Quando un rispettabilissimo discendente del grande
personaggio che fu tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento lu
zzi NUCU LA ROCCA mi chiese di farne la celebrazione STORICA, mi trovai in
qualche imbarazzo. Mi sono detto: e che scrivo? Se faccio la storia di famiglia
– anch’io per via di mia nonna materna vi appartengo – qualcuno mi direbbe lu sceccu ca s’avanta nun vali mancu un
sordu.
Vero è, ma il signor Nicolò La Rocca, castaldo dei nuovi
ricchi Nalbone (arrinanzati, direbbe
oggi Giovanni Salvo riportando il termine nei suoi corretti binari dopo le
deformazioni di Camilleri), è figura singolare. Già, potete notare la sua quasi
neoclassica gentilizia accanto a quella di quelli che furono i suoi fiducianti.
Come ciò ebbe a verificarsi non lo so. I signori di nuovo conio erano stullicusi; uno di loro più vanesio che
valoroso pretendeva il baciamani più e meglio di un vescovo. Questo mio zio
Nicolò – che molto apprezzava mio padre – se lo portò da codesti galantuomini;
codesto mio zio costrinse mio padre a baciare la mano al “commendatore" - che poi
commendatore non era, ma solo un insignito del Vaticano per atto di ruffianeria
di un padre gesuita nei confronti di colui che tutti credono – infondatamente - “papa
nero”. Alle proteste di mio padre, dopo, appena usciti per istrada, ma zzi Nicu rabbonisce
il mio contestatore genitore: lassa
perdiri, Pe’; tutti amma a campari!
Eppure la gentilizia arrogante accanto a lor signori gliela
lasciarono fare.
Mi sono detto: un testo di storia non posso scriverlo: non c’è
materia, ma una sorta di quadro paradigmatico di come si visse a Racalmuto, si
può. Tanti volumi persino si possono sfornare. Volumi no, ma post disordinati e
sbrindellati, sì.
Ne ho licenziati alcuni, continuo. Finché mi accorgo che mi
leggono perché no?
Orsù dunque, la famiglia La Rocca non fu mai né prolifica –
meno che alla fine dell’Ottocento - né egemone:
se la cavava. Per avere personaggi importanti dobbiamo arrivare alla seconda metà
del novecento quando un nipote diretto di ma zzi Nicu prese la laurea in
medicina a Palermo. Con un giovane dorato figlio del notabile medico don Lillì
Grillo aveva corso la cavallina nella depravata (per i ristretti ambiti
sessuofobi racalmutesi) Modena, dove io ebbi ad approdare il 31 gennaio 1960
(festa di San Geminiano) come segretario in esperimento della Banca d’Italia.
Ma Nicuzzu era dovuto già tornare in Sicilia e finalmente
conseguire la laurea a Palermo. La volitiva, una grandissima e bellissima donna
che da Grotte era trasmigrata a Racalmuto, moglie dell’unico figlio maschio di
ma zzi Nico, Luigi La Rocca, era riuscita finalmente a richiamare il figlio all’ordine, bloccando ogni acquiescenza ed indulgenza di
famiglia.
Qui si incontra (o si reincontra) con il molto assennato
giovane medico, il futuro professore Nalbone. Questi ha una rudimentale nuova
macchina che sprigiona raggi X che consentono di guardarti dentro e far
diagnosticare se ci capisci malattie nascoste nel ventre o nei polmoni. Nicuzzu
era stato requisito senza vocazione dal celebre Papa Nero per divenire padre
gesuita. Poté così fare ginnasio e liceo pressoché gratis – tanto da spingere un
malevolo Sciascia a certa facile ironia, trasfusa nelle celeberrime PARROCCHIE.
Pare che fosse bravo. Se ne uscì in tempo e come dissi andò a Modena per
godersi finalmente una bella e passionale libertà. Con quella macchina del
Nalbone mise sotto raggi una trentina di salinai, vi abbozzò una tesi che fece
bella figura alla laurea. Poi, divulgando magari segreti professionali in campo
della salute dei privati, Malgrado tutto ne ha fatto una pubblicazione come se
fosse un pamphlet dal bel titolo: il
dito nella piaga o qualcosa di simile. Questo non è un trattato storico e le
cose le scrivo così come mi vengono, o come le ricordo e soprattutto come me le
hanno raccontate.
A questo punto ho superato le seicento parole. Metto per ora
un codicillo quasi storico.
Nel 1618 a Racalmuto stanno a debita distanza, in una periferia
GERLANDA LA ROCCA, nella periferia opposta PAOLO LA ROCCA.
Debbo saltare al
1822 per trovare finalmente un La Rocca che si distingua: si tratta di Mastro Francesco La Rocca che coabita
con Vincenza La Rocca che ha tutta l’aria di essere una sorta di monaca di
casa, non posso dire orsolina, per veto temporale. Piluccando piluccando, mi
imbatto con una La Rocca sposata, ma è vedova; vedova di chi? di un tal Pomo
o è essa una Pomo che aveva sposato una La Rocca? le carte della Matrice le
appioppano un doppio cognome, la dichiarano vedova e la censiscono nel
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VINCENZA
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LIBERA
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QUARTIERE DI SAN SOTTO LA MATRICE
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GIUSEPPE
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Vicino agli altri due scarni nuclei familiari. Traggo questi
dati dai miei appunti, un profluvio. E qui li trascrivo così come ebbi ad
annotarli una ventina di anni fa.
6612
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LA ROCCA
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FRANCESCO
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MASTRO
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6616
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LA ROCCA
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VINCENZA
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LIBERA
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QUARTIERE SOTTO LA MADRICE DALLA PARTE DI DIETRO
QUARTIERE S. GIUSEPPE
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6671
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PITROTTO
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FRANCESCA
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VEDOVA
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6676
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POMO E LA ROCCA
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GERMANA
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VEDOVA
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6680
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POMO
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GIUSEPPE
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MASTRO
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ANNO 1618
LA
ROCCA GERLANDA
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LA
ROCCA PAOLO
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