La vicenda storica della famiglia La Rocca va ovviamente a
balzelloni, a momenti di successo persino economico potevano subentrare pause
di stanca. Non fu mai tanto prolifica da essere egemone sia pure entro gli angusti
limiti di uno spazio vitale che appena appena superava i limiti dell’ordinaria
sopravvivenza. Nelle nostre scorribande tra atti, scritture, diplomi, assemblee
comunali al suono della campanella quando la Matrice era appena una angusta
navata, e saremo più dettagliati appena ce ne capiterà l’occasione, un La Rocca
qui, un La Rocca fanno timido capolino e con tanta ritrosia spariscono dalla
scena sociale di una Racalmuto che i Galantuomini se li sceglie tra gli
stranieri, salvo qualche piccola eccezione, di solito dei don Calogero Sedara
che tra uno smercio agricolo riuscito ed un prestito usuraio andato a buon
fine, specie se collocano un figlio in seminario che arriva alla fine senza “spogliarsi”,
riescono a passare dalla categoria dei “mastri” a quella dei “don”. Di “don” i
La Rocca non ne annoverano nessuno. Successo ebbe nell’Ottocento la maestra La
Rocca (contro cui invero qualche strale velenoso ebbe a venir scoccato). Un mio
bisnonno, prima riuscì a espandersi in buone terre alla Culma e poi si afflosciò
per le mazzate economiche che si buscò tentando fortuna con miniere di zolfo,
tutte andate a male. Agli eredi – mi si dice – un certo notaio che il cognome
portava eguale al mancato protomedico a Napoli razziò parte di quelle terre (e
le migliori) nellostendere un testamento sul letto di morte di mio bisnonno ..
già morto.
Nel Cinquecento dunque, la famiglia La Rocca stava in una via
selettiva tra il medico Pietro Alaymo e i potenti Catalano. Forse reduci da
quella avara povertà di Catalogna, non dantesca ma sciasciana, codesti virgulti
di una sicuramente nobiltà venuta dalla lontana Spagna, misero le tende nell’imbocco
della odierna via Marco Antonio Alaimo. Una divisione episcopale del 1608 – se ben
letta – lo conferma. Accanto sorgeva la chiesa di Santa Rosalia che di sicuro
accoglieva fedeli e qualche cadavere prima della peste del 1624; quella chiesa custodì
poi qualche ossicino della Santuzza e divenne il santuario della neo patrona di
Racalmuto per volontà della parente del cardinale Doria, la vedova insomma di
quel Girolamo del Carretto schioppettato, se crediamo a Tinebra Martorana, a
E.N. Messana ed anche a Sciascia, morto invece nel suo letto ventiduenne per un
“morbo” che nelle mistificazioni dei padri Carmelitani divenne “occisus a servo”
da “occisus a morbo” qual era, se diamo credito al grande microstorico dottor
Calogero Taverna.
Il palazzotto dei Catalano vistoso ed imponente – ed i La
Rocca avevano disponibilità per abitarci vicino – si affacciava su una sorta di
piazza ove oggi passa il corso Garibaldi che noi ci ostiniamo a chiamare San Pasquale;
là bivaccano venditori che ostentavano la loro scarna mercanzia in cosiddette “potieddi”.
Così dicono le Carte della Matrice. Ma altre carte a Palermo di natura
impositiva, una sorta di raccolta delle moderne dichiarazione dei redditi ,
stanno belle e dormienti alla Gancia a Palermo. Nessuno ha voglia di andarle consultare.
I soldi servono per festeggiare a tarallucci spumante pizzette ed altre lecconerie scialbi snarnificatori di
alabastrini.
E qui noi facciamo un bel salto: scavalchiamo ben due secoli
di storia paesana e ci portiamo nell’anno 1795. La rivoluzione francese e quel
che ne segue son cose lontanissime dal magro vivere a Racalmuto. E’ miseria
nera. I preti manco più incassano le quarte parti dei funerali: seppelliscono “gratis
et amore Dei”. Cose carucce che non saranno storia narrabile a seguire Sciascia
che segue Castro ma sono lamenti che dopo secoli colpiscono e inducono alla
pietà pure tipacci come chi scrive. Nostri antenati piansero e si umiliarono
perché neppure il pane quotidiano avevano; il prete arrendatario
Savatteri-Brutto, pure li cuppiliddi di li picciliddi si andava a prendere per “recupero
crediti” ancora feudali.
La famiglia La Rocca si riduce ad un solo ceppo: Calogero La
Rocca che il precetto pasquale l’aveva diligentemente assolto altrimenti finiva
in quella “nota di quei che in quest’anno 1797 non hanno adempiuto il Precetto
Pasquale”, parola del “molto illustre d. Gaetano Mantione”. Che dopo te le
cantava anche in latino: “de quibus agitur ad iudicem laicalem”; in altri
termini se la vedesse il giudice laicale!
Il nostro Calogero La Rocca è sposato con Calogera ed ha
cinque figli: il dodicenne Giuseppe, Vincenza di 7 anni, ha sei anni Giovanni,
Maria Anna ce ne ha cinque e infine Francesco un anno.
Controllate la foto del foglio 77, prima colonna al settimo
nucleo familiare. Non è facile decifrare. La decadenza della famiglia in un
certo senso viene attestata dalla svogliatezza calligrafica del prete
amanuense. La famiglia La Rocca non sta più nella prestigiosa strada dei
Catalano e del medico Alaimo. Finisce in periferia; crediamo a San Francesco,
forse nell’attuale discesa ove i La Rocca vissero fino a qualche anni fa. Nel
1795 i preti numeravano 7620 anime.
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