Sciascia scrisse Le Parrocchie nel 1956. Faceva il maestro elementare. Come? è presto detto, anzi lo dice lui stesso: " A scuola mi aggiro tra i banchi per vincere il sonno. i ragazzi scribacchiano stracchi i loro esercizi. Cammino per vincere la colata di sonno che, se siedo, sento mi riempie come uno stampo vuoto. Nel turno pomeridiano, di questo mese di maggio, il sonno è una greve insidia. A casa non dormirei di certo, starei a leggere qualche libro, a scrivere un articolo o lettere agli amici. A scuola è diverso. Legato al remo della scuola; battere, battere come in un sogno in cui è l'inubo di una disperata immobilità, della impossibile fuga. Non amo la scuola; e mi disgustano coloro che standone fuori, esaltano le gioie e i meriti di un simile lavoro."
Far scuola, dunque: un lavoro un LAVORO eppure greve.
Sciascia non è ancora uomo da far ricerche storiche. Ha sottomano il libricino liso del Tinebra e par paro lo copia per fare introduzione storica o microstorica alle sue cronache, alle sue paturnie, ai traumi che la morte del fratello gli ha procurato e da cui non guarirà mai più. Cosa volete che importasse ad uno Sciascia sonnolento maestro elementare della tematica feudale del Seicento, sia pure il Seicento del suo Paese. Racalmuto è ancora per lui un paese da non amare. "Intanto poiché in nessun modo lo amiamo, una pausa della nostra insofferenza ci permette di immaginare come sarà nel ricordo di noi lontani, come nascerà quell'insieme nitido e minuscolo come un Presepe".
Un paese da amare dunque solo nel ricordo ma standone lontanti. Ed in effetti Sciascia stette sempre lontano da Racalmuto appena poté dismettere quell'ingrato "Lavoro" dell'insegnamento elementare.
Figurarsi se Sciascia ebbe tempo, voglia propensione a verifiche in quanto andava scrivendo (a dire il vero piuttosto bene) il Tinebra su terraggio e terraggiolo, sul paragio, su diritti feudali e su universitates libere in contrasto con quelle soggiogate, su vassalli e censi. Su enfiteusi. Sul vero casato di Beatrice (che era poi quello molto importante della famiglia Ventimiglia) sul secondo figlio di Girolamo che era Dorotea e non Doroteo e che poi ebbe rilevanza persino storica. Che gli poteva importare sapere che Girolamo viene portato a Racalmuto da Palermo ove avevano trucidato il baldanzoso genitore. Che era quasi un infante e nulla sapeva di contee e di feudi, di obblighi successori e di giuramenti comitali. E quella documentazione che Tinebra dice di avere compulsato negli archivi di baroni alquanto fasulli quali i Tulumello non significano, anche perché in latino, ciò che il futuro medico Tinebra-Martorana crede di capire in un contesto di arduo diritto feudale. Appetibile l'anticlericalismo del Tinebra, ma era solo un omaggio massonico. Preti e conti si contrapposero spesso persino duramente. E tutt'altro che accondiscendente era il presule agrigentino. E il finale della contea fu amarissimo per i signori di Racalmuto per liti giudiziarie pervicacemente insistite presso la corte borbonica di Napoli da un giovane sacerdote don Nicolò Figliola e dall'arciprete in persona don Stefano Campanella (ci si permetta di citarci: vedi le pagine 144 e 145 del nostro "LA SIGNORIA RACALMUTESE dei DEL CARRETTO"). Questo - ovvio - per segnalare un Tinebra disinvolto nei suoi giudizi storici o nelle sue valutazioni etiche.
Far scuola, dunque: un lavoro un LAVORO eppure greve.
Sciascia non è ancora uomo da far ricerche storiche. Ha sottomano il libricino liso del Tinebra e par paro lo copia per fare introduzione storica o microstorica alle sue cronache, alle sue paturnie, ai traumi che la morte del fratello gli ha procurato e da cui non guarirà mai più. Cosa volete che importasse ad uno Sciascia sonnolento maestro elementare della tematica feudale del Seicento, sia pure il Seicento del suo Paese. Racalmuto è ancora per lui un paese da non amare. "Intanto poiché in nessun modo lo amiamo, una pausa della nostra insofferenza ci permette di immaginare come sarà nel ricordo di noi lontani, come nascerà quell'insieme nitido e minuscolo come un Presepe".
Un paese da amare dunque solo nel ricordo ma standone lontanti. Ed in effetti Sciascia stette sempre lontano da Racalmuto appena poté dismettere quell'ingrato "Lavoro" dell'insegnamento elementare.
Figurarsi se Sciascia ebbe tempo, voglia propensione a verifiche in quanto andava scrivendo (a dire il vero piuttosto bene) il Tinebra su terraggio e terraggiolo, sul paragio, su diritti feudali e su universitates libere in contrasto con quelle soggiogate, su vassalli e censi. Su enfiteusi. Sul vero casato di Beatrice (che era poi quello molto importante della famiglia Ventimiglia) sul secondo figlio di Girolamo che era Dorotea e non Doroteo e che poi ebbe rilevanza persino storica. Che gli poteva importare sapere che Girolamo viene portato a Racalmuto da Palermo ove avevano trucidato il baldanzoso genitore. Che era quasi un infante e nulla sapeva di contee e di feudi, di obblighi successori e di giuramenti comitali. E quella documentazione che Tinebra dice di avere compulsato negli archivi di baroni alquanto fasulli quali i Tulumello non significano, anche perché in latino, ciò che il futuro medico Tinebra-Martorana crede di capire in un contesto di arduo diritto feudale. Appetibile l'anticlericalismo del Tinebra, ma era solo un omaggio massonico. Preti e conti si contrapposero spesso persino duramente. E tutt'altro che accondiscendente era il presule agrigentino. E il finale della contea fu amarissimo per i signori di Racalmuto per liti giudiziarie pervicacemente insistite presso la corte borbonica di Napoli da un giovane sacerdote don Nicolò Figliola e dall'arciprete in persona don Stefano Campanella (ci si permetta di citarci: vedi le pagine 144 e 145 del nostro "LA SIGNORIA RACALMUTESE dei DEL CARRETTO"). Questo - ovvio - per segnalare un Tinebra disinvolto nei suoi giudizi storici o nelle sue valutazioni etiche.
Nessun commento:
Posta un commento