Lillo Taverna Alberto Moravia, Gli indifferenti
Tascabili Bompiani,
pp. 316 L. 15000/Euro 7,75.
icordando la genesi de Gli indifferenti, il suo primo romanzo, pubblicato nel 1929, Moravia ha più volte affermato che alla base del suo progetto c’era la volontà di recuperare in sede narrativa la compattezza della tragedia, ponendo al centro dell’opera un nodo drammatico che ne occupasse l’orizzonte nella sua totalità (Cfr. A. Moravia, Gli italiani non sono cambiati, «L’Espresso», 2 agosto 1959: «Volevo scrivere un lungo racconto che avesse una struttura teatrale con unità di tempo, di luogo e con pochissimi personaggi. La mia ambizione era di scrivere una tragedia, invece ne venne fuori un romanzo»; Cfr. E. Siciliano, Milano 1971, p. 39: «Se avevo un’idea di cui andavo in cerca al tempo de Gli indifferenti era un’idea o una fissazione stilistica: fare uso della tecnica teatrale nel romanzo»).
In effetti, soluzioni e scansioni tipicamente drammaturgiche sono evidenti fin dalle parole d’esordio del primo capitolo («Entrò Carla», come se si fosse appena alzato il sipario), influenzando gli elementi basilari della struttura romanzesca. La vicenda, infatti, si svolge in un arco di tempo quanto mai unitario — quarantotto ore disaminate quasi senza soluzione di continuità — dipanandosi pressoché interamente nell’ambito di tre distinti «interni» borghesi, che di capitolo in capitolo si succedono e ritornano esattamente come le scene di un dramma. La struttura de Gli Indifferenti è interamente basata sulle interrelazioni di cinque soli caratteri drammatici, dei quali fin dal terzo capitolo il lettore è in grado di individuare le psicologie, nonché di ricostruire correttamente i reciproci rapporti.
La prima prova di Moravia, che conserva intatti alcuni schemi narrativi del romanzo tradizionale, non è esente da limiti, quali l’esposizione cronologica dei fatti, la consistenza degli sfondi che fanno da cornice alle vicende, o l’intreccio degli avvenimenti, realisticamente concepiti come sottofondo consequenziale all’analisi psicologica dei personaggi.
Tuttavia ne Gli indifferenti c’è un motivo nuovo che in altri romanzi del tempo o appena precedenti (come Il podere di Tozzi, Rubè di Borgese e la Velia di Cicognani) non era stato delineato con altrettanta efficacia: l’analisi e la rappresentazione acre dell’ambiente borghese, visto nella sua crisi di trapasso da un’epoca all’altra, seguito da Moravia con dovizia di esemplificazioni, fino a trarne una visione esistenzialistica, contraddistinta dalla sua "indifferenza". Tale indifferenza si traduce in inerzia morale, incapacità a vivere la vita, superficialità con cui la società borghese si pone di fronte ai problemi dell’esistenza, ai valori più profondi e genuini dell’uomo. I personaggi del primo romanzo moraviano sono dunque colpiti da questa malattia morale, da una sorta di «debolezza della volontà» e versano in una condizione di annientamento, di perdizione, di disfatta, atta a far ritrovare nella distruzione di ogni valore, o nel male — toccato nelle sue pieghe più riposte — il senso acuto dell’esistenza. (Per una prospettiva interessante sulle implicazioni sociali del romanzo, vedi anche l'articolo Il rococò del mondo borghese, di Gabriela Iliuta).
Tascabili Bompiani,
pp. 316 L. 15000/Euro 7,75.
icordando la genesi de Gli indifferenti, il suo primo romanzo, pubblicato nel 1929, Moravia ha più volte affermato che alla base del suo progetto c’era la volontà di recuperare in sede narrativa la compattezza della tragedia, ponendo al centro dell’opera un nodo drammatico che ne occupasse l’orizzonte nella sua totalità (Cfr. A. Moravia, Gli italiani non sono cambiati, «L’Espresso», 2 agosto 1959: «Volevo scrivere un lungo racconto che avesse una struttura teatrale con unità di tempo, di luogo e con pochissimi personaggi. La mia ambizione era di scrivere una tragedia, invece ne venne fuori un romanzo»; Cfr. E. Siciliano, Milano 1971, p. 39: «Se avevo un’idea di cui andavo in cerca al tempo de Gli indifferenti era un’idea o una fissazione stilistica: fare uso della tecnica teatrale nel romanzo»).
In effetti, soluzioni e scansioni tipicamente drammaturgiche sono evidenti fin dalle parole d’esordio del primo capitolo («Entrò Carla», come se si fosse appena alzato il sipario), influenzando gli elementi basilari della struttura romanzesca. La vicenda, infatti, si svolge in un arco di tempo quanto mai unitario — quarantotto ore disaminate quasi senza soluzione di continuità — dipanandosi pressoché interamente nell’ambito di tre distinti «interni» borghesi, che di capitolo in capitolo si succedono e ritornano esattamente come le scene di un dramma. La struttura de Gli Indifferenti è interamente basata sulle interrelazioni di cinque soli caratteri drammatici, dei quali fin dal terzo capitolo il lettore è in grado di individuare le psicologie, nonché di ricostruire correttamente i reciproci rapporti.
La prima prova di Moravia, che conserva intatti alcuni schemi narrativi del romanzo tradizionale, non è esente da limiti, quali l’esposizione cronologica dei fatti, la consistenza degli sfondi che fanno da cornice alle vicende, o l’intreccio degli avvenimenti, realisticamente concepiti come sottofondo consequenziale all’analisi psicologica dei personaggi.
Tuttavia ne Gli indifferenti c’è un motivo nuovo che in altri romanzi del tempo o appena precedenti (come Il podere di Tozzi, Rubè di Borgese e la Velia di Cicognani) non era stato delineato con altrettanta efficacia: l’analisi e la rappresentazione acre dell’ambiente borghese, visto nella sua crisi di trapasso da un’epoca all’altra, seguito da Moravia con dovizia di esemplificazioni, fino a trarne una visione esistenzialistica, contraddistinta dalla sua "indifferenza". Tale indifferenza si traduce in inerzia morale, incapacità a vivere la vita, superficialità con cui la società borghese si pone di fronte ai problemi dell’esistenza, ai valori più profondi e genuini dell’uomo. I personaggi del primo romanzo moraviano sono dunque colpiti da questa malattia morale, da una sorta di «debolezza della volontà» e versano in una condizione di annientamento, di perdizione, di disfatta, atta a far ritrovare nella distruzione di ogni valore, o nel male — toccato nelle sue pieghe più riposte — il senso acuto dell’esistenza. (Per una prospettiva interessante sulle implicazioni sociali del romanzo, vedi anche l'articolo Il rococò del mondo borghese, di Gabriela Iliuta).
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