Te
Caro Nino.
innanzitutto ti ringrazio per avermi citato nel tuo sapido affresco sul Settecento Siciliano. Quello che tu citi è un vecchio mio volumetto di tredici anni fa. Ne scrissi sull'argomento in QR (quaderni racalmutesi) nel 2001. E soprattutto nulla ho dato alle stampe in ordine alle mie ricerche sul groviglio feudale che coinvolse i Gaetani e la Buglio e loro successori nel Settecento. Sono faccende inestricabili. La crisi del sistema feudale nella Sicilia del Settecento rispecchia i risvegli civili del secolo dei lumi ed ebbe l'epilogo positivo con Caracciolo. Sciascia in Parrocchie di Regalpetra mi pare ha qualche stridula sorpresa nel non comprendere come le autorità avessero voglia a Racalmuto di dare addosso alle cuppuliddi dell'arrendatario il prete bello don Giuseppe Savatteri e Brutto, figura che mi sollazza in lunghi miei scritti. Del resto vi fu il padre Figliola in quel secolo che riuscì a Napoli a farsi dichiarare inesistente lo jus del mero e misto impero che i Del Carretto, nel farsi elevare a conti, avevano comprato a lassari aviri e che a Racalmuto ebbe sempre blande applicazioni. Il che mi rende scettico sulle storielle del Messana Serafino, quello dei romanzetti storici inventore serioso di Castori e Polluci racalmutesi. Quanto alla Baglio mi preme smentirti. Ebbe frequentazioni a Racalmuto. L'attuale saga della Madonna del Monte si deve in fin dei conti a lei. Il padre priore del convento di San Giuliano dedica a lei i suoi versi in dialetto (che a me piacciono) ove si delinea il mito della venuta della madonna nel nostro paese. E' un volumetto, evidentemente pubblicato a spese della Baglio, che trovai in una soffitta a suo tempo appartenuta al canonico Mantione. E' rarità pressoché unica di cui fornii fotocopia di solo qualche pagina a padre Mattina, che la passò non autorizzato ad un ingegnere del luogo. Pervennero ad un rampante giornalista alle prime anni che subito ne fece una apocrifa ed incompleta pubblicazione attribuendo possesso a chi non l'aveva. Deve ancora pubblicare la rettifica promessa. Bonum est sui diffusivum, ma con correttezza. Mi pare che tu la scortichi questa brava contessa di Racalmuto. I Gaetani questa contea arraffarono avvalendosi di un uomo (pardon, donna) di paglia per un recupero di un credito a dire il verro persino irrisorio. La Macaluso ha l'area di essere una loro fantesca. Ma povero don Luigi Gaetani trovò una finanza locale disastrosa. Vi era quello strano balzello medievale del terraggiolo. Don Luigi deve ancora recuperare quel suo jus proprietatis. I Racalmutesi non sono mai stati tanto gonzi da sobbarcarsi arrendevolmente a tasse inique allora come adesso. Non so se quelli di Grotte siano altrettanto arditi. La crisi della contea racalmutese era nata dal fatto che un credito liquido ed esigibile non era stato percetto. L'ultimo dei Del Carretto, Girolamo III, ha un figlio mezzo gonzo (Giuseppe I): lo dota anzitempo del titolo nobiliare, ma gli premuore. Alla morte di Girolamo III la contea si rende vacante. I Gaetani con quel sotterfugio si appropriano di una istituzione medievale nobile ed esclusiva diciamo per via legale che poi era illegittima in quanto basata su spregevoli questioni di denaro. Alla fine del Settecento, lontani eredi legittimi dei Del Carretto emersero, fecero causa, vinsero e la contea racalmutese venne tolta ai Gaeani e restituita agli eredi degli eredi carretteschi ed oggi è in mani neglette di certi Ajala napoletani. Qui vado a memoria e inesattezze ne compio. Ma decine e decine di pagine giacciono nel mio computer. Dopo folli spese per pubblicare quanto ho pubblicato non ho alcuna voglia di sprecare ancora il mio sudato e striminzito peculio. Il signor Volpe titolare non so di quale ufficio di beneficenza racalmutese convinse il commissario Petralia che nessun aiuto finanziario mi si deve perché "non ne ho bisogno". Ed è vero. Quando a quel missus panormitanus confermai alla presenza di Totò e Carmelo (che potrebbero essere buoni testimoni) che in effetti non ero "bisognoso", costui mi redarguì "e allora perché avanzò ben tre diverse istanze?". Al che risposi: "per vedere come va a finire". Lui si irrita e mi dice: "ma lei a chi si rivolge?". Rispondo: "ai muri, se mi è permesso, se non mi è permesso posso alzarmene e andarmene". "Se ne può anche andare", mi fa. Allora saluto"buona sera", mi alzo e me ne vado. Ancora mi rincorre Totò, chiamandomi " Lillo, Lillo". Non lo sentii (o meglio non volli sentirlo). Ancora Totò va dicendo che gli ho fatto fare una figura da cani.
Tant'è, ma se tu caro Nino hai voglia di elaborare e dipanare il senso di tante mie astruse fotocopie di atti feudali ralativi ai Gaetanj, ai Baglio ed anche agli Ajala te le metto di buon cuore a disposizione. Certo che le fanfaronate di don Serafino Messana (con i dovuti scongiuri) ti sarebbero ostiche.
Calogero Taverna
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