Riporto anche qui uno stralcio di un documento del 1543 sulla Chiesa del Monte. Quarant'anni qualcuno dirà sono una eternità specie in quel primo secolo dell'era moderna, specie in Sicilia, specie in un paesino montano senza anima e senza cuore, decisamente smemorato. Da storico alquanto sgangherato sono io però meno assolutista, forse più avveduto, mi lusingo di essere più attento. Un miracolo così mirabolante come quello che il Catalanotto due secoli e mezzo dopo tratteggia con cauti versi in vernacolo e che il pomposo Caruselli tre secoli e mezzo dopo infioretta con ghiribizzi che neppure i nostrani letterati novecenteschi ardiscono, dunque dopo quattro diecine viene ignorato del tutto. Nessuna chiesa di Santa Lucia, nessun simulacro sull'altare maggiore. Chiedo ai professoroni del momento: è credibile? Possiamo essere seri, moderni, onesti? Ci costa tanto dichiarare la verità la più vera, documentata, documentabile. Nel 1503 nessuna Madonna ebbe a preferire Racalmuto a Castronovo. Si rasserenino i castronovesi. Seguiamo le nostre distinte ma non conflittuali strade. Se crediamo nella Madonna costei giammai osò preferire certe comunità di suoi diletti figli ad altra.
Era il 1543, l’undici luglio della prima Indizione; mons. Pietro di Tagliavia e d’Aragona svolge la sua visita pastorale a Racalmuto, come d’obbligo dopo il Concilio di Trento. Se ne stende un verbale che trovasi custodito encomiabilmente presso l’Archivio Vescovile di Agrigento – Sacre Visite. In dettaglio viene quindi tramandato (cfr. c. 191 e 192) che l’Ordinario, quanto di famiglia nobile ben si sa, delega il suo collaboratore agrigentino don Bartolomeo de Perinis ad ispezionare la chiesa – si badi bene al nome ed alla data – di Santa Maria del Monte, che interessa i controlli diocesani soprattutto per la sua confraternita. Val la pena di riportare testualmente il passo:
«Successive reverendus don Bartolomeus de Perinis, utriusque iuris doctus vicarius generalis dicti rev.mi visitavit ecclesiam Sancte Marie de Monte, in qua est confraternitas, cuius confraternitatis rectores sunt: magister Petrus Cachaturi (rectius Cacciatore), Petrus Vaccari, Mirardus de Agrò et Adarius Fanara et ipsimet sunt gubernatores; habent uncias quatuor, tarenos viginti sex in redditibus super diversis prediis et iussi sunt traddere legitimum inventarium dictorum reddituum. Eorum capellanus est presbiter Antoninus Sferraza, qui habet uncias duas a dictis confratribus et ipse tenetur in dicta ecclesia celebrare in qualibet edomeda missas tres, hoc est: singulis diebus dominis et festis, que sunt de precepto, in diebus mercurii et veneris et dicere officium cun confratribus; et in ea visitavit altare, quod invenit satis integrum cum altarecto integro, vidit calicem cum sua patena argenti et iussit refici patena. Vidit corporalia et alia iocalia et bona, que inventa sunt sicut in alia iuliana.» [1]
Era il 1543, l’undici luglio della prima Indizione; mons. Pietro di Tagliavia e d’Aragona svolge la sua visita pastorale a Racalmuto, come d’obbligo dopo il Concilio di Trento. Se ne stende un verbale che trovasi custodito encomiabilmente presso l’Archivio Vescovile di Agrigento – Sacre Visite. In dettaglio viene quindi tramandato (cfr. c. 191 e 192) che l’Ordinario, quanto di famiglia nobile ben si sa, delega il suo collaboratore agrigentino don Bartolomeo de Perinis ad ispezionare la chiesa – si badi bene al nome ed alla data – di Santa Maria del Monte, che interessa i controlli diocesani soprattutto per la sua confraternita. Val la pena di riportare testualmente il passo:
«Successive reverendus don Bartolomeus de Perinis, utriusque iuris doctus vicarius generalis dicti rev.mi visitavit ecclesiam Sancte Marie de Monte, in qua est confraternitas, cuius confraternitatis rectores sunt: magister Petrus Cachaturi (rectius Cacciatore), Petrus Vaccari, Mirardus de Agrò et Adarius Fanara et ipsimet sunt gubernatores; habent uncias quatuor, tarenos viginti sex in redditibus super diversis prediis et iussi sunt traddere legitimum inventarium dictorum reddituum. Eorum capellanus est presbiter Antoninus Sferraza, qui habet uncias duas a dictis confratribus et ipse tenetur in dicta ecclesia celebrare in qualibet edomeda missas tres, hoc est: singulis diebus dominis et festis, que sunt de precepto, in diebus mercurii et veneris et dicere officium cun confratribus; et in ea visitavit altare, quod invenit satis integrum cum altarecto integro, vidit calicem cum sua patena argenti et iussit refici patena. Vidit corporalia et alia iocalia et bona, que inventa sunt sicut in alia iuliana.» [1]
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