Ci si mette pure il Corriere della Sera , nella sua terza pagina " Ecco la vera Morte dell'Inquisitore " , ad ingarbugliarci la veridica storia di Racalmuto e a martorizzare la memoria di un nostro esemplare compaesano del Seicento il chierico Diego La Matina.
Si dirà: ma ci sono le nuove carte scoperte dal prof. Russi Sciuti. Sì, vero; ma quelle carte che dicono? che un tale manigoldo sedicente diacono a nome Diego La Matina riesce a farsi dichiarare di precaria salute nel carcere del Sant’Ufficio (udite, udite), marca visita, insomma, e quella terribile istituzione gli passa subito cibo speciale, mica stupidaggini, no: galline giornaliere (forse cotte nell’acqua e forse spennacchiate , ma sempre galline erano) e per tenere sù il malconcio trentenne gli danno anche la “sangria”. Forse l’amanuense è spagnolo e chiama sangria del vino comune, ma sempre vino dispensato in carcere, è. Il carcere, secondo il mio amico Piero Carbone non è del “Sant’Ufficio”; io non c’ero e non so nient’altro che quello che leggo anche in Sciascia: quel carcere lo rievoca per esserci morto bruciato (per un incendio fortuito) il grandissimo poeta dialettale Veneziano. Le carte di Russi Sciuti sono carte contabili: registrano il resoconto diligente e puntuale delle spese carcerarie. Siamo nel Seicento e quello che non mi pare si faccia molto bene nella Ragioneria comunale di Racalmuto ove i conti son tanto rappresi che rivenendo dal passato debiti abnormi non documentati, pietosamente commissari della speciale Corte dei Conti siciliani, per non mettere in fallimento il Comune li spalma per i prossimi dieci anni come se si trattasse di una società di calcio mettiamo di un magnate del calibro di Berlusconi: e per dieci anni ancora gli sperperi dei padri li pagheranno con lacrime e sangue gli innocenti figli racalmutesi. Ma perché tanta diligenza nei resoconti carcerari panormitani? Pensiamo perché qualcun altro pagava e voleva fare il debito controllo di “legittimità”. Mica allora era come per l’attuale fallito aeroporto di Racalmuto!
Ormai è un coro unanime di gagliardi racalmutesi che si vantano di essere dello stesso lignaggio del monaco agostiniano finto diacono; mettono persino una tronfia lapide marmorea a fianco del celeberrimo stazzuni dei Martorelli.
E così noi pensammo che il munifico dispensiere del criminale diacono racalmutese potesse essere il conte Giovanni del Carretto che se ne stava tronfio a Palermo a complottare contro il re di Spagna così per gioco o per noia. Ma si dà il caso che quel dissennato conte finì lui sulla forca non scappando in tempo come gli altri suoi sodali più furbi e di maggior grado; quindi negli anni delle vivande a base di gallina e sangria i fondi non potevano venire dal conte Giovanni del Carretto perché questo era stato giustiziato già nel 1650.
Allora abbiamo pensato che potesse esserci lo zampino del medico Alaimo di nome Marco Antonio. Era di casa fra i gesuiti e quelli contavano tanto. Non è vero che fosse protomedico , ma il numero due lo era e poi aveva testimoniato inventando miracoli (invero comici) per far beatificare il padre La Nuza di Licata. Il processo resta là, negli archivi segreti vaticani, in sospeso perché dopo che l’ufficio d’oltre Tevere ebbe tanti quattrinelli bloccò ogni cosa perché si trattava di un figlio illegittimo e di un consacrato al Signore, anche se spagnolo molto nobile. Marco Antonio Alajmo – racalmutese puro sangue – una qualche parola propiziatoria poteva bene spenderla per questo suo compaesano e poteva fare un falso certificato medico per fargli avere i benefici di legge, visto che poi non era manco ostativo come il mio caro amico Alfredo Sole.
Ma era racalmutese davvero quel dannato là – fuoriuscito e scorridore di campagna; malvagio, heretico formal, reincidivo, homicida, superstizioso, malefico, temerario ,empio; e di non udite malvagità che per modestia si tacciono (nefando, insomma, come dire alla romana ‘rricchione); eretico non solo, e dommatista, ma di sfacciatissime innumerabili eresie svergognato, e perfido difensore; apostata, idolatra, blasfemo, malefico, superstizioso, eretico dommatista e sentina pestilentissima di più orrendi delitti – poteva essere davvero così un racalmutese che era stato cresciuto cristianamente e piamente da quella santa donna di Suor Francesca Randazzo, terziaria carmelitana in vecchiaia, che gira e rigira è mia antenata per linea materna? Come racalmutese di prischissima data non ho poi tanta voglia di addossarmelo, specie in questi tempi, specie adesso che per decisione di una ministra socia onoraria del Circolo Unione ho la taccia di essere uno della congrega mafiosa infiltratasi ladronescamente nel Consiglio Comunale di Racalmuto.
E poi chi l’ha detto che quel lestofante là era racalmutese? Certo in un recentissimo libro – un libro intero – un ex prete dubbi non ha; anzi accomuna anche i La Matina Calello tra i lestofanti del Seicento racalmutese (ma buon per lui che avvocati di grossissimo valore con quel rispettabilissimo cognome oggi hanno altre gatte da pelare che far querela per cose di quasi mezzo millennio fa).
E tutto perché Sciascia, calligrafico eccelso, ma storico alquanto claudicante, ebbe a scrivere: ‘Il tenace concetto: è detto bene. Bisogna convenirne: questo padre Matranga, che scrive da cane, la penna gli si affina, gli si fa precisa ed efficace, appena tocca della forza e resistenza di fra Diego’.
Beh! Siamo sinceri: il Matranga non voleva dire quello che Sciascia gli vuol far dire. Per il Matranga, fra Diego era ”uomo veramente di sasso”, come dire uno che testardo più di un mulo si incanaglisce in una blasfema eresia. Tenace sta qui per pervicace, insolente, anche un po’ cretinetto “concetto”, semmai la penna al Matranga più che affinarsi si appanna.
Che i Racalmutesi siamo saccenti, tetragoni ad ogni verità che non ci aggrada, è cosa vecchia. Il mio amico Sole sta passando i guai sol perché beffardamente ha voglia di indossare ed ostentare alle guardie una maglietta con su scritto: Io amo l'Ergastolo.
Leggo, deliziandomi in Fuoco nel mare, sempre di Sciascia, quanto riesce ad essere sfrontato un racalmutese immigrato a Roma: credo si tratti di un Lillo azzimato ganimede degli anni fine cinquanta, aggirantesi, dice Nanà, attorno a Chiesa Nuova e per noi gravitante nella famosa via di Governo Vecchio, fluente nell’ampia Piazza Navona da un albergo che va raccontato, l’albergo SOLE.
Leggo, deliziandomi in Fuoco nel mare, sempre di Sciascia, quanto riesce ad essere sfrontato un racalmutese immigrato a Roma: credo si tratti di un Lillo azzimato ganimede degli anni fine cinquanta, aggirantesi, dice Nanà, attorno a Chiesa Nuova e per noi gravitante nella famosa via di Governo Vecchio, fluente nell’ampia Piazza Navona da un albergo che va raccontato, l’albergo SOLE.
Il Matranga considera il La Matina nient’altro che un povero cocciuto. E Fra Diego al patibolo andò non per il suo “tenace concetto” ma per avere ammazzato, trucidato l’equivalente dell’odierno direttore di un carcere duro. Provate a strozzarlo e l’ergastolo non ve lo leva nessuno, e chi vive quella allucinante sventura afferma che l’ergastolo è venire giustiziato una volta al giorno finché vivi: il gusto di uno Stato sadico che ti fa vivere per una fine pena mai e così mandarti a morte infinite volte. Meglio la pena di morte. Una morte che giunge come pena una sola volta. Me ne scrive Alfredo e Cristo se ha ragione!
Non sono orgoglioso quindi di essere conterraneo di un frataccchiuni di “tenace concetto”. Ma chi dice che Diego La Matina era quel bambinello che “nella Chiesa dell’Annunziata di Racalmuto fu battezzato il 15 di marzo del 1622” ? Diciamo subito che risultando a noi che quel bambinello era nato a lu chianu di li Strauli, dovette essere battezzato nella chiesa di San Giuliano per una strana ripartizione in due parrocchie di questo nostro paese natio.
Ne abbiamo scritto a iosa, ma dopo che Sciascia diede l’anima a Dio. Rettifichiamo poi l’anno: era il 1621 e non 1622. Una copia in brutta ed una in bella non lasciano dubbi nell’archivio parrocchiale di Racalmuto. Questa di Sciascia è dunque una ‘strammaria’ : Il padre Girolamo Matranga .. ignorava questa storia: ché avrebbe saputo trarre brillanti considerazioni dal fatto che un parricidio, del servo verso il signore, era stato consumato nel luogo e nel tempo in cui il parricida era nato.
Ne abbiamo scritto a iosa, ma dopo che Sciascia diede l’anima a Dio. Rettifichiamo poi l’anno: era il 1621 e non 1622. Una copia in brutta ed una in bella non lasciano dubbi nell’archivio parrocchiale di Racalmuto. Questa di Sciascia è dunque una ‘strammaria’ : Il padre Girolamo Matranga .. ignorava questa storia: ché avrebbe saputo trarre brillanti considerazioni dal fatto che un parricidio, del servo verso il signore, era stato consumato nel luogo e nel tempo in cui il parricida era nato.
E no, caro Nanà: il fatto cui alludi sarebbe avvenuto nel maggio del 1622 e Diego aveva già più di un anno. Non è per nulla poi certo che Girolamo del Carretto sia morto in quel giorno che tu scrivi; in Matrice l’atto di morte dice cosa diversa.
Neppure sappiamo con certezza che sia stato un servo ad uccidere il conte: questo lo dice un altro frate che scrive (o trascrive male) in un cartiglio che si conservava nel grifagno avello del Carmelo «occisus a servo»; ma a nostro avviso è un travisamento di un originale che recitava «occisus a morbo». Lo desumiamo da tanti piccoli segni ma non siamo tanto saccenti da affermarlo con certezza: finché mancano carte specifiche, il silenzio mi si addice.
Neppure sappiamo con certezza che sia stato un servo ad uccidere il conte: questo lo dice un altro frate che scrive (o trascrive male) in un cartiglio che si conservava nel grifagno avello del Carmelo «occisus a servo»; ma a nostro avviso è un travisamento di un originale che recitava «occisus a morbo». Lo desumiamo da tanti piccoli segni ma non siamo tanto saccenti da affermarlo con certezza: finché mancano carte specifiche, il silenzio mi si addice.
Tralascio altre faccende anagrafiche: me le riservo per altra occasione.
La grande occasione che ci stiamo trascinando sino a questo punto è che gli atti della Matrice attestano la presenza a Racalmuto di un pio chierico, che regolarmente si è confessato e comunicato nella Pasqua del 1664 (dico milleseicentosessantaquattro, magari a rettifica di un mio precedente errore). Quel chierico si chiamava Diego la Matina e non poteva essere altri se non quel piccolo La Matina battezzato nel 1621 e che a 15 anni scorrazzava a lu chianui di li Strauli. Non ci credete? smentite questa registrazione:
con accredito certo l’ex prete che avrebbe la pretesa di sbriciolare Sciascia in forza del testo di Sciascia. Del resto né l’ex prete (con supponenza) né Sciascia dicono cose esatte, manco a proposito del coetaneo (aveva cinque anni di più) il reverendo padre don Federico La Matina (Calello). Dovremmo dilungarci e spiegare che lì il nefando fu un vescovo mons. Traina, personaggio che espunto dal Seicento e portato da Camilleri nel Settecento, avversa il Re di Girgenti. Davvero daremmo ragione ad un mio caro amico critico, il comunista con i baffetti Totò Sardo che teme che, andando di questo passo ,do “l’impressione di voler svolgere a tutti i costi il ruolo del bastian contrario e del saccente arrogante” giacché così finisco con “attirare su di me le antipatie di chi crede di possedere le chiavi della nostra microstoria”. Sottoscrivo. Ed allora cosa faccio? Sapendo, me ne sto zitto. Spesso ci provo, ma non ci riesco.
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