I DEL CARRETTO (parte seconda)
Il diploma prosegue:
"Item peti chi lu dictu misser Mattheu haia tutti li beni li quali ipso et so soru [2] havj a Malta". Placet.
Notiamo il fatto che Matteo aveva anche una sorella con la quale condivideva proprietà a Malta.
Item peti "Lu dictu misser Mattheu chi in casu chi, perchi ipso si reduci ala fidelitati, li soi casi, jardini oy vigni chi fussero guastati oy tagliati, chi lu ditto serenissimo inde li faza emenda supra chilli chi li farranno lo dannu oy di li agrigentani". Placet.
E’ uno squarcio altamente rivelatore: Racalmuto dunque era stato assediato e assoggettato ad angherie militari come saccheggi e distruzioni. Case, giardini e vigne del barone erano stati oltremodo danneggiati (“guastati”, alla siciliana, recita il testo). Se ne attribuisce la colpa agli agrigentini.
Item peti "lu ditto misser Mattheu chi in casu chi lu so castello si desabitassi chi quandu fussi la paci li putissi constringiri a farili viniri a lu so casali." Placet.
Il feudo di Racalmuto si era spopolato, dunque. Tanti villani erano fuggiti; la servitù della gleba - allora sotto diversa forma drammaticamente imposta - aveva trovato uno spiraglio per empiti di libertà. Con la forza, ora il barone poteva andare all’inseguimento di quei fuggiaschi e ricondurli alle pesanti fatiche del lavoro dei campi coatto.
Remictimus et gratiose relaxamus Matteo preditto omnem penam, culpam et offensam, dolum, delictum, fraudem, malitiam et omnem crimen et spetialiter crimen lese maiestatis in omnibus suis capitulis, depradationes, dampna homicidia et robberias et omnem culpe causam que prefatus Mattheus commiserit hactenus et perpetraverit, quesiverit et ordinaverit motu proprio vel alieno, tam contra personas quam contra statum nostrarum maiestatum, nec non contra consiliarios nostros atque fideles et vassallos atque extraneos et loca fidelia serenitatis nostre, parcentes et indulgentes ipsi Mattheo eius uxori et filijs, familiaribus et domesticis suis ac restituentes eosdem ad statum pristinum et honores et famam integram tam quo ad personam quam etiam ad baronias et omnia bona feudalia et burgensatica ubique existentia mobilia et immobilia, et specialiter ad terras et castra predictorum Rachalmuti et ad jura et actiones sibi hactenus competentes et ad bona omnia quocumque nomine censeantur, que omnia etiam si opus est de novo conferimus, concedimus et donamus prefato Mattheo et suis heredibus in perpetuum, eo modo et sub illis oneribus et servitijs quibus ea tenebat et possidebat ante perpetrationem criminis supraditti; donationibus, concessionibus et alienactionibus quibuscumque de bonis ipsis aut alterius ipsorum alicui per nostras serenitates factas quas de certa nostra scientia plena concientia et absoluta potestate pro bono pacis et beneficio publico revocamus, irritamus et penitus anullamus, obsistentibus nullo modo posito etiam quod in prefatis nostris concessionibus sit adietta clausula remissionis fatta et fienda non obstante, vel eciam si in illis nostris concessionibus diceretur quod quecumque remissio non preiudicet illis nisi in ea ponantur forma dittarum concessionum de verbo ad verbum vel forte alia formula verborum sub quacumque conceptione verborum sit in illis [3] apposita, quibus clausulis derogamus expresse de conscientia nostra et plenitudine potestatis regie annullamus etiam et irritamus omnes sententias, editta de certa etiam iuditia contra ipsum Mattheum edita, lata et promulgata per magnam regiam curiam de crimine lese maiestatis ac si contra eumdem numquam prolata fuisset.
Questa la formula assolutoria, ampia, faconda, omnicomprensiva, rassicurante. Ancora una volta ci domandiamo: quanto è costata? Chi ha pagato? Quale ripercussione sulle esauste finanze racalmutesi?
Insuper confirmamus, laudamus et approbamus ditto Mattheo omnia et singula privilegia per nos seu predecessores nostros eidem Mattheo vel suis concessa seu indulta sub servitijs et conditionibus contentis in eis et quolibet eorumdem ac etiam expressatis iuxta modum et formam capitulorum predittorum et responsionum per nos fattarum eisdem ut superius continetur, nostris tamen et alterius iuribus semper salvis.
La chiosa finale è ulteriormente munifica per l’avventuriero ligure che prende inossidabile possesso delle nostre terre, dei nostri antenati, della giustizia che è possibile praticare nelle plaghe del nostro altipiano. Storia appena “descrivibile” per Sciascia: materia di riprovazione politica ed accensione passionaria per noi. Sciascia non amava i sentimenti (forse faceva eccezione per i risentimenti). Più che per il “tenace concetto” (che poi era solo testardaggine) di fra Diego La Matina, gli stilemi sciasciani avrebbero avuto più valore civico se rivolti a stigmatizzare questo trecentesco impossessamento dei liguri del Carretto di noi tutti racalmutesi.
Non tutto è negativo però nella storia di Matteo del Carretto: pare che s’intendesse di letteratura e addirittura di letteratura francese (sempreché questo vuol dire un ordine ricevuto da Martino nel 1397). Ne parla Eugenio Napoleone Messana; ma la fonte è Giuseppe Beccaria [27] che ha modo di narrare:
«Costoro [armate spagnole guidate da Gilberto Centelles e Calcerando de Castro] e con cui era anche Sancio Ruis de Lihori, il futuro paladino della seconda moglie di Martino, la regina Bianca, approdavano in Sicilia nello scorcio del 1395; e nel 1396 ultima a cedere tra le città appare Nicosia, ultimo tra i baroni Matteo del Carretto, signore di Racalmuto [pag. 17] ...
Il 5 giugno, infatti, nel 1397 egli [il re] scriveva da Catania a un certo Matteo del Carretto chiedendogli in prestito la Farsaglia di Lucano in lingua francese, di cui costui teneva un bello esemplare, allo scopo di leggerla e studiarla e metterne a memoria alcune delle storie.»
[Documenti pag. 97 - I (F.72 e segg.) - 5 giugno 1397.]
Rex Siciliae etc. Consiliare noster, La nostra maiestati ha gran plachirj di exercitarj et legirj lucanu in franciscu, maxime per mectirini a menti alcunj di li storj; et, certificati ki vui vi haviti unu bellu et utilj, per li presentj vi pregamu effectuare ki nj dijati complachirj et mandarinj lu dictu lucanu, et di zo plachiriti la excellentia nostra.
Data Cattanie sub nostro sigillo secreto quinto Junij, quinte indictionis. Post datam. Vi diclaramu ki per portari lu dictu libru vi mandamu lu purtaturj di la prisenti, cum lu qualj nj mandiriti lu dictu libru. Data ut supra.
Dirigitur matheo de carrecto.
Dominus rex mandavit mihi notaro furtugno.
(Registro - Lettere Reali, num. I anni 1396-97, Vª Ind. - Archivio Stato Palermo)
Matteo del Carretto ebbe quindi a subire le vessazioni della curia che non voleva riconoscergli i titoli nobiliari che i Martino in un primo momento sembravano avergli consentito. E’ costretto a scomodare il fratello Gerardo della lontana Genova, notai di Agrigento, deve oliare abbondantemente le ruote della corte e quando sta per riuscire nell’impresa ecco arrivare la morte. Tocca al figlio Giovanni I continuare le beghe legali. E se in un atto del 13 aprile del 1400 il barone capostipite appare ancora in vita, il 22 agosto del 1401 risulta già defunto. Gli succede Giovanni I del Carretto
GIOVANNI I DEL CARRETTO
Nato nella seconda metà del Trecento, muore attorno al 1420: eredita dal padre la baronia di Racalmuto quando ancora irrisolti erano certi inceppi giuridici che la corte frapponeva, e riesce a definirli. Con lui non vi sono più dubbi che Racalmuto è feudo dei del Carretto: manca però un tassello; non è certo se spetti a questi trapiantati liguri il sovrano diritto del mero e misto impero. La questione si riproporrà a fine ’500. Apparentemente risolta a favore dei del Carretto, saranno preti irriducibili quale il Figliola e l’arciprete Campanella che la revocheranno in dubbio nella seconda metà del ’Settecento e l’avranno vinta, forse perché allora spirava l’aria illuminista del viceré Caracciolo.
Nel processo d’investitura del successore di Giovanni, Federico del Carretto, abbiamo dati alquanto biografici di questo barone di Racalmuto. Vi si legge tra l’altro:
dictus quondam magnificus dominus Mattheus de Garrecto et quondam magnifica domina Alionora fuerunt et erant ligitimi maritus et uxor ex quibus iugalibus natus et procreatus fuit magnificus quondam dominus Joannis de Garrecto qui subcessit in dicto casali et castro Rayalmuti tamquam filius legitimus et naturalis percipiendo fructus reditus et proventus usque ad eius mortem et de hoc fuit vox notoria et fama publica et ..
Giovanni del Carretto nasce dunque da Matteo ed Eleonora del Carretto; da una certa Elsa procrea quello che sarà l’erede nella baronia Federico del Carretto.
Fu un legittimo matrimonio? La formula del processo non lascia adito a dubbi (filius legitimus et naturalis) ma un vallo di tempo troppo lungo (dalla presunta morte di Giovanni I attorno al 1420 alla data del processo d’investitura di Federico caduta nel 1452 passano ben 32 anni) genera incertezze, specie se si dà credito allo Bresc che vuole la nostra baronia passata di mano agli Isfar, sia pure per una inverosimile dissipazione dei beni da parte di un Giovanni I del Carretto, inopinatamente divenuto sperperatore delle proprie fortune.
Dagli archivi di Stato di Palermo emerge il ruolo di Giovanni I del Carretto nella gestione della baronia racalmutese: in data 17 agosto 1401 giungeva una lettera ([28]) da Catania per la sistemazione delle pendenze fiscali.
Martino segnalava che era stata fatta un’inchiesta tributaria relativa ai riveli ed alle decime per il tramite di Mariano de Benedictis. Questa la situazione del giovane barone di Racalmuto: v’era la successione della baronia da Matteo al medesimo Giovanni I; al contempo si erano accumulate due annualità scadute, quella relativa alla settima indizione (1399) e l’altra riguardante l’ottava (1400), nonché quella in corso (1401); ne conseguiva un carico di 40 once d’oro. Il diploma che ha il sapore di una quietanza attesta che la posizione è stata sistemata come segue: 30 once in contanti e dieci a compensazione di un mutuo a suo tempo approntato da Matteo del Carretto alla curia regale.
Nella «Storia di Sicilia» vol. III, Napoli 1980, pag. 503-543 Henri Bresc scrive (sia pure in una traduzione dal francese rinnegata) : «Il basso costo della terra - che si segue sulla curva dei prezzi medi dei feudi venduti dalla nobiltà - obbliga ad un indebitamento sempre più pesante ed ad una gestione molto rigorosa del patrimonio residuo. E ci si avvia all’intervento della monarchia e della classe feudale nell’amministrazione dei domini fondiari e delle signorie: Giovanni del Carretto è così privato nel 1422 della sua baronia di Racalmuto, affidata in curatela a suo genero Gispert Isfar, già padrone di Siculiana». Non viene però citata la fonte, per cui la notizia va presa con le molle.
Nella nuova opera, invece, “Un monde etc” altrove citata, vi è qualcosa in più: viene precisata la fonte.
Racalmuto viene menzionato a pag: 64; 798; 803; 880; 893. La sua baronia a pag: 417 e 872. L’argomento che qui interessa è trattato a pag. 880. La parte narrativa non mi pare fraintesa dal traduttore del 1980. In francese, recita: «La baisse du prix de la terre - que l’on suit sur la courbe des prix moyens des fief vendus par la noblesse - oblige à un endettement toujours plus grave et à une gestion très rigoureuse du patrimoine résiduel. Et l’on s’achemine vers l’intervention de la monarchie et de la classe féodale dans l’administration des domaines fonciers et des seigneuries: Giovanni Del Carretto est ainsi dépouillé en 1422 de sa baronnie de Racalmuto, confiée en curatelle à son gendre Gispert d’Isfar, déjà maître de Siculiana.» E qui la nota che non trovasi nel testo del 1980: «ACA Canc. 2808, f. 54: le bon baron vivait joyeusement, et mangeait son blé en herbe, ce qui passe, aux yeux de l’avide catalan, pour “simplicitat ... fora de enteniment rahonable”». [Per ACA Canc. s’intende: “Archivio de la Corona de Aragòn, Barcellona - Cancileria. Il fondo 2808 riguarda: Comune Siciliae, n.° 2801 à 2880 (1416-1458) op. cit. pag. 29]. Sarebbe da rintracciare quel foglio 54 al fine di ben ricostruire questa vicenda della curatela della baronia di Racalmuto affidata a Gispert d’Isfar.
Una quadratura del cerchio noi la tentiamo pur sapendo che è molto sdrucciolevole: forse attorno al 1420 Giovanni I del Carretto cessò di vivere lasciando piuttosto imberbe il suo primogenito Federico. Gispert Isfar, l’intraprendente genero brigò facendo apparir miseria là dove non c’era per sottrarre l’eredità e la successione baronale di Racalmuto alle pesanti tassazioni spagnole (donde gli incerti diplomi appena abbozzati dal Bresc). Resta anche saliente il fatto che il caricatoio di Siculiana, antico retaggio dei del Carretto, passa di mano e finisce in preda degli Isfar (una dote della figlia di Giovanni del Carretto o un’usurpazione avallata da Barcellona?).
FEDERICO DEL CARRETTO
Singolare quel nome che come quello di Ercole figura una sola volta nella genealogia dei baroni del Carretto di Racalmuto. Di Federico del Carretto abbondano però le cronache agrigentine, ma trattasi di figure dei vari rami cadetti.
Non possiamo revocare in dubbio che sia il figlio legittimo e naturale di Giovanni I del Carretto. Con Federico si iniziano i processi palermitani dell’investitura del titolo feudale di Racalmuto e lì - in diplomi a ridosso degli eventi - la sequenza genealogica è indubitabile (come abbiamo visto dai passi in latino sopra riferiti).
“Filius legitimus et naturalis” di Elsa e Giovanni I del Carretto; non manca del requisito della primogenitura maschile come imposto dal diritto feudale dell’epoca [29]. Giovan Luca Barberi - quanto pignolo Dio solo sa - non ha dubbi ed avalla l’investitura nei seguenti termini:
«E morto Giovanni, successe Federico del Carretto, suo figlio primogenito, legittimo e naturale, il quale Federico ottenne dal condam Simone arcivescovo palermitano l’investitura della detta terra per sé ed i suoi eredi sotto vincolo del consueto servizio militare e con riserva dei diritti della regia curia e delle costituzioni del signor Re Giacomo e degli altri predecessori regali edite sui beni demaniali, come risulta nel libro grande dell’anno 1453 nelle carte 565. » [30]
Nel 1410 la Sicilia visse la svolta del vuoto di potere determinatosi per il decesso senza eredi legittimi dei due Martino e subì i traumi dell’interstizio determinato dalla contrastata reggenze della regina Bianca. Con il 1416 si apre la lunga gestione di Alfonso d’Aragona che dura ben 42 anni. Ed è verso la fine del regno alfonsino che Federico del Carretto s’induce a sborsare i quattrini per avere il riconoscimento della baronia di Racalmuto. Alfonso d’Aragona gli accorda quella investitura ma a queste condizioni:
n presti il cosiddetto servizio militare e cioè corrisponda 20 once ogni anno;
n renda l’omaggio nelle forme solenni del tempo;
n restino salvi i diritti di legnatico dei cittadini racalmutesi;
n e del pari restino riservate alla Corona le miniere, le saline, le foreste e le antiche difese;
n resti salvaguardata la libertà di pascolo nel casale e nell’annesso feudo per gli equipaggiamenti regi.
Per il resto possesso assoluto sino al mare.
Una cosa è certa; Federico del Carretto era saldamente insediato nella baronia di Racalmuto ben prima che avesse l'investitura da Alfonso d'Aragona l'11 febbraio 1453. Reperibile presso l'archivio di Stato di Palermo il contratto che lo vedeva associato nel 1451 con Mariano Agliata per uno scambio di grano delle annate del 1449 e 1450 contro quello di Girardo Lomellino consegnabile a luglio E il Bresc [op. cit. pag. 884] commenta: «ce qui permet une fructueuse spéculation de soudure». In termini moderni si parlerebbe di forward in grano. La domiciliazione sarebbe stata pattuita presso il "Caricatore" di Siculiana. Fonte citata: ASP ND G.Comito; 18.1.1451, cioè Archivio di Stato di Palermo - Notai Defunti - Giacomo Comito (1427-1460) - n.° 843 a 850
Sempre il Bresc fornisce nella citata opera un'altra interessante notizia. Secondo quello che appare nella tavola n.° 200 di pag. 893, Federico del Carretto sarebbe stato coinvolto in una rivolta antifeudale estesasi anche a Racalmuto. Questa volta la fonte citata è un libro: «Luigi Genuardi, Il Comune nel Medio Evo in Sicilia, Palermo, 1921».
GIOVANNI II DEL CARRETTO
La rivolta a Racalmuto del 1454 di cui parla il Genuardi dovette essere cosa seria se da quel momento sino al 1519 i processi d’investitura tacciono.
Dalla ficcante indagine del Barberi sappiamo - e non c’è motivo per dubitarne - che a Federico successe Giovanni II del Carretto. Non sappiamo quando e come. Il Baronio, lo storico di famiglia del Carretto del 1630, ne sa ben poco: «Ioannes natus maior, cum familiam rebus praeclare gestis aeternitati commendasset. Herculem, ac Paulum habuit sibi, nec maioribus dissimilem suis. In unoquoque semper avitae nobilitatis fulgor eluxit.» Parole di circostanza per colmare evidenti carenze di notizie. Quali siano quelle gesta che affidarono la famiglia alla memoria dei tempi futuri, non ci dice e noi non ne abbiamo nessuna ... memoria. Accontentiamoci del fatto che fosse il figlio maggiore [natus maior] e che avesse partorito il successore Ercole, il celebre falso conte della venuta della Madonna del Monte, e Paolo di cui gli archivi vescovili di Agrigento ci hanno tramandato qualche dato sulla sua litigiosità con i sindaci di Racalmuto [31].
Apprendiamo dalla valida ricerca del Sorge su Mussomeli [32] che «lu fegu di Rabiuni lu teni lo Mag.co Baruni di Regalmuto per anni ... vinduto per lo Mag.co Signuri Pietro lo Campo unzi trentacincho, uno vitellazzo, una quartara di burru, uno cantaro di formaggio.»
Quando sia avvenuta quella vendita non sappiamo; il rendiconto è del 1486 e come si è visto, non è neppure detto a quali precedenti anni si riferisse la vicenda di cui alla posta contabile. Da quel che si legge nel Sorge (op. cit. pag. 209 e segg.) potrebbe trattarsi degli anni attorno all’11 ottobre 1467 (data in cui “venne stipulato il contratto col quale il procuratore di Ventimiglia rivendette a Pietro Del Campo la baronia di Mussomeli, col suo castello ...”). Le nostre successive indagini presso gli Archivi di Palermo (in particolare “Archivio Campofranco, Fatto delle cose notabili etc.” e “Conservatoria, Privilegia, confiscationes bonorum et investiturae, 1459 e 1489, foglio 536”, di cui in Sorge) non ci hanno sinora consentito di chiarire alcunché quanto ai del Carretto e specificatamente a chi si riferisse l’atto di vendita del feudo Rabiuni di Mussomeli. Azzardiamo il nome di Federico del Carretto. Sembra dunque appurato che dal 1459 al 1489 la famiglia del Carretto di Racalmuto si sia bene ripresa dalla crisi del 1454 ed abbia avuto fondi sufficienti per acquistare il costoso feudo Rabiuni di Mussomeli e mantenerlo anche se notevolmente oneroso. Del resto, in quel tempo, Racalmuto dovette divenire un centro di abbienti: nello stesso “conto del segreto Bonfante del 1486” (di cui in Sorge pag. 386) si accenna al possesso feudale di un altro racalmutese. «Lu fegu di Santu Blasi - vi si annota - lu teni Mazzullo di Alongi di la terra di Regalmuto per anni 3 videlicet quinte Ind. 6 Ind. e 7 Ind. et pri unzi quattordichi quolibet anno uno crastatu, uno cantaro di formaggio, et una quartara di burru quolibet anno da pagarsi la mitati a menzu Septembru et la mitati a la fera di Santu Juliano intentendosi quindici anni primi poi di Pasqua.» [33]
Il diploma prosegue:
"Item peti chi lu dictu misser Mattheu haia tutti li beni li quali ipso et so soru [2] havj a Malta". Placet.
Notiamo il fatto che Matteo aveva anche una sorella con la quale condivideva proprietà a Malta.
Item peti "Lu dictu misser Mattheu chi in casu chi, perchi ipso si reduci ala fidelitati, li soi casi, jardini oy vigni chi fussero guastati oy tagliati, chi lu ditto serenissimo inde li faza emenda supra chilli chi li farranno lo dannu oy di li agrigentani". Placet.
E’ uno squarcio altamente rivelatore: Racalmuto dunque era stato assediato e assoggettato ad angherie militari come saccheggi e distruzioni. Case, giardini e vigne del barone erano stati oltremodo danneggiati (“guastati”, alla siciliana, recita il testo). Se ne attribuisce la colpa agli agrigentini.
Item peti "lu ditto misser Mattheu chi in casu chi lu so castello si desabitassi chi quandu fussi la paci li putissi constringiri a farili viniri a lu so casali." Placet.
Il feudo di Racalmuto si era spopolato, dunque. Tanti villani erano fuggiti; la servitù della gleba - allora sotto diversa forma drammaticamente imposta - aveva trovato uno spiraglio per empiti di libertà. Con la forza, ora il barone poteva andare all’inseguimento di quei fuggiaschi e ricondurli alle pesanti fatiche del lavoro dei campi coatto.
Remictimus et gratiose relaxamus Matteo preditto omnem penam, culpam et offensam, dolum, delictum, fraudem, malitiam et omnem crimen et spetialiter crimen lese maiestatis in omnibus suis capitulis, depradationes, dampna homicidia et robberias et omnem culpe causam que prefatus Mattheus commiserit hactenus et perpetraverit, quesiverit et ordinaverit motu proprio vel alieno, tam contra personas quam contra statum nostrarum maiestatum, nec non contra consiliarios nostros atque fideles et vassallos atque extraneos et loca fidelia serenitatis nostre, parcentes et indulgentes ipsi Mattheo eius uxori et filijs, familiaribus et domesticis suis ac restituentes eosdem ad statum pristinum et honores et famam integram tam quo ad personam quam etiam ad baronias et omnia bona feudalia et burgensatica ubique existentia mobilia et immobilia, et specialiter ad terras et castra predictorum Rachalmuti et ad jura et actiones sibi hactenus competentes et ad bona omnia quocumque nomine censeantur, que omnia etiam si opus est de novo conferimus, concedimus et donamus prefato Mattheo et suis heredibus in perpetuum, eo modo et sub illis oneribus et servitijs quibus ea tenebat et possidebat ante perpetrationem criminis supraditti; donationibus, concessionibus et alienactionibus quibuscumque de bonis ipsis aut alterius ipsorum alicui per nostras serenitates factas quas de certa nostra scientia plena concientia et absoluta potestate pro bono pacis et beneficio publico revocamus, irritamus et penitus anullamus, obsistentibus nullo modo posito etiam quod in prefatis nostris concessionibus sit adietta clausula remissionis fatta et fienda non obstante, vel eciam si in illis nostris concessionibus diceretur quod quecumque remissio non preiudicet illis nisi in ea ponantur forma dittarum concessionum de verbo ad verbum vel forte alia formula verborum sub quacumque conceptione verborum sit in illis [3] apposita, quibus clausulis derogamus expresse de conscientia nostra et plenitudine potestatis regie annullamus etiam et irritamus omnes sententias, editta de certa etiam iuditia contra ipsum Mattheum edita, lata et promulgata per magnam regiam curiam de crimine lese maiestatis ac si contra eumdem numquam prolata fuisset.
Questa la formula assolutoria, ampia, faconda, omnicomprensiva, rassicurante. Ancora una volta ci domandiamo: quanto è costata? Chi ha pagato? Quale ripercussione sulle esauste finanze racalmutesi?
Insuper confirmamus, laudamus et approbamus ditto Mattheo omnia et singula privilegia per nos seu predecessores nostros eidem Mattheo vel suis concessa seu indulta sub servitijs et conditionibus contentis in eis et quolibet eorumdem ac etiam expressatis iuxta modum et formam capitulorum predittorum et responsionum per nos fattarum eisdem ut superius continetur, nostris tamen et alterius iuribus semper salvis.
La chiosa finale è ulteriormente munifica per l’avventuriero ligure che prende inossidabile possesso delle nostre terre, dei nostri antenati, della giustizia che è possibile praticare nelle plaghe del nostro altipiano. Storia appena “descrivibile” per Sciascia: materia di riprovazione politica ed accensione passionaria per noi. Sciascia non amava i sentimenti (forse faceva eccezione per i risentimenti). Più che per il “tenace concetto” (che poi era solo testardaggine) di fra Diego La Matina, gli stilemi sciasciani avrebbero avuto più valore civico se rivolti a stigmatizzare questo trecentesco impossessamento dei liguri del Carretto di noi tutti racalmutesi.
Non tutto è negativo però nella storia di Matteo del Carretto: pare che s’intendesse di letteratura e addirittura di letteratura francese (sempreché questo vuol dire un ordine ricevuto da Martino nel 1397). Ne parla Eugenio Napoleone Messana; ma la fonte è Giuseppe Beccaria [27] che ha modo di narrare:
«Costoro [armate spagnole guidate da Gilberto Centelles e Calcerando de Castro] e con cui era anche Sancio Ruis de Lihori, il futuro paladino della seconda moglie di Martino, la regina Bianca, approdavano in Sicilia nello scorcio del 1395; e nel 1396 ultima a cedere tra le città appare Nicosia, ultimo tra i baroni Matteo del Carretto, signore di Racalmuto [pag. 17] ...
Il 5 giugno, infatti, nel 1397 egli [il re] scriveva da Catania a un certo Matteo del Carretto chiedendogli in prestito la Farsaglia di Lucano in lingua francese, di cui costui teneva un bello esemplare, allo scopo di leggerla e studiarla e metterne a memoria alcune delle storie.»
[Documenti pag. 97 - I (F.72 e segg.) - 5 giugno 1397.]
Rex Siciliae etc. Consiliare noster, La nostra maiestati ha gran plachirj di exercitarj et legirj lucanu in franciscu, maxime per mectirini a menti alcunj di li storj; et, certificati ki vui vi haviti unu bellu et utilj, per li presentj vi pregamu effectuare ki nj dijati complachirj et mandarinj lu dictu lucanu, et di zo plachiriti la excellentia nostra.
Data Cattanie sub nostro sigillo secreto quinto Junij, quinte indictionis. Post datam. Vi diclaramu ki per portari lu dictu libru vi mandamu lu purtaturj di la prisenti, cum lu qualj nj mandiriti lu dictu libru. Data ut supra.
Dirigitur matheo de carrecto.
Dominus rex mandavit mihi notaro furtugno.
(Registro - Lettere Reali, num. I anni 1396-97, Vª Ind. - Archivio Stato Palermo)
Matteo del Carretto ebbe quindi a subire le vessazioni della curia che non voleva riconoscergli i titoli nobiliari che i Martino in un primo momento sembravano avergli consentito. E’ costretto a scomodare il fratello Gerardo della lontana Genova, notai di Agrigento, deve oliare abbondantemente le ruote della corte e quando sta per riuscire nell’impresa ecco arrivare la morte. Tocca al figlio Giovanni I continuare le beghe legali. E se in un atto del 13 aprile del 1400 il barone capostipite appare ancora in vita, il 22 agosto del 1401 risulta già defunto. Gli succede Giovanni I del Carretto
GIOVANNI I DEL CARRETTO
Nato nella seconda metà del Trecento, muore attorno al 1420: eredita dal padre la baronia di Racalmuto quando ancora irrisolti erano certi inceppi giuridici che la corte frapponeva, e riesce a definirli. Con lui non vi sono più dubbi che Racalmuto è feudo dei del Carretto: manca però un tassello; non è certo se spetti a questi trapiantati liguri il sovrano diritto del mero e misto impero. La questione si riproporrà a fine ’500. Apparentemente risolta a favore dei del Carretto, saranno preti irriducibili quale il Figliola e l’arciprete Campanella che la revocheranno in dubbio nella seconda metà del ’Settecento e l’avranno vinta, forse perché allora spirava l’aria illuminista del viceré Caracciolo.
Nel processo d’investitura del successore di Giovanni, Federico del Carretto, abbiamo dati alquanto biografici di questo barone di Racalmuto. Vi si legge tra l’altro:
dictus quondam magnificus dominus Mattheus de Garrecto et quondam magnifica domina Alionora fuerunt et erant ligitimi maritus et uxor ex quibus iugalibus natus et procreatus fuit magnificus quondam dominus Joannis de Garrecto qui subcessit in dicto casali et castro Rayalmuti tamquam filius legitimus et naturalis percipiendo fructus reditus et proventus usque ad eius mortem et de hoc fuit vox notoria et fama publica et ..
Giovanni del Carretto nasce dunque da Matteo ed Eleonora del Carretto; da una certa Elsa procrea quello che sarà l’erede nella baronia Federico del Carretto.
Fu un legittimo matrimonio? La formula del processo non lascia adito a dubbi (filius legitimus et naturalis) ma un vallo di tempo troppo lungo (dalla presunta morte di Giovanni I attorno al 1420 alla data del processo d’investitura di Federico caduta nel 1452 passano ben 32 anni) genera incertezze, specie se si dà credito allo Bresc che vuole la nostra baronia passata di mano agli Isfar, sia pure per una inverosimile dissipazione dei beni da parte di un Giovanni I del Carretto, inopinatamente divenuto sperperatore delle proprie fortune.
Dagli archivi di Stato di Palermo emerge il ruolo di Giovanni I del Carretto nella gestione della baronia racalmutese: in data 17 agosto 1401 giungeva una lettera ([28]) da Catania per la sistemazione delle pendenze fiscali.
Martino segnalava che era stata fatta un’inchiesta tributaria relativa ai riveli ed alle decime per il tramite di Mariano de Benedictis. Questa la situazione del giovane barone di Racalmuto: v’era la successione della baronia da Matteo al medesimo Giovanni I; al contempo si erano accumulate due annualità scadute, quella relativa alla settima indizione (1399) e l’altra riguardante l’ottava (1400), nonché quella in corso (1401); ne conseguiva un carico di 40 once d’oro. Il diploma che ha il sapore di una quietanza attesta che la posizione è stata sistemata come segue: 30 once in contanti e dieci a compensazione di un mutuo a suo tempo approntato da Matteo del Carretto alla curia regale.
Nella «Storia di Sicilia» vol. III, Napoli 1980, pag. 503-543 Henri Bresc scrive (sia pure in una traduzione dal francese rinnegata) : «Il basso costo della terra - che si segue sulla curva dei prezzi medi dei feudi venduti dalla nobiltà - obbliga ad un indebitamento sempre più pesante ed ad una gestione molto rigorosa del patrimonio residuo. E ci si avvia all’intervento della monarchia e della classe feudale nell’amministrazione dei domini fondiari e delle signorie: Giovanni del Carretto è così privato nel 1422 della sua baronia di Racalmuto, affidata in curatela a suo genero Gispert Isfar, già padrone di Siculiana». Non viene però citata la fonte, per cui la notizia va presa con le molle.
Nella nuova opera, invece, “Un monde etc” altrove citata, vi è qualcosa in più: viene precisata la fonte.
Racalmuto viene menzionato a pag: 64; 798; 803; 880; 893. La sua baronia a pag: 417 e 872. L’argomento che qui interessa è trattato a pag. 880. La parte narrativa non mi pare fraintesa dal traduttore del 1980. In francese, recita: «La baisse du prix de la terre - que l’on suit sur la courbe des prix moyens des fief vendus par la noblesse - oblige à un endettement toujours plus grave et à une gestion très rigoureuse du patrimoine résiduel. Et l’on s’achemine vers l’intervention de la monarchie et de la classe féodale dans l’administration des domaines fonciers et des seigneuries: Giovanni Del Carretto est ainsi dépouillé en 1422 de sa baronnie de Racalmuto, confiée en curatelle à son gendre Gispert d’Isfar, déjà maître de Siculiana.» E qui la nota che non trovasi nel testo del 1980: «ACA Canc. 2808, f. 54: le bon baron vivait joyeusement, et mangeait son blé en herbe, ce qui passe, aux yeux de l’avide catalan, pour “simplicitat ... fora de enteniment rahonable”». [Per ACA Canc. s’intende: “Archivio de la Corona de Aragòn, Barcellona - Cancileria. Il fondo 2808 riguarda: Comune Siciliae, n.° 2801 à 2880 (1416-1458) op. cit. pag. 29]. Sarebbe da rintracciare quel foglio 54 al fine di ben ricostruire questa vicenda della curatela della baronia di Racalmuto affidata a Gispert d’Isfar.
Una quadratura del cerchio noi la tentiamo pur sapendo che è molto sdrucciolevole: forse attorno al 1420 Giovanni I del Carretto cessò di vivere lasciando piuttosto imberbe il suo primogenito Federico. Gispert Isfar, l’intraprendente genero brigò facendo apparir miseria là dove non c’era per sottrarre l’eredità e la successione baronale di Racalmuto alle pesanti tassazioni spagnole (donde gli incerti diplomi appena abbozzati dal Bresc). Resta anche saliente il fatto che il caricatoio di Siculiana, antico retaggio dei del Carretto, passa di mano e finisce in preda degli Isfar (una dote della figlia di Giovanni del Carretto o un’usurpazione avallata da Barcellona?).
FEDERICO DEL CARRETTO
Singolare quel nome che come quello di Ercole figura una sola volta nella genealogia dei baroni del Carretto di Racalmuto. Di Federico del Carretto abbondano però le cronache agrigentine, ma trattasi di figure dei vari rami cadetti.
Non possiamo revocare in dubbio che sia il figlio legittimo e naturale di Giovanni I del Carretto. Con Federico si iniziano i processi palermitani dell’investitura del titolo feudale di Racalmuto e lì - in diplomi a ridosso degli eventi - la sequenza genealogica è indubitabile (come abbiamo visto dai passi in latino sopra riferiti).
“Filius legitimus et naturalis” di Elsa e Giovanni I del Carretto; non manca del requisito della primogenitura maschile come imposto dal diritto feudale dell’epoca [29]. Giovan Luca Barberi - quanto pignolo Dio solo sa - non ha dubbi ed avalla l’investitura nei seguenti termini:
«E morto Giovanni, successe Federico del Carretto, suo figlio primogenito, legittimo e naturale, il quale Federico ottenne dal condam Simone arcivescovo palermitano l’investitura della detta terra per sé ed i suoi eredi sotto vincolo del consueto servizio militare e con riserva dei diritti della regia curia e delle costituzioni del signor Re Giacomo e degli altri predecessori regali edite sui beni demaniali, come risulta nel libro grande dell’anno 1453 nelle carte 565. » [30]
Nel 1410 la Sicilia visse la svolta del vuoto di potere determinatosi per il decesso senza eredi legittimi dei due Martino e subì i traumi dell’interstizio determinato dalla contrastata reggenze della regina Bianca. Con il 1416 si apre la lunga gestione di Alfonso d’Aragona che dura ben 42 anni. Ed è verso la fine del regno alfonsino che Federico del Carretto s’induce a sborsare i quattrini per avere il riconoscimento della baronia di Racalmuto. Alfonso d’Aragona gli accorda quella investitura ma a queste condizioni:
n presti il cosiddetto servizio militare e cioè corrisponda 20 once ogni anno;
n renda l’omaggio nelle forme solenni del tempo;
n restino salvi i diritti di legnatico dei cittadini racalmutesi;
n e del pari restino riservate alla Corona le miniere, le saline, le foreste e le antiche difese;
n resti salvaguardata la libertà di pascolo nel casale e nell’annesso feudo per gli equipaggiamenti regi.
Per il resto possesso assoluto sino al mare.
Una cosa è certa; Federico del Carretto era saldamente insediato nella baronia di Racalmuto ben prima che avesse l'investitura da Alfonso d'Aragona l'11 febbraio 1453. Reperibile presso l'archivio di Stato di Palermo il contratto che lo vedeva associato nel 1451 con Mariano Agliata per uno scambio di grano delle annate del 1449 e 1450 contro quello di Girardo Lomellino consegnabile a luglio E il Bresc [op. cit. pag. 884] commenta: «ce qui permet une fructueuse spéculation de soudure». In termini moderni si parlerebbe di forward in grano. La domiciliazione sarebbe stata pattuita presso il "Caricatore" di Siculiana. Fonte citata: ASP ND G.Comito; 18.1.1451, cioè Archivio di Stato di Palermo - Notai Defunti - Giacomo Comito (1427-1460) - n.° 843 a 850
Sempre il Bresc fornisce nella citata opera un'altra interessante notizia. Secondo quello che appare nella tavola n.° 200 di pag. 893, Federico del Carretto sarebbe stato coinvolto in una rivolta antifeudale estesasi anche a Racalmuto. Questa volta la fonte citata è un libro: «Luigi Genuardi, Il Comune nel Medio Evo in Sicilia, Palermo, 1921».
GIOVANNI II DEL CARRETTO
La rivolta a Racalmuto del 1454 di cui parla il Genuardi dovette essere cosa seria se da quel momento sino al 1519 i processi d’investitura tacciono.
Dalla ficcante indagine del Barberi sappiamo - e non c’è motivo per dubitarne - che a Federico successe Giovanni II del Carretto. Non sappiamo quando e come. Il Baronio, lo storico di famiglia del Carretto del 1630, ne sa ben poco: «Ioannes natus maior, cum familiam rebus praeclare gestis aeternitati commendasset. Herculem, ac Paulum habuit sibi, nec maioribus dissimilem suis. In unoquoque semper avitae nobilitatis fulgor eluxit.» Parole di circostanza per colmare evidenti carenze di notizie. Quali siano quelle gesta che affidarono la famiglia alla memoria dei tempi futuri, non ci dice e noi non ne abbiamo nessuna ... memoria. Accontentiamoci del fatto che fosse il figlio maggiore [natus maior] e che avesse partorito il successore Ercole, il celebre falso conte della venuta della Madonna del Monte, e Paolo di cui gli archivi vescovili di Agrigento ci hanno tramandato qualche dato sulla sua litigiosità con i sindaci di Racalmuto [31].
Apprendiamo dalla valida ricerca del Sorge su Mussomeli [32] che «lu fegu di Rabiuni lu teni lo Mag.co Baruni di Regalmuto per anni ... vinduto per lo Mag.co Signuri Pietro lo Campo unzi trentacincho, uno vitellazzo, una quartara di burru, uno cantaro di formaggio.»
Quando sia avvenuta quella vendita non sappiamo; il rendiconto è del 1486 e come si è visto, non è neppure detto a quali precedenti anni si riferisse la vicenda di cui alla posta contabile. Da quel che si legge nel Sorge (op. cit. pag. 209 e segg.) potrebbe trattarsi degli anni attorno all’11 ottobre 1467 (data in cui “venne stipulato il contratto col quale il procuratore di Ventimiglia rivendette a Pietro Del Campo la baronia di Mussomeli, col suo castello ...”). Le nostre successive indagini presso gli Archivi di Palermo (in particolare “Archivio Campofranco, Fatto delle cose notabili etc.” e “Conservatoria, Privilegia, confiscationes bonorum et investiturae, 1459 e 1489, foglio 536”, di cui in Sorge) non ci hanno sinora consentito di chiarire alcunché quanto ai del Carretto e specificatamente a chi si riferisse l’atto di vendita del feudo Rabiuni di Mussomeli. Azzardiamo il nome di Federico del Carretto. Sembra dunque appurato che dal 1459 al 1489 la famiglia del Carretto di Racalmuto si sia bene ripresa dalla crisi del 1454 ed abbia avuto fondi sufficienti per acquistare il costoso feudo Rabiuni di Mussomeli e mantenerlo anche se notevolmente oneroso. Del resto, in quel tempo, Racalmuto dovette divenire un centro di abbienti: nello stesso “conto del segreto Bonfante del 1486” (di cui in Sorge pag. 386) si accenna al possesso feudale di un altro racalmutese. «Lu fegu di Santu Blasi - vi si annota - lu teni Mazzullo di Alongi di la terra di Regalmuto per anni 3 videlicet quinte Ind. 6 Ind. e 7 Ind. et pri unzi quattordichi quolibet anno uno crastatu, uno cantaro di formaggio, et una quartara di burru quolibet anno da pagarsi la mitati a menzu Septembru et la mitati a la fera di Santu Juliano intentendosi quindici anni primi poi di Pasqua.» [33]
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