Anno 1947, come erano teatro, badia, luminaria a Racalmuto?
Sciascia legge ancora Savarese, Cecchi, Barilli, scrittori “rondisti” per
“imparare a scrivere” e si esprime in forme che
Pasolini dichiara ipotattiche. A noi quello scrivere piace molto, vi
troviamo nostre assonanze, solo che già con le Parrocchie di Regalpetra quelle forme cadono e la grafia ora va “in
tutt’altra direzione”, mentre noi, presa la penna in mano in prossimità delle
quattro ventine, siamo vecchi di corpo e
di scrittura. Rondista è però Sciascia suadente nel descrivere quella vecchia
Racalmuto anni quaranta. Ecco in paese “un teatro illeggiadrito di stucchi in
svolazzi aurati: un gorgheggiante floreale che incastona simboliche immagini
libertarie un po’ dovunque sparse da un pennello facile. All’ingresso del
teatro, sotto una spessa lastra di cristallo, si decifrano ancora parole di non
so che lode, vergate a lapis da Andrea Maggi al tempo in cui era incomparabile
Cirano. Ma c’è nel teatro ormai illanguidito in luce di vecchia stampa, come in
ogni luogo che ricorda l’amministrazione di don Gaspare [e anche qui come dire
l’osannato Matrona n.d.r.], una
disperata e gelosa natura di capriccio che ancor più incancrenita rende la
miseria d’intorno”. Traggo da Fuoco nel
mare, pag. 161. In “scontrosa ricchezza” nell’Ottocento i “galantuomini
regalarono in mezzo a “povere case ammucchiate” il teatro per il raduno di
carrozze “di gusto eccessivo, o dimesso” da dove scendevano “donne rigide e sofisticate,
ragazze insignificanti come ragnatele”. Il dire ammiccante, quasi di peccaminoso
costume, appartiene ad un giovane Sciascia, da cui presto si allontana. E
quanto a storia o meglio cronaca qualche nota stridente avremmo voglia di
dettare.
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Eppure , ancor oggi vorremmo quell’acciottolato con gora
d’acqua “toggia”, magari per tornare ad avere spruzzi di fango sino al cavallo
dei pantaloni come capitava ai tempi della mia prima gioventù nell’andirivieni
da San Pasquale sino a San Grioli. Nostalgia per nostalgia, perché no?
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