"Donna Concettina la lasciava in pace, tanto che Rosalia aveva preso coraggio e persino cantava a dispetto:
Ammatutula ti spicci e fai cannola
ca lu santu è di màrmaru e nun suda
ca lu santu è di màrmaru e nun suda
e voleva dire che il barone apparteneva a lei, e inutilmente donna Concettina perdeva tempo a pettinarsi e arricciarsi: il barone come la statua di un santo sarebbe rimasto in marmorea indifferenza davanti agli artificiosi vezzi della moglie. Che per la verità un po' si arricciava i capelli, ma non certoMA PER FAR SUDARE D'AMORE IL BARONE: PER ABITUDINE LO FACEVA, DA ANNI; TANTO DA NON VEDERE NEL FERRO DA RICCI LA PRESENZA DELLA TENTAZIONE." (L. SCIASCIA, GLI ZII DI SICILIA)
A leggere questo uso sciasciano degli strambotti racalmutesi mi viene espontaneo pensare ad uno Sciascia che nobilita il suo prediletto don Gasparino Matrona, e qui come altrove spazia nella rievocazione letteraria di un personaggio femminile tutto da rievocare quale donna Maria Concetta Gueli, di cui do
n Gasparino fu marito di secondo letto.
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