martedì 18 ottobre 2016

lunedì 17 ottobre 2016

I SAVATTERI


Alla fin fine questo postumo e forse illegittimo libro dell’Adelhi  (Leonardo Sciascia – IL FUOCO NEL MARE – 2010) consente gratificanti excursus  nella veridica storia racalmutese dal 1947 al1975. E specie per il quadriennio ’46-60  se non fosse per questi autografi sciasciani poco o nulla sapremmo della vicenda storica di questo nostro diletto paese. Grazie dunque ancora Sciascia.

In Paese con Figure – pubblicato, pare, dallo stesso Nanà in GALLERIA I, n- 1. Agosto 1949. Pp. 21-24 – a parte una faccenda di diritti d’autore che non ci riguarda – abbiamo i prodromi della satira sciasciana del circolo dei Galantuomini. Ma l’ardire costò qualche grattacapo al Racalmutese, e per riparare scrisse in Illustrazione Italiana un elzeviro  deliziosissimo quanto sussiegoso e in definitiva un tantinello ipocrita. Nel 1947.

Iil primo personaggio della “Concordia” è DON GIUSEPPE SAVATTERI e Sciascia va subito giù forte “è un imbecille detestabile. La sua voce sembra trascinarsi dietro un’eco molteplice. Tanto è violenta e maleducata. Tutte le sue parole ingombrano l’area del luogo in cui ci si trova come un ciarpame confuso, si accatastano come cose inutili dentro un vecchio solaio. Ma non può mancare; è quasi un simbolo.”

Con chi ce l’avesse tanto Nanà non è dato sapere. A quel tempo al Circolo Unione, cessato dall’essere un dopolavoro fascista, sia pure per nobili sfaticati – e ritornato il sacrario della crestomazia paesana – non albergava alcun Savatteri.

Nobili davvero i Savatteri, erano in quel tempo molto decaduti. Nessun Savatteri vivente aveva comunque le stigmate desolanti che ci siamo divertiti a riproporre. Per quella faccenda che si narra lì del treno gli addetti ai lavori credono in un falso cognome del falso don Ferdinando Trupia delle auree pagine delle Parrocchie di Regalpetra. Ma noi siamo imprecisi. Avremmo bisogno dei lumi di FORBICE LUCENTE, ma di ‘sti tempi disdegniamo il Cicolo Unione per stizza verso giovani rampanti che massacrando l’intangibile statuto grintosamente salvaguardato dall’avvocato Pillitteri  si sono intrufolati tra i nobili di paese e subito, senza alcuna doverosa anzianità, hanno arraffato persino i posti apicali: roba da ufficiale giudiziario.

Visto che sinora i  Savatteri non hanno querelato  lo Sciascia, suppliamo noi riportando vecchie nostre pagine su quella grande, dignitosa ed altera famiglia.



I Savatteri a metà del secolo XVII.


 

Il ricco archivio della Matrice di Racalmuto ci ha conservato due “numerazioni delle anime” - cioè a dire due censimenti religiosi - che sono databili, rispettivamente, intorno al 1660 ed al 1666. La compagine racalmutese risulta a quell’epoca arricchita di vari nuclei familiari dei Savatteri. Ci risultano sei nuclei per il 1660 e sette per il 1666. Nuovi nati e nuovi matrimoni spiegano le variazioni dei nuclei familiari. Presso Filippo Savatteri, alloggiava nel 1660 Maria la Bosca. Un personaggio - Isabella la Bosca -  è venuto alla ribalta di recente in studi sulle “magare” inquisite dal Sant’Ufficio. Parente o mera omonimia?

Il padre Girolamo M. Morreale vorrebbe un Gaetano Savatteri donante nel 1627 per devozione verso Maria SS. Del Monte; [1] pensiamo che il dotto gesuita sia incorso in un duplice errore: quello di considerare donazione un mero obbligo di soggiogazione e quello di leggere in Gaetano un nome diverso, forse Giacomo. A quell’epoca non risultano Savatteri con il nome di Gaetano (ben diversamente da ciò che avverrà nel XIX e XX secolo).

 

Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)


 

Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.

Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.

Quello su cu il Tinebra trama è un carteggio del Caracciolo su cui abbiamo avuto modo di effettuare nostre personali ricerche. Iniziano dal 16/2/1785 gli appunti del Caracciolo sulla questione[2]:

«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.

«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati

 

E, quindi, in data 12.3.1785:

 

«32. [3]L’avvocato fiscale Vagginelli proceda quel che convenga ed avendo di riferirlo, dica- A 12 Marzo detto - Li singoli di Racalmuto: V. E. rimise le pendenze loro col barone all’avv.to sig.re Vagginelli. Innanti a costui facendosi dui contraddittorij vi interviene il Cav.e fratello del principe di Pantelleria, che ha procura. E poiché per rispetto che vuole esigere molte cose  bisognano trovarsi e li professori  concepiscono qualche timore, prega V.E. di ordinare che tal Cav.e non  intervenga più nei contraddittori ma con i singoli e il Barone.» 

 Ed in data 22.3.1785:[4]

«12 - L’avv.to fiscale barone Vagginelli informi col parere - 22 marzo - Li singoli di Racalmuto. Il suggello della verità lo tiene in potere il governatore baronale, ed occorrendo di suggellarsi l’investitura questa si deve suggellare dal Barone e si suggella quando a costui piaccia. Ciò essendo un inconveniente molto più quando occorre a singoli di suggellare scritture contrarie al ripetuto Barone.

«Pregano l’E.V. di ordinare che il suggello si riformi con il ricorso al Re, e che debba riservarsi al mastro notaro della Corte Giuratoria.»

E’ del successivo 28 marzo[5] il seguente appunto:

«4. L’avvocato fiscale Barone Vaggianelli disponga perché urgendo le provvidenze che siano convenienti per la superiore, che riferisca col parere - 29 marzo 1785 -  Don Stefano Campanella arciprete di Racalmuto - Dietro un raccolto sterilissimo ed una tirannica esazione fatta dall’arrendatario di questa terra don Giuseppe Savatteri ... trovasi in oggi questa Popolazione in somma necessità a segno che non si può riparare, e si teme di qualche tumultuazione per la fame, e dal ricorrente e da altri preti si à soccorso per quanto debolmente si è potuto, ma si prevede maggior necessità in questi mesi che sono li più poveri.

«E’ perciò da credere opportuno che dovendo dal amministrare pagare per maggio onze 1000 al Principe della Pantelleria gliene paghi medietà, e l’altra medietà distribuirsi per aiuto a poveri, che si obbligano in agosto pagare; prega V.E. di ordinare l’esecuzione di tale distribuzione a quattro persone elette da chi invochi, dapoiché quei Giurati son poveri e senza veruna abilità

Il dato di maggior risalto è quello contenuto nel biglietto datato 11 aprile 1785:[6] abbiamo questo richiamo storico:

«13 - L’avvocato faccia quel che convenga per l’accertamento della giustizia e della legalità.  - 11 aprile 1785 -  Li singoli di Racalmuto. - Nel 1559 don Giovanni del Carretto ebbe venduto il mero, e misto impero dal viceré don Giovanni della Cerda sopra la Baronia di Regalmuto per il prezzo di onze seicento, cioè cinquecento l’ebbe allora il Governante, e le onze 100 le dovea dare qualora veniva continuata la vendizione da S. M. fra il termine di un anno.

«Sino al presente giorno non è stato possibile dimostrarsi detta rattifica, o confirma; ed è segno evidente che la M.S. non l’abbia concessa. Che perciò li ricorrenti .. pregano l’E.V. di ordinare che il Barone di Ragalmuto che è oggi il Principe di Pantellaria, che per esercitare il mero, e misto dimostri all’E.V. il titolo.»

Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali.  Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia[7]:

«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso. Per una di quelle strane coincidenze storiche, il Busuito era parente stretto della moglie del notaio Nalbone.

Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggettiche il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la poltica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.

 

D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giusppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Vediamole:

 

GIUSEPPE SAC. D.
SAVATTERI
n. undeci messe cioè n. 9 per l' ... e n. 2 per pena d'essere stato negligente in scrivere le d. messe.

 


La controversa questione del beneficio del Crocifisso.


 

Nell’intricata controversia giudiziaria del beneficio del Crocifisso di Racalmuto, i Savatteri vi entrano prepotentemente per due volte: nella prima, è attore il sac. Giuseppe Savatteri e Brutto, a ridosso dell’Ottocento; nella seconda un patetico personaggio: Giuseppe Savatteri, sposato con una Matrona. Siamo nell’ultimo quarto del secolo scorso. In entrabi i casi i Savatteri finirono soccombenti e gabbati. Ma procediamo con ordine.

 

La vicenda del beneficio del Crocifisso è lunga, tortuosa ed intrigante ed ha dato adito ad almeno un paio di complicate vertenze giudiziarie. Negli atti giudiziari dell’arciprete Tirone avverso i coniugi Giuseppe Savatteri e Concetta Matrona abbiamo la ricostruzione della provenienza di tali beni. Come risulta da un atto del 3 settembre 1659, la Confraternita del SS. Crocifisso di Racalmuto aveva diritto ad un canone di proprietà «primitivo veluti jus pheudi et proprietatis su terre della Menta e Culmitella». Trattavasi, in base a quel che si desume da altri atti, di un fondo di quattro salme e tumoli sei di terre ubicate nel feudo Menta, contrada Fico Amara, detta - secondo l’arc. Tirone - «in quei tempi Mercanti». Del resto aggiunge l’arciprete che «il nome di contrada fico amara e Mercanti andiede in disuso. Questa contrada prese nome di SS. Crocifisso.»

Non essendo stato pagato tale canone per più di un triennio, ed essendo state le suddette terre abbandonate, la confraternita del SS. Crocifisso esperì il diritto domenicale di avocazione del fondo per distruzione di migliorie, mancata corresponsione del canone ed abbandono delle terre dell’enfiteuta che era tal Giaimo Lo Brutto. Essa, pertanto, fu immessa nel pieno possesso delle cennate terre della Menta secondo il rito del tempo con atto notarile del 3 settembre 1659,  redatto innanzi a quattro testimoni.

Gli atti giudiziari tacciono sulle vicende che intercorsero tra il 1659 ed il 1767, un intervallo di tempo in cui si colloca la dotazione dell’Oratorio Filippino. Intanto non so su che cosa basi l’arc. Tirone il ruolo sostenuto dalla Confraternita del SS. Crocifisso. Di questa conosco il vago accenno contenuto nell’elenco della Giuliana della Curia Vescovile - voce Racalmuto, pag. 205 - che riguarda la «conferma della Conf.ta del SS. Crocifisso - reg.tro 1669-70, pag. 488».  Ma qualche chiarimento lo troviamo in quest’atto del 10 ottobre 1648 del notaio Michelangelo Morreale. Trattasi della «recognitio pro Archiconfraternitate SS.mi Crucifixi contra Donnam Vittoriam del Carretto e Morreale». In esso la Del Carretto (del ramo collaterale dei locali conti) si obbliga di corrispondere  al «Rev. D. Joseph Thodaro .. uti procuratori venerabilis Archiconfraternitatis SS.mi Crucifixi fundatae in Ecclesia Sancti Antonii huius terrae Racalmuti .. uncias quinque red. ann. cens. et red.bus dictae Archiconfraternitatis cession. nomine Petri Piamontesio et alijs nominibus in scripturis debitas, et anno quolibet solvendas supra loco qui olim erat dicti quondam de Monteleone vigore contractus emphiteuci celebrati in actis notarij Nicolai Monteleone die XXIIIJ Maij XII ind. 1584 et contractus solutionis donationis et assignationis  in actis not. Simonis de Arnone die 31 aug. 1605 et aliorum contractum  in eis calendatorum.» inoltre «supradicta Donna Victoria .. solvere promisit .. seque sollemniter obligavit et obligat eidem de Thodaro dicto nomine pro se et pro successoribus in dicta Archiconfraternitate in perpetuum uncias centum quatraginta una p.g. tempore annorum decem in decem equalibus solutionibus et partitis anno quolibet facere numerando et cursuro a die date literarum Civitatis Agrigenti ... Et sunt uncias 141 in totalem complimentum omnium censuum decursorum annorum retropreteritorum enumerandorum ab anno 1608 usque et per annum presentem inclusive , ratione d. unc. quinque anno dictae Archiconfraternitate debitae super dicta vinea.»

Quell’arcicofraternita era dunque operante dentro la chiesa di S. Antonio e siamo nel 1648. Ne è procuratore il sac. d. Giuseppe Todaro che muore il 7 maggio 1650.[8]Successivamente alla morte del sacerdote Todaro, si rinviene l’atto del 3 settembre 1659 di cui sopra; dopo dell’arciconfraternita si perdono le tracce e tutto fa pensare che si sia estinta: si spiega forse così perché in un primo tempo i benefici di quel sodalizio finirono all’Oratorio di S. Filippo Neri, per volere del Vescovo Rini.

Nel 1767 il vescovo Lucchesi Palli si ritrova vacanti quei beni dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e con bolla dell’8 luglio 1767 li assegna al sac. D. Francesco Busuito. La ricostruzione di un successivo beneficiario, il sac. Don Calogero Matrona, fatta il 15 giugno 1870, è particolarmente vivace ed intrigante.

«Con Bolla di erezione in titolo dell’8 luglio 1767 - vi si legge fra l’altro - da Monsignor Lucchesi fu eretto nella Cappella del SS.mo Crocifisso dentro la Chiesa Madre di Racalmuto un beneficio semplice in adjutorium   Parochi di libera collazione da conferirsi a concorso ai naturali di Racalmuto con le obbligazioni di coadiuvare il Parroco nell’esercizio della sua cura, di celebrare in diverse solennità dell’anno nell’anzidetta Cappella numero trenta Messe, costituendosi in dote del beneficio taluni beni, che esistevano nella Chiesa senza alcuna destinazione, dandosene anche l’amministrazione allo stesso Beneficiale. Riserbavasi però il Vescovo fondatore il diritto di conferire la prima volta il beneficio, di cui si tratta, senza la legge e forma del concorso in persona di un soggetto a di lui piacimento.

«In seguito di che con bolla di elezione del 10 luglio 1767 dallo stesso Monsignor Lucchesi fu eletto per primo Beneficiale il Sac. Don Francesco Busuito di Racalmuto, allora Rettore del Seminario di Girgenti dispensandolo dall’obbligo del concorso, e dalla residenza, e facoltandolo ad un tempo a sostituire a di lui arbitrio un Ecclesiastico, per adempire in di lui vece le obbligazioni e pesi tutti al beneficio inerenti.

«Appena verificatasi tale elezione, come risulta da un avviso dato dal Parroco locale di quel tempo, dal Sac. Don Giuseppe Savatteri qual uno degli eredi e successori di D. Giaimo Lo Brutto di Racalmuto impugnavasi la fondazione e ricorrendo al Tribunale della Reggia Gran Corte Civile, otteneva lettere citatoriali contro il detto Reverendo Busuito, affine di rivendicare i fondi constituiti come sopra in dote al beneficio come appartenenti al suddetto Lo Brutto. Sostenevasi dal Savatteri che la Confraternita del SS.mo Crocifisso dentro la suaccennata Chiesa Madre percepiva onze cinque annue per ragion di canone enfiteutico sopra quattro salme di terre esistenti nello Stato di Racalmuto contrada Menta dotate alla moglie del suddetto D. Giaimo Lo Brutto dalla di lei zia D. Vittoria del Carretto, annuo canone destinato per legato di maritaggio di un orfana. Nel 1659 i Rettori della cennata Confraternita per attrarsi di pagamento del canone anzidetto e per deterioramenti avvenuti nei suddivisati fondi, unitamente all’Arciprete e Deputati dei Luoghi Pii senza figura di giudizio e senza le debite formalità giudiziarie s’impossessavano di quei fondi e melioramenti in essi fatti dal predetto Lo Brutto. Si credettero autorizzati a far ciò senza ricorrere alle procedure giudiziarie da un patto enfiteuco solito apporsi in simili contratti, in cui espressavasi, che venendo meno il pagamento o deteriorandosi il fondo fosse lecito all’Enfiteuta di propria autorità ripigliarsi il fondo enfiteuco, come tutto rilevasi dagli atti di possesso presso Notar Michelangelo Morreale di Racalmuto sotto il 3 settembre 13 Ind. 1659. Così postasi la Chiesa in possesso dei fondi, conosciutosi che pagate le onze cinque per legato di maritaggio ed i pesi efficienti, il resto delle fruttificazioni rimaneva senza destinazione, pensavasi dal Vescovo Monsignor Lucchesi per di esse fondare il beneficio anzidetto, che indi conferivasi al sopra indicato Sac. Busuito. Impugnavasi questo fatto dal sac. Savatteri e facevalo come sopra citare a fin di chiarirsi nulla la suddivisata fondazione. Ma il beneficiale frapposti buoni amici persuase il Savatteri a rimettere tutto al saggio arbitrio di S.E. Rev.ma Monsignor Vescovo di Girgenti, il quale tutto riponendo sotto lo esame dell’Assessore Canonico d. Nicolò A. Longe, fattesi varie sessioni inanzi a lui con l’intervento dell’arciprete di Racalmuto per parte del Beneficiale e di altra persona per parte del contendente Savatteri, dichiaravasi dall’Assessore nullo l’impossessamento dei fondi e riconosciuta evidentemente la usurpazione dei fondi fatta dalla Chiesa. Ma protrattosi a lungo l’affare, pria di definirsi pubblicavasi la prammatica della prescrizione del 22 settembre 1798, quindi il Beneficiale avvalendosi di tal legge non volle più fare ulteriori trattamenti della causa, né arrendersi alle pretensioni del Savatteri.

«Morto però il Beneficiale, il cennato Savatteri fece ricorso al Re e dalla Segreteria Reale abbassavasi biglietto alla Giunta dei Presidenti e Consultori per informare. Moriva intanto il Savatteri ed il di costui erede Don Pietro Cavallaro e Savatteri agendo con più di moderazione pensava di mettere l’affare in mano del Vescovo Monsignor Granata, e desiderandosi dal ricorrente che il beneficio rimanesse, si contentava soltanto che divenisse patrimoniale e proprio della di lui famiglia e suoi discendenti.

«Il Vescovo conosciuta la validità delle ragioni e la pienezza del diritto del ricorrente, perché fondato il beneficio sopra beni proprii di D. Giaimo Lo Brutto di lui autore, a vista della patente usurpazione fattasi dalla Chiesa, della non ecclesiasticità del beneficio, perché fondato senza la volontà del padrone dei fondi, pensò accordarne la prelazione ai discendenti della famiglia Brutto. Quindi perché conobbe la verità delle cose per conscienzioso temperamento pensò conferire anche in minore età quel beneficio ad un chierico erede dei beni, che è l’attuale investito Cavallaro. Ed infatti il conferì con decisione del 16 giugno 1804. [...] Ottenne per ciò pria dispensa della Santa Sede, perché al detto chierico avesse potuto conferire il beneficio nella minore età di anni 14, lo dispensò dalla legge del concorso e dell’obbligo della coadiuvazione del Parroco nello adempimento degli offici parrocchiali sino all’età del sacerdozio e gli diede l’amministrazione dei beni dotalizii [...]»

Al beneficiale don Ignazio Cavallaro succede il nipote (figlio della sorella) don Calogero Matrona, con bolla di Monsignor Domenico Turano del 1° marzo 1875. Ma non fu una successione pacifica. Vi si rivoltò contro Giuseppe Savatteri, unitamente alla moglie donna Concetta Matrona, con cause, ricorsi, appelli che durarono decenni. Eugenio Messana, nello scrivere le sue memorie su Racalmuto, risente ancora di quel clima infuocato che in proposito si respirava ancora nella sua famiglia.

Il beneficio del Crocifisso è quindi oggetto di una bolla di collazione nel 1902 (cfr. reg. Vescovi 1902 pag. 703). Viene poi assegnato al padre Farrauto, per passare nelle mani di padre Arrigo. Attualmente è accentrato presso la Curia vescovile di Agrigento.

Due fratelli s’impongono nella società racalmutese, appena Giuseppe Garibaldi, nel 1860, ebbe la ventura di passare come conquistatore per Racalmuto: Gioacchino e Calogero Savatteri. Eugenio Napoleone Messana - loro parente - ne fa la consueta esaltazione nel libro di storia locale qui più volte citato. [9] Noi ci limitiamo ad alcuni contrappunti.

Calogero Savatteri muore giovane il 5 giugno 1878 “alle ore 10,45 colpito da eresipola” - scrivo di lui i suoi amici in un opuscolo pubblicato a Favara nel 1879 (pag. XX). Nato il 17 giugno 1833 da Gaetano Savatteri e Maria Antonia Grillo Cavallaro, non aveva ancora compiuto i 45 anni. A nove anni fu mandato in seminario, ove vi rimase sino a sedici anni, per sette lunghi anni, dunque, assorbendone tutta la cultura clericale di cui ne rimase irrimediabilmente intriso, anche quando ritenne di essere un massone. Vi apprese molto bene il latino e ciò gli fu utile quando notaio - spesso al servizio dell’arciprete Tirone, suo parente - ebbe a decifrare, mirabilmente, gli antichi rogiti in latino dei vari Rolli delle locali confraternite secentesche.

I giovanili ardori nella Sicilia del dopo Quarantotto gli procurano qualche guaio con la polizia borbonica ma la forze persuasiva dei Savatteri racalmutesi era allora già cospicua e dopo 15 giorni di carcere, Calogero Savatteri può tornare libero e tranquillo in paese. I meriti “partigiani” furono preziosi con l’avvento di Garibaldi. “Il Savatteri - scrivono gli amici (pag. XV) - ritorna in paese nel 1863 laureato Notaro”, ma qualcosa era cambiato. Non riusciamo a ben comprendere il senso di queste parole: « vide che di governo era cambiata la sola forma ed il solo nome, stante le sorti del comune essere affidate a quelle stesse persone che non avevano idea d’innovazione». Si dà il caso che le “sorti del comune” erano tenute dai neo-convertiti Matrona, dopo essere passati dalle file dei Borboni alle patrie galere per le vicende controrivoluzionarie dei briganti del 1862.

Ma quale davvero il peso politivo eversivo di Calogero Savatteri ? Abbiamo rinvenuto questa informativa della polizia del tempo[10]:

 «Racalmuto 5 agosto 1868 - Associazioni politico-miste.

«Riservata - Al sig. Ispettore di P.S. Girgenti.

«Dalle avute informazioni, esistono soltanto due loggie (sic) Massoniche, una in Racalmuto diretta dal signor Gioacchino Savatteri ed altra in Grotte diretta dal signor Vincenzo Simone, aventi scopo morale e umanitaria, per come si ha mantenendosi nei limiti del proprio statuto, di cui tuttora chi scrive non è potuto averne copia; come pure ignora i mezzi di cui dispongono non che il numero dei soci e quindi di conseguenza la loro condotta politica e morale, mentre poi l’Ufficio Scrivente non à nulla da osservare in contrario sulla condotta politica e morale dei due detti Presidenti Savattieri e Simone che la P.S. e il Pese ritiene onesti .... Il Delegato Mingo (?)»

«Racalmuto - Ufficio di P.S. - Dicembre 1870 - Relazione politica riservata per i mandamenti di Racalmuto e Grotte ...

«Racalmuto: Non esistono nello stretto senso della parola partiti politici, ma invece dei gruppi più o meno numerosi di varie opinioni. Il primo è composto di uomini amanti delle attualità; il secondo, retrivo, con a capo il clero, ed è il più numeroso; il terzo di principi spinti non è ristrettissimo: tutti però mancanti di individualità positive alla testa, non esercitano forte influenza sulla generalità dei cittadini, i quali sono alieni dalla politica, tanto più che la Gioventù Civile, generalmente parlando, sanno appena leggere e scrivere, e tranne qualche mese all’anno in cui accudiscono ai propri affari di campagna, il rimanente lo passano nei giochi, e nell’ozio per cui il paese non ha avvenire.

«Il partito che esiste realmente è tutto Municipale, ed è diviso in due campi: il primo dominante composto dal Sindaco sig. Alaimo, dei sig. Matrona, Picataggi, Abbate Chiarenza, Sferrazza, Savattieri, ed altri di minor conto, il quale in verità ha dato una spinta di miglioramento al Comune nelle Opere Pubbliche, ma non gode alcuna fiducia negli amministrati:

«Il secondo capitanato dai Signori Grillo, Farrauto, Cavallaro ed altri, i quali riunito (?) quasi alla generalità dei Comunisti accusano l’attuale Amministrazione Comunale di arbitri, rubberie (sic) ed intrighi negli appalti; e ciò specialmente pei maneggi dei Matrona e Chiarenza per cui si agogna lo scioglimento del Consiglio composto per lo più da uomini inetti e deboli, come si asserisce.

«Si lagna pure politicamente il pubblico delle deferenze e ruberie del Ispettore dell’Annona Cavallaro Calogero desiderandosi perciò che gli venga tolto l’incarico.

«La popolazione nella generalità è docile, ed ha di che comodamente vivere coi lavori agricoli, e più specialmente l’industria delle zolfare, però è proclive piuttosto all’ozio, e la massa ha una certa tendenza ai reati di sangue ed alle grassazioni,  ma si è sommamente modificata dal 1860 in qua, colla leva, con la penale e specialmente coll’attività, ed impegno delle autorità preposte al mantenimento dell’ordine pubblico. [...]»

 

In altro fascicolo (n.° 24) rinveniamo:

«Racalmuto 14 aprile 1872 - Mene repubblicane - Dal delegato di Sicurezza pubblica di Racalmuto.

«Qui sono pochi che sentono una devozione alla memoria dell’estinto Giuseppe Mazzini, e questi pochi sono troppo onesti da non lasciarsi convincere dalle voci sovversive che potrebbero far correre talune vecchie masserizie borboniche-clericali.

«Trovo al contrario che il pretume ed i borbonici, che sino ad ieri tenevano la via dell’indifferentismo, pare che abbiano levato il capo dopo l’arrivo in Girgenti di Mons. Turano, e sperano nel prossimo trionfo della religione e della Chiesa.

«Il Turano è qui aspettato, e sarei d’avviso che sia impedita ogni manifestazione di piazza, giacché reputo che se non non represse possono produrre tristi conseguenze.»

 

«Racalmuto 20 giugno 1868 - “Loggie Massoniche”.

«La loggia Massonica di Racalmuto come pure quella di Grotte, fino dai primi di ottobre decorso, fu per ordine del Grande Oriente  di Palermo fatta sciogliere.

«Tanto le significo in riscontro al contrassegnato di Lei foglio. - Il Delegato di Sicurezza pubblica all’Ispettore di P.S. di Girgenti.»

 «Racalmuto 9 dicembre 1871 - Mene Mazziniane.

«In questo mandamento, e molto più in Racalmuto, non ci sono uomini che s’ispirano a massime Mazziniane, e le opere dello stesso Giuseppe Mazzini vengono osservate più dal lato letterario, che dal lato politico. Né qui le dottrine dell’internazionale allignano, giacché la parte Signorile occupasi del miglioramento della sua proprietà, ed il popolo minuto, composto di picconieri e contadini, vive di non iscarsa fortuna, e si mantiene alieno a qualunque idea politica; che d’altronde non sarebbe compresa, in qualunque senso gli si volesse presentare, attesa la crassa ignoranza in cui vive.

«Delegato di Sicurezza Pubblica di Racalmuto - al Prefetto di Girgenti - Il delegato Salonico (?)».

Chi avrà avuto pazienza e seguito questa sfilza di citazioni, avrà chiaro che i fratelli Savatteri bazzicarono sì la massoneria,  ma con tanta accortezza e tanta deferenza verso le autorità da averne il plauso alla fin fine non troppo scoperto. Le rappresentazioni teatrali - nei locali di loro proprietà, se non andiamo errati - avevano più valore prossenetico, alla stregua di quanto avverrà negli anni 50 di questo secolo nel teatrino della Matrice, che vero peso propagandistico di chissà quali idee rivoluzionarie, o mene mazziniane, per usare il linguaggio del delegato di Sicurezza Pubblica. I Savatteri avevano una concessione mineraria a Gibillini, che nel 1886 risultava inattiva (cfr. Rivista del Servizio Minerario - anno 1886).  Dopo, con Gioacchino Savatteri - sindaco defenestrato, alter ego dei Matrona - il declino di quella famiglia fu inarrestabile, anche per il tracollo degli affari minerari. Con Eugenio Napoleone Messana - nipote per parte di madre - e con il prof. Calogero Savatteri, le sorti tornarono favorevoli e la famiglia gode oggi di incontrastato rispetto. Quanto al circolo Unione, la potente famiglia vi fu massicciamente presente nell’Ottocento. Con il declino economico, anche quello presso il pretenzioso sodalizio. La vicenda dei nostri giorni ha ben altra valenza per consentire cifre nobiliari nelle valutazioni e negli apprezzamenti.

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 Gaetano Savatteri, il sindaco ‘garibaldino’, resta in carica sino 1862 l’anno della grande crisi politica e sociale. Ne prende il seguito Nicolò Picataggi sino al 1863; è quindi la volta di Luigi Tulumello sino al 1864, e poi di Baldassare Grillo (1864-67) e di Michelangelo Alaimo (sino al 1872); solo a questo siede sulla poltrona di sindaco il celeberrimo don Gasparino Matrona, che deve lasciare il posto dopo soli quattro anni (1872-1876) per scandali più di alcova che politici. Quindi una breve parentesi: Giuseppe Grillo è sindaco solo per pochi mesi nel 1876. E’ quindi la volta di un grande ritorno: l’avv. Gioacchino Savatteri, il figlio primogenito di don Gaetano, viene eletto sindaco di Racalmuto e vi rimane per ben dodici anni (1872-1888); è uno dei sindaci più longevi dopo l’unità d’Italia. Lo supererà solo il barone Luigi Tulumello che a capo dell’amministrazione durerà dal 1889 al 1907. Era stato preceduto per un breve intervallo nel 1888-1889 da Alfonso Farrauto. Gioacchino Savatteri aveva dovuto abbandonare perché sospettato di una grave malversazione. Il processo durerà un’eternità e crediamo che sia rimasto irrisolto.

 

 

I fatti del 1862

 

 

A meno di due anni dalla sbarco di Marsala, scoppia in Racalmuto un’esplosione di rabbia popolare - forse sobillata da taluni ceppi borghesi - segno di malessere diffuso, motivo di rimpianto per un passato (borbonico) migliore di un messianico presente quanto mai duro, repressivo, intollerabile. I Savoia erano venuti in Sicilia come conquistatori, come negrieri per sfruttare una colonia quasi africana. La rivolta pare sia stata ispirata dalla potente famiglia dei Farrauto. La famiglia Farrauto si era di molto arricchita nel Settecento. I suoi preti erano riusciti a locupletare più di quelli dei Tulumello o dei Savatteri.

Si è visto don Giuseppe Farrauto affiancare nel 1848 i Messana nei fomiti antiborbonici; e dire che dopo i suoi eredi passeranno come borbonici per eccellenza. Ma era avvenuto un incidente gravissimo con tanto di ignomia per una infamante carcerazione. “Signori Farrauto, - apostroferà l’impudente barone Luigi Tulumello nella campagna elettorale del 1873 - che diremo di voi? La storia è a tutti palese, sembra da voi soli non rammentata!!!..”: un parlare per “ ’nnimmi ”; un bell’esempio di “jttari ‘nnimmi”, come direbbe Sciascia, « ... un parlare minaccioso - cioè - e ricattatorio che, ad eccezione della persona cui è diretto, può sembrare strano, strambo.» [11] Crediamo che il salace barone Tulumello si riferisse alle scudisciate che le famiglie Farrauto e Matrona - ora alleate - si erano inferte nel 1862, al tempo dei fatti del 6 settembre 1862.

Leonardo Sciascia quei fatti li dà in flash in Occhio di Capra (pag. 17) sintetizzando e rivisitando un capitolo di storia paesana che si trova in un’opera di un prefetto dell’epoca; Enrico Falconcini. «Da un prefetto ingiustamente “dispensato” - chiosa il grande scrittore racalmutese - (non destituito, tenne a precisare il ministro) sappiamo come è che anche a Racalmuto si tentò di non cambiare nulla nonostante il tutto che era cambiato (vedi Giuseppe Tomasi, principe di lampedusa e duca di Palma). Il prefetto si chiamava Enrico Falconcini, e della sua amara esperienza, sull’ingiustizia che lo aveva colpito, fece un libro che pubblicò in Firenze nel 1863. Un capitolo è dedicato ai fatti del 6 settembre 1862 a Racalmuto. Racconta che nel paese c’erano due partiti: quello dei Farrauto, che vestiva “in calzon corto ed in coda”, e quello dei Matrona, che “amava indossare la camicia rossa”. Quel giorno, il partito dei Farrauto pensò di “profittare dell’abbattimento che dal fatto di Aspromonte eniva alla parte sua rivale, per correre alle case dei Matrona ed appiccare con questi una volta di più accanita zuffa”. Si fanno rientrare in paese i renitenti alla leva, si bruciano gli archivi, si devasta la caserma dei carabinieri, si devasta il casino di conversazione, si svaligia il corriere postale e si dà fuoco alla corrispondenza; e si pone assedio alle case dei Matrona, che però validamente si difendono. Due giorni dopo arrivano a Racalmuto truppa, procuratore del re e giudice istruttore: e si arrestano i Matrona. Il prefetto Falconcini interviene energicamente a farli scarcerare: ed è molto probabile che anche questo intervento gli sia stato messo in conto nel provvedimento che lo dispensava dal servizio.»

 

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La verità storica sulla ribellione racalmutese del 1862

 

L’indulgenza che Sciascia propina al forestiero prefetto Falconcini è sospetta per vari versi: ma forse Sciascia ebbe sotto mano solo qualche sporadica fotocopia dell’opera del Falconcini e non poté farsene un’idea precisa. Certe sortite di quell’ex deputato, impovvisato prefetto, stentiamo a credere possano essere passate inosservate la loico scrittore racalmuetse e - peggio - venire addirittura condivise. Si pensi che Falconcini ad un certo punto credeva fosse in sua mercé arrestare la gente sospetta per farla ‘cantare’ sotto processo: peggio di taluni eccessi della moderna antimafia - giustamente stilettata dal grande racalmutese.

Falconcini stette pochi mesi a capo della provincia di Girgenti. I suoi metodi dittatoriali, vessatori, improvvidi suscitarono campagne di stampa avverse e attacchi in parlamento, tanto da spingere Silvio Spaventa a destituirlo repentinamente, senza neppure chiedere una qualche giustificazione. La misura era al colmo. Il Falaride di Girgenti veniva detto sulla stampa. Ed a ragione, se diamo appena uno sguardo critico alle vicende racalmutesi in cui fu odioso protagonista.

Falconcini, umiliato ed offeso da provvedimento ministeriale, scrisse un libro a sua difesa - e sicuramente a sue spese - che si premurò di mandare in Parlamento nella speranza - disillusa - che potesse sortire un qualche effetto a suo favore. Stizzosamente, Ubaldino Peruzzi tagliava corto con tal cav. Boggio deputato al parlamento di Torino - in atteggiamento difensivo verso il defenestrato prefetto di Girgenti. Scrivendogli testualmente «egli [falconcini] è stato dispensato, non destituito, dalla carica di prefetto di Girgenti. Prendendo questa determinazione il ministero non ha inteso infliggere al signor Falconcini veruna punizione o biasimo, percché non ne abbia motivo.» Non era vero, ma la sortita burocratica era di quelle da tappare la bocca a chiunque. Non c’era però riprovevole dietrismo come lascia intendere Sciascia. Il prefetto era venuto in Sicilia ed in quella sperduta landa del sud convinto di avere a che fare con dei coloni africani cui raddrizzare le gambe.

Abbiamo il maligno sospetto che si sia lasciato guidare anche dalla malevola animosità contro taluni nuovi ceppi borghesi dell’oriundo avvocato Picone. Costui si era premurato di ospitare questa espressione del nuovo stato sabaudo a casa sua. Poi, pare palesamente pentito per i guai che ciò ebbe a procurargli. Stralciamo dalle sue Memorie.   « 13 agosto 1862- leggesi a pag. 658 -  Giunge il novello prefetto signor Falconcini. Il dopo pranzo giunge un generale con due pezzi di artiglieria di campagna ed altra truppa di linea, che la sera circonda la città. !4 agosto - La sera parte tutta la truppa, lasciando sparutissima guarnigione. Disertano taluni soldati, onde riunirsi a Garibaldi - 21.- Si pubblicano le copie dell’ordinanza di Cuggia, prefetto di Palermo, per le quali si proclama lo stato d’assedio in tutta Sicilia, le quali vengono lacerate. Il dopo pranzo si vedono parecchie pattuglie di soldati, le quali si ritirano ai reclami di taluni uffiziali della guardia nazionale, che trae a sé il peso della custodia dell’ordine. 22.- Giungono lettere che annunziano l’entrata di Garibaldi in Catania. 27.- Giunge un proclama di Garibaldi, per lo quale protesta a favore del re, e contra il ministero. 30.- Giunge al prefetto di Reggio Calabria un telegramma, che annunzia Garibaldi disfatto e ferito in Aspromonte. Lutto, sgomento, pianto nelle famiglie dei garibaldini. 31.- Si vuol fare una strepitosa dimostrazione contro il governo, ma non si giunge a farla. Il malumore aumenta. SETTEMBRE. 1 a 6.- Lo spirito pubblico eccitato. Risse e malumore per la novella moneta decimale. [ ...] 8.- Arrivano per la via di mare circa cinquecento bersaglieri, che si dicono essere di coloro che attaccarono Garibaldi. 9.- Si pubblica un’ordinanza di Cialdini, per la quale si dispone: “Che le bande armate che saranno trovate in campagna, saranno trattate come briganti, e che gli avanzi delle bande garibaldine, nel termine di cinque giorni, dovranno presentarsi, e saranno trattati quali prigionieri di guerra. Scorso quel termine lo saranno come briganti.” Gran malumore! 13.- Giunge il 32° di linea. [...] OTTOBRE. 1.- Per ordinanza del colonnello Eberhard è comandato il disarmo, proibita l’asportazione e la detenzione delle armi, sotto pena di fucilazione. 11.- Un vapore trasporta centosessanta detenuti di s. Vito. 12 al 25.- Giunge il 4° di linea. Innumerevoli arresti di ladri, di galeotti e di galantuomini alla rinfusa. [...] DICEMBRE. 14.- Si vede sulle mura delle case, lungo il corso principale scritto: Abbasso Falconcini. 17.- Mi si invia, per la posta, un biglietto che dice: “ Si prepara una combinazione, che sembra infernale, la quale se verrà ad effetto,la vostra casa andrà in fumo. Ciò si fa non per colpir voi, ma il prefetto.” Questi abita il quarto piano superiore al mio. [...] 1863 - GENNAIO. 13.- Proclama di Falconcini, che promuove una soscrizione contro il brigantaggio di Napoli. 6.- Egli con altro proclama, annunzia la sua destituzione. [...] FEBBRAIO. 12.- Arrivo del novello prefetto Bosi.»

Ma veniamo alla rivolta racalmutese. Tra la variegata documentazione Falconcini scegliamo per primo questo rapporto al Ministro dell’Interno che ci pare il più obiettivo. «Al Ministro dell’Interno. Il paese di Racalmuto è uno di quei luoghi ove malauguratamente ha regnato ben poco l’impero della legge e dell’autorità, per le dissensioni esistenti fra gl’individui delle due famiglie Matrona e Ferrauto, che atteggiandosi a partito politico si facevano lecito ogni azione che fosse creduta invisa al partito avverso.

«Così rima dell’arrivo di Falconcini, n.d.r.] dovè sciogliersi il consiglio comunale [...] Fu inviato un commissario nella persona del consigliere Di Catania [col compito anche ] di ricostruire la guardia nazionale.

«[...] niuno iscritto delle classi 40 e 44era stato obbediente alla chiamata [della leva]. [Racalmuto fu abbandonato] nella seconda metà di agosto dal distaccamento di truppe sotto gli ordini del generale Ricotti per operare nei dintorni di Catania [..]

«Il giorno 6 [settembre 1862] il paese cadde in preda ad un terribile disordine. I malviventi, i rei di omicidio e furti, tutti  latitanti alla giustizia, i coscritti renitenti e persone di mal’affare sopraggiungevano nel paese, quale orda invaditrice cui non opponeva resistenza la guardia nazionale sebbene eccitata e capitanata dal giudice di mandamento.

«Era saccheggiata la caserma dei carabinieri ... si appiccò il fuoco agli archivi del comune e della percettoria ed agli stemmi sabaudi; fu aggredito e saccheggiato il corpo di guardia della milizia nazionale; si saccheggiava il casino di compagnia, si aprivano le carceri ai detenuti, si aggrediva la vettura corriera, derubando i passeggeri  e bruciando in piazza fra l’orda popolare i dispacci postali, e così paralizzata l’azione di ogni autorità, gli abitanti si scambiavano fra loro secondo i partiti colpi di fucile che fortunatamente non produssero lacrimevoli effetti.

« [...] nella notte del 7 settembre una colonna andò sul posto per rimettere l’ordine, arrestare i colpevoli e fare eseguire in ogni parte il proclama del generale Cialdini sullo stato d’assedio.

« [...] Gli arresti furono eseguiti dalla truppa nel numero di sessanta circa.

«[....] molte delle persone compromesse nei disordini, costituiti in banda di circa 150 soggetti, tutti debitori di reati o renitenti alle leve, si accamparono in armi nei monti circostanti al paese quasi gettando una sfida alla truppa, che non poteva agire contro di loro, preoccupata come era nell’interno ad eseguire il disarmo, custodire gli arrestati e mantenere la quiete.

«Una compagnia di bersaglieri sotto gli ordini del maggior comandante il 6° battaglione, moveva da qui nella notte per dare la battuta ai briganti ricoverati nel monte detto Castellazzo [secondo Picone - per noi più correttamente - Castelluzzo [12] ] Difetto di preventiva intelligenza colla prefettura di Caltanisetta [sic], sebbene richiesta, fece sì che dato l’assalto dalla colonna i briganti retrocessero e non trovata altra truppa che li attaccasse a tergo poterono rifuggirsi isolatamente nella provincia suddetta, ma cessò la loro presenza d’infestare le campagne e minacciare di nuovo Racalmuto.

«Rimasta in questo luogo una compagnia di bersaglieri, che sembrò sufficiente a tenere in rispetto l’autorità del governo, ai 18 settembre fu eseguita la traduzione dei detenuti a Girgenti per disporne come di ragione; ed infatti molti sono stati già liberati dal potere ordinario, i veri colpevoli essendosi resi latitanti, ed altri in minor numero essendo rimasti in carcere come dediti a qualunque azione criminosa.

«Sebbene l’autorità giudiziaria non potesse raccogliere abbastanza prove per incriminarli, risultò da tutto l’insieme che causa dei fatti avvenuti era l’animosità fra le famiglie Matrona e Ferrauto che avevano diviso il paese. Allontanatesi quelle famiglie per timore di severe misure, la popolazione riacquistò quiete invidiabile che rimane inalterata.

«Girgenti, li 8 ottobre 1862. Il prefetto: Falconcini.»

Cattivo prefetto, pessimo profeta: i Matrona ed i Farrauto furono costretti all’esilio - a quanto sembra - ma la quiete a Racalmuto non arrivò; anzi i successivi fatti di gennaio mostrano un’arroventarsi del clima di contestazione. Il popolo di Racalmuto non era dunque quella misera cosa in mano agli ottimati corrispondenti ai Matrona ed ai Farrauto (famiglie solo di recente giunte a Racalmuto: nel settecento; i primi al seguito di un prete funzionario di conti succeduti ai Del Carretto; i secondi con armenti di pecore, come si sopra visto). Non erano costoro che potevano dominare il non irruento ma non succubo popolo di Racalmuto. Il prefetto era male informato. Abbiamo insinuato dall’avvocato Picone.

La nota è importante, poi, per la storia del circolo unione: preso di mira dal popolino, sichiamava ancora “circolo di compagnia”; la prosa prefettizia sembra avvolorare ciò oltre ogni ragionevole dubbio.

Non crediamo che, se Sciascia avesse letto davvero questo passo del libercolo del Falconcini, si sarebbe indotto ai sullodati apprezzamenti positivi.

Il circondario di Girgenti era piuttosto disarmato in quel periodo: tutto l’intero distaccamento bersaglieri, 6° battaglione, presidiava il derelitto Racalmuto e sicuramente ne insidiava le donne, con tanta rabbia dei barbuti - ed in gran parte latitanti - maschi del luogo, pregiudizievolmente renitenti alla leva dei Sabaudi. Come dargli torto?

Il patetismo di Eugenio Napoleone Messana è di sicuro sbracato, ma per taluni accenti coglie nel segno. «La goccia che fece traboccare il vaso dei malcontenti - scrive Messana a pag. 248 - e delle disillusioni .. fu l’estensione alla Sicilia della leva obbligatoria. [...] la ferma prevista per le prime leve era di anni cinque ed era estesa a tutti i giovani dichiarati abili dalla commissione di leva. Tale notizia giunse come una sciagura immensa. Cinque anni fuori dal proprio ambiente per le terre sconosciute del continente parevano una cosa insopportabile. E le proprie abitudini interrotte, le famiglie lasciate, le braccia lavorative che venivano meno alle famiglie? Cinque anni poi, dai 21 ai 26 anni assorbivano il cuore della gioventù di un uomo. Gli sposati dovevano lasciare le proprie mogli, gli innamorati dovevano rinunziare all’idea di sposare: questioni tutte che gravano eccessivamente sui giovani siciliani, dotati delle caratteristiche ambientali ben note, allora più marcate dall’arretratezza e dall’analfabetismo. Si cominciò a cantare nel tipico lamentoso motivo dei canti popolari siciliani, accompagnati dal singhiozzo dolce dello scacciapensieri: “la leva c’è in Sicilia e maritari nun ni putemo cchiù: com’hamma a fari?” »    Non sarà stato come dice Messana, ma la miscela dovette essere proprio esplosiva se il pacifico popolo di Racalmuto ebbe tanta irrefrenabile ira. Era pretestuoso pensare che un Matrona o un Farrauto potesse avere tanta forza da sobillare una comunità se non altro indolente per atavica acquiescenza. A noi non era mai capitato, nelle nostre ricerche storiche, di incontrarci una una ribellione di stampo militare come quella del 1862. I redentori sabaudi un miracolo, in un certo senso, erano riusciti a crearlo in Sicilia e proprio a racalmuto.

Il Falconcini, dopo, in piena irritazione per l’umiliante defenestramento, sui misfatti di Racalmuto torna ed ora con accenti più caustici e più offensivi. Scrive (cfr. il capitolo di pag. 55 intitolato: “Vandalici fatti consumati in Racalmuto”): «Da Canicattì  

Sottolineiamo subito quell’accenno al casino di conversazione; quella devastazione; quell’insolenza da parte della plebaglia (ma insufflata dai Farrauto). I “ddo”  racalmutesi finito in burla: inaudito; mai sotto i Borboni sarebbe successo! Deserte allora le sale in quel settembre nero?  C’è da esserne certi .. ma per il fatto che i galantuomini erano tutti nelle loro villette di campagna a godersi le splendide settembrate  dell’altipiano racalmutese. Quell’assalto al circolo - noi crediamo - fu più chiacchierato che reale. Del resto anche i Farrauto erano autorevoli membri del nobile sodalizio.

Sciascia non era nuovo nell’ingigantire il settembrino assalto al circolo dei galantuomini. In Parrocchie di Regalpetra [13] l’allora giovane scrittore - in vena quindi di visionarietà romantica - ebbe a scrivere quel passo sfottente che abbiamo sopra riportato.

La simpatia per il prefetto (toscano e crediamo noi con voglie filo massoniche con quel favorire i Matrona) crediamo sia dovuta al culto che Sciascia ebbe per la famiglia di don Gasparino - e fu un culto tanto inossidabile quanto sprovveduto. A distanza di anni, quando un certo tipo di passioni si era affievolito, ecco come la locale pubblica sicurezza ripercorre quelle oscure vicende. Siamo nel giugno del 1886 - quattordici anni dopo, dunque - ed il Delegato di S.P. A. Coppetelli così riferisce al prefetto:

«Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 13 Giugno 1876 -

OGGETTO: Intorno al reclamo della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.

 

Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti.

 

Racalmuto addì 14 giugno 1876.

 

Prima ch'io imprenda ad informare la S.V. Ill.ma sulle cose esposte nel reclamo della Società, in oggetto indicata, non sarà inutile lo accennare alle fasi, che subirono i partiti Municipali, in Racalmuto, a datare dall'anno 1860 a tutt'oggi.

 

Anteriormente alla rivoluzione dell'anno 1860, primeggiava in Racalmuto la famiglia Farrauto, e pel prestigio, che esercitava su questa popolazione detta famiglia, sebbene di principii alquanto retrogradi, continuò pure ad avere ogni ingerenza in questa Amministrazione Comunale, fino all'anno 1862.

 

Man mano che la famiglia Farrauto, dall'anno 1860 all'anno 1862, era andata perdendo di prestigio per l'opposizione, che le veniva facendo la famiglia Matrona, in allora composta di sette fratelli, la quale conoscendo che vi sarebbe stato il suo tornaconto a secondare il governo nazionale già instaurato anche in queste provincie, cercava di entrare a far parte di questa Amministrazione Comunale. E da quì incominciarono i rancori e gli odii tra le dette due famiglie.

 

Il territorio del Comune di Racalmuto, come in tutti gli altri territorii dei Comuni di Sicilia, nell'anno 1862, era scorazzato dalle bande dei renitenti e dei disertori delle due classi di leva militare degli anni 1860 e 1861, ed a queste unitisi i latitanti per reati comuni, nel settembre 1862, invasero questo paese commettendo atti vandalici, che non è mestieri ch'io rammenti alla S.V. Ill.ma.

 

Non potrei dire con certezza, se per quella influenza, che ancora esercitava la famiglia Farrauto o per qual altra ragione, il Comandante della truppa, che venne spedito in Racalmuto, per quella circostanza, fece eseguire l'arresto dei fratelli Matrona, come ritenuti complici nei fatti del Settembre 1862.- Ma chiarita presto la loro innocenza, vennero quasi subito lasciati liberi. In proseguo poi vennero arrestati taluni della famiglia Farrauto, e qualche aderente di quella, per lo stesso titolo pel quale furono arrestati i Matrona. Anche questi ultimi arrestati, dopo un lungo tempo, vennero ridonati a libertà, perchè quanto loro si attribuiva, non potè essere provato nelle vie giudiziarie.

 

In appresso le due famiglie Matrona e Ferrauto vennero tra loro a conciliazione, e per tal modo, ben presto riuscirono ad acquistare, in Racalmuto una certa supremazia, da riuscire cosa facile l'entrare a far parte di questa Amministrazione Comunale insieme ad altri loro aderenti, ciò che continuò ad essere fino a tutt'oggi, e fino a tutto l'anno 1874 senza incontrare ostacolo di sorta, se si eccettuano le guerricciole e gli screzii, che si andavano manifestando tra il partito Matrona, che così chiameremo sin d'ora, e l'altro che andava accentuandosi, capitanato dal Barone Sig.r Luigi Tulumello, giovine di qualche ingegno, e ricco per censo, ma di poca esperienza nelle vicende dei partiti sì politici, che amministrativi.

 

Questi screzi si andavano manifestando per la ragione, che in paese si facevano serpeggiare dei lamenti contro l'Amministrazione Comunale, per la gravezza delle imposte comunali. Le cose andiedero prendendo più vaste proporzioni, nei primi mesi dell'anno 1875, ed allorquando per altre piccole differenze sorte tra i socii dell'unico Casino di Compagnia, di cui facevano parte quasi tutti i civili di Racalmuto, senza distinzione di colore tanto politico, quanto amministrativo, una porzione di detti socii, aderenti al partito del Tulumello, tra i quali il Sig.r Giuseppe Matrona fratello dell'attuale Sindaco, si staccarono da detto Casino di Compagnia, e ne fondarono un'altro, che ora conta una quantità abbastanza rilevante di socii.- Quì le ire e gli odii tra questi due partiti si accrebbero e ne nacque una completa rottura.

 

Intanto si avvicinavano le elezioni parziali amministrative dell'anno 1875, ed ognuno dei due partiti si adoperava per riportare la vittoria a proprio favore. In questo stato di cose, oltrecché gli animi erano esacerbati; un proclama datato da Racalmuto, e pubblicato nel giornale, che viene in luce a Palermo, L'Amico del Popolo, venne ad aggiungere fiamma a fiamma. Perchè poi la S.V.Ill.ma possa apprezzare la sostanza di quel proclama, sebbene io sia persuaso, che non le giungerà nuovo, pure quì unito glielo trasmetto contenuto nel suddetto Giornale, come pure unisco altri due giornali nei quali trovansi le repliche a quel proclama.

 

Le Elezioni Amministrative ebbero il loro compimento, e riuscirono in senso favorevole al partito del Matrona. Questo proclama ebbe per conseguenza una sfida a duello, sfida che faceva l'attuale Sindaco Sig.r Cavalier Gaspare Matrona al Barone Sig.r Luigi Tulumello, creduto dapprima autore di quel proclama. Quel duello poi non ebbe il suo effetto, poichè rimase sospeso dopo essersi ricorso allo espediente di un giurì d'onore, di cui io non conosco il vero tenore, non essendomi riuscito di trovarne un'esemplare.

 

In quella circostanza il Sindaco Sig.r Matrona, a mezzo dei suoi aderenti, fece sentire alla Società di mutuo soccorso degli Operai in Racalmuto, che sarebbe stato suo compito smentire per le stampe le cose contenute in quel proclama a carico dello stesso Sindaco e dell'intera Rappresentanza Comunale. Detta Società anziché aderire a quella proposta, fece come suo quel proclama, e quindi la Società stessa invitò il Sig.r Sindaco Matrona, come socio onorario a giustificarsi delle accuse, che gli erano state fatte per quel proclama.

 

Questo procedere della Società Operaia diede luogo ad una scena, che in seno alla Società stessa fece il Sig.r Matrona Napoleone altro fratello del lodato Sig. Sindaco. La scena fu questa: il medesimo Sig.r Napoleone Matrona recatosi alla sede della Società ov'erano radunati i socii, o furono fatti radunare a bella posta, e colà appostrofò con termini non troppo convenienti i socii, che vi si trovavano, facendoli aspra rampogna di quanto avevano operato verso il fratello di lui Gaspare Matrona.

 

E quì non sarà fuor di proposito lo accennare al nascere e allo sviluppo, che ebbe la Società Operaja in Racalmuto, e qual è al presente. Istituita detta Società nell'anno 1873, e messo fuori il suo programma, buona parte di questa cittadinanza vi si associò, tal che il numero dei socii, in breve tempo, divenne abbastanza rilevante. Però dopo il fatto sovra esposto, molti socii del partito del Matrona non vollero più appartenere a detta Società, ed in quella vece vi entrarono parecchi soggetti, che per la loro moralità e tristi precedenti, come si dirà in appresso, non le fa troppo onore, tal che al presente la Società non conta, che il meschino numero di ottatre socii, compresi i socii onorari.

 

Intanto il partito del Tulumello colse questa favorevole circostanza per maggiormente far la guerra all'attuale Amministrazione Comunale, incoraggiando la Società  Operaia ad agire anche col mezzo della stampa per raggiungere lo scopo qual era ed è di abbattere detta Amministrazione.

 

I socii onorari Piccone Ignazio, Picone Giuseppe, e parecchi altri furono quelli che stigmatizzarono la Società Operaja nel suo nascere, propalando in paese, che chi vi associava era scomunicato; che la Società Operaja era una istituzione detestabile, e che non era opera di buon cittadino lo appartenervi.

 

Dicevasi questo perchè, allorchè fu istituita detta Società, questa era sotto gli auspicii del Municipio; ma in contrario di quanto dicevano allora, ora appartengono alla stessa Società per far guerra al Municipio.

 

Tolti Garibaldi, Campanella, Saffi e Floretta che nulla sanno dello scopo e del personale della Società, e tolti pure Savatteri Calogero, Romano Salvatore, Tulumello Luigi, Picone Marco, Mendola Calogero, Travale Antonino, Presti Giuseppe e Tinebra Salvatore, che trovansi nella Società, chi per solo spirito di opposizione, e chi per idee più o meno spinte, pel resto però detta Società, in sè, ha degli elementi non troppo buoni, come facilmente si desume dai cenni biografici di quattordici di coloro che ne fanno parte, e sono i seguenti:

1° S c i b e t t a  Salvatore è autore dell'assassinio commesso a danno di Sicorella Salvatore, e sotto tale imputazione fu per molto tempo in carcere; e poscia per la sua scaltrezza venne prosciolto da quella imputazione denunziando altri, e facendosi chiamare come testimonio. E questi è il Presidente della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto.

2° R o s s e l l o  Giovanni, fu imputato di omicidio mancato, in danno di Calogero Scimè; e non saprei dire con certezza se ne riportò condanna.

3° M a r c h e s e   Giuseppe Primo, è uomo di carattere, irrequieto, ed abitualmente ubriaco.

4° L u m i a   Gaetano,è persona che gode pesima fama in Racalmuto; ma però non si conoscono precedenti, che stiano a suo carico.

5° G r i l l o   Giuseppe figura nel novero degli ammoniti di questo Comune.

6° F a r r a u t o   Angelo riportò condanna per omicidio mancato in danno di Rocca Calogero.

7° G i a r d i n a  Pietro, ammonitofu imputato di tentata estorsione di denaro mediante lettera minatoria diretta a Pinò Nicolò.

8° B e l l a v i a  Elia, vecchio camorrista, e molto tempo indietro fu anche sorvegliato.

9° L i c a t a  Nicolò, è persona ritenuta capace di commettere furti di destrezza.

10° S c i m è Salvatore, nel 1860, in Bonpensieri con altri compagni disarmarono molti cittadini, appropriandosi le armi, e nel 1861 fu uno dei presunti autori dell'assassinio in persona di Santo Cino Chillici.

11° F e r r a u t o   Vincenzo ha delle imputazioni, di cui ancora non si conosce l'esito.

12 G i a n c a n i Luigi è stato più volte carcerato per varie imputazioni dalle quali riuscì ad essere prosciolto.

13 P a l u m b o Angelo viene ritenuto un tristissimo soggetto, ma non si conoscono precedenti, che stiano a suo carico.

14 P a l u m b o   Antonino, come al N. 13.

 

Tutti gli altri socii, salve pochissime eccezioni, appartengono all'infima classe dei zolfataj, oltrecché non godano veruna fiducia in paese. Questa Società però, almeno pel tempo in cui io mitrovo in Racalmuto, non ha dato luogo a verun rilievo sul conto suo; avendo dovuto soltanto osservare che, con quella pacatezza e disinvoltura accompagnata da un certo sussiego, con cui nel giorno 10 ultimo scorso Maggio si recò al Cimitero Comunale per rendere osservanza alla memoria di Giuseppe Mazzini, del pari il giovedì santo di quest'anno si portò alla visita dei Santi Sepolcri nelle varie chiese di Racalmuto, con alla testa la banda musicale e la bandiera della Società.

 

Tutto ciò premesso, ora imprenderò a riferire intorno agli adebiti, che si fanno nel reclamo della Società Operaja di Racalmuto, a carico dell'attuale Amministrazione Comunale.

 

Quel reclamo incomincia dal dire, che questo Municipio fa ogni sforzo per disperdere la Società Operaja. A questo proposito io non ho potuto rilevare altro, se non, che l'attuale Amministrazione Comunale, non è amica della Società Operaia, del resto poi non si conoscono fatti, che per parte di questo Municipio si faccia ogni sforzo per disperdere, come dice il ricorso, detta Società.

 

Sullo stesso proposito, in altro punto di quel reclamo si accenna all'aver dovuto chiamare l'attuale Sindaco a discolparsi come socio onorario. In questo punto il ricorso vuole riferirsi su quanto ha relazione al proclama di cui ho riferito di sopra, cioè quando la Società venne invitata a combattere quel proclama, ed invece se lo fece suo. Dopo questo fatto, sussiste che il partito del Matrona cercò ed ottenne di far ritirare molti socii da detta Società, altri però si fecero cancellare di propria iniziativa. Ma però inutilmente ebbi a far pratiche per appurare, che si fossero posti in opera i mezzi a cui accenna il reclamo per far ritirare dalla Società i detti socii.

 

Ciò che sussiste in realtà, si è che il Delegato Sig. Macaluso si recò alla sede della Società, non saprei precisare con qual pretesto, e dagli atti ivi esistenti, sottrasse tutte le carte, che si riferivano alla vertenza passata tra il Sig.r Sindaco Cavalier Matrona, come socio onorario, e la Società stessa.

 

Continua quel reclamo sempre allo stesso proposito, e dice, che dallo stesso Municipio si tentò per varie volte e per mendicati pretesti di sfrattare la Società dalla Sala, che  dallo stesso Municipio gratuitamente gli fu concessa per le ordinarie riunioni. A quanto mi è risultato, il Municipio, su questo particolare, altro non fece, se non invitare per iscritto il mio predecessore a chiamare il Presidente della Società operaja per esortarlo a consegnare la chiave della detta Sala, perché il Municipio abbisognava di quel locale per collocarvi il Distaccamento di Fanteria, ma il medesimo Presidente essensodi rifiutato di ciò fare, le cose restarono quali erano, e più non se ne parlò.

 

Finalmente in quel ricorso è detto, e sempre a proposito che il Municipio cerca di disperdere quella Società, che si negano le licenze di porto d'armi ad integerimi cittadini, che appartengono alla Società Operaja, e che i relativi incarti giaciono polverosi sugli scaffali municipali. Questo molti lovanno ripetendo, ma è tale un fatto da non potersi credere, poiché gli aventi interesse, se non vogliono ricorrere alla Superiorità per conseguire il permesso di porto d'armi, o almeno perché la relativa pratica avesse il suo corso, io sono certo che avrebbero già ricorso per ottenere la restituzione del vaglia postale, che insieme ai documenti presentati vi si dovrebbe trovare il vaglia postale per l'ammontare della tassa stabilita in £. 6=60, per ogni permesso di porto d'armi.

 

Aggiungerò poi, che tutte le investigazioni  fatte in proposito riuscirono in senso affatto negativo. Inoltre in detto ricorso si accenna alle violenze che si esercitano alla vigilia delle Elezioni Amministrative. Su questo particolare a quanto ho potuto appurare, mi è risultato, che il partito Matrona ha in tali circostanze cercato di riuscire nel suo intento, valendosi snche di quella influenza, che ha sempre costantemente esercitata in paese, ma non mi è riuscito di trovare un'elettore, che dichiari di aver subite violenze, ciò che il partito contrario è andato e va dicendo tuttora, e come si è esposto nel reclamo del quale si tratta.

 

Il medesimo ricorso accenna poi ad opere di lusso fatte dal Municipio da dilapidare le ricche entrate del paese. Intorno a questo punto tutti sanno, che l'Amministrazione Comunale spese forti somme per la costruzione della Casa Comunale, per l'annessa Caserma dei Carabinieri Reali, e per il teatro, ove tuttora si lavora per il compimento dell'opera muraria, e che richiederà non poca spesa per condurlo a compimento.

 

Ma a che vale ora lamentare un fatto, che può dirsi totalmente compiuto, e che riportò la sanzione del Consiglio Comunale, e quella Superiore? Certo però si è che tali opere si potevano fare con meno sfarzo, ciò che sarebbe ridondato a vantaggio di questi amministrati, poiché molte migliaia di lire si sarebbero risparmiate.

 

Lo stesso si dica circa ai lamenti, che fa quel ricorso intorno alla costruzione della strada obbligatoria intercomunale Racalmuto Favara, essendo anche questo ormai un fatto compiuto ed autorizzato a forma di legge; ma che però non manca di essere gravoso a questi Amministrati, ciò che vanno ripetendo anche alcuni amici del partito Matrona, osservando che contemporaneamente  si sta costruendo altra strada pure obbligatoria tra Racalmuto e Montedoro, ciò che se è vantaggioso dal lato di veder sviluppata, e presto, la viabilità intercomunale, non è men vero, che costruendosene due ad un tempo, ciò viene ad aggravare, e non poco, il Bilancio Comunale, e per esso questi Amministrati; e perciò non mancano coloro che vanno lamentandosi della gravezza delle tasse Comunali. E da ciò che in detto ricorso si grida all'arbitrio nelle deliberazioni di questo Consiglio Comunale, ed alle flagranti violazioni della legge.

 

Quel reclamo finalmente accenna alla mafia nell'avvenimento del 27 Agosto 1875, come lo si chiama in detto reclamo, e segue quindi a dire, che la Società Operaja, e che la pubblica opinione e l'Autorità giudiziaria seppero rendere èpina giustizia.

 

In riguardo a ciò le cose passarono come appresso.

 

Dopo, che il novello partito del Tolumello si era più scopertamente manifestato l'anno scorso, massime per varii articoli pubblicati per i giornali, e dopo la fondazione del nuovo Casino di Compagnia, come sopra si è accennato, e finalmente dopo tutti gli altri fatti superiormente accennati che precedettero, accompagnarono e susseguirono le Elezioni Amministrative di detto anno, i componenti la Società Operaja, sembrava a quanto aseriscono gli avversari di questa e del partito del Tulumello, che facesse mostra d'imporsi all'altro partito, ciò che si volle desumere dal vedersi alcuni socii di quella Società passeggiare innanzi il vecchio Casino di Compagnia, in modo alquanto burbanzoso. Per contrapporsi a questo fatto, il partito del Matrona valendosi di un nucleo di persone dipendenti ed affezionate al partito stesso, la sera del 27 Agosto 1875, detto nucleo di persone si mise a passeggiare avanti il nuovo Casino di Compagnia, in modo di motteggiare e quasi provocare i socii di detto Casino, che colà trovavansi raunati. Di questo fatto se ne portò lamento a questo Delegato di P.a S.a Sig.r Macaluso, ma al dire di coloro che portarono tali lagnanze a quel funzionario, questi non ne avrebbe fatto verun conto, contegno questo del Delegato Sig.r Macalsuo, che si vorrebbe attribuire a troppa deferenza verso il Sindaco Sig.r Matrona Cavalier Gaspare. E siccome il fatto anzidetto sembrava essere stato stabilito doversi rinnovare la successiva sera del 28 detto mese, perciò alcuni socii del nuovo Casino, per evitare quell'inconveniente, che avrebbe potuto avere delle triste conseguenze, questa volta anziché rivolgersi al delegato di P.a S.a, si presentarono al locale Pretore, e questi fattone parola al Delegato ed al Comandante la Stazione dei Carabinieri Reali, perché cercassero di prevenire ed impedire al caso, che si rinnovasse quell'inconveniente, che avrebbe potuto compremettere l'ordine pubblico, ciò valse a scongiurare, che un tal fatto si rinnovasse la sera del 28 di detto mese.

 

Ed è per questo, che in quel reclamo è detto, che l'Autorità giudiziaria, e la pubblica opinione seppedro rendere piena giustizia.

 

Tutto quanto sopra ho esposto, non è che il risultato delle informazioni che ho potuto procurarmi da persone, che possono meritare qualche fiducia, e dico qualche fiducia, poiché è cosa assai difficile, trovare in un paese qual è Racalmuto, persone totalmente indipendenti da poter avere notizie esatte e spassionate, diviso, com'è, in due partiti, che sono formati dal ceto ristretto delle persone civili, in confronto della massa ignorante dei campagnoli e dei zolfataj, che compone la popolazione di questo Comune.

 

Da ultimo aggiungerò che le cose esposte nel ricorso, che quì unito ritorno alla S.V. Ill.ma, non fanno che riprodurre i sentimenti, da cui è animato il partito del Tulumello, partito, che cerca tutti i mezzi, onde vedere sciolto l'attuale Consiglio Comunale, sperando con questo mezzo di rompere l'attuale maggioranza del Consiglio stesso, senza far questione sulla scelta del Sindaco, con la veduta, come tutto giorno va ripetendo detto partito, di far economie sul Bilancio Comunale, e senza essere alieni, a queste condizioni di riconciliarsi col partito contrario, conciliazione, a parer mio, che potrebbe realizzarsi, quando a mezzo di persone autorevoli, potesse ottenersi una sincera ripacificazione tra il Sig.r Giuseppe Matrona ed i suoi fratelli; poiché una volta, che il Sig.r Giuseppe Matrona si staccasse dal suo partito, sarebbe cosa facilissima far scomparire le divisioni, che affliggono questo paese, poiché il ripetuto Sig.r Giuseppe Matrona può ritenersi il capo del partito a cui appartiene, tanto più, che il Tulumello è da parecchi mesi, che ha preso stanza in Palermo insieme alla sua famiglia, e non si sa, almeno per ora, che abbia intenzione di ritornare in Racalmuto. Certa cosa poi si è, che una più attenta e ben ordinata Amministrazione, esclusa ogni idea di personalità e di partito, potrebbe vantaggiare di molto la finanza comunale, ciò che non andrebbe disgiunto dall'utilità, che ne risentirebbero questi Amministrati, e tutto ciò non toglierebbe al Sig.r Sindaco cavalier Gaspare Matrona, tutto quel merito, che ha nell'aver rialzato le condizioni morali di questo paese, nell'aver non poco contribuito, col concorso di tutto il ceto civile, a vantaggiare le condizioni della pubblica sicurezza in questo Comune, messe in confronto, coi tempi, che precedettero la sua ingerenza nell'Amministrazione Comunale, e finalmente coll'aver cercato di rendere lustro e decoro al paese col compiere varie opere pubbliche, che i suoi predecessori avevano iniziate.

Il Delegato

A.  Coppetelli »

 

La suestesa relazione di pubblica sicurezza ci ragguaglia - magari con un incerto italiano, ma con pignoleria sbirresca - su come veramente erano andate le cose tra i Farrauto ed i Matrona: se poi si intruppano insieme nelle beghe potitiche paesane, nulla di veramente grave era avvenuto fra loro. Il contrasto tra gli ottimati racalmutesi scoppia dopo ed investe i Matrona e quel Luigi Tulumello, giovane barone ed al contempo “di qualche ingegno, e ricco per censo, ma di poca esperienza nelle vicende dei partiti sì politici, che amministrativi” per dirla come il delegato Coppetelli.

Sappiamo ora con certezza che la frattura al casino di compagnia avvenne in occasione delle elezioni del 1875 e le parole del commissario di P.S. ci paiono del tutto pertinenti e credibili: «Le cose andiedero prendendo più vaste proporzioni, nei primi mesi dell'anno 1875, ed allorquando per altre piccole differenze sorte tra i socii dell'unico Casino di Compagnia, di cui facevano parte quasi tutti i civili di Racalmuto, senza distinzione di colore tanto politico, quanto amministrativo, una porzione di detti socii, aderenti al partito del Tulumello, tra i quali il Sig.r Giuseppe Matrona fratello dell'attuale Sindaco, si staccarono da detto Casino di Compagnia, e ne fondarono un'altro, che ora conta una quantità abbastanza rilevante di socii.- Quì le ire e gli odii tra questi due partiti si accrebbero e ne nacque una completa rottura.»

Sciascia ha voglia di riesumare quella frattura: ma quando da letterato passa a far lo storico fa confusione. «Intorno al 1890 - gli vien l’uzzolo di scrivere - la lotta tra i Martinez [leggi: Matrona] e i Lascuda [leggi: Tulumello] divenuta particolarmente feroce, il circolo attraversò un brutto momento: i Lascuda e la loro coda l’abbandonarono, aprirono un circolo denominato di cultura, in verità vi si giocava a zecchinetta come nell’altro circolo, ma il barone di tanto in tanto teneva conversazioni sui temi come “l’erezione del Mongibello” e “il conquisto del Perù”. La scissione durò un paio d’anni, poi furono aperte trattative, studiato un nuovo statuto: e il nome augurale della concordia sortì dalla costituente assemblea. Lo statuto varato in tale occasione portava circa 400 articoli, e un lungo preambolo in cui le letture del barone Lascuda erano sufficientemente testimoniate. Un tale capolavoro di cultura letteraria e giuridica vive soltanto nei ricordi dei vecchi: quando il circolo diventò dopolavoro fascista le copie dello statuto andarono disperse. Pare comunque che la concordia ha davvero regnato, da allora ad oggi, sul circolo; le zuffe e gli incidenti che frequentemente accadono non portano mai a scissioni o pronunciamento.» [14] Sbagliare di quattordici anni la data della frattura non ci pare un peccato veniale, dal punto di vista storico almeno.

Sciascia colloca l’abbruciamento degli archivi comunali nel 1866 nelle Parrocchie [vedi pag. 25 op. cit.] ed è questa un’altra topica storica dello scrittore. Il crimine avvenne, come abbiamo visto, nel 1862. Una cronaca coeva ce l’ha lasciata l’avv. Giuseppe Picone nelle sue Memorie Storiche Agrigentine [citiamo dalla copia anastatica del 1982]. Eccone i passi:  «7 [settembre 1862, pag. 659] Timori di strepitosa dimostrazione contro il governo. Quarantatre impiegati firmano la loro dimissione. La guardia nazionale si rinforza. Per influenza di taluni popolani, la dimostrazione non ha luogo. La sera partono duecento soldati per Racalmuto, che dicesi insorto.» « 14 [settembre 1862, pag. 660] La sera partono due compagnie di linea per Racalmuto, ove si dice, che circa quattrocento rivoluzionarî si fossero fortificati al ‘Castelluzzo’

Ritorna, come Dio vuole, la calma e la vita cittadina s’incanala lungo le battute strade della normalità e della banalità. Cogliamo alcune note dalle carte dell’Archivio di Stato di Agrigento [Inventario n.° 32 - fascicoli riguardanti Racalmuto: 403-404 relativi agli anni 1860-1887; fascicoli n.° 537-538-539 sul 1885.].

«Prefettura di Girgenti - anno 1870 - Affare Racalmuto - Conto Consuntivo 1869 e carteggio relativo.

... dal consigliere sig. Giudice Sac. Calogero in prima si fa opposizione al mandato n.° 96 per gratificazione accordata in lire 170 al Capo Comico sig. Sinigaglia Angelo per portare la propria compagnia in questa giacché da parte dello stesso Consigliere non si ritiene come utile il teatro, e poi non è il desiderio della popolazione ...

Di risposta la Presidenza ha fatto conoscere al consigliere Lo Giudice Sac. Calogero, ed ai Consiglieri delle sue idee, come si è altieri di sostenere, non farsi una spesa capricciosa, e senza utile scopo, mentre che il teatro al dilettevole unisce l’utile, e non è un trastullo qualunque come potrebbe solo insanamente asserirsi, ma scuola ai costumi, allo sviluppo; è una iniziativa al progresso dolorosamente bisognevole a questo Comune per quanto se ne mostri restio.»

Al circolo la contesa sarà divampata; ma si può essere certi che la maggioranza era per il teatro. Lo erano senza dubbio i figli di don Gaetano Savatteri, teatranti di antica - anche se filodrammatica - passione.



[1] ) Girolamo M. Morreale, S.J. - Maria SS. Del Monte di Racalmuto - Racalmuto 1986, pag. 41.
[2]) ibidem - Real segreteria - Incartamenti - B. 3604.
[3]) ibidem - Real Segreteria - Incartamenti - B. 3605.
[4]) ibidem - Real Segreteria - Incartamenti - B. 3605.
[5]) ibidem - Real Segreteria - Incartamenti - B. 3605.
[6]) ibidem - Real Segreteria - Incartamenti - B. 3606
[7] ) Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 21.
[8]) Secondo l’elenco della Matrice sarebbe invero deceduto il 7 aprile 1650 a 52 anni (cfr. col. 3 n.° 62).
[9] ) E.N. Messana Racalmuto .. op. cit. p. 220 e segg.; p. 222 e per Calogero Savatteri p. 224 e segg.. Inoltre p. 242; p. 245; p. 264; p. 266; p. 271; p. 273; p. 280 e segg. per la sindacatura di Gioacchino Savatteri; p. 316.
[10] ) Archivio di Stato di Agrigento - Inventario n. 18 - fasc. 23 (1869-70)
[11] ) Leonardo Sciascia, Occhio di Capra, Milano 1990, pag. 77
[12] ) Sembra in ogni caso doversi escludere Castellazzo di Palma di Montechiaro.
[13] ) Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 51.
[14] ) Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 51 e s.

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