giuliano (il “bandito” Salvatore Giuliano, n.d.a.)” (questa definizione è tratta dalla sentenza di Viterbo, emessa il 3 maggio 1952 dalla Corte d’assise di Viterbo, presieduta dal magistrato Gracco D’Agostino, in merito alla strage di Portella della Ginestra del 1/5/47). Per sapere come i due alti funzionari di PS svolsero il compito loro affidatogli, leggiamo alcuni stralci dalla sentenza emessa in merito alla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini di Giuliano spararono sulla folla che si era radunata per festeggiare il Primo maggio, uccidendo undici persone tra cui donne e bambini e ferendone molte altre. “L’Ispettore Verdiani non esitò ad avere rapporti con il capo della mafia di Monreale, Ignazio Miceli, ed anche con lo stesso Giuliano, con cui si incontrò nella casetta campestre di un sospetto appartenente alla mafia, Giuseppe Marotta in territorio di Castelvetrano ed alla presenza di Gaspare Pisciotta, nonché dei mafiosi Miceli, zio e nipote, quest’ultimo cognato dell’imputato Remo Corrao, e dal mafioso Albano. E quel convegno si concluse con la raccomandazione fatta al capo della banda ed al luogotenente di essere dei bravi e buoni figlioli, perché egli si sarebbe adoperato presso il Procuratore Generale di Palermo, che era Pili Emanuele, onde Maria Lombardo madre del capo bandito, fosse ammessa alla libertà provvisoria. E l’attività dell’ispettore Verdiani non cessò più; poiché qualche giorno prima che Giuliano fosse soppresso, attraverso il mafioso Marotta pervenne o doveva a Giuliano pervenire una lettera con cui lo si metteva in guardia, facendogli intendere che Gaspare Pisciotta era entrato nell’orbita del Colonnello Luca (si tratta dell’ex generale dei Carabinieri Ugo Luca, che tra il 1949 e il 1950 coordinò l’uccisione di Giuliano in Sicilia”, già “uomo di fiducia personale di Mussolini”, come scrive Giuseppe Casarrubea in “Storia segreta della Sicilia”, Bompiani 2005) ed operava con costui contro Giuliano”. Quanto a Messana leggiamo che “l’Ispettore Generale di PS Messana negò ed insistette nel negare di avere avuto confidente il Ferreri (Salvatore Ferreri, detto “fra Diavolo”, sarebbe stato infiltrato nella “banda” di Giuliano per farlo catturare; Ferreri sembra essere stato tra gli organizzatori degli attacchi contro i sindacalisti a Partinico del 1947; fu ucciso dai Carabinieri pochi giorni dopo il massacro di Portella della Ginestra), ma la negativa da lui opposta deve cadere di fronte all’affermazione del capitano dei Carabinieri Giallombardo, il quale ripetette (sic) in dibattimento che Ferreri fu ferito dai carabinieri presso Alcamo, ove avvenne il conflitto in cui restarono uccise quattro persone; e, ferito, il Ferreri stesso chiese di essere portato a Palermo, spiegando che era un agente segreto al servizio dell’Ispettorato e che doveva subito parlare col Messana”; Salvatore Ferreri era “conosciuto anche come Totò il palermitano, ma definito come pericoloso pregiudicato, appartenente alla banda Giuliano, già condannato in contumacia alla pena dell’ergastolo per omicidio consumato allo scopo di rapinare una vettura automobile”. Verdiani morì a Roma nel 1952, e il suo “decesso fece in modo che il suo ruolo in quegli anni piano piano si dissolvesse sotto i riflettori”. Per approfondire la questione dei rapporti tra la “banda” Giuliano, l’Ispettorato generale di Messana e Verdiani ed i servizi segreti statunitensi ed italiani, nonché sul riciclaggio da parte di questi di personale che aveva operato con la Decima Mas di Borghese, vi rimandiamo al citato studio di Casarrubea, “Storia segreta della Sicilia”. Non crederete che l’abbia lasciata in pace. L’ho costretta a offendermi e stizzita a chiudermi persino i canali di FB. Diversamente da lei si è invece comportato quel gran signore e profondo studioso del prof. Casarrubea. Come credo avete potuto legge qui da me. Calogero Taverna
29 luglio 21.06.03
Caro Calogero, cose vere, cose false e cose meno vere. Ricordo il Ruffini nel 1945/46. Magari qualcuno ad Agrigento aveva attentato alla vita del principesco vescovo Peruzzo (addirittura un frate a Santa Stefano Quisquina). Si pensava che primate di Sicilia dovesse essere proprio il Peruzzo, invece il papa mandò Ruffini. Figurati se posso avere stima e fiducia nei papi e in papa Pacelli in particolare. Ma era chiaro che l'America, la mafia, Portella, Giuliano non ci entravano per nulla. Mie ricerche nell'archivio vaticano segreto mi portano molto lontano. Quanto al connubio Pacelli-America nulla di più falso di quello che leggo. Pacelli aveva un religioso terrore dei comunisti. Iniziò la sua crociata con il microfono di Dio (padre Lombardi) e la peregrinatio Mariae. Divertente la pagina di Sciascia nelle Parrocchie in proposito. Eppure proprio la settimana scorsa sfogliando un faldone del SIS seconda sezione all'ACS di Roma leggo tutto un carteggio su questa storia qui. Gli americani volevano un gemellaggio America-Vaticano nella lotta al Comunismo. Pacelli si oppose sdegnosamente. Peraltro non amava il capitalismo massonico e sionista di Washington. Il sostituto Montini sospinse il Della Torre dell'Osservatore Romano a scrivere una trentina di frasi piuttosto ambigue quanto ad anticomunismo. Vi si palesava addirittura della simpatia. Successe un finimondo. Etc. Quello che aggiungo io è questo: con tanta dovizia di documenti e prove storiche perché continuare a crogiolarsi nell'orgia dei luoghi comuni di quel tempo del primo dopoguerra degli anni '40. Mi fa piacere che anche lo stesso prof. Casarrubea mi scriva che occorre un salto di qualità nella ricostruzione storica del secolo scorso, specie alla luce delle nuove possibilità di ricerca e dei nuovi strumenti anche informatici, della ricostruzione del recente quadro storico (tutto ancora a definire)..
1 agosto 18.24.05
IL QUESTORE MESSANA E I FATTI DI RIESI
Il crucifige di Ettore Mesana si consuma il 15 luglio del 1947. Il gran sacerdote che ne vuole la fine è l’on. Li Causi: tre i capi d’accusa (politica). Desumiamoli dallo stesso Li Causi, da un suo arrabbiatissimo discorso all’Assemblea Costituente, pronunciato nella Seduta del 15 luglio del1947. Per il sanguigno grande esponente del comunismo siciliano del dopoguerra, Messana andava giubilato: A) Perché c’era da domandarsi: «Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del 1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e che il giorno dopo fu assassinato …» B) « Messana è nell'elenco dei criminali di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di stranieri!"…» C) «Si ha, [ …] , questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di ssconfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.» Ecco qui i tre capi di accusa: Riesi del 1919; Lubiana del 1941 (maggio)-giugno 1942; banditismo siciliano dal maggio 1945 al giugno del 1947. Sono mesi che scartabelliamo faldoni, giornali, documenti vari, pubblicazioni vecchie. Ebbene: non ci possono essere dubbi. Nessuno può dimostrare che davvero in quel terribile 9 ottobre del 1919 ci fosse addirittura un giovane agente di polizia che prese la “mitraglia” in mano nel campanile della chiesa prospiciente piazza Garibaldi e falcidiò sei, si disse in un primo momento, contadini rivoltosi; poi si disse dieci, poi invece si salì a quindici (qui sopra) e, di recente, dovendo sperperare soldi comunitari, sempre a Riesi, addirittura 20. Ci dispiace per Li Causi: non si può condannare alla damnatio memoriae un glorioso ispettore generale di Stato sulla base di quello che avrebbero dovuto ricordare a distanza di quasi trent’anni ‘vecchi padri costituenti’. Vi poté pur essere stata una inchiesta del generale dei carabinieri Densa ma questa ammesso che si sia mai conclusa nessun addebito poté formulare e formulò contro il giovane trentunenne commissario Messana, che, anzi, a fascismo consolidato e con Calogero Vizzini confinato, spiccò salti da gigante nei gradi della polizia e proprio perché senza macchia alcuna, lui figlio di un modesto e dissennato redditiero racalmutese, sperperatore del proprio patrimonio, lo sfaccendato Clemente Messama, diviene – giovanissimo - questore ed ebbe affidate questure strategiche del Nord. Ad onore e vanto della sua patria natia, Racalmuto. Analogo discorso per quell’inchiesta giudiziaria: noi abbiamo reperito una relazione del Prefetto di Caltanissetta del successivo natale. Altri sono i colpevoli, i fatti avvennero in termini ben diversi dal facile populismo cui si abbandona, comprensibilmente , il Li Causi. MESSANA, il grande assente. NON COLPEVOLE. Nel 1934 dopo 15 anni – troppi o pochi a seconda delle tesi che si vogliono formulare – un quasi pastore valdese scrive una storia di Riesi. Quei truculenti fatti vengono rievocati. Sì, è vero: nella memoria della gente è scolpito che una mitraglia militare sparò e uccise tanta gente. Enfasi della memoria tanta. Si parla di un “commissario di Pubblica Sicurezza”, si dice che insieme ad altri due un ufficiale dell’esercito ed un semplice soldato, in tre, tutti insieme eccoli a premere il grilletto del mitra. Fantasia. Improbabile. Ma a tutto concedere: il nome del Messana non c’è. Davvero Li Causi nella foga ciceroniana finisce con l’inventare e quindi diffamare e direi calunniare. Erano tempi incandescenti. Portella della Ginestra fu più di una sventura nazionale e - se le carte della N.A.R.A. già consultate dal prof. Casarrubea verranno tutte alla luce -sarà da parlare di crimine americano. Finalmente. Altro che insana criminalità di un ex giovane commissario di polizia in vena di scimmiottamenti dell’esecrando generale Bava-Beccaris fatto dal Re senatore del Regno. Ma noi abbiamo cercato notizie vere, coeve, indubitabili. Abbiamo consultato i microfilm del giornale L’Ora di Palermo e il Giornale di Sicilia dell’epoca. Messana non ci sta. I fatti son diversi da come amò trasfigurarli il Li Causi per sue polemiche politiche di stampo rosso scarlatto. Da vecchio comunista, per il quale la verità storica va piegata alla grande lotta di classe. Noi siamo per la lotta di classe ma di quelli che reputano che la VERITA’ E’ SEMPRE RIVOLUZIONARIA. [segue]
4 agosto 16.41.53
Ci stiamo sforzando di rinvenire la vera verità storica dei fatti di Riesi del 1919. Abbiamo pubblicato giornali e cronache dell'epoca. Questa qui non è una intollerabile mistificazione?
CREDIAMO DI AVERE DEL TUTTO SMANTELLATO LA TESI CHE VORREBBE IL QUESTORE MESSANA COLPEVOLE COME QUI SI DICE. RESTA SOLO LA CALUNNIA, L'INFAMIA. SE IN BUONA FEDE CI SI CORREGGA ANCHE SE CI SI CHIAMA ANPI
L ’ANPI domenica 14 ottobre 2012 alle ore 9, ricorda Giovanni Orcel nel 92° anniversario del suo assassinio avvenuto il 14 ottobre 1920 in Corso Vittorio Emanuele all’altezza della Biblioteca centrale dove con la Cgil, e il Centro Impastato deporremo una corona sotto la lapide che lo ricorda. Giovanni Orcel è una delle figure più significative del movimento operaio palermitano, segretario generale della FIOM dal marzo del 1919 operava per unire lotte urbane e lotte delle campagne sulla scia di Nicola Barbato e anche del fratello Ernesto Orcel fondatore del Fascio dei Lavoratori di Cefalù, ed in stretto collegamento con Nicolò Alongi, il dirigente contadino assassinato dalla mafia nel febbraio del 1920. Orcel viene assassinato ad un anno dalla strage di Riesi del 1919 dove vengono assassinati 15 contadini compreso un tenente di fanteria che si era opposto all’ordine fascista di sparare sui contadini che manifestavano per la riforma agraria. Ad ordinare il fuoco in solidale intesa con la mafia è stato un fascista della prima ora, Ettore Messana di Racalmuto, ufficiale di P.S., poi membro dell’OVRA, il servizio segreto, efferato criminale di guerra questore a Lubiana negli anni 40 ed infine lo ritroveremo inspiegabilmente ….Ispettore generale di polizia in Sicilia negli anni 1945! Entrambi i delitti, inequivocabilmente di matrice fascista e mafiosa, sono rimasti impuniti. Su Giovanni Orcel leggi Giuseppe Carlo Marino, 1976 nel libro “Partiti e lotta di classe in Sicilia da Orlando a Mussolini” (Bari, De Donato, 1976); poi nel saggio di Giuseppe Carlo Marino “Vita e martirio di Nicola Alongi, contadino socialista” e in numerosi altri scritti. Il libro di Giovanni Abbagnato, Giovanni Orcel. Vita e morte per mafia di un sindacalista siciliano. 1887-1920, ricostruisce l’attività di Orcel e le lotte di quegli anni. Il logo del referendum per l’art. 18 ci ricorda che Orcel, Alongi e la lunga scia di sangue di sindacalisti e cittadini uccisi, lottarono per la difesa della dignità umana e la dignità del lavoro, che oggi i governi della destra politica, in assenza di opposizione vera, stanno di fatto abolendo. |
venerdì 29 settembre 2017
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