[articoletto n.° 23]
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di Calogero
TAVERNA
Il Cinquecento racalmutese che troverete descritto in questa
silloge irride alle tante credenze locali, e cerca di documentare l’espandersi,
il flettersi ed il riprendersi del popolo di Racalmuto nel primo secolo
dell’era moderna, alle prese sicuramente con la protervia dei Del Carretto -
invero in poche marginali questioni - ma principalmente con le varie curie
agrigentine e parrocchiali, viceregie e spagnole, inquisitoriali ed episcopali;
con il governatore del Castello, con i familiari dei Del Carretto, con un suo
genero di nome Russo, uno scalcinato nobilotto che fa fortuna sposando la
figlia spuria dell’omicida ed assassinato Giovanni del Carretto; con gli
arcipreti - quelli buoni come l’indigeno arciprete Romano le cui spoglie
appetisce l’ingordo vescovo Horoczo Covarruvias
e quelli latitanti come il napoletano Capoccio; con il chierico Vella,
un religioso assassino che vescovo e conte si contendono per fargli espiare
nelle proprie carceri il fio della sua colpa.
I falsi del Tinebra Martorana - che nel 1986 tornarono a
gravare sulle casse del Comune e tornarono davvero visto che per l’amicizia con
i famigerati Tulumello quell’autore studiava a spese del Comune come attesta un
anonimo conservato nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma - sono talmente
tanti e perniciosi da rendere irritante la lettura di quel volumetto. Altro che
spingere alla “carità del natìo loco”. E purtroppo sono stati falsi fortunati.
Per colpa di essi abbiamo uno sconcio, improbabile stemma comunale. Tinebra,
invero, lo voleva pudico “con un uomo
non nudo, bensì con una gonnellina dentellata ai margini, come l’antico
guerriero romano”. Altri volle o rispolverò lo stemmo con l’uomo nudo. In ogni caso l’uomo invita al silenzio: obmutui et silui; come dire: star muto, subire e starsene zitti.
Lo stemma di Racalmuto scandisce manie, prevenzioni e visionarietà della
borghesia postunitaria racalmutese. Il prof. Nalbone ha fotografato
interessanti documenti dei primi anni del ’Settecento ove figura il timbro a
secco del Comune di Racalmuto. Ebbene, lì non vi è nulla di tutto questo.
Trattasi di uno stemma a bande e chiomato, totalmente austero, dignitoso, nobile.
Non vorrò di certo io, con il mio laico scetticismo, riaccendere una guerra di
religione su una bazzecola come è uno stemma. Ma francamente, a me racalmutese
da almeno dieci generazioni - sia pure per tre quarti, visto che l’altro quarto
è narese - dà fastidio lo sguaiato stemma comunale che sembra ammiccare al
silenzio omertoso ed a qualche vezzo omosessuale.
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